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Autore: Emily Kingston    21/10/2011    4 recensioni
“Ops,” ridacchiò Jane, appoggiando la tazza di nuovo sulla scrivania.
“Tu, hai…VERSATO IL MIO CAFFE’!”
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Patrick Jane, Teresa Lisbon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Give me back my coffee!

Patrick Jane aveva l’innata capacità di risultare irritante a chiunque, in qualunque momento della giornata, qualsiasi cosa lui facesse.
Che ti stesse prendendo in giro, o stesse semplicemente esponendo una delle sue assurde teorie su come la zia, del fratello, del cugino, del giardiniere, della sorella, della vittima non potesse essere coinvolta per ovvi motivi che solo lui conosceva.
Per questo, Teresa Lisbon, aveva imparato a fingere di ascoltarlo, annuendo ogni tanto alle sue parole, mentre sorseggiava felicemente una tazza di caffè. Solitamente quando proponeva qualcosa di estremamente stupido ed idiota avveniva in uno di quei rari momenti in cui lei stava prestando attenzione, così da impedirgli di intraprendere missioni kamikaze.
“E quindi il mio cane giallo ha fatto un bisognino viola, proprio mentre un piccione con quattro ali stava sorvolando il Big Ben.”
Teresa, come di consueto, annuì, sorseggiando la calda e scura bevanda contenuta nella sua tazza.
“Per questo credo che tu dovresti farti il botulino,” aggiunse.
Teresa sputacchiò, sbarrando gli occhi.
“Come prego?” Jane ridacchiò.
“Scherzavo,” si schernì, alzando le mani. “Ma tu sei una maledetta bugiarda, non mi stavi affatto ascoltando,” puntualizzò, facendo arrossare lievemente gli zigomi della donna.
Teresa abbassò per un attimo lo sguardo verso il suo denso e scuro caffè, mordicchiandosi le labbra.
“Io ti stavo ascoltando attentamente,” ribatté, puntando gli occhi in quelli beffardi di Jane. “Mi stavi spiegando perché, secondo i tuoi ragionamenti da mentalista, la signora Bennett non può essere coinvolta nell’omicidio del marito.”
Lo guardò con estrema soddisfazione, sicura di averlo raggirato alla perfezione.
“Certo, peccato che ad un certo punto abbia parlato di cani gialli che fanno bisognini viola mentre uccelli a quattro ali passano sopra una torre che si torva a Londra e che tu, Miss io-ti-stavo-ascoltando, non hai fatto una piega.”
Fottuta.
Teresa arrossì di nuovo, infilando il naso nella sua tazza. Quell’idiota riusciva sempre a sfangarla, maledetto lui.
Cercando di non dare a vedere la sua palese delusione, appoggiò la tazza sulla scrivania, incontrando di nuovo il suo sguardo.
Aprì bocca per parlare ma Jane, con un gesto fulmineo, afferrò la tazza piena di caffè portandosela sotto il naso.
Teresa inarcò le sopracciglia.
“Non capisco come faccia a piacerti questa poltiglia,” osservò, storcendo il naso al forte odore del caffè tostato che la donna amava prendere.
“E’ la mia poltiglia se non ti spiace, ridammi la tazza.”
Jane scosse il capo.
“Dammi la mia tazza,” ripeté, spazientita.
Jane scosse il capo di nuovo.
Gli occhi di Teresa lampeggiarono.
“Dammi. Quella. Tazza. ORA!”
Jane rise, giocherellando con il liquido scuro.
Teresa si massaggiò la radice del naso, frustrata. Quell’uomo la faceva impazzire, letteralmente.
In senso cattivo, ovviamente!
Improvvisamente, dopo l’ennesima richiesta da parte di Lisbon di riavere il suo caffè, la goffaggine di Jane portò l’amata bevanda dell’agente sul pavimento piastrellato dell’ufficio.
Gli occhi smeraldini della donna si spalancarono, osservando la pozza marrone scuro che si allargava sul pavimento, insinuandosi tra le mattonelle.
“Ops,” ridacchiò Jane, appoggiando la tazza di nuovo sulla scrivania.
“Tu, hai…VERSATO IL MIO CAFFE’!” urlò la donna, avanzando verso di lui a passo di carica.
Jane alzò le mani, cercando di giustificare l’accaduto come un misero incidente senza conseguenze.
Teresa sentì crescere in lei la voglia di lanciarlo fuori dalla finestra del suo ufficio, godendo poi nel vederlo che si schiantava al suolo.
“Sei un idiota!”
“Ma tu non mi stavi ascoltando, quel coso ti distraeva,” si giustificò l’uomo. “Insomma, lo guardavi come se volessi mangiarlo.”
Teresa sbuffò.
“Perché era quello che volevo fare; mandarlo nella mia bocca, farlo scorrere lungo il mio esofago finché non fosse finito nel mio stomaco!”
Jane sbuffò, afferrando un po’ di fazzolettini e gettandoli sulla pozza di caffè.
“Sarai mica geloso di una tazza di caffè?”
Jane si strinse nelle spalle, continuando ad asciugare la vittima con i fazzolettini profumati che Teresa teneva sulla scrivania.
Non aveva alzato lo sguardo, non osando incontrare i suoi occhi, ma ben presto nel suo campo visivo, fece capolino una mano; una delicata mano femminile che iniziò a strofinare con lui il pavimento.
“Ti aiuto, altrimenti fai peggio,” disse, dolcemente.
L’avrebbe perdonato sempre, e questo era quanto. Ma Teresa Lisbon sapeva bene di odiare il fatto che Patrick Jane la facesse impazzire, in tutti i sensi.

   
 
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