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Autore: PrincesMonica    21/10/2011    10 recensioni
Capitolo Extra nato come costola della Fan Fiction "Quella Lunga Settimana". Sarebbe preferibile leggere quella prima, ma non è strettamente necessario.
Monica, Jared, e una figlia, Sophie.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sentiva la luce su di sè, calda e accogliente. Qualcosa di veramente dolce.
Monica si stava risvegliando, si era resa conto che intorno a sè c’era qualcuno, anzi, più di qualcuno. Aveva riconosciuto non solo la voce esaltata di Jared, ma anche quella di Shannon e di suo padre. Alt, suo padre? E che ci faceva a casa sua? Ah no, non era a casa, era in ospedale.
Era nata.
Non ci poteva veramente credere: per un attimo, un momento terrificante, si era trovata con l’idea in testa che sua figlia non sarebbe sopravvissuta. Era stata la sua paura per tutta la gravidanza. Quando il medico le aveva detto che aspettava un figlio non gli aveva veramente creduto.
Ci avevano provato per mesi, ma la sua malformazione all’utero non aiutava e quindi i giorni passavano senza cambiamenti di sorta. Jared non aveva mai protestato e non si era mai troppo preoccupato. Leggeva in lui un’enorme dispiacere ogni volta che il test di gravidanza risultava negativo, ma lo vedeva sempre sorridere e portarla a mangiare un gelato, asserendo che sarebbe andata meglio la volta dopo.
Il giorno che lei risultò essere incinta era stato segnato come un giorno miracoloso.
Monica sorrise quando mamma Constance sgridò Shan che rideva a voce troppo alta.
“Sveglierai Monica e la bambina. Taci.”
La bambina.
L’aveva vista e tenuta in braccio: era piccola, esile e piangeva con forza. Del resto essere strappata dal caldo tepore della placenta per entrare in un mondo freddo ed apparentemente ostile, non faceva felice nessuno. Si era calmata subito, mentre lei le dava un bacio sulla testolina ancora umida e Jared piangeva come non aveva mai fatto in vita sua. Lei, invece, sorrideva e basta, era troppo sfinita anche solo per pensare di piangere. Non tanto dal parto, che era stato relativamente veloce, ma da tutto quello che era stata la gestazione: mesi e mesi di quasi totale immobilità a causa di un elevatissimo rischio di perdita del feto. Ora l’unica cosa che voleva fare, era una lunga passeggiata sulla spiaggia e appena sarebbe uscita da quel posto maledetto, avrebbe obbligato il suo ragazzo a portarcela.
In fondo l’aria di mare faceva bene anche alla piccola.
Aveva un po’ di problemi, ancora, a pensare a lei come qualcuno di reale ed esistente. L’aveva tenuta in braccio, iniziato a sfamarla anche, eppure era una sensazione strana, come se stessero ancora scrutandosi per capire come poter vivere assieme. Non riusciva a chiamarla per nome, anche se ce l’aveva davanti, anche se l’aveva fissata sperando che i suoi occhi diventassero grigio/azzurri come quelli di Jared, anche se sapeva essere sua figlia.
Quando ancora passava le giornate distesa sul letto o sul divano guardando la TV e scrivendo a più non posso il suo nuovo romanzo, chiacchierava parecchio con lei. La sua ginecologa le aveva detto che ai bambini faceva bene sentire la voce della madre e del padre prima di nascere, aiutava in quello che sarebbe diventato poi il loro rapporto. Jared aveva preso al volo quel consiglio per passare ore interminabili a raccontare ad entrambe tutto quello che accadeva nello studio di registrazione e Monica era convinta che la bimba ogni tanto entrasse in coma pur di evitare di ascoltarlo.
Sorrise invisibile: tutti gli sguardi erano su lei, la nuova arrivata, la mamma era momentaneamente messa in secondo piano e a lei andava bene così.
Aprì finalmente gli occhi: davanti a lei, sulla impalcatura del letto, erano legati dei palloncini colorati e sul tavolino pieno di borse, c’era un enorme mazzo di rose rosse a stelo lungo, con nel mezzo un bellissimo tulipano giallo, regalo, immaginava, di Jared.
“Buongiorno tesoro.” Sua madre era lì, raggiante e commossa: doveva aver versato qualche lacrimuccia a vedere la sua prima e probabilmente unica nipote per molto tempo.
“Ciao mamy.”, con lentezza inforcò gli occhiali e il mondo diventò più nitido. La stanza era bella e luminosa, non ci aveva fatto caso quando era entrata, troppo stravolta dalla fatica del parto: i muri erano colorati di un pallido rosa pastello e c’erano un sacco di disegni di Tippy il coniglio. “È stupenda.”
“Grazie.” Cosa poteva dire?
Lasciò perdere tutti quanti e si concentrò solo su Jared: capelli lunghi fin sotto l’orecchio, di un normalissimo e bellissimo colore castano scuro, barba di tre, forse quattro giorni, che le ricordavano i bei tempi di ABL e occhi che parevano due fanali. E sì, perchè splendevano di luce propria, soprattutto quando sorrideva. Era euforico. No, era scintillante.
Monica non riusciva a descrivere con una sola parola lo stato d’animo del suo uomo, poteva solo sintetizzarlo con un “É appena diventato padre” cosa che riassumeva perfettamente. Aveva delle occhiaie profonde, dato che in quelle ultime notti, per paura, non aveva praticamente dormito più di due ore filate, ma nonostante tutto sembrava nel pieno delle forze. Adorava i peletti bianchi sempre più numerosi e anche quelle piccole rughe di espressione che ormai avevano finalmente fatto capolino attorno agli occhi: insomma, adorava vederlo così chiaramente normale. Che poi, sembrava comunque avesse dieci anni di meno. Stava parlando con suo padre e niente o nessuno poteva scalfire in quell’istante, la sua felicità.
Avrebbe partorito nuovamente solo per vederlo nuovamente con quel sorriso: si sentiva un po’ patetica.
La piccola prese a piangere risvegliandola e facendola tornare in sè.
“Te l’avevo detto che se le stavi così vicino la spaventavi, tu e la tua brutta faccia, Shannon!”, esclamò Jared andando a prendere in braccio sua figlia che aveva iniziato a strillare.
“Ma non è vero, lei già adora lo zio Shan, vero piccola?”
Jared alzò gli occhi al cielo e la guardò: la bambina non voleva saperne di smettere, aveva il viso rosso per lo sforzo e gli occhi tutti bagnati. “Andiamo Little Princess, la mamma ti dà da mangiare.” Uscirono tutti dalla stanza tranne Jared che si sedette sul letto, mentre Monica prendeva in braccio la piccola e la guardava. “Ti muovi che ha fame?”
“Jay, lasciamela guardare, anche se piange due secondi non casca il mondo.”
“Ma... la mia bambolina...”
“Sei già zerbinato e non ha neanche un giorno. Fantastico, ne vedremo delle belle.” Monica le fece una leggerissima carezza al nasino piccolo e delicato, preso da lei, e le sorrise.
“È perfetta. Non so che altro dire di lei.”, fece Jared.
“Sì, lo è.”, rispose Monica. “Buongiorno, mia piccola Sophie.”


“Apri la bocca, Sophie, dai!” La bambina era seduta sul suo seggiolone rigorosamente rosa che batteva le mani e rideva come una pazza per tutto lo sporco che era riuscita a creare in cinque minuti che era lì seduta.
Monica sospirò e rimise il cucchiaino nella ciotolina: sapeva che lo svezzamento non sarebbe stato una passeggiata, ma non credeva possibile che una bimba potesse sputacchiare così bene e così lontano soprattutto. Doveva essere il Karma che si abbatteva su di lei, dopo che da piccola si era divertita a rendere la vita un’inferno a sua madre.
“Eccole le mie donne!” Jared entrò in casa quasi correndo, gettando con poca grazia il giubotto sul divano e andando, con un sorriso da ebete, verso Sophie che sembrava ancora più elettrizzata ora che aveva visto il suo papà. “E la mia Principessa mangia?”
“Certo, più o meno come suo padre.”
“Ahaha, simpaticona.”, diede una carezza alla figlia e andò a togliersi le scarpe.
“Ok, Sophie, prima che diventi completamente freddo, apri la bocca... fai Ahhhhhh”, la bambina rise senza aprire la bocca, lasciando Monica disperata.
“Non mangerà mai fin quando le darai quelle pappette insipide.”, fece Jared tornando in cucina: aveva indossato un paio di pantaloni della tuta e una delle sue canotte di battaglia da palco.
“Ah certo, hai ragione genio, adesso le cucino una bistecca e di contorno ci faccio un paio di patatine, immagino con quei due dentini appena spuntati riuscirà a mangare benissimo.”
“Sto rotolando dalle risate. Adesso fatti da parte che ci pensa Daddy a farla mangiare almeno un pochino. Vero, cucciola?”, la bambina gorgogliò felice, mentre Jared prendeva posto sulla sedia e le faceva le linguacce. “Ecco, mostra alla mamma quanto sei brava.” Come era possibile che lei in tutto il giorno era riuscita al massimo a darle un cucchiaino di minestra, mentre Jared in dieci minuti le aveva fatto spazzolare il piatto? E pure facendola ridere. “Ecco fatto, ma che brava che sei. Visto mamma? È stata brava Sophie?”
Monica annuì e si girò per sistemare la cucina con un profondo senso di sconfitta.
“Ehy, tutto ok?”, Jared le aveva portato il piatto ripulito e la guardava sorridendo.
“Sì, tutto perfetto... perchè?”
“Non so, sembra che tu sia quasi dispiaciuta che Sophie abbia finito la cena.”
“Ma figurati! Anzi, per fortuna che almeno qualcosa mangia, ne basta uno in famiglia magro ai limiti dell’anoressia.”
Jared sbuffò. “Non è colpa mia, non ho tempo di mangiare.”
“La verità è che non hai voglia di preparartelo quando sei fuori, perchè a casa mangi pure.”, rispose Monica piccata. La bambina li osservava stranamente in silenzio dall’alto del suo seggiolone.
“Ecco vedi, che mi serve mangiare fuori se a casa ho la mia ragazza che mi prepara i migliori manicaretti del mondo?”
“Smettila di fare lo smieloso che tanto non ti riesce.”
Jared insinuò le mani sotto la maglietta sporca di pappa di Sophie e la strinse a sè.
“Puoi finirla di essere così nervosa?”
“No.”
“Uhm... e dai.”
“Smettila!”
“Mo...”
“Daddy!”
Il tempo si fermò, anzi, si cristallizzò: Monica riusciva a vedere quasi la polvere rimanere sospesa, le bolle di schiuma non scoppiare.
Sophie aveva espresso la sua opinione ed in maniera piuttosto decisa.
La fissarono entrambi ancora inebetiti, mentre lei batteva sul seggiolone con il cucchiaio ridendo.
“Ha parlato...”, mormorò Jared.
“Sì.”
Jay si fiondò su sua figlia, ormai felice come una Pasqua di essere liberata da quella sedia di torture cinesi, la prese in braccio e la fece volare per la cucina, mentre la piccola rideva impazzita.
Monica scosse il capo: la sua prima parola era stata papà.
Certo che era veramente inadatta.


“Voglio andare a scuola con papà.”
“E ci vai con tuo padre, ma permettimi che voglio venire anche io.” Sophie mise il broncio: quella mattina sarebbe andata per la prima volta a scuola e Monica le stava sistemando i lacci delle scarpine.
“Perchè sento la mia piccola brontolare?” Per quel giorno Jared aveva perfino deciso di vestirsi bene: pantaloni neri, una maglietta seria e una camicia, ovviamente a quadri. Ai piedi delle sobrie scarpe da ginnastica. Si era sbarbato, quindi non dimostrava neanche quarant’anni, a parte le zampette di gallina che iniziavano prepotenti a farsi vedere.
“Mi porti tu a scuola, non la mamma.”
“No, ci andiamo tutti assieme.”, rispose Monica sbuffando. “Voglio vedere la mia bimba dove si siederà in classe. E conoscere la sua nuova maestra.”
Monica guardò con soddisfazione Sophie: jeans nuovi azzurro chiaro con dei brillantini molto Girlish sulle tasche, una bella maglietta rosa con un coniglietto che zompettava nell’erba e i codini a tenere fermi quella massa incredibile di capelli scuri. Le scarpe da ginnastica bianche e rosa completavano il tutto. “Sei bellissima, amore!”, esclamò Monica.
“La mamma ha Ragione, sarai la più bella.” Sophie sorrise, permettendo ai suoi due occhi blu di scintillare.
Monica aveva sempre pensato che fosse un miracolo che quel misero genere recessivo degli occhi chiari che c’era in lei, fosse riuscito a battere il gene dominante degli occhi castani. Era felicissima che avesse gli stessi occhi di Jared e non solo per il colore, ma anche per la forma leggermente a palla. Le davano un’espressione di perenne di sorpresa e ingenuità, quella che mancava nettamente nella vita di suo padre.
Davanti alla scuola c’erano già i primi bambini che attendevano le aperture dei cancelli. Sophie andò a nascondersi dietro le gambe di Jared che scoppiò a ridere: sua figlia era un vulcano, sempre in eruzione, eppure quando iniziava un qualcosa di nuovo o si trovava davanti a gente che non conosceva, si chiudeva a riccio intimorita.
Insieme entrarono nell’edificio colorato e ancora ben tenuto seguendo la freccia che indicava la nuova classe di Sophie: i banchi erano quindici, puliti e scintillanti, pronti per il nuovo anno.
“Papà...”, sussurrò Sophie.
“Dimmi.”
“Non voglio stare qui.” Aveva sporto il labbro inferiore e sgranato gli occhi nella classica espressione 'Faccio Fare a Mio Padre Tutto Quello che Voglio Io', peccato che questa volta non poteva attaccare perchè si parlava di scuola.
“Amore, guarda quanti amici nuovi che hai.”
Mentre Jared cercava di convincere la bambina ad andare a sedersi, Monica era andata a fare la conoscenza della maestra: bassa, molto magra, vestita come una vecchietta anche se doveva avere pochi anni in meno di lei. I capelli erano di un triste color castano chiaro, ma lasciati molto andare. Ci mancava solo lo scialle sulle spalle e poteva sembrare la nonna di Cappuccetto Rosso. Però negli occhi aveva una luce maliziosa, felice di essere lì, pronta per iniziare ad insegnare.
“Salve, io sono la mamma di Sophie Leto.”
“Salve, io sono la signorina Granger* ed è un piacere conoscerla. Devo sapere qualcosa di particolare su Sophie?”
“No, l’unica cosa è che qualche volta si ostina a non voler mangiare la carne. Le piace molto, ma ha la fastidiosa tendenza di voler seguire suo padre e le sue fisse alimentari.”
“Vegetariano?”
“Già.”, esalò sofferente Monica.
“Va bene, cercherò di ricordarmelo. Ci vediamo alla fine della lezione, sa preferisco che i genitori non assistano.”
“Certo, lo capisco. Vado a recuperare Jared allora.” La signorina Granger diventò leggermente rossa.
“Jared Leto? Il Cantante?”
Monica Sorrise: ci mancava pure la maestra con la cotta per il suo ragazzo. “Sì lui.”
“Oh bene... bene...”
Monica ritrovò Jared mentre teneva per Mano Sophie che ancora non ne voleva sapere di andare a sedersi e parlava con alcune giovani mamme che ridacchiavano alle sue battutine allusive. La bambina le guardava con sguardo assassino.
“Jay, dobbiamo andare.”, gli disse mettendogli delicatamente una mano sulla spalla. “Sophie, vai a sederti, guarda che c’è un posticino libero vicino quella bambina vestita di giallo.”
Sophie prese anche Monica per mano, alzando il mento verso le altre mamme che la guardavano interdette e trascinò i due genitori verso l’unica seggiolina vuota rimasta.
“Io mi siedo qui!”
“Va benissimo.”
“Voi state qui?”
“No, dobbiamo andare a casa. Tu resti con la maestra. Mi raccomando, fai la brava e fai la simpatica.”, le rispose Jared, sorridendo.
“Bacino!” Monica sospirò: eccolo momento bacino al papà, momento per il quale Jared avrebbe venduto l’anima, e soprattutto momento dal quale lei era esclusa a priori. “Bacino Mamma.” Monica la fissò sorpresa, ma si abbassò e si lasciò dare un bacio sulla guancia. Erano così rari quei momenti di affetto puro e genuino da parte di Sophia verso di lei, che quasi si stava commuovendo.
Uscirono sotto il sole splendente di settembre, con Jared che le circondava le spalle, mentre Monica lo abbracciava in vita. La donna non se ne rendeva conto, ma stava sorridendo come un’ebete.
“La nostra bambina cresce ad un ritmo incredibile.”
“Cresce normale, Jay. Mica può accelerare il tempo solo per lei no?”, ribattè Monica.
“Tu mi rovini tutta la poesia, amore.”
“Io ti riporto con i piedi per terra, tesoro. Comunque è proprio diventata grande.”


Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontare quel discorso. Era normale, lei era sua madre, con chi avrebbe dovuto parlare di quel genere di cose. Sospirò e andò nella sua stanza.
Sophie era distesa a letto, sfogliava distratta una rivista, mentre canticchiava, cuffie nelle orecchie. Era diventata più alta di Monica, prendendo da lei anche la linea delle curve, cosa che le portava ad avere un bel seno sodo già a 16 anni.
La sua camera era quanto di più adolescenziale si potesse chiere: non c’era un solo centimetro di muro libero dai poster dei suoi cantanti preferiti e da un attore per il quale avrebbe fatto qualsiasi cosa, tra cui andare al cinema 20 volte in una settimana appena uscito il suo ultimo film, cose che aveva fatto impazzire Jared non poco.
“Sophie.”, la ragazza non rispose. “Sophie!” Vide gli occhi di sua figlia, così simili a quelli di Jared girarsi verso di lei. La guardavano un po’ annoiata e con aria scocciata per essere stata interrotta.
“Che c’è?”
“Cerca di fare attenzione quando butti a lavare i Jeans. Dentro le tasche ci possono essere cose che è meglio non lavare, o comunque non buttare in acqua calda.” Le pose sul cuscino, vicino al giornale, una piccola confezione metallica contenente, inconfondibile, un preservativo. Sophie prese fuoco immediatamente, sgranando gli occhi e balbettando presa in fallo.
“Non è mio!”
Monica alzà le sopraciglia e sorrise maliziosa. “Considerando che non sono nè marca nè misura di quelli di tuo padre e che io non li compro perchè ci pensa lui quando ci servono, deduco che sia per forza tua. Anche perchè stava, appunto, nei tuoi jeans. A meno che in casa non abbiamo anche un fantasma e io non ne sapevo nulla.”
“Mamma! Per favore, smettila!”
“Bhe che c’è? Non è che sto dicendo cose così terribili. In fondo sono decisamente sollevata sapendo che mia figlia fa sesso protetto.”
Sophie divenne ancora più scarlatta. “Per piacere, la vuoi finire. Non è mio quel coso, è di.... Janet.”, finì soddisfatta.
Monica sospirò e si sedette sul letto vino a lei.
“Sophie, siamo oneste tra noi. Hai sedici anni e da che mondo e mondo non esiste un genitore che sia mai riuscito a proibire ai propri figli di fare sesso. È natura, sono ormoni, è naturale.”
“Ma...”
“Lasciami finire. Non sarò io a proibirti di andare fuori con i ragazzi, ovviamente mi aspetto da te un determinato criterio e non che mi esci con qualsiasi cosa abbia un pene per il gusto di farlo.”
“Non ho mai fatto sesso con nessuno mamma!”, rispose Sophie a denti stretti.
“Meglio. Non fraintendermi, il sesso è una delle cose migliori del mondo, subito dopo una montagna di cioccolata, ma per quanto possa suonare retrò e noioso, la prima volta dovrebbe essere veramente fatta per amore, o almeno per qualcosa che ci somiglia. Rende il tutto molto più bello.”
“Perchè mi dici questo?”
“Preferisci che mandi tuo padre a farti sti discorsi?”, domandò sarcastica “Almeno finirebbero presto, si arriverebbe ad un ‘Sophie non uscirai fino a quando non sarai sposata’.” La ragazza inorridì.
“No, oddio no! Sabato ho la festa di Jenny!”
“Quindi tieniti caro il preservativo. E non ubriacarti, rimarrei parecchio delusa se perdessi la verginità con il sapore della bile in bocca.”
Capì l’espressione della figlia e uscì: fuori dalla porta si permise di allargare il sorriso vittoriosa.


L’acqua bollente era sempre stata un toccasana per loro, soprattutto se si permettevano un bagno nell’idromassaggio quando Sophie era ad una festa.
Peccato che il borbottare di Jared stava un po’ rovinando l’atmosfera simil romantica che Monica era riuscita a costruire con le candele piazzate in maniera tattica da dare alla stanza una calda luce arancionata.
“Jay la smetti?”
In quei ultimi anni i capelli di Jared avevano preso un’interessante sfumatura grigia, anzi, sale e pepe, come amava definirsi lui. Era ancora in ottima forma, nonostante l’età e continuava a girare il mondo, anche se con meno frequenza. Monica si stava divertendo ad accarezzargli pigramente il 30 sul braccio.
“Sono preoccupato, va bene? Chi è questo Dean con cui è uscita questa sera?”
“Un suo compagno di scuola, Jared. Un ragazzo normalissimo: suo padre ha una officina e sua madre fa la casalinga. Ah sì, suo fratello si chiama Sam ed è più giovane. Vuoi sapere altro di Dean?**”
“Bah, che non si azzardi a toccare la mia bambina.”
“Non è più una bambina, ormai sta divenando una donna e devi metteti in testa, anche se è difficile, che prima o poi troverà un ragazzo da amare e con cui, esattamente come facciamo noi due, farà l’amore. Capito?”
“Razionalmente lo capisco, ma non mi sta bene.” Monica rise.
“Ti prego, tu a 40 anni giocavi ancora con le bambole? No, non rispondere, lo so che lo facevi, ci sono le foto che dimostano che ti slinguavi le bambole gonfiabili. Comunque prima o poi, speriamo un po’ poi, anche Sophie farà sesso. Renditene conto.”
Jared spense l’idro e la abbracciò con il broncio. “Che brava mamma che sei.”
“Non esageriamo, diciamo che sono una donna e che forse capisco le cose meglio di te, che ormai sei lo zerbino/cavalier servente di tua figlia.”
“Ah, ah, ah, sto ridendo come un pazzo.”, rispose sarcastico “Sophie è fortunata ad averti.”
“Vorrei che lo capisse anche lei.”
“Uhm?”
Monica sospirò e aprì il rubinetto dell’acqua calda per scaldarsi un po’. “Ormai ho imparato ad accettarlo, mi sta bene: tu sei il genitore buono, quello perfetto, io sono il genitore cattivo, quello che mette i paletti. È normale, è ok, ma vorrei tanto che Sophie capisse che la amo quanto la ami tu. Invece mi sembra soltanto che io sia quella sbagliata o di troppo in casa.”
“Non dire cazzate, Sophie ti vuole bene, lo sai, sei sua madre, non potrebbe essere altrimenti.”
“Non ne sono sicura. La sua prima parola, i primi passi per venire da te, quando si andava in giro dava la manina soltanto a te, voleva solo te quando stava male... insomma, è abbastanza chiaro dove va la sua preferenza. Sei tu il suo genitore e ok, va bene, l’ho accettato da tanto. Mi basterebbe soltanto che mi dicesse che mi vuole bene, cosa che credo non faccia da quando aveva sette anni.” Jared la strinse baciandola sul collo: onestamente non sapeva cosa dirle. Monica l’aveva sempre preso in giro per quel suo attaccamento a Sophie, dicendogli che alla fine loro figlia era l’unica donna che riuscisse a fargli fare qualsiasi cosa, anche le più stupide ed inutili. Aveva sempre immaginato che questa cosa la facesse divertire, invece pareva fosse una cosa che la faceva soffrire e pure tanto. “Sono una pessima madre, questa è la verità. Non sono riuscita a farmi apprezzare neppure da mia figlia.”
Jared la sentì tremare, ma sapeva perfettamente che facendo scendere altra acqua calda, non avrebbe sistemato nulla.

Per quanto amasse suo padre, guardare vecchi film sul divano con lui, non era quello che lei avrebbe voluto per un sabato sera, soprattutto se quel sabato c’era una delle feste più importanti per la sua classe. Jenny Miller, figlia di un imprenditore multimiliardario, aveva aperto la sua enorme villa sulle colline per festeggiare il suo compleanno. Praticamente non solo tutta la sua classe era invitata, ma, soprattutto, c’era anche la classe dei senior e quindi Dean. Stava con lui da qualche settimana ed era come stare in Paradiso. Peccato che quella sera lui sarebbe stato circondato da una decina e più di galline che avrebbero provato a mettergli le mani addosso e lei era lì a guardare suo padre mentre tirava fuori dalle borse della spesa un pacco nuovo di semini per pop corn.
“Mamma ti ucciderà quando torna. Non mi hai preso neanche una bistecca.”, fece lei leccando un gelato quasi finito: odiava il sapore del legno del bastoncino.
“Rimarrà il nostro piccolo segreto, ok? Se hai voglia di carne aspetti che torni lei.” Sophie ridacchiò sotto i denti: da che ricordava i litigi più forti che avevano avuto i suoi genitori erano riguardati prettamente la sua dieta. Fin da piccola avrebbe voluto seguire le orme di suo padre, ma la mamma metteva i bastoni tra le route.
A pensarci bene era l’unica cosa su cui sua madre si impuntava: le aveva lasciato campo libero di fare quello che voleva delle sue scelte, sia a livello di studi, che sportivi. Eppure non le lasciava essere vegetariana. Doveva anche ammettere, però, che ogni tanto le piaceva mangiare un hamburger con le sue amiche dopo scuola.
Era decisamente confusa.
“È la prima volta che mamma sta via così tanto tempo, mi fa strano non averla sempre per casa.”
“Veramente quando avevi 4 anni è andata a fare promozione per un libro ed è stata via una settimana... credevo di impazzire.”
“Perchè?”
Jared si sedette davanti a lei: nonostante gli occhi fossero decisamente i suoi, il resto era la copia quasi sputata di Monica. Gli pareva di rivederla nel periodo in cui l’aveva conosciuta. “Perchè non sapevo cosa fare con te. Io avevo praticamente sempre e solo giocato con te quando eri piccola, era Monica a darti da mangiare, a portarti a dormire, a lavarti. Sapeva lei dove metteva la biancheria, o come tu stessa gestivi il bagnetto.”, rise, “Avevi la mania di fare i Mix di tutti gli shampi e bagnoschiuma e di usarlo per lavare i tuoi giochi. Mamma te ne faceva sempre trovare la giusta quantità nelle bottigliette piccoline, in modo da non consumarne troppo. Io non lo sapevo e ho dovuto pulire schiuma per il resto della notte mentre tu dormivi.”
Risero assieme.
“Dimmi ancora qualcosa di quando ero piccola, mamma non ne parla mai.”
Jared tornò serio. “Ti prendi mai la briga di ascoltarla?”
“Cosa intendi?”
“Dico...”, iniziò lui, camminando sulle metaforiche uova, “Che spesso dai per scontata tua madre e che forse dovresti capire meglio quanto ti vuole bene.”
“Mi stai sgridando?”
“No, ti sto solo dicendo che potresti far affidamento su di lei, invece che schivarla. Anche quando ti arrivarono le mestruazioni per la prima volta sei corsa da me ed è stato un disastro.”, la vide imporporarsi leggermente. “Mamma ha fatto di tutto per te, non dimenticarlo mai.”
“Ok, però non mi sembra che mamma abbia mai approfondito il discorso con me.”
“Non è facile avere a che fare con un’adolescente che non ti sta mai ad ascoltare. Sophie, ti amo, bambina mia, ma a volte sono io stesso a volerti prendere la testa e spaccartela contro il muro. Sei di una testardaggine estrema e mi domando ancora da chi hai preso.”
Sophie sgranò gli occhi e sbuffò: ci mancava solo la ramanzina di suo padre. Doveva cambiare argomento. “Allora stasera posso andare da Jenny, giusto?”
“Ferma lì, signorina, e chi te l’avrebbe detto?”
“Ma dai, Daddy, ci va tutta la scuola, mancherei solo io e i nerd del club degli scacchi, anzi forse neanche loro, perchè Jessy Lowell dà ripetizioni di chimica a Jenny e praticamente è invitato anche lui con la sua cricca. Ti prego, papà.”
“Ci va anche Dean?”
“Ovviamente!”
“E allora no. So come vanno a finire quelle feste, quindi non ci vai.”
“Ma papà!”
“Niente ma papà, così è deciso. Questa sera è il turno di 'Avatar' e ci guardiamo quello.”
Sophie battè i piedi a terra frustrata.
“Quel film è vecchio e noioso. Sarò l’unica persona a non esserci, sarò un’emarginata sociale grazie a te.”
La suoneria del nuovo telefono di Jared interruppe la discussione, facendo salire in camera una arrabbiatissima Sophie che borbottava su quanto fosse terribile la sua vita.
“Adolescenti... Pronto?”
“Ciao Jared, come va?” La voce era leggermente ovattata a causa della lontananza. Monica era volata a Torino per la Fiera del Libro, evento di caratura mondiale. Era stata invitata per parlare di romanzo rosa e delle figure di Camilla e Susan, sua nuova eroina cartacea, nel mondo della letteratura moderna. Ed essendo una delle finaliste per il premio letterario, doveva rimanere là fino alla fine del festival. Era partita un po’ preoccupata dello stato che avrebbe trovato in casa, ma sperava che Sophie fosse abbastanza adulta anche per Jared e che insieme avrebbero cercato di mantenere un certo decoro. Inoltre l’Italia la affascinava sempre parecchio.
“Uhm... benissimo, direi.”, rispose lui guardando il sacchettino di pop corn ancora sul tavolo.
“Perchè non mi sembri molto gioioso? È successo qualcosa con Sophie?”
“Nulla che non riesca a sistemare.” Poi ci ripensò: aveva appena detto a sua figlia di non darla troppo per scontata e adesso ce la teneva lui lontana? “Diciamo che vuole andare ad una non so quale mega festa di Jenny la simpatica e io le ho detto di no.”
“E perchè?”
“Monica, lo sai come sono quelle feste: alcool, forse droga e sicuramente sesso. Non manderò la mia bambina in un covo simile.”
Sentì Monica ridere dall’altra parte dell’Oceano. “Sei un’idiota cosmico. Non la puoi lasciare a casa, sarà l’unica a non andarci. È un evento importante nella sua crescita sociale, quasi come il ballo di fine anno. Dai, guardati il tuo film del sabato sera da solo o con Shannon, e lascia in pace Sophie. Dalle un coprifuoco, l’una al massimo a casa e guai a lei se beve alcool. Dille che se lo fa, finisce in punizione fino alla fine dell’anno e quindi oltre a scuola non solo non uscirà con Janet, ma soprattutto non vedrà Dean. Vedrai che se le fai abbastanza paura, seguirà gli ordini alla lettera.”
“Non sono molto d’accordo.”
“Jared, non farmi mettere te in punizione al mio ritorno.”
Jay sorrise alla cornetta. “E cosa mi negheresti?”
“Non lo so ancora, ma qualcosa posso sempre inventarmi. Ora passamela al telefono, che devo dirle una cosa.”
“Sophie!!! Scendi, mamma al telefono!” Urlò Jared dal primo scalino delle scale. La ragazza scese ancora con il broncio, gli occhi che lanciavano fuoco e fiamme verso suo padre.
“Ciao, mamma, come va in Italia?”
“Tutto ok, a brevissimo vado a mangiarmi una pizza di quelle veramente buone.”
“Ti invidio, qui prevedo solo pop corn.”
“Ma figurati, tu hai la festa, questa sera. Ti ho stirato il vestito, quello blu con le pailettes. È nella lavanderia, appeso in modo che non si sgualcisca.”
Sophie sbuffò: “Papà non mi ci vuole mandare!”
“Ci ho parlato io con tuo padre e ci vai. Però segui quello che ti dice di fare, altrimenti quando torno ti pentirai amaramente di aver disubbidito, va bene?”
Jared vide la trasformazione di sua figlia in presa diretta: improvvisamente non solo un sorriso era sbocciato, ma gli occhi azzurri brillavano felici e l’ombra scura e poco attraente era scomparsa dal viso. In una parola, sembrava un’altra.
“Oh sì! Grazie mamma, sei fantastica! Ti adoro.” Immaginò anche Monica dall’altra parte come doveva sentirsi in quel momento. “Sì, adesso te lo passo. Grazie mamma e divertiti. Ti voglio bene!”
Sophie andò di corsa in lavanderia a prendere il vestito, canticchiando felice e lui riprese a parlare con la sua compagna. “Adesso passerò io per il cattivo e crudele.”
“Ma figurati, sei sempre il suo Daddy, no? Vedrai che domani mattina sarà tutta un miele su di te. E vedi di non aspettarla alzata, non dà l’idea di un papà che si fida. Vai a letto e aspettala, ma non chiamarla.”
“Monica, lo so. Quindi stai buona. Vai a mangiarti la tua pizza e fai la brava. Non dar corda a nessuno di quei scrittori italiani.”
“Geloso?”
“Io? Mai, figurati.” Monica sorrise. “Buona serata tesoro.
“Buona giornata Jay. E non fare cazzate.”
*Citazione d’onore per Miss Hermione Granger
**Citazione d’Onore per Supernatural
   
 
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