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Autore: waferkya    17/10/2011    1 recensioni
[SPOILER PER LA SETTIMA STAGIONE]
C'è una ragazza, nel sogno. (future!fic)
Genere: Angst, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bobby, Castiel, Dean Winchester, Famiglia Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: Gender Bender | Contesto: Nel futuro
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— Data: 10/x/2011
~ They wait till I find love, and then they laugh.
one; Oh, well it's hard to look deep into your soul.


C’è una ragazza, nel sogno. È Amy Pond, all’inizio: una cascata di capelli biondi, le pupille due fenditure sottilissime sul verde dell’iride, il manico del coltello piantato nel petto, una macchia rossa che si allarga sulla camicetta bianca. Dean non vuole vederla, non vuole pensarci; dà uno spasmo, un brontolio nel sonno, si volta a pancia in sotto sul materasso e per un momento Amy Pond si perde in una pozza di nebbia, e Dean dorme tranquillo. Poi la ragazza riemerge dalla chiazza di buio sul fondo della testa di Dean, ma non è più Amy Pond.
Gli sembra Lisa, all’inizio, e Dean nel sogno si ritrae, uno, due, tre passi indietro, tenta di scappare da quell’ombra magra, da quelle spalle strette. La ragazza si muove con lui, però, e d’improvviso Dean distingue i suoi lineamenti e non è Lisa, grazie a Dio, non è Lisa, non è nessuno, in effetti. Si ferma, perciò, e la guarda; non gli è familiare il contorno morbido del viso, né la bocca imbronciata in una linea neutra, né le gambe lunghe, sottilissime, e soprattutto è sicuro di non aver mai incontrato prima i suoi occhi, azzurri di un azzurro quasi impossibile da sopportare, incorniciati di ciglia lunghe e scurissime. Nel sogno, Dean esita un momento, poi sogghigna e si fa i complimenti per la fantasia.
La ragazza gli viene incontro, i capelli scuri e appena appena ondulati che seguono l’ancheggiare vaghissimo del suo portamento; Dean è pronto a chiudere fuori il mondo e l’Apocalisse e ogni tragedia, chiede un letto e un ambiente più comodo di questa distesa di nero che sfuma nel grigio, e il suo cervello lo accontenta, catapultandoli nell’esatta replica dell’hotel in cui ogni tanto il Dr. Sexy si diverte con l’infermiera caposala.
Dean annuisce, compiaciuto; la ragazza si guarda attorno, spaesata, si acciglia, fa un altro passo in avanti e, quando tenta di parlare, un fischio assordante esplode nella testa di Dean e lui si sveglia di soprassalto, sedendosi sul materasso con uno spasmo spaventato. Sam, nel letto lì accanto, schiude un occhio e poi allunga una mano a stringergli una spalla.
«Dean?» gracchia, la voce greve di sonno, e per una volta che più o meno dormiva ovviamente Dean ha dovuto svegliarlo nel bel mezzo della notte. «Dean? Va tutto bene?»
Dean si passa le dita tra i capelli ispidi e poi si preme i palmi delle mani sugli occhi. Scuote la testa.
«Sì, scusami, Sammy,» brontola, tentando di controllare il respiro. «Torna a dormire, non è niente.»
Sam fa quasi ridere mentre tenta di scrutarlo con apprensione mentre sta già dormendo, e Dean rimane a guardarlo sprofondare in un sonno che spera sia senza sogni – e soprattutto senza le torture mentali del dannato Diavolo, maledizione; che perlomeno mentre dorme lo lasci in pace, – prima di alzarsi e chiudersi in bagno.
Si sciacqua la faccia due, tre, quattro volte, e l’acqua gelata lo aiuta a tranquillizzarsi un po’. Perlomeno non era uno di quei sogni premonitori che ti annunciano la morte dei tuoi amici e parenti, si dice, affondando il naso in un asciugamano sorprendentemente morbido, e comunque non riesce a soffocare un brivido. Ha una paura fottuta che anche il suo cervello stia cominciando a perdere pezzi; era solo un sogno, d’accordo, ma i motori migliori si schiantano una rotella per volta, e lui ha appena finito di sognare una tizia che non conosce, che gli ha quasi fracassato i timpani dall’interno della sua stessa testa.
Dean si osserva nello specchio appeso sul lavandino, tentando di decidere se stia impazzendo o meno. Gli pare di no, gli pare di essere sempre lo stesso, troppo pallido e con la bocca troppo gonfia, gli occhi troppo verdi, i capelli sparati in tutte le direzioni, e poi si accorge della figura riflessa in un angolo: una ragazza mora, vestita di scuro, che lo osserva con intensità un passo a sinistra dalla tenda con le paperelle della doccia. Dean si volta di scatto, ma non c’è nessuno; morde una bestemmia tra i denti e torna di là, i piedi scalzi che non fanno il minimo rumore sul linoleum del pavimento.
Non ha la minima voglia di rimettersi a dormire, perciò tira fuori la pistola e la smonta, la pulisce, la rimonta, la smonta ancora, ne conta i pezzi uno per uno e poi, come se nulla fosse, è l’alba di nuovo, e Sammy si sveglia, chiede caffè e colazione e Dean è più che contento di scappare fuori e distrarsi così.

*

Sono a caccia, la sera dopo. Dean aveva quasi dimenticato l’ansia magnifica e insopportabile di un appostamento, aveva quasi dimenticato il modo in cui i sedili dell’Impala sembrano abbracciare il suo corpo nervoso; aveva quasi dimenticato cosa significa tenere tra le mani un fucile caricato a sale grosso, nella tasca della giacca un accendino a benzina e dentro la testa la certezza che funzionerà, che ce la puoi fare, che se non ti metti a fare il coglione e se ti guardi le spalle e ti ricordi il sale e il fuoco ne uscirai vivo, andrà tutto bene. Soprattutto, Dean aveva quasi dimenticato il suono della voce di John che gli ricorda ad ogni respiro che deve prendersi cura di Sammy, prendersi cura di Sammy, prendersi cura di Sammy.
Si tratta di un fantasma, sembra una vita che non si occupano di una sciocchezza del genere e secondo Bobby gli farà bene, staccare un poco la spina, tornare alle vecchie abitudini. E mentre loro si occupano del mostro della settimana, lui è Dio solo sa dove sul continente, a rivoltare come calzini biblioteche intere cercando notizie sul mostro del secolo, del millennio; Sam si agita un po’ sul sedile, Dean è sicuro che vorrebbe essere con Bobby, avido secchioncello che non è altro, e gli scappa un sorriso. Sam lo vede con la coda dell’occhio, si volta, solleva le sopracciglia e Dean il sorriso lo allarga, ci butta dentro una quantità di denti che aveva quasi dimenticato di avere. Sam sgrana pure gli occhi, bastardo, e scuote la testa.
«Quello pazzo sono io, Dean, ricordi?» mormora, divertito. Il loro fantasma si affaccia da una finestra al terzo piano del palazzo che stanno sorvegliando, e Dean è svelto a sgusciare fuori dalla macchina e caricare il fucile.
«Nessuno ha mai detto che sei l’unico pazzo, Sammy,» commenta, facendogli un occhiolino inquietante. Sam rimane indietro un momento, a sbattere le palpebre e domandarsi che diamine gli sia preso a quell’idiota di suo fratello, e poi lo segue dall’altra parte della strada.

*

Incontrano Bobby in una rimessa che, in un’altra vita, lui e Rufus usavano come magazzino per armi e munizioni e poco altro, ma che perlomeno ha un divano. Dean e Sam arrivano per primi, quasi muoiono soffocati dalla quantità di polvere accumulata nell’aria e si mettono a dare una ripulita – beh, solo Sammy si applica per davvero, in realtà; Dean più che altro fa finta, soffia via due dita di ragnatele vecchie di vent’anni dal divano e ci si butta su senza troppi complimenti, – così, quando sentono il furgone di Bobby frenare rumorosamente sulla ghiaia fuori dalla porta, il posto è ormai quasi vivibile.
Bobby sembra colpito, ma non commenta e si lascia cadere seduto proprio accanto a Dean, con un sospiro pesante. Ha dei libri con sé, il che è sempre una buona notizia, però non sembra particolarmente entusiasta. Dean ha trovato delle birre talmente vecchie che praticamente sanno di vino; mette via la propria bottiglia e frega i volumi dalle mani di Bobby, osservandoli con aria critica e poi passandoli a Sam. Lovecraft, un’edizione del Vecchio Testamento che ha l’aria di provenire dritta dritta dalle sabbie della Palestina, un libricino senza titolo foderato di spesso cuoio nero e a quel punto Dean s’è già annoiato: piazza il resto dei volumi tra le mani tese di Sam e si rilassa contro lo schienale del divano, buttando giù un altro sorso di birra.
«Quella dove l’hai presa?» domanda Bobby, stringendo gli occhi; Dean gli fa quel suo sorriso da mentecatto e si sporge oltre il divano, recuperando una birra per lui. Bobby la scruta con aria per niente entusiasmata, non è che Dean possa dargli torto, però alla fine la stappa senza troppe moine contro il bordo del tavolino lì davanti e svuota mezza bottiglia in un colpo solo. Fa una smorfia disgustata, ma perlomeno la tiene giù, mica come Sam che l'ha sputata in giro per mezzo universo. «Fa schifo come me la ricordavo,» commenta, e Dean sorride.
Brindano alla memoria di Rufus, pure con una certa allegria.
Il tintinnio del vetro contro vetro copre un impercettibile frullio d’ali, ma non il rumore dei libri che Sam lascia cadere, trattenendo bruscamente il fiato, sorpreso. Dean e Bobby si voltano di scatto, buttando via le birre per sfoderare le pistole, ma Dean quasi perde la presa quando fissa lo sguardo in un paio di occhi azzurri come le pareti della cameretta di un neonato. Gli va di traverso il respiro, il sangue dentro le vene, gli va di traverso un po’ tutto quanto dalla gola in giù mentre la ragazza del suo sogno sta lì ferma in un angolo della stanza a guardarlo.
«E tu da dove diavolo salti fuori?» abbaia Bobby, in piedi accanto al divano, l’indice teso nervosamente sul grilletto. La ragazza – anfibi consumati, jeans scuri, strettissimi attorno alle gambe magre; una maglietta leggera, rossa, moderatamente scollata su un seno piccolo e rotondo, una felpa nera al di sopra, troppo lunga di maniche e corta sui fianchi, esattamente come nel sogno di Dean, – non fa una piega, neppure una piccolissima, e volta il viso verso Bobby, inclinandolo appena.
«Dovete andare via da qui, subito,» dice, e per un assurdo attimo la sua voce risuona maschile e roca, inspiegabilmente familiare. Dean sta ancora cercando di rimettere in moto cervello e polmoni, ma la studia ad occhi sgranati, cercando di capirci qualcosa – di capire, per esempio, dal paginone centrale di quale rivista porno sia scappata, bella e sottile e affascinante com’è, perché non gli dispiacerebbe farci un abbonamento vita natural durante, per dire. Non ha fortuna, e allora si volta verso Sammy, sperando che lui perlomeno sia uno Sherlock Holmes più affidabile, ma anche suo fratello ha ancora in faccia un’espressione perplessa, sorpresa, confusa. Andiamo bene.
«Come hai fatto ad entrare?» insiste Bobby, aggrottando le sopracciglia e aggirando il divano per fronteggiarla. «Chi ti ha mandato qui, eh? Che razza di mostro sei?»
La ragazza inclina ancora un po’ la testa di lato, sgranando gli occhi, come se la domanda la sorprendesse.
«Sono un angelo del Signore,» dice, con una naturalezza disarmante, e qualcosa collassa, nel petto di Dean, perché l’azzurro troppo azzurro dei suoi occhi è quasi l’azzurro degli occhi di Castiel e lui ha giurato che non ci avrebbe pensato mai più, a quello lì, e non ci vuole pensare, però, ecco, quegli occhi e quelle parole e quell’espressione che ha --- la ragazza, intanto, fa un passo in avanti. Ha tre pistole puntate addosso, adesso, tutte e tre ferme e pronte a sparare, per quanto sia Dean che Sam siano molto, molto lontani dalla freddezza di cui avrebbero bisogno per ammazzare un mostro qualsiasi.
«Non devi crederle,» sta dicendo Lucifero, che misura a passi larghi la rimessa e guarda Sam dritto negli occhi, minacciando di farlo impazzire. «È una di loro, è una dei Leviatani, Sammy. O forse no? No,» sorride, il Diavolo, tutto cattiveria e fascino e si ferma proprio accanto alla ragazza, con due dita le scosta una ciocca di capelli dalla spalla. «No, in effetti questa qui puzza di demone, fidati di me.»
«Un demone non sarebbe riuscito ad entrare,» sbotta Sam, nervosamente, e Dean lo guarda appena, con la coda dell’occhio, impegnato a tenere la ragazza – l’angelo? Oh, misericordia, – sotto tiro, ma non abbastanza distratto per non accorgersi del suo fratellino che sprofonda un po’ di più nella pazzia. Andiamo davvero bene.
Lei, invece, non sembra per niente preoccupata dalle armi da fuoco che ha spianate contro, ma si volta verso Sam con tutta tranquillità, gli occhi enormi che si riempiono in un attimo di una tristezza abissale. Dean deglutisce con tanta forza che teme l’abbiano sentito tutti quanti, e gli tremano i polsi.
«Sam,» mormora la ragazza, con un filo di voce. «Mi dispiace così tanto.» E fa un passo verso di lui, ma Dean è svelto a balzare in piedi e piazzarsi a gambe larghe tra di loro, Bobby che gli compare accanto in un attimo.
«Basta con le cazzate,» ringhia Dean, teso. «Dicci chi diavolo sei e che cosa vuoi, se non vuoi essere ridotta a un colabrodo.»
La ragazza si acciglia, sta per dire qualcosa e poi si volta di scatto verso la porta della baracca, gli occhi spalancati.
«Sono già qui,» dice, e né Dean né Bobby né Sam hanno il tempo neppure di fiatare: la ragazza li tocca, uno ad uno, due dita in mezzo alla fronte; c’è un lampo di luce bianca, e poi il silenzio, e una pace quasi sovrannaturale.

*

Quando riprende conoscenza, Dean si sente come se il cervello e lo stomaco gli si fossero scambiati di posto. E il mondo attorno a lui non ha il minimo senso, oltretutto: si ritrova sdraiato su una moquette insolitamente pulita, che profuma di detersivo, in quella che sembra una stanza di motel un po’ meno pulcioso di quelli che è abituato a frequentare, e non ha idea di come ci sia finito. Piano piano, i ricordi tornano a riempirgli la pancia, che è il posto in cui la sua dannata materia grigia ha deciso di fare il nido: la rimessa di Rufus, i libri di Bobby, la ragazza.
La ragazza. Che ha detto di essere un angelo, e forse un angelo lo era davvero.
Dean si tira su a sedere con un colpo di reni, e se ne pente immediatamente, ma si costringe a tener giù il conato di vomito che gli inacidisce la gola e, per prima cosa, cerca Sammy. Se ne sta placido placido a sonnecchiare sul letto, lo stronzo fortunato; Bobby è poco più in là, con i piedi sul divano e la testa per terra, e Dean si farebbe una mezza risata, se non fosse che non ha idea del perché si siano ritrovati teletrasportati qui, – peraltro non sa neanche precisamente dove si collochi, questo qui, e oh, Dio, a pensarci, ora, la sua bambina è rimasta tutta sola al capanno! – per cui potrebbero benissimo essere in pericolo mortale. Gli scatta una foto col cellulare, comunque, perché ogni lasciata è persa, giusto? E lui se n’è perse fin troppe, negli ultimi trent’anni.
Va a svegliare Sammy, per prima cosa, costringendosi a non pensare alla ragazza – all’angelo, – e al sogno e al fatto che la sua vita era un casino già prima, ma ultimamente pare si diverta a peggiorare di giorno in giorno, ogni mattina un nuovo record di schifezza; il suo fratellino sgrana gli occhi e lo guarda come se non lo riconoscesse, ma dura soltanto un attimo, il tempo che gli ci vuole per trovare la cicatrice rappezzata male sul palmo della propria mano e assicurarsi che, sì, fa male, quindi è reale. Dean gli fa un sorriso un po’ storto e un po’ preoccupato, e Sam scappa a scuotere Bobby.
«Beh, vediamo un po’ dov’è che moriremo stavolta,» esclama Dean, entusiasta, avvicinandosi ad una finestra e spalancando le tende.
C’è uno spiazzo coperto di ghiaia, largo poco più dello spazio sufficiente ad una monovolume per fare manovra, e poi un piccolo cottage che sarà la reception del motel, e più in là ancora una distesa pressoché infinita di roccia e pini, una roba così montagnosa che Dean ha quasi le vertigini perché, Dio santo, questo è il set perfetto per un film dell’orrore, tre uomini in una stanza di motel sperduto in mezzo ad una specie di parco nazionale, però poi tutto perde improvvisamente d’importanza, perché laggiù, all’ombra dei tre piani di camere, Dean distingue un angolo di carrozzeria nera lucente e lui conosce la sua Impala fino all’ultimo bullone, perciò non ha dubbi che si tratti di lei.
«Piccola mia!» strilla, e con un balzo raggiunge la porta, la apre con uno strattone un po’ troppo forte perché quasi si aspettava di trovarla chiusa a chiave, e correrebbe di sotto ad abbracciare la sua bambina, davvero, se non si trovasse davanti, a poco meno di un respiro di distanza, gli occhi azzurri e la punta del naso della ragazza – dell’angelo, fino a prova contraria, – che li ha spediti qui. Dean si pietrifica giusto un attimo prima di travolgerla, e lei alza la testa per guardarlo, un’espressione educatamente curiosa sul viso.
«Dean?» chiama Sam, dall’interno della stanza, e viene ad affacciarsi da sopra la sua spalla per controllare che sia tutto apposto, e quando vede la ragazza trasale anche lui. «Ah,» mormora. «Ciao.»
«Sam,» annuisce lei, guardandolo da sotto le ciglia. «Non pretendo che tu mi perdoni, ma sappi che il mio rimorso è sincero,» continua, la voce tiepida, gentile, quasi esitante. Sam sbatte gli occhi un paio di volte.
«Uh, ma... certo,» tenta, e poi fa un passo indietro e Dean si muove con lui, spostandosi dalla porta e permettendo alla ragazza di entrare. Lei li supera a testa bassa, rivolge un cenno a Bobby e poi si ferma in mezzo alla camera, le mani infilate nelle tasche della felpa e Dean, beh, a Dean sta cominciando a girare la testa, perché è lì che ha lo stomaco, e la pancia gli si sta arricciando in un nodo scorsoio, perché è lì che ha il cervello, o forse stomaco e cervello sono tornati tutti e due al loro posto ed è semplicemente che lui non ci sta capendo niente, ma sente che c’è qualcosa di strano, qualcosa di tremendo, qualcosa che gli fracasserebbe il cuore, se solo gliene fosse rimasto un pezzetto ancora intero.
«Dove diavolo ci hai portato?» domanda Bobby, alzandosi dal divano e piazzandolesi di fronte, per darsi un minimo di autorità, poi sembra ripensarci: «No, aspetta. Eravamo rimasti a chi diavolo sei, se non sbaglio.»
Sam e Dean si sistemano ai due lati della ragazza, chiudendo il triangolo, ma lei non sembra a disagio o spaventata o neanche lontanamente intimidita; al contrario, ha l’aria distratta, assente, come se stesse badando a chissà che cosa in qualche altro universo, invece di preoccuparsi di essere circondata da tre cacciatori ognuno dei quali pesa il doppio di lei. Forse è ora che cambino mestiere.
«Siete al sicuro, qui,» dichiara la ragazza, dopo un silenzio imbarazzante che si stiracchia fin troppo a lungo. Dean, Sam e Bobby si guardano, perplessi. «I Leviatani vi avevano seguiti fino a quella baracca, ma vi ho portati via in tempo. Non so come abbiano fatto a rintracciarvi,» sospira, un po’ affranta, forse soltanto pensierosa. «Credevo che i sigilli che vi ho impresso sulle costole sarebbero bastati a tenervi nascosti.»
I sigilli che vi ho impresso sulle costole, ha detto. E mentre Dean e Bobby hanno a malapena terminato di registrare la scelta a dir poco insolita di parole, Sam è già balzato alla conclusione esatta e avrebbe pure potuto fare un paio di uova strapazzate per tutti, col tempo che gli rimaneva.
Sgrana gli occhi, Sammy, e solleva un pochino le mani verso la ragazza, come se volesse toccarla e non osasse neppure avvicinarsi. Prende fiato una, due, tre volte, e alla fine riesce a raccogliere il coraggio necessario a recuperarsi dal fondo della gola un filo di voce. (Lucifero tace, seduto sulla scrivania lì di fronte, imbronciato come un baro coperto di pece e piume.)
«...Cas?» mormora Sam, talmente piano che avrebbe potuto essere un sospiro. Dean e Bobby lo guardano sgranando gli occhi, la ragazza si volta verso di lui senza fretta e inclina la testa, appena appena. Cas, e il cuore di Dean è forse un po’ esploso.
«Cosa c’è, Sam?» domanda la ragazza, con gentilezza infinita, e, d’accordo, Dean ne ha abbastanza.
«Woah,» esordisce, venendo avanti con le mani alzate e nessunissima voglia di farsi spalare addosso altra merda. «Woah, woah, woah. Cas? Piantala di tentare di prenderci in giro, ok? E tu, Sammy, per piacere non darle corda!»
La ragazza lo guarda, e il suo viso non cambia davvero espressione, però Dean ha l’inspiegabile sensazione di averla ferita. Oh, santo Dio.
«Sono io, Dean,» dice, aggrottando un pochino le sopracciglia e qualcuno dovrebbe coprirle gli occhi, perché è difficile ragionare con quelle due meraviglie azzurre piantate addosso. E il problema non è tanto il colore, o il fatto che sono enormi e screziate qua e là di un celeste profondo e pericoloso, che le fa somigliare al mare; il problema è che sono gli occhi di Castiel, quelli lì, Dean li conosce bene abbastanza. Sono gli occhi di Castiel e Castiel è – beh, Castiel non c’è, ed è sbagliato e tremendo e malato che una ragazza abbia i suoi occhi. A Dean viene da vomitare, di nuovo, un pochino.
«Ho detto, basta cazzate,» ringhia, le mani che annaspano alla ricerca della pistola e si calmano solo quando finalmente serra le dita attorno al calcio, ma non riesce neppure a sollevarla perché la ragazza – l’angelo – insiste a guardarlo come se avesse preso a calci il suo gatto, e ci si mette pure Sammy che viene avanti con il viso arricciato nella sua migliore espressione concentrata.
«Dean,» dice, la voce tesa da un frullato di emozioni che Dean non riconosce – sorpresa, dubbio, e poi, diavolo, cos’è quella, speranza? La speranza non va bene, Sam dovrebbe saperlo; la speranza distrugge l’anima e ti fa prendere tutte le decisioni sbagliate. Non esiste che questa ragazza sia Castiel. «Dean, pensaci. Dean, potrebbe essere vero, potrebbe essere possibile, Dean.»
Non osa dirlo ad alta voce, eppure ci spera. Dean vorrebbe soltanto che la piantasse di ripetere il suo nome.
«Dean,» dice la ragazza, venendogli incontro con le mani fuori dalle tasche e, cos’è, ora vorrebbero dargli a bere che Castiel ha imparato il linguaggio del corpo, mentre era un po’ impegnato ad essere stecchito, o perlomeno soffocato da un’orda di Leviatani all’interno del suo stesso barattolo umano? Però, Dean, se ci pensi, Cas non ti ha mai mostrato altro che i palmi delle sue mani, la tua spalla se lo ricorda bene. «Non... mi riconosci, Dean?»
Dean vorrebbe dirle che, sì, ha capito che era lei – che era lui – non appena l’ha vista apparirgli in sogno; sì, lo sapeva. Sì, le crede; sì, la riconosce, per quanto sia inquietante il pensiero che adesso Castiel – Cas, il suo Cas, – vada in giro in quel corpo lì, con quella faccia lì; vorrebbe dirle che, sì, lo sa, l’ha sempre saputo, è solo che non osava neanche sperarci perché, andiamo, quando mai gli è andata bene, con la speranza e con la vita in generale? Così poche volte che fa paura pensarci. Però le crede, glielo vorrebbe dire, e quasi non ci riesce, perché quanto è bello che sia lei, che sia Cas? Che gli abbiano restituito i suoi occhi, e il modo in cui inclina il capo e aggrotta un pochino lo sopracciglia? Dean chiude gli occhi, sospira.
«Stronzate,» mormora, le labbra che tremano, ma il suo polso è maledettamente fermo mentre solleva la pistola e spara, tre volte: al cuore, alla gola, in mezzo alla fronte. Sam urla, si fa avanti di scatto; Bobby si copre le orecchie e bestemmia.
«Vuoi farmi morire d’infarto, ragazzo?» sbotta, quando l’eco degli spari ha smesso appena un po’ di fargli fischiare le orecchie. Dean ha la bocca piena del sapore acre del sangue, perché l’ha imparato a undici anni che se si morde la lingua con abbastanza forza riesce ad evitare di piangere.
Schizzi sottili di sangue impiastricciano le pareti e il vetro della finestra, ma il proiettile con cui Dean ha mirato al petto e quello alla testa non sono trapassati. La ragazza è ancora in piedi, è indietreggiata di un passo appena.
«Dean,» mormora, e, mentre le sue labbra piene si chiudono attorno al suo nome, la ferita circolare sulla fronte prende a tremare piano, e il proiettile cade con un tonfo morbido sulla moquette, ammaccato e sottile come una moneta. Il secondo precipita lì accanto, e Dean sgrana gli occhi, una lacrima rotonda che esita un momento, trattenuta da due ciglia, e poi rotola rapidissima giù lungo la sua guancia, sparendogli tra le labbra. La ragazza – l’angelo, Castiel, – si acciglia per un attimo. «Suppongo di averlo ampiamente meritato,» dice, senza nient’altro che un’onesta rassegnazione, e china il capo, sfiorando in punta di dita il foro sulla maglietta che lascia intravedere appena il seno, il bordo orlato di nero della sua biancheria.
Dean riesce a sentirsi schiudere le labbra, ha le vertigini e non ce la fa neppure a tenere ancora il braccio teso, non ce la fa a restare in piedi, quasi.
«Cas?» gracchia, perché ci ha creduto dal primo istante, l’ha riconosciuto senza neppure doverci pensare, lo sapeva da fin sotto la pelle, ma la paura è più forte, è sempre più forte della speranza, no? La paura gli ha fatto ammazzare Amy Pond; la paura gli ha sottratto Castiel già una volta. E ha sempre avuto così poco, che tutto quello che conquista non riesce a non sembrargli altro che una coltellata in attesa di essere inferta.
Castiel gli sorride – non esattamente; più che altro, la sua espressione si fa impossibilmente morbida, dolce. Forse è il fatto che è una ragazza, ora, o forse è solo che Dean, quegli occhi, se li sogna la notte da quando ha tentato di accoltellarlo la prima volta, in quel capannone con Bobby, ma comunque gli basta così poco per calmarsi un po’, tranquillizzarsi, smettere di tremare come un coglione.
«Le cose belle accadono, Dean,» dice Castiel, con gentilezza, e c’è l’ombra appena di qualcosa, che gli scintilla negli occhi. Dean sbuffa una mezza risata, s’infila la pistola nella cintura, dietro la schiena, tanto per darsi qualcosa da fare.
«Sì, come no,» brontola, inventandosi scettico, indifferente, ma continua a fissare gli occhi di Castiel, anche quando Bobby e Sam si impicciano, si mettono in mezzo per abbracciarlo. Abbracciarla. Oh, santo cielo. Andiamo davvero, davvero bene.




A/N.
— So di non dovervi spiegare la reference del "Sono un angelo del Signore", e probabilmente vi ricorderete pure che, un po' più avanti in quella circostanza, Castiel dice, appunto, "Le cose belle accadono, Dean" (Good things happen, Dean; la traduzione l'ho tratta dai subs di ItaSa). *shines*
— Il titolo della storia e quello del capitolo sono presi da Peaceful, The World Lays Me Down dei Noah and the Whale.
  
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