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Autore: Gizem_    13/10/2011    1 recensioni
[Alice Human Sacrifice]
Il sogno si scrocchiò le dita, pensieroso. “Ho ancora tutti e quattro gli inviti”, pensò.
“Il nostro mondo sta cadendo a pezzi, e abbiamo bisogno di una nuova Alice che lo faccia risplendere della sua vecchia grandezza.”
Prese in mano uno dei quattro inviti e se lo rigirò tra le mani.
“Non voglio sparire. Nessuno nel Paese delle Meraviglie lo vuole”.
[...]
“Buona fortuna, Alice”

“Non ci deludere."
Genere: Drammatico, Horror, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kaito Shion, Len Kagamine, Meiko Sakine, Miku Hatsune, Rin Kagamine
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 1
 * La Prima Alice *

Molto distante da lì, una ragazza castana stava guardando il cielo.                                        
Le nuvole si muovevano con grazia sul firmamento azzurro, dando come l’impressione che il tempo non scorresse.
“Mi stavo addormentando”, pensò.  Sorrise tra sé e sé.
Poco distante da lei, vide risplendere qualcosa alla luce del sole. Curiosa di scoprire l’origine del bagliore, si avvicinò.
Per terra giaceva una spada lucente e affilata; nuova, all’apparenza.
“Cosa ci fa una spada qui nella valle?” Si chiese.
La prese in mano. Era incredibilmente leggera, come se fosse stata dello stesso materiale delle nuvole in cielo. Però era stranamente fredda, come se fosse stata immersa nel ghiaccio per ore. Guardandola meglio, la ragazza scoprì che c’era un grosso rubino incastonato nel manico.
La spada aveva lasciato un solco nell’erba, e proprio dove prima era posta l’impugnatura della lama, ora giaceva una piccola carta bianca.
La ragazza si chinò per raccoglierla, e rimase quasi delusa nel costatare che era una semplice carta da gioco.
“Prima una spada, e adesso un Asso di Picche. Chi ha lasciato questa roba qui?”
Appena sfiorato l’Asso, tutto si fece buio. Ci fu un rumore, come un grande risucchio, e la ragazza provò la strana sensazione di cadere nel vuoto. Urlò, senza capire cosa stava succedendo, senza sapere quando tutto sarebbe finito.
Toccò terra. Era un suolo freddo, terroso. All’inizio ebbe paura ad aprire gli occhi, come se tutto fosse un incubo. Quando trovò il coraggio, vide di essere in una valle simile a quella dove era prima, solo che era sinistra, cupa. Il cielo non era azzurro, ma nuvoloso e oscuro. 
Aveva così tanta paura che quasi non riusciva a parlare, e non aveva il coraggio di rompere il silenzio: era tutto così irreale che parlare sarebbe stato pericoloso, ne era certa. Era come se il silenzio fosse il suo unico scudo.
Scudo …” Pensò.
“Ho una spada”. Si disse.
La impugnò con fermezza, e fece un passo. Il paesaggio cambiò di nuovo.
Ora si trovava dentro un bosco buio e lugubre, e ancora il silenzio ricopriva ogni cosa. Faceva freddo.
Con l’aspettativa di finire in un altro luogo ancora, fece un altro passo, ma il paesaggio non cambiò. Anzi, rese quello in cui era ancora più terribile e reale.
Iniziò a camminare, seguita solo dal suono dei suoi passi sopra le foglie.
Dopo qualche minuto, la sensazione di oppressione aumentò, e la paura si fece quasi folle.
“Benvenuta, Alice”.
La voce risuonò nel bosco. La ragazza sussultò, e la spada le cadde quasi dalle mani.
“CHI SEI?” Strillò.
La sua voce rimbombò tra gli alberi. Per un attimo, un terribile attimo, pensò che nessuno gli avrebbe risposto, che adesso che aveva urlato lo scudo si fosse rotto. Ora che ci pensava … lei non si chiamava Alice.
“ Shh … non urlare …”
Riprese la voce. Era infantile, straziante.
“COSA VUOI DA ME? IO NON SONO ALICE!”
Riprese. Incapace di trovare la fonte della voce, prese a girare istericamente su sé stessa.
“Oh, lo diventerai. Lo diventerai se ti comporterai bene”
Non lo sopportava più. Iniziò a tranciare tutti gli arbusti intorno a lei con la spada, convinta quasi che il distruggere tutto ciò che la circondava l’avrebbe salvata.
Apparve davanti a lei la fonte della voce. Un bambino spettrale, con i capelli neri arruffati che gli cadevano sul viso.
“ VAI VIA!” Urlò la ragazza.
Stava per trafiggerlo con la spada, quando il bambino parlò ancora:
“Non sei stata chiamata qui per uccidermi, Alice.” Sussurrò.
La ragazza abbassò l’arma, ma si tenne pronta a colpire ancora.
“Fai la brava”. Detto questo, il bambino scomparve.
Aveva più paura che mai. Iniziò a correre per il bosco, senza mai fermarsi, con la spada in mano. Ad un certo punto si fermò, convinta di aver sentito delle voci. Sì, sì! C’era qualcuno!
Spuntarono dal cespuglio alcuni bambini molto piccoli, che ridevano a crepapelle.
Appena videro la figura della ragazza con la spada si azzittirono terrificati.
La ragazza fu presa da uno spasmo di collera, affondò la spada in aria e la conficcò nel petto di una bambina. La spada le trapassò il corpicino, imbevendo i vestiti di sangue rosso cremisi. Le aveva lacerato il busto con violenza, lasciando visibile l’intestino. La ragazzina urlò, urlò con quanto più fiato aveva in gola.
“Li uccido tutti! Distruggerò il loro mondo!” Pensò la ragazza.
Estrasse la lama dal petto insanguinato della bambina, che si accasciò a terra, rigida. Gli altri bambini si misero a piangere e a correre. La ragazza lasciò il cadavere della bimba in un lago di sangue, e rincorse gli altri. I bimbi erano lenti, li raggiunse in un attimo. La spada saettò nell’aria, mutilando i piccoli corpi. Spruzzi di sangue le macchiavano la veste, ma non le importava. Li lasciò cadere uno dietro l’altro, coperti di sangue, le interiora ciondolanti.
Ormai aveva il fiatone, ma ne mancava solo uno. Era un bimbo molto piccolo.
“P…Per… Per favore … signorina ... non mi uccida!”
Sussurrò.
“Devo … devo tornare … a casa!”
Singhiozzò.
Lei lo prese per i capelli, ignorando i suoi strilli strazianti, e gli conficcò la spada fino in fondo, nel cuore. Vide la luce lasciare i suoi piccoli occhi, e il sangue sgorgare a fiotti sulla sua veste.
Erano tutti morti.
La ragazza, ormai folle di paura, prese a ridere. Era una risata che non le apparteneva. Era malvagia, sadica. Iniziò a correre, e a ridere. Lasciava dietro sé un piccolo sentiero rosso, creato dalle gocce di sangue che le cadevano dalla veste.
Dalla spada colava liquido scarlatto, ma lei non si fermò.
Non si fermò finché non sentì le forza lasciarla.
Provò ancora quella strana sensazione di cadere nel vuoto, tutto divenne buio.
Il paesaggio era cambiato, ora era dentro una gabbia. Non aveva più la spada.
Si alzò, in preda al panico, e iniziò a urlare colpendo le sbarre, che sotto il suo tocco rimanevano ferme e fredde. Continuò a urlare, piangere e colpire fino a quando non le fecero male le mani. Se le guardò, aveva un segno di picche marchiato sulla mano destra. Le lacrime le cadevano dal viso, era stata imprigionata da qualcuno. Era stata condannata a rimanere lì per sempre.

Dimenticata.

                                                                                                                                        
 

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