1.
Quando Rachel chiude una porta, Noah
apre un cancello.
La choir room era vuota, fatta eccezione per le sedie
sparse in modo disordinato e gli strumenti musicali affiancati al muro.
Gli occhi fissi sulle pareti azzurre, Rachel represse
un singhiozzo. Ormai tutto era finito ma, alla fine, la colpa era stata solo
sua.
Aveva rifiutato Finn e, si disse, quella era stata
davvero l’ultima volta. Era un capitolo chiuso della sua giovane vita.
L’estate l’aspettava, così come le vacanze organizzate dal rabbino Greenburg nel
solito villaggio alle porte della città.
Non poteva più pensare a quello che aveva perso. O meglio, a quello che aveva
voluto perdere.
Ma come avrebbe potuto far finta di nulla e tornare con Finn,
quando non era più sicura di niente, neppure di se stessa?
Sebbene ci fosse stata solo tre giorni, New York l’aveva cambiata.
L’aria umida, l’odore dei chioschi di hot dog fermi in ogni angolo e poi il suo
vero sogno, Broadway.
Eh si, New York l’aveva cambiata.. in meglio.
Adesso tutto il suo futuro era ben chiaro nella sua mente e non vi avrebbe
rinunciato per nulla al mondo.
«A cosa pensi?»
Si girò di scatto, portandosi una mano al cuore.
Non l’aveva sentito entrare e adesso era di fronte a lei, le mani affondate
nelle tasche dei jeans e il solito sorriso storto a illuminargli il volto.
«All’estate» sorrise anche lei e si portò una ciocca di capelli dietro
l’orecchio «e a Broadway»
«Pensi sempre a quello» la derise lui. Si fece più vicino e con una mano, fermò
le sue dita ancora ancorate ai capelli. «Gliel’hai detto?»
«Non ci sono riuscita» un risolino le scappò dalle labbra, mentre le loro mani
si intrecciavano. «Non puoi farlo tu?»
«Rach..»
«È che non gli è ancora passata. È ancora arrabbiato e tu sei così bravo a
parare i pugni! Io sono piccolina e tu non vorresti vedermi in pericolo, vero?»
era una bravissima attrice, se lo ripeteva di continuo.
E proprio in quel momento avrebbe tranquillamente potuto vincere un Oscar, o un
Golden Globe o.. anche l’MVP, perché no?
L’espressione da cucciola bastonata lo stava facendo sciogliere e per poco non
lanciò un urlo di vittoria.
«Mi freghi sempre» Noah poggiò la fronte sulla sua e
i due sorrisero, immersi nel silenzio dei loro sguardi.
Dopo la scottante sconfitta alle nazionali, e la definitiva rottura tra Rachel e Finn, avevano trovato
conforto l’una nelle braccia dell’altro.
Solo che, mentre Puck aveva trovato il coraggio per rompere con Lauren che non
vedeva l’ora di ritrovare la sua libertà, Rachel si
sentiva ancora troppo in colpa nei confronti di Finn
per chiedergli persino l’ora.
«E tu ti fai fregare» rispose lei sibillina, rifugiandosi tra le sue braccia.
Al sicuro vicino a lui, si sentiva ancora più piccola del solito.
A contatto con quel corpo massiccio e muscoloso, si sentiva protetta e si,
anche amata.
Perché lei sapeva, anche se lui non glielo aveva mai confessato a parole.
Lei sapeva che Noah Puckerman
la amava, così come lei amava lui.
Un affetto sincero e amichevole che in quei due anni, nel silenzio più
assoluto, si era trasformato in un amore vero e profondo.
E anche delicato, ma guai a dirlo a lui. Puckzilla
poteva essere tutto, ma non delicato.
Quel termine non lo avrebbe perdonato neppure alla sua Rachel.
«Che facciamo stasera?» ancora stretta tra le sue braccia, le fece alzare il
viso per poi posarle un leggero bacio su quelle labbra che adesso erano solo
sue. E lo sarebbero rimaste, anche a costo di pestare a sangue Hudson e tutto
il resto del genere umano.
Incuranti della porta aperta, le loro labbra continuarono a toccarsi
dolcemente. Noah, spinto dalla foga e anche da un po’
di mal di schiena per la posizione perché Rachel era
davvero bassa, la sollevò da terra e si sedette sullo sgabello del pianoforte,
con lei sistemata sulle gambe.
«Me lo dici?» le domandò ansante quando si furono staccati.
Le mani ancora ancorate ai suoi fianchi, riusciva a percepire il calore delle
sue gambe nude attraverso i jeans scuri.
«Che cosa?»
«Che fai stasera?»
«La valigie» sospirò affranta, mentre il broncio sulle labbra di lui la fece
quasi sciogliere.
«Però potrei sempre farle domani» si avvicinò, con le braccia attorno al suo
collo, a pochi centimetri da lui. «O dopodomani»
«Interessante» mormorò lui tornando a baciarla, ma una presenza indesiderata li
fece separare.
Era entrato nella stanza e li fissava immobile, con le braccia lungo i fianchi
e i pugni chiusi.
«Finn, possiamo spiegare» Rachel
si alzò e provò ad avvicinarsi, ma venne subito bloccata dal suo ragazzo.
«Voi due insieme, cosa vorresti spiegare?»
«Noi» provò a dire lei, «è successo tutto così in fretta, non sapevamo come
dirtelo»
«È per questo che non sei voluta tornare con me? Per lui?» La voce di Finn era carica di sentimenti contrastanti.
Rabbia, delusione, furia. Si sentiva tradito, ancora una volta.
«No» disse Puck.
«Si» confessò invece Rachel, attirandosi addosso due
sguardi completamente differenti.
Il primo, se possibile, ancora più infuriato. E il secondo sorpreso e felice,
accompagnato da un sorriso largo e sincero, di quelli che piacevano a lei. «Davvero?»
«L’ho capito quando mi hai riportata a casa quel giorno, dopo il funerale.
Quando siamo rimasti in macchina a parlare fino a quando ha smesso di piovere»
Puck la prese per mano, sotto lo sguardo attonito dell’altro ragazzo. «Io
l’avevo capito prima»
«Ma che carini» urlò Finn sempre più arrabbiato.
Oltre al danno, anche la beffa. Non solo era stato tradito per l’ennesima volta
dalle stesse persone, ma adesso doveva anche sorbirsi la loro smielata
dichiarazione d’amore eterno. «Avete finito?»
«Scusa amico, colpa mia»
«Non chiamarmi amico. Mi avevi giurato che non lo avresti più fatto» Finn si avvicinava sempre di più a passo spedito, «che non
te la saresti fatta più con la mia ragazza. E mentre mi dicevi di portarla a
cena, sotto sotto mi prendevi per il culo! La volevi tutta per te!»
«Ma no, non è così. Diglielo anche tu» Rachel tirò un
pugnetto al braccio di Noah che non aveva nessuna
intenzione di darla vinta al suo amico. Si, l’aveva preso in giro, e allora?
L’aveva spinto a chiedere un appuntamento a Rachel,
perché sapeva che lei lo avrebbe rifiutato.
Ci era rimasto un po’ male quando invece aveva accettato di uscire. Ma quando
l’aveva mollato da solo in mezzo alla strada, si era chiuso nel bagno della
loro camera e aveva urlato di gioia, facendo credere a Sam e gli altri di
essere finalmente arrivato al mondo otto di Mario.
«E invece è così. Mi hai rotto con tutte quelle storie su Quinn e Rachel. Non sono tue, fattene una ragione.» Aveva alzato la
voce, tenendo un braccio davanti a Rachel, con il proposito
di proteggerla. Come se poi ce ne sarebbe stato bisogno. Sapevano tutti che Finn non era il tipo che picchiava le ragazze, ma Noah a volte non si fidava di se stesso, figurarsi di
qualcun altro.
E infatti, tanto veloce che neppure lo vide, il pugno del più alto andò a
scontrarsi con la sua faccia, facendolo cadere a terra. «Noah!»
Rachel si inginocchiò per controllare che non fosse
ferito e poi lanciò un’occhiataccia a Finn che aveva
preso a fissare meravigliato il pugno ancora chiuso. «Ma sei impazzito? Potevi
ammazzarlo»
«Nessuno ammazza Noah Puckerman»
lui si alzò e con una mano si pulì il labbro coperto di sangue.
«Tranne quell’imbecille di Finn Hudson» aggiunse
grave Rachel.
«Imbecille?»
«Si, imbecille, Finn. Quando ti sei rimesso con Quinn
mi hai forse vista prenderla a pugni?»
«E adesso sarebbe colpa mia?»
Rachel strinse le labbra, incerta se far uscire tutte
le parole che si era tenuta dentro per troppo tempo.
Lo avrebbe ferito ma era giusto così. Finn, sebbene
non lo sapesse ancora, aveva bisogno di sentirselo dire.
Era un bravo ragazzo, ma aveva ancora tanto da imparare.
«Per due anni mi hai trattata come un giocattolo. Mi lasciavi all’improvviso e
quando mi vedevi interessata a qualcun altro tornavi all’attacco, perché eri
sicuro che sarei tornata da te senza problemi. E avevi ragione, perché non
volevo altro che ti accorgessi di me. Ma adesso io sto insieme a Noah e tu devi crescere»
Durante tutto il discorso, Puck non aveva mai lasciato la sua mano e si chinò
per dirle all’orecchio: «Finalmente l’hai capito»
«Ma io ti amo, questo non conta?» domandò l’altro, fissando lo sguardo dietro i
due perché proprio non riusciva a vederli insieme.
«Adesso un pugno te lo tiro io però» Noah si mosse in
avanti, ma un’occhiata della sua ragazza lo fermò e sbuffò alzando gli occhi
verso il soffitto, «E va bene, non te lo tiro. Ma sei fortunato che c’è lei»
«Finn, noi tre eravamo amici prima di tutto questo.
Non possiamo esserlo ancora?»
«In questo momento mi fate solo schifo» rispose lui sprezzante, uscendo dalla
stanza quasi correndo non riuscendo a sentire il “tanto piacere” urlato da Puck
che riprese la sua piccola tra le braccia.
Esattamente ad un anno esatto da quella litigata, tutti i senior del McKinley
erano seduti in file ordinate sull’erba verde del campo da football
appositamente sistemato per l’occasione. Rachel e Noah, seduti a quattro sedie di distanza, si scambiarono
un’occhiata felice mentre il preside Figgins elencava
i primi nomi della lunga serie di neo diplomati.
Quattro file più avanti, Finn Hudson batteva nervoso
un piede sull’erba e fu fermano da un gesto stizzito del fratello che moriva
dalla voglia di mangiarsi le unghie, anche se non lo aveva mai fatto. O forse
proprio per quello.
Nel corso dell’anno appena passato, il ragazzo aveva avuto modo di chiarire con
i due amici e aveva cercato rifugio in Quinn che, però, lo aveva gentilmente
rifiutato a causa di un altro ragazzo che era al centro dei suoi pensieri.
Così Finn, ancora una volta, era rimasto solo con le
sue aspettative sul College e la prossima partenza per l’Arizona.
Finita la lunga lista di nomi, il preside Figgins
lasciò liberi i ragazzi che, una volta lanciato in aria i tocchi blu, poterono
avvicinarsi agli amici e ai parenti.
«Ce l’abbiamo fatta, non ci posso credere» fece Puck brandendo il rotolo di
pergamena come se fosse un trofeo.
«Ero sicura che ci saremmo diplomati insieme» Rachel,
che aveva indossato i tacchi più alti del solito per l’occasione, non trovò
difficile stampare un bacio euforico sulle labbra del suo ragazzo.
«La mia bambina» Hiram Berry, con le lacrime agli occhi, abbracciò la figlia
sotto lo sguardo esasperato del compagno.
«Lasciala respirare» disse infatti quello e strinse la mano al ragazzo di
fronte a sé, «Congratulazioni, Noah»
«Grazie, signore» rispose lui, un po’ in soggezione. Mai nessun adulto l’aveva
fatto sentire in quel modo e i papà di Rachel erano
sempre stati gentili con lui, ma Leroy Berry gli metteva uno strano timore a
dosso. Forse perché era il padre della sua piccola o forse perché era più
massiccio di lui.
«Siamo stati bravi lì sopra, vero?»
«Rach, abbiamo fatto solo tre scalini»
«Ci vuole bravura anche per quello, non lo sai?»
«Favolosi entrambi» disse Hiram e fece segno alla madre di Puck, «Oh Rebecca,
ci stavamo giusto congratulando col tuo ragazzone»
«Mamma, stai piangendo?» fece Noah stranito. Non
vedeva spesso sua madre cedere alla commozione o alla disperazione,
soprattutto in pubblico. Era una donna così riservata che non sembrava nemmeno
sua madre a volte.
«È che mi sembra un sogno, ti avevo quasi dato per spacciato»
«Mamma!» esclamò strozzato lui, facendo ridere tutto il gruppetto.
Un’ora dopo, in uno dei ristoranti più raffinati della città, Leroy alzò il
bicchiere e si schiarì la voce.
«Un brindisi a questo capitolo appena concluso»
«E al futuro che comincia adesso» continuò Hiram.
«Rachel» la chiamò Rebecca una volta arrivati alla
seconda portata, «sei pronta per New York?»
«Si, anche se sarà difficile separarsi da tutti voi e dal mio Noah» un broncio comparì sulle labbra della ragazza che in
quei giorni aveva fatto tutto il possibile per non pensare alla partenza.
«Ma vi rivedrete per le vacanze di Natale e in estate e..» fece Leroy,
stringendo una mano della figlia.
«E per tutto il resto dell’anno»
«Come? Cosa?» fecero le due donne colte di sorpresa.
«Pensavi davvero che ti avrei lasciata a New York da sola, con tutti quei co..
cretini» si corresse subito, a causa della presenza dei Berry.. e di sua madre,
«pronti a mettere le mani sulla mia sexy principessa ebreo-americana?»
Rachel si portò una mano al volto, felice come mai
prima di allora. «Vieni con me?»
«E Noah, come farai col college?» s’intromise
Rebecca, preoccupata.
«Quest’inverno ho fatto domanda per una borsa di studio alla New York University e, strano ma vero, l’hanno accettata. Sempre
meglio dell’università del Maine»
«E poi quasi tutti i vostri amici staranno lì, quindi starete ancora insieme
come al liceo» proseguì Leroy, mentre Rachel gettava
le braccia al collo di Noah.
«Ti amo» esclamò al suo orecchio che lui, ne era certo, avrebbe avuto ancora
poca vita.
«Io di più e non provare a ribattere come al solito o ti faccio partire da
sola»
Rachel spalancò gli occhietti furbi e alzò le mani in
segno di resa, «Tutto quello che vuoi.»
Author notes
Eh si lo so, è un po’ pomposo come nome, va volevo provarlo almeno una
volta.
“Author notes” fa così.. stronza saputella! Ma lasciamo perdere.
Ciao a tutti, sono tornata con questa One Shot assolutamente senza pretese, che farà parte di una
raccolta incentrata sulla vita newyorkese nei nostri ragazzi.
Non parleremo solo dei Puckleberry (anche se loro
sono i protagonisti di una bella parte delle shots),
ma ci saranno anche altre coppie.
Questa prima parte è stata un pochino triste, ma solo perché dovevo dare uno
stacco ai Finchel e spiegare qualcosa su Rachel e Noah.
Dalla prossimo sarà tutto più.. divertente? Bah, diciamo che può starci.
Come al solito i personaggi non sono miei, ma dei RIB e della Fox.
Ma se mi volessero regalare Puckzilla, non lo
rifiuterei di certo. GIAMMA!
E mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate e se vale la pena continuare.
Allora a presto, Alessia.