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Autore: chiaki89    22/10/2011    4 recensioni
Una volta la mia migliore amica Leotie mi ha detto che avrebbe desiderato una gomma speciale, in grado di cancellare momenti della nostra esistenza che vorremmo riscrivere daccapo. Passi falsi, scelte sbagliate, paure insensate… è un sogno comune, sosteneva.
Jared non è un ragazzo uguale agli altri. È bello e simpatico. Le ragazze lo adorano. Ma come tutti i ragazzi, al primo incontro con l'amore rischia di rovinare tutto.
Kim non è una ragazza diversa dalle altre. Non è più bella, non è più matura. Si innamora, come tante. Ma ovviamente il coraggio per farsi avanti manca, finché l'imprevisto non bussa alla porta.
Una Kim/Jared senza pretese, scritta per il compleanno di Kagome_86. Auguri!
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon
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Questa storia è interamente dedicata a Kagome_86, che oggi compie gli anni!

Tantissimi auguri, Manu!

 

 

 

Una volta la mia migliore amica Leotie mi ha detto che avrebbe desiderato una gomma speciale, in grado di cancellare momenti della nostra esistenza che vorremmo riscrivere daccapo. Passi falsi, scelte sbagliate, paure insensate… è un sogno comune, sosteneva.  Soprattutto se eri appena stata mollata da un imbecille che alla prima occasione ti aveva tradito. Quel giorno ho faticato a capirla, perché pochissime volte in vita mia ho espresso il desiderio di cambiare il mio passato. Questo perché fin da piccola ho sviluppato l’abitudine a ponderare molto attentamente ogni singola decisione: analizzo minuziosamente le premesse e mi faccio un’idea –piuttosto azzeccata- delle conseguenze. A volte è difficile seguire questo mio personalissimo dettame, ma ci ho fatto talmente il callo che ormai è quasi automatico. Le decisioni impulsive non fanno per me: troppo… imprevedibili, ecco. Lo dico per esperienza.

Ma cosa c’entra una gomma per cancellare con la mia storia? Sicuramente più di quanto non avessi previsto.

 

 

GOMMA

 


Dire che il primo giorno di scuola è ogni anno uguale è un’assurdità bella e buona. Nulla, delle mie esperienze passate, mi aveva preparato al dilemma che mi sarebbe toccato fronteggiare quel mattino d’inizio settembre. In fondo la colpa era un po’ mia, avevo impiegato fin troppo tempo di fronte all’armadio in cerca del perfetto vestito per il primo giorno di scuola. Niente di trascendentale, ovviamente, ma per una volta volevo presentarmi… carina. Un aggettivo che non mi attribuisco molto spesso: ritengo di avere labbra troppo sottili e degli occhi così piccoli che sembrano navigare in un volto che, a confronto, mi pare enorme. Ma sto divagando.

Quel mattino imprevedibile ero entrata in classe trafelata, riuscendo a evitare il ritardo –e conseguente nota- per il rotto della cuffia. Mi ero fermata ansante accanto alla cattedra e avevo fissato sconfortata la classe già piena. Le mie amiche mi avevano guardato con un misto di rimprovero e rammarico: solo due posti infatti erano rimasti liberi, e non erano certo vicino a loro.

Posto numero uno: prima fila, accanto alla porta, incuneato tra il muro e Wayra, un ragazzo simpatico che ogni tanto usciva con noi.

Posto numero due: ultima fila, banco appiccicato alla finestra, condivisione dello spazio vitale con Jared, il “tipo carino dell’altra compagnia”.

Ed ecco qui il dilemma amletico: dove sedermi? Certo, già conoscevo Wayra e quindi avrei potuto mettermi accanto a lui, però… Jared mi aveva sempre attirato. Non perché fosse il cosiddetto “bello e impossibile”: quel tipo di ragazzi non faceva per me, decisamente. Ero troppo mediocre. Quello che mi colpiva di lui, piuttosto, era la modestia. Non l’avevo mai visto vantarsi di nulla, né del suo aspetto né del successo che riscuoteva nel genere femminile. Le ragazze infatti tendevano a ronzargli intorno con una certa insistenza ma lui le rifiutava sempre con garbo, senza mai farle sentire avvilite. O almeno queste erano le voci che circolavano, e alle quali aveva contribuito anche la mia amica Karen. Rimaneva quindi il fatto che Jared mi…  intrigava, ecco. Niente di più, niente di meno. Sarebbe stato interessante conoscerlo, magari avrei potuto intercedere per qualcuna delle mie amiche, chissà. E fare nuove amicizie era sempre da incoraggiare, no?

D’altro canto sedermi in ultima fila mi avrebbe impedito di seguire le lezioni come facevo di solito e avrei rischiato di distrarmi nel tentare di indagare il “mistero Jared”. Non che fossi una secchiona, beninteso. Ero semplicemente scaltra: preferivo ascoltare le lezioni e non studiare a casa, piuttosto che perdere tempo prezioso a recuperare le materie. Uscire con le amiche era infinitamente più interessante dello sgobbare sui libri.

Ancora immersa nelle mie considerazioni, avevo visto con la coda dell’occhio l’insegnante avvicinarsi alla classe. Rischiai di entrare nel panico. Non avevo ancora deciso! Jared o Wayra? Prima o ultima fila?

Alla fine mi ero affidata all’istinto, scelta per me più unica che rara. Ma che altro potevo fare? Trascinando i piedi e piantando gli occhi al pavimento, ero andata a sedermi accanto a Jared. Avevo mollato il mio zaino, che era caduto con un tonfo sordo, e avevo alzato lo sguardo sul mio nuovo compagno di banco. Lui mi aveva fissato vagamente sorpreso, come se non si fosse aspettato un gesto simile da parte mia.

“Posso?”, avevo chiesto a bassa voce. Non avrei potuto fare di meglio: la mia bocca era più arida del Sahara. Aveva annuito con un piccolo sorriso di circostanza. Perciò mi ero lasciata crollare a peso morto sulla sedia, consapevole che come prima impressione non stessi facendo propriamente una figura brillante.

Ed è da questa imprevista, istintiva decisione che sarebbe iniziata la storia che avrebbe cambiato la mia intera vita.

***

Jared era un ragazzo particolare.

Questo era tutto ciò che riuscii a elaborare in quelle prime settimane di scuola. Parlava raramente con me, ma quando lo faceva era sempre simpatico e disponibile. Aveva un modo irresistibile di chiedere spiegazioni, accessoriato da un sorriso abbagliante e un tono di voce vellutato: non riuscivo a dirgli di no.  Una volta, inaspettatamente, mi aveva difesa dalle cattiverie di Shona, una nostra compagna di classe tanto bella quanto stronza. Sapevo che non lo aveva fatto per me: avevo intuito che Jared fosse poco meno che cotto di lei, e quella presa di posizione era riuscita ad attirare l’attenzione della vipera. Però non potevo impedirmi di sentirmi lusingata da quel gesto.  Man mano che i giorni passavano mi sorprendevo a pensare fin troppo spesso a Jared, ai suoi occhi scuri e alle sue mani meravigliose. Le mani, certo: ovviamente ero talmente strana che ai ragazzi come prima cosa guardavo le mani. Se erano piccole, tozze e perennemente sudate, il candidato era eliminato immediatamente; ma Jared, come prevedibile, possedeva dita lunghe e forti, che spesso tamburellava sul banco, e mi sembrava di intuire che in genere il suo palmo non fosse disgustosamente sudaticcio. In sostanza, dopo un mese di scuola, mi ero ritrovata a dover concludere che Jared mi piaceva. Giusto un poco.

E poi era successo. Quel giorno maledetto in cui mi dimenticai la gomma a casa. La lezione di disegno tecnico mi parve un incubo: ero perennemente spaventata dalla possibilità di fare un errore che non avrei potuto cancellare. In genere ero brava, ma chiaramente la sfortuna aveva una gran voglia di ostacolarmi: cozzai contro il braccio del mio compagno di banco e in un batter d’occhio il disegno era rovinato da una bella riga lunga quanto il mio dito. Perfetto.

“Jared, mi presteresti la gomma?”, domandai depressa, fissando il foglio come se fosse colpa sua. Avrei perso almeno dieci minuti per sistemare tutto, già lo sapevo. Jared non mi rispose ed io, impaziente, mi girai verso di lui: si stava grattando la testa, apparentemente meditabondo. Poi afferrò la gomma, la incise con un’unghia e la piegò: quella si spezzò in due metà quasi perfette. Jared appoggiò la metà leggermente più grossa nella mia mano con un sorriso. “Ecco, così sei più comoda. Scusami se ti ho rovinato il disegno”. Spalancai gli occhi, incredula. Era un gesto così stupido, infantile, insensato…e dolce, sorprendente e bellissimo. Era il granello dorato che cadeva nel mio cuore, riempiendolo una volta per tutte. Ci si può innamorare per un motivo così stupido? A malincuore, dovetti ammettere di sì.

***

Passarono i mesi e il mio diario si riempì di scritte imbarazzanti: la più frequente era costituita dal mio nome accostato al suo cognome. Ripensandoci, me ne vergogno tuttora. Ma ero una ragazzina, d’altronde, e fantasticare sul ragazzo di cui mi ero innamorata era una delle mie occupazioni preferite. Le altre erano l’osservare ogni suo minimo movimento ed espressione facciale e il consultare giornalini stupidi per calcolare la compatibilità tra noi due.

Poi lui smise di venire a scuola. Rischiai le crisi di panico, soprattutto perché nessuno, neppure la sua pseudo-ragazza Shona, aveva idea del motivo. Evitava le chiamate, non incontrava chi andava a trovarlo…dire che ero preoccupata era un eufemismo. Ogni mattina arrivavo a scuola prestissimo e rimanevo lì, ancorata al banco, e mi torcevo le mani nella speranza che lui finalmente arrivasse e prendesse posto accanto a me. Avevo persino deciso, al colmo della disperazione, che se fosse tornato io mi sarei dichiarata a lui.

Quando lui rimise piede nella stanza, quel mattino di metà maggio, io stavo leggendo un libro. Sentendo rumore alzai gli occhi per fissare la porta: una sottospecie di gigante restituì il mio sguardo in modo un po’ perso. Lo avevo visto spalancare la bocca e ansimare un istante, per poi guardarmi con…devozione? Amore? Doveva avermi scambiato per qualcun’altra, era evidente. Stavo per chiedere al ragazzo se avesse bisogno di aiuto per ritrovare la propria classe, quando gli ultimi residui di torpore mattutino si dissiparono ed io riconobbi Jared. Sì, perché era proprio lui quel colosso alto poco meno di due metri che stava entrando nella stanza senza smettere di fissarmi. Non sapevo se essere più stupita o più felice. O terrorizzata, vista la sua mole attuale. “Ciao, Kim”, disse con la sua voce calda, ed io capitolai miseramente.

Il mio cuore iniziò a battere veloce, ubriaco di contentezza. Non ci speravo quasi più. “Ciao, Jared. Come stai?”. Lui si sedette al suo posto e la sedia scricchiolò sotto il suo peso. Mi regalò un sorriso bellissimo, solo per me. Sentii lo stomaco contrarsi in risposta.

“Mai stato meglio, Kim”. Aveva pronunciato il mio nome come se fosse fatto di cristallo. Cosa gli era successo in quei giorni? Stavo per chiederglielo quando un urlo mi costrinse a tacere.

“Jary! Sono stata tanto in pensiero per te!”. Shona, appena arrivata, si gettò su di lui con foga per baciarlo. Nel frattempo stava entrando un altro gruppetto dei nostri compagni di classe, che fissarono la scena ridacchiando apertamente. Avrei voluto sprofondare. Il ragazzo che amavo baciava un'altra, pensai disperata…beh, in realtà non lo stava esattamente facendo, mi corressi. Infatti, a un’occhiata più accurata, mi resi conto che lui stava resistendo eroicamente all’attacco a sanguisuga di quella vipera di Shona.

“Ma che hai, tesoro? Non mi vuoi più?”, si lamentò petulante. Quanto avrei voluto ficcarle su per il naso la matita…

“Senti, Shona, non abbiamo mai fatto coppia fissa, e adesso m’interessa un’altra. Mi spiace”, rispose lapidario. Cadde un silenzio imbarazzato, presto spezzato da qualche applauso ironico e un paio di fischi. Shona lo fissò come se fosse impazzito e per un istante mi ritrovai ad avere quasi pietà di lei: in fondo ci trovavamo sulla stessa barca, a quel punto.

“Sei uno stronzo”, sibilò, per poi correre via, probabilmente diretta verso il bagno dove avrebbe pianto qualche lacrima amara per poi incipriarsi e cercare un altro ragazzo da inseguire. Era fatta così.

“Kim, senti…”. Il professore entrò proprio in quel momento, impedendogli di continuare la frase. Jared afferrò un pezzo di carta e una penna con quella mano extra-large e scribacchiò qualcosa.

Posso parlarti dopo le lezioni?

E me lo chiedeva? Cercai –inutilmente- di fare l’indifferente e annuii senza guardarlo. Il cuore ballava la rumba nel mio petto ma lui non poteva sentirlo, giusto?

***

Suonata l’ultima campanella tutti si precipitarono fuori dall’aula. Io mi finsi profondamente occupata a mettere i libri nello zaino e attesi l’arrivo di Jared, assente dalla pausa pranzo. Agli insegnanti aveva detto di star male ed io avevo pensato che l’incontro fosse da rimandare. Invece Jared mi aveva infilato un foglietto nel diario, per confermare il tutto. Ero perplessa. Di cosa doveva parlarmi? Si era per caso preso una cotta per una mia amica? L’annuncio di quella mattina, ossia che era interessato a un’altra, mi aveva scioccato e lasciato addosso un senso di tristezza davvero insopportabile.

Fu la sua voce a interrompere il mio flusso di pensieri deprimenti. “Ehi, Kim”. Di nuovo quel tono delicato, quasi reverente. Jared stava diventando strano.

“Ciao. Ehm, cosa volevi dirmi?”, dissi precipitosamente, già persa negli scenari peggiori.

“Volevo dirti che ti amo”.

“Ah, ok. Bene…”. Ci misi qualche attimo per carburare. Cosa aveva detto? Avevo capito sicuramente male…

“Potresti… potresti ripetere, per favore?”.

“Ti amo, Kim”, ripeté sorridendo. Era bellissimo. Era anche stupido, se pensava che ci sarei cascata.

“Senti, Jared, sii serio. Tu e i tuoi amici dovreste elaborare con più attenzione i vostri scherzetti”, ribattei dura, fermamente intenzionata a non farmi prendere in giro. Poco importava che per un momento io avessi davvero sperato che le sue parole fossero vere.

“Non è uno scherzo, Kim, io ti amo veramente. Per favore, so che anche tu provi qualcosa per me, è così palese…”.

Avvampai per l’imbarazzo e per la rabbia. Come si permetteva di prendermi a pesci in faccia in quel modo? Chi si credeva di essere, Mister Universo? Soltanto perché io mi ero presa una stupida cotta per lui! Ero talmente nervosa che la stanza mi parve troppo piccola per poter trattenere la mia furia: avrei tanto voluto una via di fuga, ma Jared bloccava la porta.

“Smettila di dire assurdità, Jared”. Alzai la voce, frustrata per quella situazione di stallo.

“Non sono assurdità, Kim! I miei sentimenti sono sinceri, tu sei tutto il mio mondo adesso! E non sai quanto mi ha reso felice leggere il mio nome accanto al tuo, ho capito che avevo una speranza…”.

“TU!”, lo interruppi di nuovo, sconvolta. “Tu hai letto il mio diario! Come ti sei permesso? Non hai un minimo di rispetto verso di me! E vuoi pure che ti creda quando dici… quella… cosa! Va’ al diavolo, Jared!”. Ero talmente furiosa che mi ritrovai a tremare violentemente; gettai un’occhiata alla finestra alle mie spalle e mi sfuggì quasi un sospiro di sollievo. In men che non si dica mi arrampicai sul davanzale e saltai giù, ringraziando il destino per aver fatto sì che la mia classe fosse a pianterreno. Notai immediatamente che lui stava tentando di inseguirmi.

Piantai le mani sui fianchi, arrabbiata e ferita al tempo stesso. “Ti odio, Jared!”, gli urlai addosso. Lui si bloccò, stupito e… triste? Probabilmente perché il suo scherzo non stava dando i suoi frutti. Mi voltai e mi diressi verso casa, tentando di ignorare il mio cuore a pezzi.

***

Pensavo di aver risolto tutti i problemi con quella discussione. Mi sbagliavo di grosso.

Jared non era il tipo di ragazzo incline a mollare e lo compresi fin troppo bene in quei giorni. Probabilmente quel “ti odio” era riuscito soltanto a bloccarlo la prima volta, perché non ero più in grado di liberarmi di lui con quella tattica. Si limitava a rispondere con un “io invece ti amo”. E tutte le volte il mio stomaco si accartocciava, mentre io ero tentata di buttare la prudenza alle ortiche e accettare quello che mi stava dicendo, anche se sapevo che era solo uno scherzo. Però stava diventando fin troppo lungo, come “scherzo”.

D’altra parte sapevo che Jared aveva recentemente cambiato compagnia di amici, il che mi faceva sospettare ancora di più riguardo a un’ipotetica “sfida d’ingresso”: ma lui era davvero così infame da sfruttare i miei sentimenti per un motivo simile? Non capivo più niente, tutto era così confuso, e il fatto che io fossi innamorata di lui certo non aiutava.

“Kim. Kim! Stai distruggendo il tortino di patate. Troppi pensieri?”. Fissai distrattamente Leotie, la mia migliore amica, che mi guardava sogghignando. “Non starai mica fantasticando su Jared, vero?”.

Avvampai. Non era necessaria una risposta.

“Devi ammettere che la sua corte si sta facendo decisamente serrata. Ormai se ne sono accorti quasi tutti. Che ti costa dare un’occasione al povero ragazzo?”. Sbuffai, giocherellando con i resti del mio pranzo.

“Leotie, mi sta prendendo in giro, è palese. Ecco perché non lo accetto, quante volte te lo devo ripetere?”.

“Finché non ti deciderai a darmi retta, scema! È dall’inizio dell’anno che sei cotta di lui, anche prima di tutta quell’assurda storia della gomma! Tu prova, e se davvero è uno scherzo si risolverà in un nulla di fatto. Ma in caso contrario… davvero, rischi di perdere l’opportunità di una vita, e te ne pentiresti”.

“Direi che la tua amica ha ragione, Kimmy”. La voce di Shona precedette di pochissimo la proprietaria, che si sedette elegantemente accanto a noi. La fissammo come se fosse arrivata da Marte. Lei si limitò a tirare fuori una lima e cominciò a sistemarsi le unghie con nonchalance.

“Sai, credo che Jared sia sincero. Insomma, non l’ho mai visto così svenevole con nessuna, neppure con me. Incredibile, vero?”, disse genuinamente stupita. “Comunque. Sto uscendo con Paul, un ragazzo della sua compagnia, e lui mi ha confermato che quello che Jared urla ai quattro venti –ossia che è innamorato perso di te-è la pura verità. E Paul non mi direbbe mai una bugia, è così caro!”. Ridacchiò, improvvisamente persa nelle sue fantasie. Io e Leotie eravamo scioccate dal suo incessante chiacchiericcio che per la prima volta da anni era rivolto a noi. “Quindi ti suggerirei di uscire con lui quando te lo chiederà. E fidati, lo farà. Non fare la stupida, Kimmy, e dagli retta”. Detto questo si alzò e veleggiò verso un altro tavolo. A metà strada si fermò, come se avesse dimenticato qualcosa, e tornò da noi. “Tutto questo rimane tra noi, ovviamente. Non mi piace che si sappia in giro che ogni tanto mi va di fare la buona samaritana. Buona giornata, Kimmy. Leotie, carina la tua camicia”.

Si allontanò caracollando sui tacchi, lasciandoci basite e convinte di aver assistito a un miracolo.

***

“Ti prego, Kim, esci con me!”. Alzai gli occhi al cielo: non sapevo che Shona fosse una profetessa, ma ormai dovevo immaginare che fosse una ragazza piena di sorprese.

“Quando?”, chiesi con noncuranza, lo sguardo fisso sui libri che stavo sistemando. Sentii Jared trattenere il fiato per qualche istante.

“Stasera?”, azzardò. Annuii senza guardarlo, consapevole che il suo sorriso e i suoi occhi mi avrebbero reso creta morbida nelle sue mani. Ovviamente io non lo volevo.

“Ti piacerebbe andare al cinema? Passo a prenderti alle sette. O preferisci qualcos’altro?”, domandò premuroso.

“Va tutto benissimo. A stasera”. Me ne andai rapidamente, trattenendomi a stento dal saltellare. Come potevo essere così stupida? Ormai avevo deciso che Jared mi stava prendendo in giro con tutta quella tiritera dell’amore, per quale motivo ero così impaziente di riceverne le conferme?

Ipocrita.

La parola campeggiava nella mia mente a lettere cubitali, estremamente veritiera. Era inutile: non ero così diversa da tutte le altre persone come avevo sempre voluto credere. Nonostante i miei ragionamenti e i tentativi di razionalizzare tutto alla fine anche io mi lasciavo rapire dalla speranza di uno sviluppo migliore.

Perciò, come un’autentica sciocca, quella sera passai un paio d’ore a prepararmi, prima di dichiararmi soddisfatta.

Sentii il campanello suonare alle sette precise ed io sobbalzai, con il cuore in gola. Mormorai qualche preghiera agli antenati e mi avviai alla porta.

***

Il cinema e la cena non erano stati male, in fondo. Molto normali, a dirla tutta. Lui aveva insistito per offrire, ma io mi ero rifiutata entrambe le volte. Non era ancora il momento per certe cose. Amavo Jared però… dovevo ancora capire se potevo fidarmi di lui.

Passeggiavamo fianco a fianco da dieci minuti per le strade di Port Angeles, parlando di argomenti stupidi che non avevano presa sulla mia mente: entrambi eravamo consapevoli che stavamo allontanando il momento delle spiegazioni con tutte le nostre forze.

“Kim”. Il tono con cui lo disse mi fece comprendere che il tempo della fuga era finito. Allora mi fermai, respirando profondamente nella speranza che il battito del mio cuore rallentasse. Ero pronta.

“Ti ascolto”, dissi calma. Lo ero solo esteriormente, comunque. Lui passò nervosamente una mano tra i capelli corti: era un peccato che se li fosse tagliati, mi piacevano così tanto…

“Sono stato un completo idiota”. Ecco, le parole che non avrei voluto sentire. Quelle che confermavano la mia teoria. Sentii il dolore condensarsi dove il mio cuore batteva, come se qualcuno l’avesse improvvisamente stretto nel pugno. Feci per andarmene: non avevo intenzione di patire oltre quella sofferenza e quell’umiliazione.

“Aspetta!”. Per bloccarmi gli fu sufficiente sfiorarmi la spalla, niente di più. Ero patetica fino in fondo. “Sono stato un idiota perché ti ho gettato addosso una dichiarazione senza neanche pensare a come ti saresti sentita. Ma voglio che tu smetta di dubitare della mia sincerità, Kim”. La voce si era fatta dura, quasi autoritaria: chissà come, riuscì a rilassarmi. Lasciai la mia bocca libera di parlare per conto proprio, sperando di fare la cosa giusta.

“Jared, hai capito che… insomma, anche io provo le stesse cose. Però dovevo difendermi, capisci? Devo difendermi”.

Lui si avvicinò, gli occhi più luminosi che mai, come se la sua anima stesse facendo capolino da lì. Ed io avrei voluto sfiorarla, vedere se avrebbe potuto riversare nella mia un po’ di quello splendore.

“Kim, te lo giuro su tutto quello che ho. Sulla mia vita, su quella dei miei genitori, su tutto ciò che mi è più caro. Non ti ho mai mentito e non lo farò mai. Non devi difenderti da me, perché se tu mi accetterai –e anche se non lo farai, in realtà- sarò io a proteggerti da tutto. Ti amo, Kim, e non chiedo altro che una possibilità per dimostrartelo”.

Chi gli aveva insegnato a parlare così? Come poteva, con poche parole, squagliare tutte le mie difese e lasciarmi inerme di fronte a lui? I miei occhi si fecero lucidi e lui parve entrare nel panico. Si avvicinò ancora e mi prese le spalle tra le mani: tremava, inspiegabilmente, e non smetteva di scusarsi. Le sue parole inciampavano l’una sull’altra, stavolta, e sentii una fitta di tenerezza. Alzai una mano e gli accarezzai i capelli. Come spiegargli che avevo voglia di piangere per la felicità, per la paura, per l’incertezza, per… l’amore?

Si era paralizzato sotto il mio tocco affettuoso e questo mi fece sentire potente. Non più ragazzina spaventata e remissiva davanti alla dichiarazione d’amore, ma un’innamorata totalmente ricambiata. Forse fu in quel momento che lo capii davvero.

Allacciai le braccia intorno al suo collo e lo baciai di slancio. La sua risposta non si fece attendere.

Le sue labbra si muovevano sulle mie con una dolcezza disarmante, come se fossi fatta di vetro, e le sue mani calde scorrevano sulla mia schiena, sfiorando ogni vertebra attraverso il tessuto. Si staccò un istante e piegò leggermente la testa per baciarmi di nuovo. Le sue dita toccarono inavvertitamente una striscia di pelle nuda ed io sentii la pelle d’oca espandersi insieme a minuscoli brividi, sicuramente non di freddo. Jared era incredibilmente caldo…

Schiusi naturalmente le labbra, come se non avessi aspettato altro per tutta la vita. Lui approfittò immediatamente di quel contatto più intimo, ma nonostante ciò continuai a sentirmi padrona della situazione. Era come se con quel bacio stesse cercando di riversarmi dentro i sentimenti che a parole non riusciva a esprimere. E ce la stava facendo, egregiamente.

Ci separammo solo dopo alcuni minuti. Sapevo di essere arrossita, sapevo che il mio corpo aveva raggiunto la temperatura di una fornace… ma, soprattutto, sapevo che Jared non mi aveva mentito. Me lo sentivo nella pelle e nel cuore, lo leggevo dalla sua espressione trasognata.

“Posso pensare che mi darai una possibilità, quindi?”, chiese spezzando il silenzio imbarazzato che si era creato tra noi. Ridacchiai tranquilla, ancora circondata dalle sue braccia. Si stava decisamente bene, lì.

“Direi di sì”. Appoggiai il capo al suo petto e rimasi in ascolto del suo cuore, che sembrava battere all’unisono con il mio. Ero talmente sciocca che non riuscivo a pensare che a pochi concetti fondamentali.

Mi ama. Lo amo. Ci siamo baciati. Mi ama. Lo amo. Ci siamo baciati…

“Kim, dovrei farti ancora una domanda”, disse impacciato, e mi strinse un po’ di più.

“Spara”, risposi guardandolo negli occhi scuri. Possibile che quel ragazzo meraviglioso fosse innamorato proprio di me? Sicuramente avevo ottenuto molto più di quanto non meritassi. Ma non avevo intenzione di lamentarmi.

“Ti piacciono i lupi?”.

 

 


 

*Note dell’autrice*: questa one-shot è un piccolo regalo per Manu, meglio conosciuta su EFP come Kagome_86. Spero che ti sia piaciuta, cara! Non pensavo che avrei mai affrontato questa coppia, è stata una vera sfida!

So che Jared e Kim possono sembrare un po’ “immaturi” in questa storia, ma considerata la loro età ho preferito renderli così. Jared è troppo giovane per gestire qualcosa del calibro di un imprinting, quindi è normale –a mio parere- che sbagli del tutto l’approccio con la sua innamorata.

Uno speciale ringraziamento a vannagio, che si è gentilmente prestata a correggere la storia prima della pubblicazione!

Come al solito, commenti e critiche sono più che graditi. Grazie mille!

   
 
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