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Autore: Magnis    22/10/2011    0 recensioni
Per uno strano caso del destino, Shinichi deve convivere con Ran per una settimana. Se poi ci mettiamo anche Kazhua ed Heiji e le bravate di Sonoko...
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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C’è un tempo per i baci sperati, desiderati
Tra i banchi della prima B (…)
C’è un tempo per i primi sospiri, tesi e insicuri
Finché l’imbarazzo va via
Col sincronismo dei movimenti, coi gesti lenti
Conosciuti solo in teoria.

Guardava fuori dalla finestra. Ancora due ore e poi libertà totale. Sarebbe uscito, avrebbe preso un palone e cominciato a giocare, lasciandosi dietro tutto.
L’aria primaverile riscaldava un po’ gli ormoni di quello scemo in prima fila, che osservava la scollatura della nuova professoressa di storia.
Inoltre, pareva che Sonoko negli ultimi giorni si fosse allenata a rompere le palle.
Era diventata particolarmente brava. Continuava a pizzicarlo con la matita, forse per innescare la bomba ad orologeria che aveva dentro. Ad un certo punto, quando Sonoko si arrese, il suo sguardo si fermò su Ran, che guardava il cielo sbuffando. Era pur vero che di ragazze gli fregava ben poco. Gli bastava passare nei corridoi per avere centinaia di lettere di ammiratrici. Eppure quella ragazza, così calma e apprensiva che si poteva trasformare in una scatola di dinamite pronta ad esplodere, lo faceva fermare a riflettere.
Ecco che Sonoko ricominciava.

- A quando il matrimonio?! – sussurrò al giovane Shinichi, sghignazzando.
- Eh? Cosa? – fece lui, spaesato e balbettante. Ben tornato a Beika, Shinichi!
- Intendo il matrimonio con Ran!
Sonoko sghignazzò ancora.
- NON CI SARA’ NESSUN MATRIMONIO!Urlare, in quel momento, era un termine che esprimeva solo un centesimo di tutta la forza che ci mise Shinichi per dire quelle parole. Per non parlare del rossore, che lo faceva assomigliare a un pomodoro con un ciuffo di capelli in testa.
Solo due virgola trecentoquarantacinque secondi dopo, si accorse che tutta la classe sghignazzava verso di lui, mentre la professoressa lo guardava allibita.
Solo un secondo dopo si ritrovò in giro per i corridoi, sbattuto fuori dalla classe. Il lunedì sarebbe stato interrogato. Fantastico.

Congiunse le mani e lo pregò ancora. I ciliegi, facevano cadere i loro fiori sopra le teste dei due ragazzi. Quella piccola rompiballe accanto a lui, continuava a pregarla. Inutile urlarle contro tutti i “no!” possibili e immaginabili. Non gli si scrollava di dosso.
- Eddai, Heiji, te ne prego! Ho già comprato anche il suo regalo! – disse Kazhua, implorandolo.
- Mica mi stai nascondendo qualcosa? Lo sai, che sono il tuo datore di lavoro. Insomma, a chi devi dare questo regalo?!
La ragazza sbuffò. – A Shinichi.

Shinichi starnutì. Stavano parlando male di lui?
Ran e Sonoko camminavano davanti a lui, con la cartellina parallela alle ginocchia. Shinichi aveva le mani dietro la nuca e guardava il cielo. Cercava di capire cosa le due ragazze dicessero, ma niente. Ragazze… Sarebbe stato più facile capire il francese che lo giapponese che parlavano le due. A sbalzi irregolari sentiva il suo nome “Shinichi” e vedeva un arrossamento del viso di Ran seguito da un voltarsi (molto probabilmente un accertarsi se era stata sentita) e un fare segno a Sonoko di tapparsi la bocca. Mah, se si capivano loro era tutto ok.
Prima che si separassero però, Sonoko nominò l’ultima volta “Shinichi” e Ran assunse un’aria pensierosa. Ma che cavolo avevano?
Camminavano in silenzio. Lei guardava la strada che le passava sotto i piedi, lui osservava le nuvole che gli passavano sopra la testa. Possibile che non riuscissero mai a scambiarsi un parola?
- Palo ad ore dodici. – fece Shinichi.
Ran lo guardò con aria meravigliata, si girò e a un dito di distanza da lei c’era il palo dell’elettricità. Il suo amico scoppiò a ridere.
Poteva sapere cosa voleva da lei? Insomma, mica era perfetta che non sbagliava mai! Lo guardò e sospirò. Era contento solo se leggeva uno di quei libri scritti da Arthur Conan Doyle, se risolveva un caso, se correva dietro una palla o se lei stava per morire attaccata col naso a un palo dell’elettricità. E pure lo attraeva. Quelle volte in cui sorrideva, dopo un caso, dopo aver letto un libro, dopo che lei stava per morire, dopo essere stanco morto ma soddisfatto per aver corso tutto il tempo dietro a un pallone, lei non riusciva che guardarlo e fissarlo per lungo, scatenando l’invidia di tutte le ammiratrici del giovane detective liceale Shinichi Kudo. Perché quelle ammiratrici sapevano che li sguardi erano ricambiati dal detective stesso durante le lezioni. Una volta davanti al cancello di casa di Shinichi, Ran lo salutò.
- Prosegui da sola? – guardò il cielo – credo che tra massimo dieci minuti pioverà. Aspetta qui.
Corse dentro e dopo qualche secondo riuscì senza cartellina e con un ombrello.
- Ti accompagno! – concluse.
- Ma no, Shinichi non c’è bisogno! Non pioverà!
- Metti in dubbio le mie teorie? Beh, rimai anche sotto la pioggia, mia piccola Ran!
E con questo sghignazzò.
Una persona che passava in quel momento li avrebbe scambiati per due piccioncini che si affibbiavano nomignoli dolci del tipo ‘pucci pucci’ o ‘cippi cippi’.
Quel ‘piccola Ran’ era una presa per culo, e la ragazza lo sapeva. Si riferiva a come la chiamava suo padre, Kogoro Mori, ogni volta che la vedeva.
Presa da uno scatto d’ira, gli tirò un pugno che quel ragazzo schivò prontamente, ma nello schivarlo si beccò un calcio in mezzo alle gambe.
Sarebbe stato più piacevole il pugno.
Dopo essersi ripreso le buttò l’ombrello addosso.
- Prendilo. Mi ringrazierai domani, se i tuoi capelli non si rovineranno.
E con un gesto della mano la salutò, rientrando in casa.
Oddio, un altro calcio ci sarebbe stato bene.
Però… Perché le aveva dato l’ombrello se davvero non teneva a lei? “Che domande ti fai, Ran” disse tra se e se scuotendo la testa. “E’ normale: siete amici da sempre!”
Le faceva male la testa. Tutto quel pensare, pensare e pensare. Al diavolo, va! Era meglio risparmiarsi il pensare per tutte quelle equazioni con le x che vagavano nel libro. Domani, sarebbero usciti insieme e chissà se lui aveva capito il perché Ran gli aveva chiesto di andare a fare un giro.

Corsero verso l’aeroporto. La ragazza imprecava. Diceva qualcosa del tipo “il tuo pessimo senso di orientamento…” ma forse, la causa del ritardo, erano le valigie che Kazhua non aveva finito di preparare, più che il pessimo senso di orientamento di Heiji.
Il ragazzo avrebbe voluto tanto sbraitare. Ma in fondo perché perder… Stop. Kazhua si era fermata a baciare sulle guance un ragazzo. Castano, occhi neri, vispi e profondi. Divisa azzurra. Hm, faceva la guardia nell’aeroporto. Dalla posizione dei suoi piedi (uno più avanti dell’altro) si poteva dedurre che giocava a baseball. Aveva all’incirca 20 anni. Mancino. Kazhua lo stava abbracciando. COSA?! Kazhua lo stava abbracciando?!
Mollò lì le valigie e si avvicinò, prese Kazhua per il braccio e sbottò: - chi era quello?!
Kazhua scoppiò a ridere e si affiancò al moro prendendogli il braccio. Cavolo, il viso di Kazhua era identico a quello del ragazzo… E poi i lineamenti del ragazzo. Ehi stop. Quel ragazzo aveva un po’ di seno. Un ragazzo col seno?
Heiji divenne rosso.
- Mio carissimo compagno di scuola, ti presento mia cugina Haika! Fa la guardia di sicurezza qui, all’aeroporto.
A Kazhua piaceva sfottere Heiji e fargli fare figura di cacca. C’era riuscita. Quello non era un ragazzo. Una volta conosciuta la cara e dolce Haika, Heiji riprese le valigie e girò il berretto, coprendosi con la visiera il viso.
- Era attraente, quel ragazzo, vero? – continuava Kazhua.
Solo un’altra parola e l’avrebbe ficcata dentro la valigia.

Squillò il telefono. Si alzò dal divano e si mise in posizione eretta. Poggiò Il segno dei quattro sul tavolino e corse verso il telefono, scendendo le scale. Gli girava la testa, quasi fosse Plutone che girava in maniera impressionante intorno al Sole, peccato fosse Shinichi che cercava di raggiungere il telefono.
Ehi, un momento. Non mancava una scala? E perché ce n’erano due? Ci vedeva a doppio, forse?
Scese l’ultimo scalino. Alzò la cornetta del telefono. Fece in tempo a dire le prime tre lettere della parola pronto, che la persona all’altro capo del filo, ovvero Ran, sentì la cornetta del telefono cadere seguito da un tonfo sordo.

 

  
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