Dicembre 2011. Draco Malfoy, Harry Potter, una strada deserta, una notte fredda, troppi dubbi...e una nevicata.
Per il "Three days of slash".
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Harry
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Vabbè,
'sta cosa non ha senso... Scritta per il “Three days of Slash
14/10
– 16/10, su prompt “neve”, è
vagamente connessa a una long che
sto scrivendo e che è ancora inedita, ma non dovrebbe essere
incomprensibile nel senso che ho cercato di slegarla il più
possibile dall'ambientazione.
È solo una cosetta, ma buona lettura.
Ho anche avuto un premio bellissimo! Eccolo qua.
Diagon
Alley, inverno
"Che
ore sono?”
"...Ha
qualche importanza?”
No,
non l'aveva. Era notte inoltrata e Diagon Alley era deserta. A parte
un paio di passanti frettolosi e un altro mago vistosamente
traballante, forse per via dell'alcol, non era passato nessuno da
interi minuti. A star seduto lì chiappe a terra, in quel
gelo
invernale, Harry si sentiva un po' imbecille. Gli si stava congelando
il naso, le punte delle sue dita avevano ormai perso la
sensibilità
nonostante i guanti e si sentiva la testa gonfia di un raffreddore
imminente.
"Tua
moglie ti farà secco,” gli fece notare Draco,
scacciando qualche
filo di capelli dalla fronte. In fondo alla sua voce scivolava una
nota di soddisfazione pigra, automatica. Harry ne sorrise senza
astio.
"Le
dirò che non mi hai voluto dire l'ora,” rispose
sornione. Si voltò
verso di lui e alzò la testa per guardarlo in faccia,
perché Draco
era rimasto in piedi sul marciapiede con le mani affondate nel
mantello. “E la tua?” aggiunse sottovoce.
“Cosa dirà?”
Draco
si strinse nelle spalle con la massima indifferenza. Aveva gli occhi,
ancor più limpidi con quel freddo, fissi in un punto
apparentemente
casuale del muro di fronte a loro e un po' accigliati. Tirò
leggermente su di naso, il che fece supporre ad Harry di non essere
l'unico che stava assiderando, e fregò un piede a terra.
“Mi
ha chiesto il divorzio.”
Harry
piegò un po' la testa stringendosi le labbra, con uno sbuffo
impercettibile.
“Di
nuovo...” mormorò.
“Gliel'ho
di nuovo negato,” concluse Draco asciutto.
Harry
emise un sospiro, dondolando il busto per qualche secondo. Si
succhiò
le labbra prima di parlare perché aveva imparato con gli
anni che
spesso tendeva ad agire e parlare troppo impulsivamente, e questa era
una cosa che non andava bene in generale e soprattutto non con Draco
Malfoy, specialmente se lavoravi insieme a lui e ci passavi le
giornate e avevi con lui quel tipo di rapporto che gli esperti
chiamerebbero legame simbiotico e il resto del mondo attaccamento
morboso. Nonostante questo, come al solito, l'impulso fu più
forte.
“Forse
dovresti...” iniziò incerto.
“No,”
lo interruppe Draco lapidario. “...Scorpius.”
Harry
annuì soltanto. Scorpius, James e Albus, le tre variabili
delle loro
esistenze. Se non fosse stato per i bambini non si sarebbero trovati
lì per strada, a dicembre, di notte. Forse sarebbero stati
nel
salotto di un alloggio fatto di stanze verdi e stanze rosse,
più o
meno metaforiche. O forse si sarebbero già scannati.
“Sì.
Però lei...” provò ancora. Era brutto,
pensava. Si ricordava di
quando aveva conosciuto Astoria Malfoy, quella donna elegante che
aveva ritenuto veramente attraente, si ricordava com'era stata
felice, lei, che Draco lavorasse con Harry Potter, che fosse
così
catturato dal loro incarico, dalla loro indagine, era così
sicura
che Potter fosse una chiave per far tornare suo marito felice come
quand'era un piccolo principe viziato. Non si era sbagliata molto,
alla fine, anche se sicuramente non aveva immaginato che Harry Potter
glielo avrebbe anche sottratto, quel marito che lei amava tanto.
“Senti,
Harry, perché non lasci perdere?” lo
zittì nuovamente Draco,
brusco. “E' inutile che stiamo qui a discuterne, a te non
succederà
mai. La Weasley femmina non capirà mai nulla. Quando mai ha
capito
qualcosa, comunque,” osservò sarcastico,
affondando il viso nel
bavero.
“La
We...” iniziò Harry per quella che doveva essere
la milionesima
volta.
Era
una consuetudine ben radicata quella di darsi ai nervi a vicenda,
punzecchiarsi e insultarsi più o meno velatamente. Una
vecchia
abitudine scolastica che si era ripresentata quando si erano trovati
per caso a dover collaborare per il Ministero, ma da cui era sparito
l'astio ed era subentrato il divertimento. Allora, da adulti, darsi
noia era diventato un modo per comunicare, poi per manifestare
affetto, poi era semplicemente rimasto lì. Erano
così.
“Sì,
sì.” Draco anticipò la solita
osservazione. “E' tua moglie, si
chiama Potter. Ma per me resta la Weasley femmina. Resterà
sempre la
Weasley femmina.” Sorrise ironico. “La sorellina
piaga di Re
Weasel.”
Harry
ridacchiò suo malgrado.
“Sei
tremendo.”
Draco
si piegò sulle ginocchia, rimanendo accoccolato a mezza
altezza. I
lembi del suo preziosissimo mantello toccavano terra, ma lui per una
volta sembrava non badarci. Incrociò le mani sulle ginocchia
e
sbuffò.
“Non
se ne accorgerà mai e andrà avanti
così per anni, finché uno dei
bambini non noterà qualcosa di strano, lo
rivelerà alla madre e
farà saltare ogni cosa per aria. Saranno tutti infelici. Noi
compresi,” continuò seriamente, senza sembrare
preoccupato ma
assorto, pensoso.
“Così
lo fai sembrare un dramma,” provò a scherzare
Harry, per niente
convincente. “Sai, stai diventando disfattista. Non che tu
sia mai
stato un brillante esempio di...”
“Harry...”
“No,
dai, seriamente,” continuò lui, che si sentiva
stranamente
nervoso, in ansia. Forse era la notte così fredda o magari
qualcos'altro, qualcosa nelle mani di Draco che si intrecciavano
troppo strettamente. “Ad ogni indagine secondo te non ce la
faremo
perché io farò qualcosa di idiota. Lo dici tutte
le volte. Sono
cinque ann...”
“Potter...”
“E
non chiamarmi Potter se non è indispensabile. Mi
dà fastidio e lo
sai.”
Draco
diede un sbuffo stizzito, stirando le labbra.
“Se
tu fossi tanto così meno idiota,”
sbottò, alzandosi di scatto,
“avresti capito dove sto cercando di arrivare.”
Harry
si sentì crollare le spalle e la sua faccia
scivolò verso il basso,
tutta quanta, bocca, zigomi, occhi.
“Ti
dovrei licenziare e dovremmo finirla. Ecco,”
mormorò, perché
temporeggiare di fronte alle avversità continuava a non
essere uno
dei suoi punti deboli. Non lo faceva mai.
“...
Se Astoria continua a chiedermelo prima o poi dovrò
divorziare. E se
la Weasley è troppo lenta, i tuoi bambini capiranno.
È solo
questione di tempo. E dopo?”
Harry
non trovò niente da rispondere a quelle parole fredde e
distaccate.
Osservò in silenzio il cielo notturno, le poche fievoli
stelle che
si potevano scorgere in città, i tetti bui dei palazzi.
“E
dopo niente,” sussurrò alla fine, atono.
“Per
la barba di Merlino, Harry, che sfrenata fantasia,”
osservò Draco
laconico, strappandogli una risata breve e dolorosa.
“E'
sempre stata estremamente sbrigliata,” commentò
lui, cercando di
suonare scherzoso. Forse potevano glissare sul discorso ancora per un
po'. Harry si stava abituando a farlo giorno per giorno, a non dare
più per scontata nessuna settimana, a non progettare alcuna
minima
cosa che prevedesse la compresenza di lui e Draco dopo le
ventiquattr'ore a venire.
“Certo.
Come quando eri convinto che fossi l'erede di Slytherin. O la volta
che secondo te il killer era l'ex marito della bionda.”
“Poteva
esserlo!” protestò Harry sdegnato. “E
quella volta che pensavo
stessi complottando contro Hogwarts allora? Ha!” aggiunse
trionfale.
Draco
lo guardò con un sopracciglio sollevato, senza rispondere.
Harry
emise un sospiro e lui scosse il capo.
“Non
lo farai, vero?”
“Mandarti
via dall'Ufficio Auror? Perché dovrei?” rispose
Harry deciso.
“Draco, abbiamo risolto casi impensabili, io e te. Sarebbe
una
decisione professionalmente atroce.”
“Come
se non ne avessi mai prese,” borbottò Draco
ironico.
“Sono
un ottimo capo,” replicò Harry, sostenuto.
“Ti
prego. Hai montato una sezione composta da me e la Granger. Sai che
potevamo uccidervi tutti in un litigio. Avremmo potuto.
Potremmo,”
gli fece notare Draco con condiscendenza.
Harry
rise piano.
“Voi
non lavorate mai insieme.”
“Le
nostre scrivanie sono nella stessa stanza.”
“E
non ci state mai,” concluse Harry spiccio.
Draco
scosse la testa come se si fosse improvvisamente annoiato.
“Lo
faccio da solo. Potter, senti, mi licenzio. Da domani stesso.”
Harry
rimase in silenzio per qualche secondo, guardando il suo
interlocutore. Il mantello scuro, i capelli un po' lunghi e
leggermente arruffati – per quanto potessero esserlo i
capelli di
Draco, cioè per niente rispetto ai suoi – il naso
rosso per il
freddo e le guance bianchissime, gli occhi grigi piantati in mezzo
alla strada, fermi, inespressivi. Lo osservò per bene e
qualche cosa
nei suoi polmoni svuotati d'aria gli disse che doveva imprimersi in
mente quell'immagine, perché forse era arrivato l'ultimo
giorno in
coda a una serie lunghissima di possibili ultimi giorni. Si
domandò
cos'avrebbe fatto in ufficio senza Draco che andava e veniva, senza i
suoi borbotti petulanti e le sue solenni prese per il culo. Sarebbe
tornato a pranzare sempre da solo alla scrivania anziché
scendere in
mensa con lui, come era solito fare prima e faceva ancora quando
lavorava con Ron. Si domandò come sarebbe riuscito a tornare
ogni
sera a casa dalla sua famiglia senza doversi più inventare
scuse
lavorative improbabili per rimanere con l'amante, privo di
quell'unico sfogo d'aria, e anziché sentirsi sollevato per
non dover
più mentire a quella donna che nonostante tutto amava
ancora, si
sentì già infinitamente solo.
Cercò
una frase qualunque da replicare, una risposta qualsiasi, anche
inopportuna come sempre.
“Non
posso accettare,” disse pratico. “Devi mandarmi una
lettera in
dupli...”
“Te
la mando domani mattina.”
Draco
lo guardava, adesso. A vedergli dritto nelle iridi sembrava avere gli
occhi meno distanti di quel che gli era parso un attimo prima. Era
come qualcuno che stesse aspettando e Harry pensò che forse
aspettava che lui fosse Harry Potter e sistemasse magicamente ogni
cosa, che poi era quello che si aspettava sempre il paese intero, ma
non Draco. Di solito Draco era quello che lo trattava da incapace e
considerava le sue formidabili soluzioni improvvisate degli sfacciati
colpi di culo. Era rassicurante, mentre invece ora che lo guardava
così, che sembrava chiedere a lui di trovare un'altra
soluzione, a
Harry sembrò di essere di nuovo quel ragazzino messo di
fronte a
nemici troppo superiori a lui, che non sapeva come comportarsi.
Annuì
lentamente, abbassando lo sguardo verso terra.
Fissò
il suolo senza più muoversi, senza parlare. Era stanco.
Aveva
trentun anni, due figli, un passato da eroe, un presente da idolo e
un futuro da leader, una moglie che amava e un uomo che era tutto il
mondo. E si sentiva vuoto e solo se pensava di perderlo.
Draco
si mosse con un mezzo sospiro ma Harry continuò a guardare
fisso per
terra, nel canaletto di scolo del marciapiedi. Fu così che
lo vide:
prima uno soltanto, piccolo, bianchissimo, che volteggiava nell'aria
e poi svaniva toccando il suolo. Poi un altro, ugualmente solo e
ondeggiante, poi un terzo più grosso e soffice, un quarto, e
dopo
qualche secondo i fiocchi di neve diventarono tanti. Se li
sentì
cadere in testa con dolcezza soffice e rise piano, spostando lo
sguardo verso il cielo.
“Nevica,”
disse, ma anche Draco aveva già alzato la testa verso le
nuvole
grigie, con le braccia semiaperte sotto il mantello. Si alzò
in piedi
anche lui, allora, e gli si avvicinò tendendo una mano col
palmo a
coppa per raccogliere la neve.
“La
tua capacità di osservazione mi sbalordisce
sempre,” mormorò
Draco in risposta, ma adesso quasi sorrideva. Era bellissima, quella
Diagon Alley senza un'anima su cui cadeva una neve fitta e spessa,
che vorticava in aria dipingendo trame incomprensibili. Harry rise
senza nessun motivo particolare e appoggiò d'istinto la mano
sull'avambraccio dello Slytherin. Draco non si ritrasse ma anzi,
inclinò leggermente il busto verso di lui. E rimasero
silenziosi a
guardarsi intorno. Tanto silenziosi che, dopo un paio di minuti,
Harry ebbe quasi paura a parlare.
“Ormai
è notte fonda,” mormorò incerto.
“E se dormiamo in ufficio...?”
Vecchia
scusa, quella dell'ufficio e del troppo lavoro. Funzionava con Ginny;
non con Astoria, ma Draco non sembrò curarsene,
perché annuì un
po' più serio.
“Tanto
ormai il danno è fatto,” mormorò.
Camminarono
fianco a fianco verso il Paiolo, restii a Smaterializzarsi. Quando
Harry raccolse da terra un pugnetto di neve fresca e lo
schiacciò
per farne una piccola palla, Draco era già pronto a
schivarla e
lanciargliene un'altra. Per qualche secondo nella strada deserta
risuonarono nitide le loro risate e il sordo tramestio di qualche
spintone, poi uno scivolone accompagnato da un gemito. Quando Harry
sbatté contro il muro Draco ridacchiava di gusto e si
appoggiò di
fianco a lui sostenendosi contro la sua spalla.
“Ti
ricordi le nevicate a Hogwarts?” mormorò assorto,
con un sorriso
lontano.
“Io
sì. Tu ti rintanavi sottoterra,” rispose Harry,
ora più sereno.
“Sì,
beh, si chiama sotterraneo,” lo riprese Draco.
“Fa
lo stesso,” concluse Harry, ficcandogli la neve nel colletto
a
tradimento. Draco emise una protesta soffocata e lo spintonò
verso
il centro strada, ma ridevano tutti e due. Poi si appoggiarono di
nuovo l'uno all'altro, respirando un po' più in fetta per la
baruffa, e quando Harry guardò l'altro negli occhi gli
sembrò che
tutto andasse molto meglio e che la neve avesse pulito via un po' di
quella sensazione appiccicosa di trappola che si sentivano sempre
addosso. Era come se il bianco cancellasse il grigio della vita
quotidiana.
“Andiamo?”
mormorò.
Draco
annuì e pochi attimi dopo, quando dopo essersi
smaterializzati nel
vicolo infilarono l'ascensore che li avrebbe portati giù
nell'Ufficio Auror, la prima cosa che fece fu spingerlo contro la
parete e baciarlo, lentamente, tenendogli il volto stretto tra le
mani. Harry si afferrò ai suoi fianchi, aggrappato al
mantello, e lo
tirò verso di sé. Quando la porta si
riaprì e ne vennero fuori
ridacchiando, nell'ufficio buio e silenzioso, sapevano entrambi che
non ci sarebbero state lettere, né dimissioni, né
distanze. Erano
troppo simili ad un unico strano insieme e non c'era più
modo di
tornare indietro.
Nello
studio di Harry, mentre si svestivano, non emisero verbo. Fuori
nevicava, era quasi Natale e in due case distanti qualcuno li stava
aspettando, ma lì dov'erano era caldo e asciutto e non c'era
bisogno
di altro.