DISCLAIMER: I
Dethklok non mi appartengono, Blacha e Small hanno avuto l’idea prima di me ç^ç
Non scrivo a scopo di lucro,
il massimo che mi aspetto di ricevere è un sacco di mazzate da tutti i
metallari tcshentcshibili che non gradiranno questa storia per motivi
assortiti. Tutti gli errori grammaticali nelle parlate dei nostri beniamini
sono ovviamente voluti, e voi tutti sapete benissimo perché. Se non lo sapete
vuol dire che non avete mai visto Metalocalypse, e allora che ci fate
qui? (E, soprattutto, cosa aspettate ad andare a guardarlo?)
“Pickles”
“Sì, Nathan?”
“Sto scrivendo
delle parole per una canzone nuova”
“Oh, bene. Andiamo da
Skwisgaar e vediamo cosa riusciamo a tirarne fuori”
“Sai dove è?
Non riesco a trovarlo”
Il batterista scosse la
testa.
“Oh, bé, lo
cercheremo, a quanto pare” disse
il cantante
“Non può essere così difficile trovarlo, dopotutto”. L’altro si era già avviato per il
corridoio, dove il bassista stava arrivando con aria truce.
“Murderface, hai mica visto
Skwisgaar?” chiese Pickles.
“No, perché?”
Prima che il batterista
potesse fermarlo Nathan aveva già dato aria alla bocca: “Niente,
abbiamo bisogno di lui per scrivere una nuova canzone”.
“Allora non tcsh’è
problema! Vi aiuto io!”
“No, Murderface, non è il
caso che ti disturbi” cercò di riparare il batterista.
“Non sono
affari tuoi” disse più
semplicemente il cantante.
“Tcshì che tcshono
affari miei” strillò Murderface irato “Non potete tagliarmi fuori dal procetcsho
creativo! MI AVETE TCSHENTITO, CATCCSHONI? Non potete tagliarmi fuori!”.
“Oh, piantala” lo zittì
Pickles alzando gli occhi al cielo “E vieni a cercarlo anche tu”.
Skwisgaar non era nel salone
principale, non era in camera sua, non era nella saletta panoramica, non era da
Charles e neppure in sala di registrazione. Pickles proponeva già da un pezzo
di piantarla lì e arrangiarsi loro due, ma Nathan sembrava deciso a farli
comporre tutti e tre assieme, per una volta. Quando Charles li raggiunse
stavano cercando piuttosto penosamente in giro per le ali dei Klokateers.
“Erm…posso sapere che state
facendo ragazzi?”, chiese perplesso il manager.
“Togliti dalle palle, tcshtiamo
cercando Skwisgaar”, replicò il bassista.
“Oh, se è per q-” cominciò
Charles.
“ZITTO!” ululò Nathan.
“Ma stavo solo-”
“Senti, a meno che tu non
sappia dove è Skwisgaar non ci interessano tutte le tue cazzate manageriali”
sbottò Pickles irritato.
Charles sospirò.
“È proprio quello che volevo
dirvi: l’ho visto prima che andava in camera di Toki. Credo stia provando di
nuovo a dargli lezioni di chitarra” disse affranto.
“Potevi dircelo prima,
cazzone!” fu la risposta unanime dei tre.
Il manager sospirò di nuovo,
senza neanche provare a far notare che lui, a dirglielo prima, ci aveva
provato.
Nathan si era preparato un
bel discorsetto per quel chitarrista lavativo e latitante mentre avanzava
furibondo lungo il corridoio. Come si permetteva di non farsi trovare quando
loro avevano bisogno di lui per scrivere le parti di chitarra e basso?
Era piuttosto soddisfatto del
risultato, qualcosa sulla falsariga di: “Ok, cazzone di uno svedese, ora alza
quel culo e vieni con noi, che ci servi per scrivere una nuova canzone. Il
tempo per le lezioni di chitarra è scaduto, tanto Toki è e resterà sempre un
brocco”. Era un bel discorso, persino lungo per gli standard di Nathan, che in
genere con le parole non aveva un buon rapporto, a meno che non fossero
“death”, “thunder”, “ride”, “brutal”, “fight”, “pride” e poche altre.
Aprì la porta con inaudita
violenza e preparò le corde vocali. Era già arrivato a “culo”, quando il suo
nervo ottico riuscì a farsi strada a pugni attraverso quelle sinapsi lente in
maniera imbarazzante e lui notò la scena che si stendeva davanti ai suoi occhi.
Lo shock fu tale da fargli richiudere la porta con forse maggiore fretta di
quando l’aveva aperta. Pickles e Murderface, che dal corridoio avevano visto
ben poco, ma abbastanza, avevano le orecchie di un preoccupante bordeaux
tendente al vinaccia.
“Erm… aehm…
stavano facendo quello che penso io?” chiese il cantante imbarazzato.
“Credo di tschì”
“Oh”.
Skwisgaar era
nervoso, Toki lo intuiva. Il fatto che si fosse rimesso la maglia al contrario
tre volte era un indizio piuttosto importante. Però anche il norvegese era
agitato, e quando era così a stare zitto non ce la faceva proprio.
“OhmyGod, ohmyGod, ohmyGod,
ci hano visto” disse, la voce un po’ strozzata.
Il chitarrista biondo si voltò di scatto,
irritato.
“Echisenefrega se ci hanno vissti” urlò di
rimando “Che c’è di male, in fondo? Eravamo solo facendo un po’ di fottuta
meditassione orientale precedente lessione!”.
“Ma se loro ha capito male? Se loro pensa
stavamo facendo… qualcos’altro?”.
“Che cossa altro potesse essere?”.
Calò il silenzio. Lo sapevano entrambi cos’altro
poteva essere. Lo sapevano entrambi cos’era. Ma finché fosse rimasto un
pensiero annidato ai limiti della loro mente, dove nessuno poteva inciamparci
per sbaglio, avrebbero potuto fare finta che fosse qualcos’altro. Meditazione,
ad esempio, massaggi o ginnastica; non di certo quella cosa sudaticcia con
troppe esse nel mezzo.
“Niente” disse Toki, dopo alcuni secondi di
imbarazzo.
“Ja. Vado a vedere cosa volevano quei tre
cassoni” replicò Skwisgaar, più calmo.
La mente di Toki iniziò a friggere dolorosamente
quando lo svedese gli posò le labbra carnose sulla bocca, forzandolo
leggermente ad aprirla con la lingua.
Ma anche quella era meditazione, no? Alla fine
ci si liberava dal sovraccarico di energia, o altre cazzate del genere, così,
no? Bastava crederci abbastanza forte perché diventasse vero.
I passi dell’altro si affievolivano lungo il
corridoio. Toki sospirò e riprese in braccio la chitarra.
Charles era perplesso. Nathan, Pickles e
Murderface erano appena arrivati nel suo ufficio correndo come dannati e,
parlandosi sopra a vicenda in puro stile Dethklok, gli stavano raccontando una
storia piuttosto sconclusionata che comprendeva i due chitarristi,
l’esercitarsi a suonare e una seduta di yoga piuttosto dubbia.
Fu quando Murderface ipotizzò un’invasione
aliena, per ragioni che in seguito non fu mai in grado di spiegare, che il
manager decise di fermarli.
“Ok, ragazzi. Avete beccato Toki e Skwisgaar che
facevano sesso, e quindi?” disse.
“E quindi?! Getcshù, è ditcshgutcshtotcsho!”
sbottò Murderface.
“Sì, piuttosto… imbarazzante. E gay” commentò Nathan.
Il manager passava il suo sguardo da uno
all’altro, cercando di capire perché fossero venuti a dirlo a lui, come se
fosse il diario segreto di una ragazzina isterica.
“E quindi vorreste, che so, mandarli in una
comunità di terapia correttiva?” chiese tentennante.
Il cantante e il bassista si guardarono a
disagio, ma fu Pickles a rispondere: “Col cazzo! Quei cosi sono un po’ come una
rehab per gay! E la rehab fa schifo!”.
“Ok, niente centro, quindi cosa pretendete che
faccia?”.
“Non è che vogliamo che smettano di essere gay… voglio dire, se Skwisgaar cambia interessi
restan più gnocche per noi.”, Nathan
fece una pausa, dubbioso, “Però così fanno pena, voglio dire… la scusa della meditazione
è stata imbarazzante…”
“Tcshoprattutto perché quando è cortcsho
a dircelo aveva ancora il cotcsho tutto in tiro…”. Il chiarimento non
richiesto di Murder fece scendere il gelo.
“Quindi pensate tutti e tre che sia meglio
cercare di far accettare loro quello che sono, piuttosto che mutilare il loro
vero io per sempre per una stupida bigotteria, giusto?” concluse Charles
I tre annuirono, non del tutto sicuri.
“Penso che chiamerò lo psicologo allora, li
aiuterà... voi cercate di non farli sentire a disagio, intesi?”
Ci fu un momento di silenzio teso.
“Oh, aehm… la cosa di fargli accettare che sono
gay… non vuol dire che dovremo scrivere stupide canzoni sull’accettare se
stessi così come si è e altre cazzate, giusto?”domandò il cantante.
“No, Nathan, non è necessario.” lo rassicurò
Charles “Anche se sarebbe davvero un gesto carino da parte vostra. Davvero.
Carino”.
“Essere carini non è brutal” borbottò Nathan contrariato “È da gay”.
A quel punto il manager disse, esasperato: “Come
pretendete che quei due possano smetterla si nascondersi dietro una nube di
scuse se voi continuate con questo atteggiamento omofobo?”.
“Ok, Charles, faremo del nostro meglio.
Scriveremo anche quella canzone magari… lasciaci solo un po’ di tempo per
discuterne,ok?” intervenne Pickles.
“Ok, ma cercate di prendere sul serio questa
cosa, intesi?”. L’ultima domanda di Charles venne sovrastata dalla chiusura
delle porte del suo ufficio.
L’uomo si lasciò andare nell’ennesimo sospiro
della giornata.
Nel corridoio i tre avevano già cominciato a
parlare.
“Tcshtavo pentcshando, potremmo regalar
loro qualcosa.” stava dicendo il bassista “Voglio dire, un regalino, tanto per
fargli tcshapere che noi tcshiamo qui comunque, che non ci
importa…”.
“Che non ci importa troppo”, lo corresse
Pickles.
“Sembra una buona idea” disse Nathan assorto.
“Sì, non è malvagia.” replicò il batterista,
cauto, “Se volete vado io a cercare qualcosa”.
“No, è una mia idea, me ne occupo io” saltò su
Murderface.
“Ha ragione, è una sua idea” commentò il cantante.
Una piccola parte del cervello di Pickles iniziò
ad avvertire il pericolo, ma lui era troppo annebbiato dall’alcol per
rendersene conto.
“Oh, ok…allora magari vado un attimo a parlare
con i due diretti interessanti…” disse.
“Ehi, quetcsha tcshì che è un’idea che tcshpacca!”
“Sì, però magari è meglio se lo faccio io” intervenne Nathan.
“P-perché?” strillò il batterista, preso in
contropiede, “È una mia idea!”.
“Sì, ma io sono il cantante e paroliere del
gruppo… è meglio se ci va a parlare qualcuno che bé, voglio dire, che ci sa
fare con le parole, ecco”.
“E io cosa faccio?” domandò lamentoso Pickles.
La stessa piccola parte di cervello di prima
stava ora cercando con urgenza di comunicare al batterista che la cosa migliore
da fare nelle ore successive era recuperare abbastanza alcolici da farsi
trovare KO quando fosse scoppiato il casino.
“Oh, bé...tu puoi iniziare a scrivere quella
dannata canzone, visto che sei stato tu a dire a Charles che l’avremmo scritta” propose Nathan, mentre già se ne andava.
Pickles guardò la bottiglia di vodka che aveva
in mano. Era troppo vuota per i suoi gusti. Si avviò alla ricerca del frigobar
più vicino.
Il grande magazzino era tutto un flusso di folla
brulicante che sciamava incoerente da un reparto all’altro.
“Mi tcshcutcshi”.
Un commesso piuttosto affranto si voltò a quel
richiamo e si ritrovò davanti a William Murderface, immerso in un faticoso
tentativo di ottenere un’espressione allegra. Per il momento aveva la faccia
che una persona considerata normale riesce a fare solo dopo che qualcuno l’ha
superata in fila alle poste, magari dopo averle anche pestato il piede. Il
commesso però era stato addestrato ad essere affabile in qualsiasi occasione e
reagì con un “Sì, signore?” di rito.
“Tcshtavo cercando un regalo per degli
amici”.
“Aveva già pensato a qualcosa?”.
“No. È che vede, non tcshaprei proprio cotcsha
prendere. Tcsha…”, Murderface abbassò la voce in tono cospiratorio, “…tcshono
gay.”
Il commesso si arrovellò per un po’ prima di
dire: “Un dildo?”.
“Non tcshaprei, magari ce l’hanno già. Tcshenza
contare che volevo regalargli qualcotcsha più di clatccshe”.
Il commesso ci pensò su per qualche secondo.
“Aspetti. Vado a chiedere a un collega se ha
qualche idea”.
“Oh, Skwisgaar, stavo proprio cercando te. Volevo
dirti che è tutto ok”.
“Che cossa è tuto ok, Nathan? Hai già sentito la
parte di chitarra che ho provato a incidere per l’ultima canssone?” chiese
perplesso il chitarrista.
“Uhm, no, l’altra cosa”.
“Quale altra cossa?”
“Intendo dire… è ok se anche ti scopi Toki. Lo
accettiamo. Non avete bisogno di nascondervi”.
“Maledissione! Era meditassione per rilassare la
mente prima di esercitassione! Cossa avete capito?”
“Senti, erm, non credo che esista una tecnica di
meditazione che include che uno metta il suo coso su per il culo di un altro.
E, cazzo, ce ne sono un fottio di tecniche di meditazione. Capiamo che non è
facile ammettere la propria osmos- omotest-… che siete gay, ma dovreste farlo.
Per il vostro bene. Credo”.
“Oh, Gessù Cristo.” urlò Skwisgaar, irato, “Come potete pensare che io è gay?
Casso, scopa più donne io in una settimana che l’uomo medio in dieci vite!”
“Uhm, già. Credo… credo che lo psicologo saprà
dare una spiegazione anche per quello. Magari sei bi, o come cavolo si dice”.
“All’inferno! All’inferno i gay, i bi e
soprattutto i psicologhi! Non voglio uno psicologo cassone! Voglio solo essere
lassiato in pace!”.
Skwisgaar uscì a grandi falcate dal salone
principale.
Qualche minuto dopo entrò Toki con un’aria
perplessa.
“Skwisgaar frigna” pigolò “Che è sucesso?”
“Niente, che io sappia. Ah, e, Toki, avresti un
paio di minuti per parlare?”
“Nh? Sì, certo”
Pickles, in mezzo al delirio mistico che si
stava provocando da solo grazie a alcol e droghe assortite, ebbe un pensiero
lucido.
Sembrava essere spuntato all’improvviso, come un
miracolo, ma in realtà era nato qualche tempo prima nel suo subconscio, per poi
farsi strada a gomitate (E pugni, calci, morsi e insulti. Dopotutto era anche
lui un irlandese ubriaco marcio, anche se metaforico) sino a raggiungere la sua
attenzione.
C’era qualcosa che doveva fare…
La canzone, la dannatissima, stramaledetta
canzone. Lui non era in grado: il problema non era l’arrangiamento, quello
sarebbe stato come al solito; questa volta era il testo il problema. Lui mica
sapeva scriverli i testi, cazzo, figurarsi parlare di quanto era bello essere
se stessi. Essere se stessi non era metal.
Di nuovo il suo inconscio gli venne in aiuto:
con un ricordo, uno della sua adolescenza. Una volta, per qualche tempo, nella
sua compagnia c’era stato uno che ascoltava country, poi se n’era andato perché
lo avevano tartassato a causa di una canzone. Quella canzone era esattamente
quella che serviva a Pickles in quel momento.
“Com’è che faceva?” si chiese il batterista in
mezzo alla nebbia alcolica.
Cowboys are…
Murderface se ne uscì soddisfatto dal grande
magazzino, lasciandosi dietro una decina di commessi intenti a scambiavano
fragorose pacche sulle spalle con fare compiaciuto. Aveva un pacchetto sottile
tra le mani: un regalino anonimo, impacchettato con la carta del negozio, se
solo sia l’acquirente che i commessi non si fossero fatti prendere la mano con
il nastro. In effetti era più un gigantesco fiorire di riccioli di nastro
dorato che altro. Il pacchettino appariva come un accessorio secondario.
“Non è vero nionte!” stava frignando senza
ritegno Toki.
“Erm, Toki, vi abbiam-” provò a ribattere Nathan.
“Non è vero niente! Cossa avete visto? Cossa ne
sapete voi? Era meditasione” pigolò il norvegese.
“No, che non la era!” latrò il cantante.
“Sì, che la era! Stai sitto!”.
Il cantante stava per perdere la pazienza quando
entrarono Charles e Skwisgaar. Lo svedese aveva l’aria di uno che sta andando
al patibolo, e che cercherebbe di mordere il boia che lo accompagna, se solo
fosse del tutto sicuro che non sia un essere demoniaco.
“Euhm, Toki, è arrivato lo psicologo” disse il
manager “E, Nathan, dopo potresti venire nel mio ufficio? Credo di aver bisogno
di parlare con te”.
“Non volio lo psicologo!” strillò Toki.
“Ja, neanche io. Perché dovete costringere noi?”
intervenne Skwisgaar.
“È per aiutarvi, dannazione! Non potete andare in
giro tutta la vita a raccontarci la balla della meditazione mentre avete ancora
il coso duro, cazzo!” tuonò furioso
Nathan, che la pazienza l’aveva esaurita da un pezzo, doveva soltanto
accorgersene.
I chitarristi si azzittirono, scossi.
Charles ne approfittò. “Possiamo andare, ora?”
disse affabilmente. I due lo seguirono, annuendo lenti.
Un senso di soddisfazione che avrebbe tenuto
Nathan piuttosto allegro per il resto della giornata iniziò a spandersi nel suo
sistema nervoso.
“Secondo voci recenti, sembra che i chitarristi
dei Dethklok stiano intraprendendo, su consiglio degli altri membri della band,
una terapia per accettare la propria omosessualità” esordì il senatore
Stampingson, cominciando l’incontro di Tribunal.
“Ommioddio, è disgustoso! Se la cosa si sapesse
farebbe passare l’idea che essere gay è ok” sbottò il generale Crozier.
“Sono solo voci, per il momento” fece presente
Stampingson.
“E se ci fosse del fondamento dietro queste
voci, quali sarebbero le conseguenze?”chiese Vater Orlaag.
“Secondo il nostro esperto in “star e
omosessualità”, lo scenario è addirittura apocalittico”.
“Sì, confermo. Tanto per cominciare un cambio
dell’orientamento sessuale di due personalità così importanti a livello globale
darebbe nuova linfa alle richieste di parità sociale della comunità LGBT.
Questo infastidirebbe grandemente molte potenti organizzazioni. Tutto ciò in
uno scenario di panico generale: oltre ai presumibili suicidi di massa tra le
fan, un evento simile potrebbe portare a una modificazione dell’impostazione
sociale improntata di machismo che noi portiamo avanti e supportiamo”.
Crozier sbottò: “Tutto questo va fermato!
Signore, mi dia il permesso di interv-”
“Lasciateli fare” disse solo Mr. Selatcia.
“Oh, Pickles, eccoti qua” disse allegro Nathan “Murderface è tornato. Con
il regalo”.
“È una bomba, vedrete. Glielo diamo dopo che tcshono
utcshciti dallo ptcshicologo?” si vantò giulivo il bassista,
fiondandosi in camera del batterista.
“Yep, okay. Io… io ho iniziato a pensare alla
canzone” borbottò Pickles.
“Oh, davvero? Fantastico, voglio dire…”.
“Ci fai tcshentire qualcotcsha?”.
“Erm, ok. Dopo, magari? Ah, non è che sia
proprio mia mia”.
“In che tcshentcsho?”.
“Bé, io non so scrivere testi…quindi è, non so
se la conoscete, Cowboys are frequently secretly di Ned Sublette,
arrangiata nel nostro stile e con… qualche leggera modifica al testo”.
“Mai sentita. È country, giusto?”
“Sì”
“Oh, grande. Così sembrerà che stiamo sfottendo il
country. Sfottere il country è abbastanza brutal da compensare l’inutile testo
auto-incoraggiante, vero?”
“Pentcsho di tcshì”
“Ok, ragazzi.” esordì lo psicologo “So che non
siete, nh, favorevoli alla terapia psicologica,”.
La sua gentilezza forzata rimbalzò come una
pallina da tennis sul muro di astioso disinteresse dei due chitarristi.
“ma è mio preciso dovere aiutarvi a capire
quello che sentite e a smettere di essere così spaventati. Ora, capisco che una
band non sia l’ambiente migliore dove realizzare…”
Toki fissava assente un punto una decina di
centimetri a destra della testa del dottore, Skwisgaar si grattava il naso con
aria scocciata.
“…una cosa così importante: c’è un tale clima di
machismo. Soprattutto da te, Skwisgaar,”
“Bleargh, che schifo!” urlò Toki.
“quasi ci si aspettano”
“Che c’è, scasacasso?” replicò Skwisgaar infastidito.
“determinate performance.”
“Ti stai scaccolando, che schifo!”
“In ogni caso”
“Oh, che palle, chi casso sei, mia madre?”
“il fatto che”
“Scometto che tua mamma non ha mai fatto caso
che ti scaccolavi”
“i vostri compagni si siano”
“Ja, ma mica intendevo la mia madre”.
“dimostrati così collaborativi”
“E chi intendevi, allora?”
“è molto positivo”
“Intendevo se mia madre era una perfetta”
“ e sono sicuro ci aiuterà molto”, concluse lo
psicologo, affranto.
“Secondo te è vero tutte quelle cose che ci ha
detto?” chiese Toki, dubbioso.
“Ma no, figurati, sono cassate psicologhe”
brontolò Skwisgaar “Se anche fosse vero, non importa niente!”
Toki avrebbe fatto altre domande, ma si zittì
vedendo arrivare il resto della band. Mentre Pickles e Nathan li facevano accomodare
sul divano nella sala principale, Murderface sembrava letteralmente friggere. I
due cercarono di ignorare la perplessità e di trovare una spiegazione logica
allo strano comportamento dei compagni. Quando Murderface sfoderò un sorriso da
orecchio a orecchio e tirò fuori il regalo, Skwisgaar iniziò a inquietarsi.
Toki, come era prevedibile, regredì allo stato mentale di seienne.
“Oh, un regalo, che bello! Grassie!” squittì
tutto eccitato, strappando la carta.
Lo shock fu tale da pietrificarlo in un espressione
di puro dolore. Skwisgaar, che si era tenuto in un prudente disinteresse
sbirciò la causa di tale orribile reazione. Battè le palpebre un paio di volte,
tanto per essere sicuro di vederci bene. Un porno gay. A quel punto la
rabbia, che per tutta la giornata si era accumulata docilmente, ruppe la
muraglia di sconcerto che la intrappolava e esplose.
“Branco di stronsi!” ululò il chitarrista,
abbrancando il compagno e scuotendolo “Branco di inimmaginabili cassoni! Vieni
Toki, gliela faremo vedere chi è gay!”. E con questa minaccia lasciò la sala,
trascinandosi dietro il norvegese come fosse un coniglietto di peluche.
Gli altri erano agghiacciati.
“Qualcosa mi dice che abbiamo fatto un casino”
mormorò Pickles.
“Tcshembrerebbe di tcshì”.
“Fanculo, sono solo degli stronzi che non
apprezzano i nostri sforzi. Stronzi”
tagliò corto Nathan,
Nell’ombra, Charles sospirò.
Toki si svegliò nel pieno della notte.
Nell’ombra riusciva a distinguere i corpi nudi delle groupie che Skwisgaar
aveva chiamato in camera. Dormivano placidamente, stanche ma soddisfatte. Una
di loro aveva poggiato la testa sul suo petto, ma non era stata lei a
svegliarlo. C’era qualcuno che piangeva nella stanza. Qualcuno che stava
sopprimendo i singulti per non essere udito, ma l’orecchio del chitarrista
sapeva riconoscere ventisette tipi di pianto diversi. Li aveva prodotti quasi
tutti, durante la sua infanzia.
Toki si voltò piano.
“Che succede, Skwisgaar?” chiese assonnato
“Perché frigni?”.
“Perché… perché ha ragione quel cassone di psicologo”,
singhiozzò Skwisgaar, “Sono più gay di un concerto glam metal. Tutto…questo”
-fece un ampio gesto a indicare la stanza- “lo faccio solo perché le odio e
voglio farla pagare a mia madre”.
Detto questo scoppiò in un pianto disperato.
Toki gli tirò un ceffone da staccargli la testa dal collo.
“Ma sei siemo?” urlò incollerito “Pensavo stavi
male!”.
“Ma…ma sta male…” mormorò l’altro.
“No che non stai male, cassone! Hai detto che
sei gay, e quindi? Lo sapevi! Lo sapevamo tutti e due!” disse Toki, stupito di
avere la forza di dar voce a quel pensiero. Anche Skwisgaar sembrava parecchio
scioccato.
“Mi fa cossì paura, Toki” fremette il ragazzo
biondo, più calmo.
L’espressione di Toki si addolcì mentre diceva:
“Anche me ha paura. Più che in fondo al pozzo, da bambino”.
“Ja, ma stavolta non sei solo”.
“Ja, stavolta sono con un cretino che frigna
come una ragassina”
“Basstardo”.
Skwisgaar tirò un pugno all’altro.
“Come fai tu ad essere cossì calmo?” domandò.
“Non sono calmo. È che non mi piace quando la
gente piange”.
Allo svedese venne da ridere: e dire che Toki
pareva sempre a un passo dallo scoppiare a piangere come un bambino, ma si
trattenne notando che, per quanto calmo potesse apparire a lui, che aveva
appena sfiorato il crollo nervoso, il norvegese stava tremando e tirava su con
il naso.
“Ma non sei un po’ arrabbiato con me?” andò
avanti nel suo interrogatorio Skwisgaar.
“Perché dovrei?”
“Bé, senssa la mia stupida “meditassione” magari
tu non avrebbe mai fatto niente di... non-etero. È colpa mia, in un certo
senso”.
Toki scosse le spalle.
“Non è colpa tua niente. A me piaceva almeno
quanto a te. Anche se tu la chiamavi meditassione lo sapevo benissimo anche io
cos’era. Non volevo dirlo, solo”
“Nessun rancore?”
“Neanche un briciola! Ora però fammi dormire,
stronsso frignone”.
Passò quasi una decina di minuti prima che Toki
cedesse al carico emotivo del momento e si girasse verso Skwisgaar squittendo
“me ti ama” e altre frasi sconnesse tra le lacrime.
“Well,
a rockstar may brag about things that he's done with his women.
But the
ones who brag loudest are the ones that are most likely queer”
“Pentcsho
che tcshia veramente adatta a Skwisgaar...” commentò Murderface.
“Assolutamente” concordò Nathan.
Pickles, sollevato, iniziò:
“Oh, graz-”, ma il cantante lo interruppe brutalmente: “Vai
avanti”.
“Rockstars are
frequently secretly fond of each other”
“Ehi, ehi, atcshpetta,
quetcshto non ci farà tcshembrare tutti gay?”
“Senti, non posso mica
scrivere esplicitamente di Skwisgaar e Toki. A parte tutto, non rispetta la
metrica”, ribattè acido il batterista.
“Unf. Capito”.
“Say, what
do you think all them leather and boots was about?
And
there's many a vocalist who don't understand the way that he feels for his
drummer”
“Ehi, ehi, aspetta, questo fa sembrare me e te gay!” ruggì Nathan.
“Oh, piantala, non è
riferita a noi, ma al mondo della musica in generale!”
“Ma tcshembrerà riferita
a noi” intervenne Murderface.
“Oh, scrivetela voi la canzone,
se siete in grado!”
“Buongiorno, e benvenuti al Dethklok Minute!
Questa notte, grazie alle groupie che i due avevano imprudentemente dimenticato
di far uscire, il mondo intero ha avuto in grande anteprima la notizia del
coming out di Skwisgaar Skwigelf e Toki Wartooth. In ogni caso questa mattina i
chitarristi dei Dethklok sono scesi nell’ufficio stampa di Mordhaus. Skwigelf
ha dichiarato in diretta globale: “Sì, sono gay, cassoni, avete problemi? Io
ama questo incapace frignone alla follia”. Più di una lacrima è scesa quando
Toki si vè voltato radioso e ha risposto: “Oh, jeg elsker deg, piattola!”.
Anche Nathan Explosion è stato visto con gli
occhi lucidi, ma, come lui stesso ha affermato, gli era solo “entrata una bruschetta
nell’occhio”.
Altre voci sostengono che addirittura Offdsen abbia
chiuso gli occhi per trattenere il pianto commosso. Questo è ovviamente
impossibile perché, come sappiamo, i serpenti non hanno palpebre. E per oggi è
tutto dal Dethklok Minute!”
Note
finali
Ok, tanto per cominciare
ringrazio voi tutti che siete giunti al termine di questa fan fiction. Mi sento
molto fiera ad aprire un nuovo fandom, qui su EFP :D
I Dethklok sono personaggi
davvero esilaranti da manovrare. Sono anche abbastanza facili da gestire,
probabilmente perché sono assurdi v.v L’unica parte che mi ha messo un po’ in
crisi è stata la scena in camera da letto, perché verrebbe da scrivere qualcosa
di fluffoso, ma è impossibile con due sclerati del genere.
Qualcuno forse sarà sorpreso
dalla mia scelta di caratterizzare Toki come “quello che riesce ad accettare”,
per cui ve la spiego brevemente. Il fatto è che Toki è infantile, come tutti
noi sappiamo. E ai bambini, bé, non importa. Un bambino può odiarti con
tutto il suo cuore perché tu hai il giocattolo che vuole lui, ma i pregiudizi
sono cose che non lo preoccupano minimamente. Sono cose che iniziamo a
considerare e a temere nella pre-adolescenza. Senza contare che, in fondo al
mio cuoricino peloso di donna priva di sentimenti/mangia bambini, sono convinta
che Toki sia molto forte.
Far parlare Murderface è
stata la cosa più orribile della mia vita, sono sicura di essermi dimenticata
troppe lettere a caso nelle sue parti. Se mai scriverò una fic incentrata su di
lui sarà MUTA. Ah, e piango ancora la notte per la grammatica maciullata ogni
due righe dagli scandinavi ç^ç
Se qualcuno si sta facendo
domande sull’ultimo paragrafo: sì, io considero Charles il diavolo incarnato. È
in assoluto il personaggio più spaventevole di Metalocalypse, anche più di
Selactia. La risposta di Toki è "ti amo" in norvegese, grazie a Nordlys per la frase (io di norvegese non so niente).
Che altro dire? Spero che vi
siate divertiti a leggere almeno la metà di quanto io mi sono divertita a
scrivere, che la lunghezza della fiction non sia stata un problema, e che,
qualunque sia il vostro parere, abbiate voglia di lasciare un segno del vostro
passaggio ^^’