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Autore: Beatrice Darko    17/10/2011    1 recensioni
Una ragazza che va di fretta urta inavvertitamente un uomo, che si rivelerà essere il suo più grande idolo.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Lennon , Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Ehi, tutto bene?»
Fu un uomo a parlarmi, sicuramente quell'uomo che avevo urtato un istante prima, mentre correvo furiosamente, chitarra in mano, per non arrivare tardi all'auditorium. Inizialmente non vidi il suo volto, ero rotolata a terra inciampando su me stessa, e con gli occhi chiusi riprendevo fiato. 
«Benissimo, grazie... Mi scusi se non l'ho vista, andavo di fretta». Aprii gli occhi. L'uomo mi tendeva una mano per aiutarmi a rialzarmi; indossava un cappotto scuro, una sciarpa blu, un berretto di jeans, occhiali scuri. Alla fioca luce del tramonto, in quella particolare zona di New York, non riuscivo a vedere bene il suo viso, ma non me ne preoccupavo. Il mio unico pensiero era che sarei arrivata in ritardo allo spettacolo, il mio professore non me l'avrebbe mai perdonato! Il primo spettacolo del 1978, e io l'avrei mancato. L'uomo indicò la chitarra. «E' tua quella?» sul suo viso magro si dipinse un sorriso smagliante, un sorriso inconfondibile, che mi mozzò il fiato. Ma non poteva essere...Non portavo gli occhiali, sicuramente mi sbagliavo.
«Beh... Sì! Ho uno spettacolo stasera, ma sono terribilmente in ritardo». Non sapevo cosa dire, quell'uomo metteva soggezione.
«Anch'io suonavo una volta. Ora mi sono preso una pausa, però. Sai,voglio trascorrere più tempo con la mia famiglia». Intorno a noi passava tantissima gente, ma io avevo occhi solo per quell'uomo misterioso, che data la mia fortissima miopia, non riuscivo a identificare. Eppure aveva un'aria familiare. Alla fine non riuscii a trattenermi, e la domanda mi sorse spontanea senza che me ne rendessi conto. «Ma lo sa che lei assomiglia incredibilmente a John Lennon? Insomma, forse è solo una mia impressione, dato che senza occhiali sono praticamente cieca come un pipistrello...». L'uomo scoppiò a ridere, e in quel momento pensai di averla detta grossa. Magari non gli assomigliava neanche! Nella mia mente continuavo a darmi della stupida, come mi era venuto in mente? Sentii le guance in fiamme, segno che avevano preso una tonalità color porpora. «Chiedo scusa, signore, non so come mi sia venuta in mente una cosa del genere», balbettai torcendomi le mani guantate. Ormai si era fatto buio, ed erano stati accesi i lampioni e le insegne dei locali. Il chiasso di New York, la città che non dorme mai, ruotava attorno a quella scena a dir poco patetica, che non avrei dimenticato per nessun motivo al mondo. L'uomo era tornato serio, e se ne stava davanti a me con le mani ficcate in tasca, probabilmente pensando a cosa rispondere. Gli occhiali scuri riflettevano le luci della città e delle auto. Poi ruppe il silenzio, sorridente. «Beh, hai azzeccato, ma non raccontarlo troppo in giro, o comincerebbero a darmi la caccia». Credo di non aver mai vissuto un momento come quello. Cominciai a sudare freddo, come quando si è in preda al panico, avete presente? Insomma, non sapevo se credere o meno a quelle parole, magari quell'uomo aveva approfittato della mia scarsa vista. Probabilmente si aspettava che reagissi, ma io non riuscivo nemmeno a muovermi. Lui inclinò la testa da un lato, mi stava osservando. «Come ti chiami?». Respirai profondamente, come per farmi coraggio. «Elizabeth». John Lennon, dall'alto della sua elevata statura mi lanciò ancora un'occhiata da dietro quegli occhiali scuri.
«Tu non credi che io sia John Lennon». Più che una domanda sembrava un'affermazione. Io alzai le spalle. Poi ebbi un'idea, e automaticamente, senza pensarci troppo, gli porsi la mia chitarra. Sulle prime parve stupito, ma poi l'afferrò con un ghigno dipinto sul volto scarno. «Suonami Working Class Hero». Nel momento in cui lo sentii cantare (As soon as your born they make you feel small...),mi convinsi della mia stupidità. Avrei preferito nascondermi. Nel frattempo la gente si fermava, incredula; Altri invece, frettolosi come lo ero io un quarto d'ora prima, continuavano ad andare per la loro strada senza neanche dare attenzione a quel trambusto. Io credo che la voce di John Lennon abbia riscaldato quella gelida sera del 18 gennaio 1978, un mercoledì. Quando la canzone finì la piccola folla che si era formata sul marciapiede iniziò ad applaudire, io avevo le lacrime agli occhi. Mi restituì la chitarra, mentre una decina di persone lo assalivano per chiedergli un autografo. John Lennon ha suonato la mia chitarra. Questo pensiero mi rese felice come non mai, ormai non pensavo più all'auditorium, al professore inferocito. Nella mia mente c'era solo John, come c'è sempre stato e ci sarà sempre. La folla si diradò in men che non si dica, John si era tolto gli occhiali e mi guardava, senza smettere di sorridere. «Grazie», fu l'unica cosa che fui capace di dire. Lui fece un cenno con la testa. «E' stato un piacere! Direi proprio che è ora di andare, Yoko mi starà aspettando. Arrivederci!». Girò sui tacchi e si stava allontanando di qualche metro, quando spinta dalla forza disperazione, corsi in avanti. «Signor Lennon!». Lui si girò, come se sapesse già cosa stavo per chiedergli. «Mi può autografare la chitarra?» John Lennon prese un pennarello dalla tasca interna del cappotto, e scarabocchiò la sua firma sulla mia chitarra. Fece per andarsene, ma con mia grande sorpresa si voltò nuovamente. «Ah, dimenticavo... Dammi del tu». Lo vidi andar via, non sembrava proprio un divo. Non l'avrei mai più rivisto, e lo sapevo. Quando tornai a casa piansi, piansi di gioia, e per la prima volta in vita mia fui felice di aver fatto ritardo.
  
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