Era una grigia mattinata, e il cielo plumbeo di Londra era coperto di rade nuvole, gonfie di pioggia

che ancora esitava a cadere, rimanendo sospesa come un'oscura predizione su una delle tante vie

trafficate.
 

C'era chi camminava da una parte e dall'altra, trascinando carretti, pesanti sacchi, o semplicemente

correndo da una parte all'altra della strada, scrutando con diffidenza il cielo, avvertendo la pesante

umidità nell'aria. Tutti avevano fretta, nessuno si fermava a parlare, e la gente sembrava avere tutta

chissà quale urgenza, chissà quali preoccupazioni.

L'unica figura che camminava lentamente, apparentemente rilassata, era quella di un uomo dalla

lunga barba di un colore rossiccio, vestito in modo eccentrico, con una lunga veste color prugna.

Si guardava intorno tranquillo, superando un carro di latte trainato da dei cavalli, infilandosi in una

strada che portava ad un cortile spoglio, recitanto da alte ringhiere: superò un cancello sgangherato,

attraversando il triste prato formato da ciuffi spellacchiati d'erba giallognola, salì alcuni gradini e

bussò ad un portone di legno.
 

Andò ad aprire una ragazza vestita malamente, con un grembiule smesso e gli occhi gonfi e rossi,

che lo guardò con sospetto.

«Buon pomeriggio» salutò cordialmente Albus Silente «ho un appuntamento con una certa signora

Cole, che credo sia la direttrice...»

L'altra tirò su col naso, continuando ad osservarlo sospettosa, poi cominciò, esitante: «Un

appuntamento? Non credo sia il caso, visto quello...» ci ripensò, poi scrollò le spalle «oh, insomma,

se la veda lei. Signora Cole!» gridò, rivolta verso l'interno.

Qualcuno urlò qualcosa d'incomprensibile, e la ragazza fece cenno a Silente di entrare.

Attraversarono le stanze immacolate, dai pavimenti bianchi, e quest'ultimo fu sorpreso dal vedere la

gente che correva da una parte all'altra, parlando ad alta voce, preoccupata, entrando e uscendo dalle

numerose stanzette.

«E' successo qualcosa?» domandò Silente, aggrottando appena le sopracciglia, osservando

attentamente lo scompiglio tutt'attorno.

La ragazza accanto a lui scrollò per la seconda volta le spalle. «Sì, ma... beh, le spiegherà tutto la

signora Cole. Vada dentro, lei arriverà subito» fece secca, spingendolo dentro una stanzetta che

assomigliava vagamente ad un ufficio.

Pochi secondi dopo entrò nella stanza una donna, dai capelli scuri scompigliati, legati in modo

approssimato, il volto contratto dall'ansia; nel vedere Silente, spalancò la bocca, sorpresa, poi si

ricompose, scuotendo la testa, come decisa ad ignorare ogni assurdità di quell'incontro.

«Lei è...?» domandò, ancora leggermente scombussolata.

«Sono Albus Silente. Le ho mandato una lettera per chiederle un appuntamento e lei è stata così

gentile da invitarmi qui oggi» rispose lui, calmo.

«Oh, già... lei aveva chiesto di Tom Riddle, vero?» la donna si sedette su una sedia, massaggiandosi

la testa con le dita: sembrava esausta.

Silente non disse nulla, attendendo che fosse l'altra a prendere l'iniziativa. Dopo qualche istante di

pausa, la signora Cole ricominciò a parlare: «Il punto è, signor.... Sipiente, che non possiamo farle

incontrare Tom, oggi»

Lui si limitò ad alzare le sopracciglia con aria interrogativa, e la donna tossicchiò , in evidente

imbarazzo.
 

«Vede, noi... è successa una cosa inaudita, ma successa prima qui da noi... vede, Tom... non è più

qui» esitava continuamente sulle parole.

«Cosa intende dire?» per la prima volta, Silente sembrava leggermente preoccupato.

La signora Cole sospirò. Quando parlò, la voce le tremava: «Tom è scappato»