Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: riverian    14/10/2011    2 recensioni
Ciel-centric: collocata nell'ipotetico momento della morte del protagonista ("ipotetico" poiché mi sono ispirata al finale della prima serie animata di Kuroshitsuji), nei pochi istanti di coscienza che precedono oblio.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ciel Phantomhive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buio.
È questo ciò che mi aspettavo?
Non saprei, non ho mai meditato più di tanto su ciò che ci sarebbe dovuto essere dopo. Perseguivo il mio unico obbiettivo, ossia la vendetta.

Spesso e volentieri, nei tre anni che seguirono la morte dei miei genitori, mi ritrovai a fronteggiare situazioni nelle quali persino un adulto si sarebbe arreso: io, un ragazzino di dodici anni di buona famiglia; io, Ciel Phantomhive.
Adulti - che esseri monotoni.
“Scappa ragazzino!”...”Sei solo un bambino, cosa vorresti fare?” - mi ripetevano.
Persone che aldilà del colore dei miei occhi, dell’unico occhio che potevo utilizzare e che il mondo era autorizzato a vedere, credevano di scorgere l’innocente anima di un orfano che si era ritrovato a dover sopportare un peso infinitamente greve per le sue esili e giovani spalle.
Ebbene, le stesse persone - quegli adulti, quegli stolti - non sapevano, non potevano nemmeno lontanamente immaginare a quali atroci dolori il mio corpo e la mia anima siano stati sottoposti. Io ero un bambino; ora sono un’anima perduta, il mio corpo è un involucro impuro.
Lo dimostra il patto che stipulai con un demone, Sebastian - questo fu il nome che scelsi per lui, il mio maggiordomo degli Inferi - quando il mio corpo non era altro che materia ormai esanime: decisi di concedergli la mia anima, in cambio del suo aiuto costante, per poter perseguire il mio scopo ed arrivare in fondo.
Decisi di vendere la mia anima al diavolo per poter vendicare la morte dei miei genitori, per poter eliminare uno ad uno tutti coloro che avevano complottato per la distruzione del casato Phantomhive e riportare prestigio al nostro nome infangato.
Feci questo patto con nient’altro se non la morte e la sete di vendetta nel cuore, avevo rinunciato al provare sentimenti, all’umanità: avevo le mie speranze, i miei sogni ed il mio cuore in una prigione di marmo, forte ed impenetrabile; una tomba bianca per giorni di spensieratezza e candore ormai perduti.

Nei miei occhi non v’era più nulla di puro, quel blu intenso di cui hanno tanto decantato le lodi era ormai deturpato da ciò che avevo subito - oltre che dal marchio di Sebastian nell’occhio destro. Quelli non erano più gli occhi di mia madre, gli occhi che mio padre aveva adorato.
La mia innocenza era venuta a scontrarsi con la violenza, la morte, le ardenti fiamme di un inferno, di quell’inferno che mi dilaniarono membra e spirito senza alcuna pietà.
Attraverso questi occhi ho rivisto il mondo dopo il mio trapasso, quello stesso mondo dal quale mi avevano prepotentemente sradicato. Tutto era identico a come l’avevo lasciato: nessuna variazione, nessuno sconvolgimento.

Perché mi pareva tutto così terribilmente sbagliato e fuori posto, allora? Perché pensavo che il terreno si potesse improvvisamente frantumare sotto i miei piedi, con il solo scopo di inglobarmi e di trascinarmi giù, tra le fiamme ardenti, in un inferno di cui ormai ero parte.
Volevo piangere, volevo crollare, volevo urlare il mio dolore, fare in modo che gli altri condividessero una minima parte della mia sofferenza come solo ad un bambino era concesso fare, ma i miei occhi erano asciutti e freddi come il ghiaccio, aridi. Dentro ero fragile come fil di vetro, ma mi proteggevo con illusioni ed ambizioni non mie, così da poter proiettare la giusta intensità di luce sul mio volto, creando un gioco d’ombre che mi faceva apparire potente, come se portassi una corazza pesante e massiccia.

Ero mera illusione.

Il tempo passava inesorabile, lento, placido, senza fretta: più esso scorreva, più il mio prestigio aumentava.
Nonostante tutto, malgrado tutto, il tempo mi aiutò a percepire, sempre più con nettezza e lucidità la presenza di Sebastian al mio fianco.
Inizialmente la sua ombra che gravava costantemente sulle mie spalle ebbe l’effetto di un macigno di cui mi servivo soltanto per ricordare che io non avrei avuto un futuro, che non avrei mai potuto concedermi il lusso di vivere per capire e che quindi non avrei dovuto perder l’occasione di sfruttare la mia seconda possibilità. Era la tattica giusta - considerarlo davvero come il demone che in realtà era, non farsi prendere da inutili sentimentalismi e continuare a proseguire a dispetto di tutto e tutti, per arrivare in cima.
Indipendentemente dalla mia freddezza, dalla mia ineccepibile logica e coerenza, riuscivo a percepire che con il passare dei giorni il mio cuore tornava alla vita, tornava a far male; a poco a poco tornai a comprendere la logica dei sentimenti, delle emozioni che un tempo mi erano appartenute. Mi resi conto di provare...affetto. Affetto nei confronti di Elizabeth, Finian, Meirin, Bard, il signor Tanaka...e anche nei confronti di Sebastian.
“Chi mai potrebbe essere tanto sciocco e sprovveduto al punto di provar affetto per il proprio boia? No, io non sento nulla.”
Questo era quello che mi ostinavo a pensare.
Indipendentemente da ciò, il tempo passava davanti ai miei occhi blu, l’osservavo scorrere come la fine sabbia di una clessidra e ad ogni granello il mio subconscio si convinceva sempre più che la vita sarebbe potuta continuare, nonostante tutto.
Io ero vivo!

Purtroppo me ne resi conto tardi: quel proiettile mi aveva ormai trapassato da parte a parte.
Sebastian non era arrivato in tempo, maledizione. Però la mia missione non era ancora compiuta, non potevo morire lì, su quel gelido pavimento. Non io, Ciel Phantomhive!
Poi riuscii a percepire tutto in modo sfocato, il dolore mi offuscava la mente e la mia lucidità si perdeva con le gocce di sangue che continuavano a macchiare la mia camicia in un flusso lento e viscoso. Percepii nettamente Sebastian che mi portò sul luogo dell’ultima battaglia, sentii le loro parole, vidi il viscido volto del mio nemico sfigurato dal dolore. Vidi il suo sangue e in cuor mio seppi che era morto.
La mia missione era giunta al termine, in quel momento sentii qualcosa di simile alla serenità.
Poi fu acqua gelida.

Ora comprendo. Ora che sono morto, ho capito.
Me ne vado in pace: il buio mi avvolge, caldo e nero, in attesa che il mio boia venga a rivendicare ciò che è suo.
Non avrò più un’anima, ergo non proverò mai più dolore; sarò nulla nell’etere: è decisamente più di quanto potessi sperare.

“Signorino.

...Bene, allora Signorino, è ora di svegliarsi.”

  
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