Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: Occhi blu    16/10/2011    4 recensioni
Ma mentre andavamo, ebbi una strana sensazione. Mi rigirai verso Jessica ma non la vedevo. Non era più in acqua. Allora pensai che fosse ritornata all’ombrellone, così, corsi lì. “Dov’è Jessica?” chiesi preoccupata a mia madre. “Non lo so. Penso che sia ancora in acqua.” Ero spaventata. Avevo paura che le fosse successo qualcosa di brutto. Entrai velocemente in acqua. Era fredda, ma non m’importava, volevo mia sorella...
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
ONDE AGITATE
Il cielo era celeste, con qualche nuvola bianca sparpagliata in quell’immensità che circonda il mondo. Mi alzai e vidi mia sorella seduta sugli ultimi scogli che davano sul mare. Il vento non era forte, ma lo era abbastanza da far muovere il mare creando delle onde agitate che poi si scontravano sugli scogli bagnando Jessica, ma era come se mia sorella non si accorgesse di nulla. A lei piacevano le onde del mare, soprattutto quando erano agitate come quella volta: quando creavano la schiuma e arrivando in riva lasciavano una scia bagnata e tutto quello che si erano portate durante il loro tragitto. Il vento le spettinava i suoi bei capelli biondi, lisci e lunghi. Le piaceva tenerli sciolti. E quel giorno li aveva così e il vento le faceva muovere i ciuffi laterali portandoglieli dietro alle spalle.
 Jessica si alzò, si girò verso di me e mi chiese: “Allora, entriamo in acqua?” Esitai. Non volevo entrare in acqua, ma non volevo nemmeno dirle di no. Lei capì il mio sguardo. “Vabbè, non fa niente. Chiederò a qualcun altro. Sicuramente qualcuno mi dirà di sì.” Ma non fu come si aspettava. Tutta la famiglia le rispose che le onde erano troppo alte e nessuno voleva fare il bagno. Allora mi richiese se volevo entrare ed io le risposi come tutti: “No, scusa non voglio. Entra da sola.” E Jessica entrò in acqua da sola.  La vidi entrare e, una volta arrivata nell’acqua alta, Jessica si tuffò. Sfidava le onde del mare con una leggera maestria. Poi io mi sdraiai sul lettino. Passò un po’ di tempo. All’improvviso sentii una voce dietro di me. “Ehi, ciao!” Mi girai e vidi un ragazzo e dietro di lui due ragazzi e due ragazze. “Stiamo giocando a pallavolo, ma siamo dispari e quindi ci servirebbe un altro giocatore. Vuoi venire?” Mi voltai a guardare Jessica, poi mi rigirai verso di loro e risposi: “Si certo, ma vi avviso che non so battere.” “Non importa” rispose lui “te lo insegno io.” E ci avviammo al campo di pallavolo. Ma mentre andavamo, ebbi una strana sensazione. Mi rigirai verso Jessica ma non la vedevo. Non era più in acqua. Allora pensai che fosse ritornata all’ombrellone, così, corsi lì. “Dov’è Jessica?” chiesi preoccupata a mia madre. “Non lo so. Penso che sia ancora in acqua.” Ero spaventata. Avevo paura che le fosse successo qualcosa di brutto. Entrai velocemente in acqua. Era fredda, ma non m’importava, volevo mia sorella. Le onde si facevano sempre più alte ed io non sapevo nemmeno nuotare bene. Arrivai fino all’acqua alta, dove Jessica si era tuffata, io lì già non toccavo. Un’onda mi travolse. Gli occhi mi bruciavano poiché non ero abituata a guardare sott’acqua senza occhialini. Ma dovevo resistere, non tanto per me quanto per mia sorella. Riuscii a tornare in superficie e iniziai a chiamarla. Ma non mi rispose. Tornai giù, iniziai a nuotare. Il mare era pieno di alghe perché era agitato, la sabbia si era alzata, non vedevo molto e gli occhi mi bruciavano sempre più. Ma vidi qualcosa muoversi…era Jessica! Era quasi sul fondo. La tirai su e una volta arrivate in superficie notai una barca da salvataggio. Alzai una mano e iniziai a urlare chiedendo aiuto. Il bagnino mi vide e ci aiutò a salire sulla sua barca. “Non respira! Non respira!” urlai io al bagnino. “Stai calma! Adesso vediamo!” mi rispose e girò la barca verso la spiaggia. Una volta arrivati in riva poggiai Jessica sulla sabbia e il bagnino iniziò a farle il massaggio cardiaco. Intanto mia madre preoccupata chiamò l’ambulanza. Jessica era pallida, aveva gli occhi chiusi ed io avevo paura di perderla. Era mia sorella, non volevo che le succedesse qualcosa. Vidi il bagnino sempre più disorientato, allora mi ricordai la lezione di scienze sulla vita e dei metodi che bisognava fare per salvare la vita a una persona. Così iniziai a farle la respirazione a bocca a bocca. Lei aprì gli occhi ed io mi rilassai. Per fortuna si stava riprendendo. Arrivarono i medici e la stesero sul lettino. Io mi sentii molto stanca e notai che le gambe non mi reggevano più. Iniziai a vedere tutto sfumato e poi niente, tutto nero. Svenni.
Mi risvegliai in ospedale, notai che accanto a me non c’era nessuno, probabilmente erano tutti da Jessica. Mi alzai per chiedere a un’infermiera di mia sorella.
“Dove pensi di andare?” era il ragazzo che in spiaggia mi aveva chiesto di giocare a pallavolo. “Come scusa?” chiesi pensando che mi stesse prendendo in giro. “I medici hanno detto che hai bisogno di molto riposo, quindi devi tornare a letto.” Non avevo alcuna intenzione di tornare indietro, volevo sapere di Jessica. Allora continuai a camminare per fatti miei facendo finta di non averlo mai incontrato. E invece mi fermò. “Non mi hai sentito? Ho detto che devi tornare a letto.” “Si ho sentito!” esclamai io, infastidita dal suo comportamento “Ma voglio prima andare a vedere come sta mia sorella!” Lui rimase prima in silenzio e poi mi rispose: “Va bene ma ti accompagno. Ènella stanza ventiquattro.” Ci incamminammo e quando arrivammo, mia sorella era a letto, con le flebo attaccate. C’era anche la mia famiglia. Quando entrai, mi guardarono tutti come se fossi un’estranea, un alieno. Non capivo la causa del loro comportamento. “Cosa ha detto il dottore? Come sta?” chiesi io. Nessuno mi rispose allora rifeci la stessa domanda alzando il tono di voce e questa volta mi rispose mio padre: “Julie, Jessica si riprenderà presto, deve solo riposare.” “Ah, bene. Sono contenta.” Uscii dalla stanza giacché mi sentivo un po’ a disagio. Il ragazzo mi guardò per un po’, poi mi sorrise e disse: “Comunque mi chiamo Nick.” “Oh sì, scusa. Io sono Julie. Perché sei venuto qui?” “Beh, sei scappata all’improvviso mentre stavi venendo a giocare, così volevo sapere cosa era successo e come stavi.” “Ah, capito.”
Il giorno dopo mentre stavo andando a trovare Jessica, sentii mio padre e mia madre che discutevano. All’inizio non capivo qual era l’argomento, ma poi sentii chiaramente: “Julie non deve saperlo.” Era mia madre, e mio padre continuò: “Èla sorella, perché non dovrebbe?” “Perché è piccola. Probabilmente non sa nemmeno cos’è la morte.” “O probabilmente lo sa.” “Ah sì? E cosa le dovremmo dire? Ehi Julie, sai che tua sorella non ce la farà e morirà? Questo le dovremmo dire?” Avevo capito bene. Jessica morirà. Non me la sentivo di continuare ad ascoltare, così scappai; mi misi a correre più che potevo e andai a sbattere contro Nick. “Tu lo sapevi! Tu lo sapevi Nick!” esclamai io con le lacrime agli occhi. “Di cosa parli Julie?” mi chiese lui incredulo. Non lo volevo nemmeno ascoltare tale era la mia rabbia e il mio dolore. Continuai a correre verso la spiaggia mentre Nick continuava a urlare il mio nome cercando invano di fermarmi. Arrivata in spiaggia, andai verso gli scogli e mi sedetti dove il giorno precedente si era seduta Jessica. Si vedeva un bel panorama: l’acqua del mare calma, cristallina, trasparente, i gabbiani che volavano alti nel cielo per annunciare che un nuovo giorno era appena incominciato; sentii il vento sopra di me e feci un respiro profondo. “Julie! Julie!” Era Nick che mi stava cercando. Io non risposi. “Oh, eccoti finalmente!” continuai a non risponderlo, anzi non gli avrei voluto parlare mai più. “Senti, voglio essere sincero con te, non meriti altre bugie inutili. Sì, lo sapevo, sapevo che il medico ha dato solo una settimana a tua sorella. L’ho sentito mentre parlava con i vostri genitori.” “Cos’altro hai sentito?” chiesi io incuriosita. Volevo sapere cosa aveva Jessica. Era mia sorella, avevo il diritto di sapere. Nick rimase in silenzio. Aveva uno sguardo molto preoccupato. Mi guardò, aveva gli occhi celesti. Non glieli avevo notati prima. “Cosa c’è? Ècosì grave?” chiesi, quasi sul punto di piangere. “Mi dispiace, Julie. Ma è molto grave. Èin coma. Il medico le ha dato una settimana, ma…” “Ma… che cosa Nick?” “Ma potrebbe non arrivarci…” No, non potevo crederci: scoppiai a piangere, lei, mia sorella stava morendo. Tutti i miei progetti insieme a lei non si sarebbero mai realizzati. Non poteva, non poteva accadere. Nick mi abbracciò, ma non poteva capire il mio dolore, non poteva capire come mi sentivo. Cosa potevo fare per aiutarla?
Chiesi a Nick di accompagnarmi con la sua moto all’ospedale. Andai dritta dal medico e gli dissi: “Sono Julie, la sorella di Jessica, la paziente della camera ventiquattro. Voglio sapere cosa posso fare per aiutarla.” Il medico mi guardò in faccia, stupito di vedermi lì: “Signorina, pochi sono i casi dove una ragazza dell’età di Jessica superi lo stato di coma.” Io rimasi in silenzio, guardandolo dritto negli occhi, attendendo una risposta alla mia domanda. Dopo un po’continuò: “Non posso che notare la tua determinazione, ma devo avvisarti che bassissime, quasi inesistenti, sono le possibilità che ce la faccia.” “Eh sì, perché secondo lei una ragazza dell’età di Jessica non ha la forza di reagire! Secondo lei non bisognerebbe lottare fino alla fine pur di salvarla?” chiesi io con tono un po’ alto. “Se la metti sotto questo punto di vista, mi dispiace, ma purtroppo è così.” A questa risposta me ne andai sbattendo la porta. Non volevo sprecare neanche un secondo di più per parlare con un dottore che la pensa in questo modo, basandosi su dati scientifici e mettendo da parte la speranza e il valore della vita. Quando uscii dall’ospedale, Nick mi stava aspettando. Capì il mio sguardo e non mi chiese niente. “Per favore mi accompagni a casa?” “Certo.” E avviò la moto. Una volta a casa presi il libro che Jessica mi leggeva sempre quando ero piccola. Richiesi a Nick di riaccompagnarmi all’ospedale. Quando arrivai nella stanza di Jessica, c’era solo mia madre. “Ciao, tesoro.” Fece lei per salutarmi. “Ciao, mamma.” Volevo raccontarle tutto quello che era successo quella mattina, ma mi dovetti trattenere poiché Jessica poteva sentire. Mi sedetti accanto a mia madre e guardai il volto di Jessica: era pallida come quando l’avevo aiutata a uscire dall’acqua. Le accarezzai il viso, era freddo. Probabilmente era colpa mia se era in quelle condizioni. Se fossi entrata in acqua con lei, tutto questo non sarebbe mai accaduto, avrei potuto aiutarla prima. E invece, avevo permesso che tutto questo accadesse. “Mamma, ci puoi lasciare sole un momento?” Mia madre si alzò, prese la borsa e uscì dalla stanza.
“Jessica, ce la devi fare, tu sei forte, dobbiamo tornare in spiaggia a sentire la brezza del mare. Jessica dobbiamo continuare ad andare a scuola così un giorno ci apriremo uno studio tutto nostro. Jessica mi senti?” aspettai qualche decimo di secondo, dopo di che, presi il libro “Il mago arcobaleno” e iniziai a leggerlo ad alta voce con sicurezza, come se mi potesse sentire. I quattro giorni che seguirono li passai all’ospedale leggendo quel libro. Appena lo finivo, lo ricominciavo. Mi fermavo solo per mangiare e per riposarmi un po’. Il quinto giorno, mentre stavo tornando a sedermi vicino a Jessica sentii il susseguirsi di un “bip”. Era l’elettrocardiogramma. Il suo cuore non batteva più. Corsero i medici in camera, mi dissero che io dovevo rimanere fuori. Però vidi che lei continuava a non respirare. All’improvviso tutto intorno a me stava crollando. C’ero solo io con Jessica e quel “bip” continuo, senza rendermi conto che stavo piangendo a dirotto e stavo urlando il suo nome talmente forte che tutti in ospedale uscirono dalle loro stanze e mi guardarono. Non sapevo cosa potevo fare per aiutarla, ma dopo mi resi conto che qualcosa la potevo fare: svegliarmi, e così feci. Tutto svanì. Mi risvegliai sotto l’ombrellone. Jessica stava ancora nuotando in acqua. Questa volta però entrai in acqua anch’io; il sole riscaldava l’acqua, iniziammo a schizzarci e a divertirci. Jessica sorrideva, era contenta, ed io ringraziai il cielo che quello era stato solo un sogno, un brutto, orrendo sogno.
  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Occhi blu