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Autore: adesso    22/10/2011    6 recensioni
1943-1945: l'Italia è un campo di battaglia. Dopo la deposizione di Mussolini e la firma dell'Armistizio con gli Alleati da parte del governo Italiano, le forze Tedesche prendono il controllo di gran parte del paese. Veneziano resta zitto, Romano no.
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nord Italia/Feliciano Vargas, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia non mi appartiene, è una traduzione dell'omonima storia dell'autrice 'adesso'. Potete trovarla sul sito FanFiction.net. Non possiedo né i personaggi utilizzati né il manga dal quale sono tratti. Questa storia non è a scopo di lucro.                                              

                                                                                                                                    Kingdom of Heaven

                                                                                                             Benedetti sono i poveri in spirito, perché loro è il regno dei cieli.

“Vado in Sicilia.” Disse a suo fratello, gettandosi in spalla la sua sacca.

“Vai a riconquistarla per noi?” Si illuminò Veneziano. “Non sapevo che fossi abbastanza forte! Ma stai attento, America può essere spaventoso.”

Romano corrugò la fronte, domandandosi se per caso si era guardato allo specchio di recente. Ma poi, Romano stesso probabilmente era messo peggio. Oltrepassò Veneziano e lasciò la stanza, dicendo. “Non è per questo che ci sto andando.”

Veneziano lo seguì verso la porta. “Perché, allora?”

Romano si fermò davanti alla porta. Serrò la mascella. “Metterò fine a tutto questo.” Quando Veneziano non rispose, continuò. “Qualsiasi cosa io debba fare, oggi è la fine. Se dovrò mettermi in ginocchio e baciare i grassi piedi di America, allora va bene.”

Aprì la porta, ma questa venne immediatamente chiusa quando Veneziano la spinse con entrambe le mani. Aveva gli occhi sgranati, ma ancora sorrideva, riuscì persino a ridere un po’.

“Non puoi farlo, Romano. Non possiamo arrenderci. Pensa a come si sentirebbe Germania se noi…” Si voltò per sorridere a Romano. “Non preoccuparti! Metterà tutto a posto, aspetta-”

Gettando la sacca a terra, Romano afferrò le spalle del fratello e lo spinse contro il muro. “Tu non capisci! È lui la ragione per la quale ci troviamo in questo casino! Lui e quel folle del suo capo, e il tuo glorioso Duce―credi che a Germania freghi qualcosa di noi? Ma sei così occupato ad essere il suo fottuto cagnolino che non riesci a vedere nient’altro. Non vedi le bombe che colpiscono Napoli, non c’eri quando mi hanno portato via la Sicilia, stanno bombardando la città del Nonno e noi siamo entrambi pelle e fottute ossa e tu non riesci a vedere!”

Lo sguardo di Veneziano era rimasto fisso su qualcosa oltre la sua spalla, ma ora scosse la testa e gli sorrise di nuovo, gli occhi che splendevano. “Ma quando sarà finita. Quando sarà finita saremo proprio come Papà.”

Romano prese fra le mani il volto di Veneziano, portandolo vicino, impiantandogli le dita nelle guance come a forzargli le sue ragioni nel cranio. “Ma non ti ricordi cos’è successo a Papà?”

Veneziano stava ancora sorridendo, ma le sue labbra si contrassero, le sue scure sopracciglia si sollevarono in un’espressione afflitta. “Non possiamo arrenderci. Germania si arrabbierebbe.”

Sbuffando, Romano lo spinse via dalla porta. “Allora puoi andare a confortarlo. Io vado a salvare entrambi.”

                                                                                                                 Benedetti sono i miti, perché erediteranno la terra.

Sicilia, primavera 1943

America era appoggiato allo schienale della sua sedia con gli stivali infangati sul tavolo. Inghilterra sedeva accanto a lui, schiena dritta e narici dilatate, con le mani serrate attorno ai documenti davanti a lui. Nonostante il suo portamento, Inghilterra non aveva un aspetto migliore di come si sentiva Romano – con i segni delle bruciature sul collo e la pelle attorno ad un occhio tutta gonfia di un colore giallo sfumato di blu.

“‘Giorno, Italia!”America lo salutò vivacemente, poi mormorò a Inghilterra, che non spostò gli occhi contusi da Romano. “Aspetta, sono uguali, quale è dei due?”

“Sud.”

“Giusto, Sud Italia, ti ‘spiace se ti chiamo ‘Italia’? Siediti!”

Romano arricciò il naso. Era abituato a gente che parlava in fretta, ma non a qualcuno le cui parole erano così mangiucchiate, a cui importava veramente poco di quali vocali del suo nome avrebbero dovuto essere enfatizzate. Ma si sedette lo stesso di fronte a loro, piazzando i piedi distanti l’uno dall’altro e incrociando le braccia al petto. Non sapeva quale nazione doveva fissare, perciò guardò un punto fra Inghilterra e America.

“Allora cosa volete che faccia?”

Le labbra spaccate di Inghilterra si curvarono in un sogghigno. “Potrebbe non esserci nulla che puoi fare. Stiamo ancora discutendo sul tuo valore come alleato, invece che come terra conquistata.”

“Aw, andiamo, Inghilterra.” America inclinò di lato la testa, sorridendo a Inghilterra. “Non devi spaventare il ragazzo.”

Inghilterra non prestò molta attenzione. “Stai certo, che qui non si tratta di paura, Romano.” Il suo accento massacrò completamente la pronuncia, e lui ne sembrò piuttosto orgoglioso. “Il punto è, che abbiamo veramente poco da guadagnare da un armistizio con te.”

Il ginocchio di Romano sobbalzò mentre lui si cacciava i pugni ancora più affondo sotto le braccia. “Come lo sai?”

Inghilterra portò le mani sotto il mento per appoggiarvelo. “Perché, caro ragazzo, ti sconfiggeremo in ogni caso.”

Non c’era assolutamente nulla da dire a riguardo. Romano sciolse le braccia e le appoggiò sui braccioli, tamburellando con il pollice mentre il suo ginocchio continuava a muoversi. “Sì, e quanti altri tuoi soldati dovranno morire per batterci?”

Le labbra di Inghilterra si contrassero e piegarono. “Cos’è? Sei preoccupato per i miei soldati adesso? Che strana cosa.”

Romano rilasciò un lungo respiro attraverso i denti serrati. “Senti, non sono stato io a farti quell’occhio nero, va bene?”

Il sogghigno si era ormai completamente trasformato in un ringhio. “Beh, di certo hai aiutato! Pensi che non abbia visto i tuoi aeroplani sopra Londra? O quella dannata piccola flotta che ti ritrovi?”

Romano non riuscì più a tenere ferme le mani, le gettò in aria ed esclamò roteando gli occhi. “Allora, trascinerai questa faccenda ancora per le lunghe perché sei arrabbiato con me?” Gettò indietro la testa e mosse la mano avanti e indietro, quasi schiaffeggiando l’aria. “E Cristo, non sono stato io a mandarti quei bombardieri – è stato quell’idiota di mio fratello, e solo perché il bastardo al comando glielo ha ordinato, e quello solo perché entrambi volevano farsi belli agli occhi di Germania.”

Riportò la testa in avanti così da poter guardare ferocemente Inghilterra. “Perciò se vuoi essere arrabbiato, arrabbiati con loro.”

Le spalle di Inghilterra si sollevarono mentre prendeva un lento respiro, aprendo la bocca per poter rispondere; ma America parlò per primo. “Non funziona proprio così, sai? Non possiamo essere in guerra solo con metà di voi.” Arricciò il naso, ma solo brevemente. “A meno che tu non stia parlando di scinderti da lui o qualcosa del genere.”

“Diavolo no! Hai idea di quale seccatura sia stata la nostra unificazione?”

America sorrise, sollevando le sopracciglia. “Ci scommetto!”

Inghilterra sbuffò e si appoggiò allo schienale della sedia. “Allora addossi tutta la colpa a tuo fratello, non è così? Dovremmo invadere solo lui allora, lasciandoti andare per la tua strada?”

Romando scoppiò a ridere, appoggiando i gomiti al tavolo e spingendo indietro la sedia. “Non ci arrivi, vero? Credi che stia cercando una via d’uscita? Sì, certo. Farmi invadere da voi sarebbe una via d’uscita.” Si sedette di nuovo normalmente, afferrando i braccioli. “Almeno così posso tirare qualche pugno a quel figlio di puttana.”

America intrecciò le mani dietro la testa, guardando Inghilterra di traverso, e scrollò le spalle. Poi riportò gli occhi su Romano. “E il tuo capo? Non mi pare che un’idea del genere gli farebbe piacere.”

Le labbra di Romano si incurvarono leggermente. “Me ne occuperò io.”

                                                                                                                  Benedetti sono gli afflitti, perché saranno consolati.

Roma, 9 Settembre 1943

C’era una sorta di calmo caos a Roma quel giorno. Il re e i suoi amministratori erano scappati, senza lasciare ordini, e i soldati erano troppo stupiti per fare molto tranne tenere in alto le loro armi per permettere ai Tedeschi di prenderle. Gli unici suoni erano quelli portati da Germania, coi suoi aerei che ruggivano lassù in alto, con la sua rude lingua che urlava ordini a chiunque non si fosse nascosto in casa.

Anche Veneziano era in silenzio quando Romano lo trovò, in piedi accanto ad un camion, il viso rivolto verso il cielo dove gli aerei sfrecciavano sopra gli edifici di loro nonno, liscio metallo che oltrepassava ineguale roccia.

“Che buffo sfondo.” Disse in un sussurro affannoso mentre Romano gli si avvicinava in fretta. Inclinò il capo. “O, forse lui è il soggetto, e noi siamo solo lo sfondo, e non riusciamo a capirlo da questa angolatura.”

“Sì, certo.” Sbuffò Romano. “Germania probabilmente sa tutto sulla composizione.” Afferrò suo fratello per un braccio. “Avanti, andiamocene da qui.”

Lo sguardo di Veneziano ritornò a terra, e lui sorrise a Romano. La sua espressione era dolce, sottomessa. “È così triste adesso.”

Romano corrugò le sopracciglia, chinandosi in avanti per guardarlo meglio. Poi scosse la testa e si accigliò. “Chi se ne frega, senti, dobbiamo andare prima che Germania―”

Veneziano rise, un suono mite che era poco più di una tranquilla risatina, e sollevò le mani così che Romano potesse vedere i ceppi che gli circondavano i polsi. Una spessa catena cadeva da questi e correva fino al camion dietro di lui. Scosse le spalle, sempre sorridendo. Romano lo afferrò per le spalle anche se gli si stava contorcendo lo stomaco.

Cosa diavolo c’è che non va in te? Gli permetterai semplicemente di farti tutto questo?”

Gli occhi di Veneziano si spostarono ovunque tranne che sul viso di Romano. “Avresti dovuto vederlo, era così arrabbiato…così ho pensato che forse―”

“No.” Romano gli diede una pacca sulla fronte. “Tu non hai pensato, tu non pensi fottutamente mai―” Eccetto forse quando sta dipingendo, in quel momento qualche volta sembra che stia pensando, ma non ha più dipinto niente da anni. “Tu fai e basta, e non ti preoccupi mai di cosa succederà dopo!”

Veneziano incontrò il suo sguardo allora, sbatté le palpebre, e poi sorrise ancora di più. “Oh, Romano…” Portò le mani costrette dai ceppi al volto di Romano, premendo la punta delle dita contro le sue guance. “Non preoccuparti! Andrà tutto bene! Ne abbiamo passate di peggio, no?”

La voce di Romano era bassa. “Non ne hai idea.”

Tirando la catena così da allungarla un po’, Veneziano sollevò le mani sopra la testa di Romano e avvolse le braccia attorno alle spalle di suo fratello. Appoggiò il mento sulla spalla di Romano, accasciandosi contro di lui come aveva sempre fatto quando erano piccoli. “Siamo stati divisi così a lungo, ricordi? Ma alla fine è andato tutto bene. Tutti ridono sempre di noi, vero? Pensano che siamo deboli. Ma siamo solo diversi.” Rialzò la testa, e sorrise. “E dobbiamo valere qualcosa! Tutti vogliono sempre venire a stare da noi!”

Romano si permise un piccolo sorriso. “Solo perché sei sempre stato una brava cameriera. Vorrei che tenessi pulita casa nostra come tenevi quella di Austria.”

Fu in quel momento che sentirono delle urla a qualche quartiere di distanza – aspre grida in un’aspra lingua. Entrambi guardarono in direzione di quelle voci, anche se non potevano vedere nessuno a causa degli edifici.

“Non gli permetterò di prendermi.” Romano riportò gli occhi su suo fratello. “Gli renderò le cose dannatamente difficili.”

Il sorriso di Veneziano si addolcì, piccole rughe gli apparvero sulla fronte. “Non ti è mai piaciuto Germania. Vorrei che foste riusciti ad andare più d’accordo.”

Le labbra di Romano formarono una linea sottile. Non aveva senso rispondergli – suo fratello possedeva una testardaggine tutta sua. Vedeva le cose in un modo particolare: Germania l’avrebbe protetto, diceva sempre, e Romano sapeva che ci credeva anche in quel momento. Quando Veneziano credeva in qualcosa, ci credeva con tutto sé stesso, e niente se non la mano di Dio avrebbe potuto cambiare le cose. E Veneziano credeva di dovere a Germania tutta la lealtà che aveva, un debito così profondo e inamovibile quanto l’amore che provava per l’altra nazione.

Ma anche Romano era testardo, e anche se Veneziano avrebbe potuto sciorinare un libro intero di ragioni per le quali amava Germania, Romano non era mai stato in grado di articolare la verità dell’odio che provava per quello stesso uomo, verità che andavano ben più in profondità di patate fradice e scismi della chiesa. Si trattava dell’alto, biondo guerriero del Nord che aveva voltato le spalle a loro nonno. Si trattava di come Germania sembrava credere di poter diventare la reincarnazione dell’Impero Romano, anche se non aveva mai visto Roma alla fine, anche se erano stati i suoi antenati ad infliggere il colpo fatale. Si trattava della loro lenta, dolorosa unificazione, e di come avevano sfidato anche il Papa per poter essere davvero uniti. Si trattava di tutto quello che avevano perso per guadagnare tutto quello che erano sul punto di perdere di nuovo.

Romano prese le mani di Veneziano dietro di sé, portandole sopra la testa e spingendo via suo fratello. “Solo. Prova a non fare nulla di troppo stupido. Verrò a prenderti presto. E cerca di dire le tue preghiere ogni sera. Solo perché te la spassi con un Protestante non vuol dire che devi diventare anche tu un maledetto pagano.”

Veneziano annuì e sorrise, lacrime che gli scorrevano libere lungo le guance tonde. Ma poi sgranò gli occhi. “Oh…oh, Romano, non ho il mio rosario, è a casa e non sono riuscito a prenderlo prima che lui arrivasse e―”

“Che problemi hai?” Romano gli diede un leggero schiaffo sulla fronte. “Dovresti averlo con te tutto il tempo!” Mise la mano in tasca in cerca dei familiari grani, e li cacciò all’interno della giacca di Veneziano. Poi afferrò il volto del fratello con entrambe le mani e premette fermamente le labbra contro la fronte di Veneziano.

“Non permettergli di prenderti anche questi. Qualsiasi altra cosa ci voglia rubare, non permettergli di prendere questi.”

Veneziano si toccò il petto dove i grani erano ora nascosti sotto la sua giacca. “Ma…questo è il tuo rosario, come farai a pregare senza?”

“Ne troverò un altro. La prossima volta che andrò in chiesa.” Romano lo strinse in un abbraccio, rilasciando una debole risata. “Io ci vado a messa.”

Veneziano si aggrappò alla giacca del fratello. “Ma pregherò, ogni giorno, e pregherò per te, e pregherò per gli Alleati e pregherò per Germania e Giappone, ma più di tutto pregherò per te. Tu pregherai per me?”

Romano lo baciò di nuovo, in cima alla testa. “Stupido fratellino. Lo faccio sempre.”

                                                                                                 Benedetti sono gli affamati e assetati di giustizia, perché saranno saziati.

Napoli, 26 Settembre 1943

Napoli era dolorante.

Era difficile per Romano dire quale parte del corpo gli doleva di più: c’era il taglio alla fronte che doveva essere costantemente bendato perché si riapriva se si accigliava troppo; la dolorosa pulsazione alla gamba era diminuita, ma ancora zoppicava leggermente; e le bombe che colpivano Roma bruciavano come ferro incandescente sul suo petto. Ma essere a Napoli – vedere i soldati di Germania marciare per le strade, ghignando alle donne e pestando gli uomini e rubando a entrambi, anche vedere le macerie lasciate dalle bombe degli Alleati – rendeva il dolore di quella ferita molto più forte.

Solo camminare per le strade faceva gridare in protesta ogni muscolo del suo corpo. Il balsamo che America e Inghilterra avevano promesso era lento ad arrivare, e avrebbe potuto pensare che gli avessero mentito, se non fosse che aveva sentito il calpestio di migliaia di passi stranieri che marciavano per la sua terra.

Marciare, sempre marciare; marciare e urlare, ecco cosa sentiva in quei giorni. Quando non c’erano marce e grida, c’era solo un silenzio che aleggiava pesante per l’aria come una nebbia nociva, permeando ogni strada e casa e chiesa. Questo era quello che Germania si era lasciato alle spalle: marce, poi grida, e poi il silenzio.

Si marciava ora innanzi a Romano, un soldato marciava all’interno di una piccola pasticceria in questa tranquilla strada. Questa particolare pasticceria era lì da molti anni, e Romano poteva ricordarsi la figlia del pasticcere che danzava e cantava per le strade. Ma la ragazza era cresciuta ora, e non poteva danzare e cantare in questi giorni, poteva solo rannicchiarsi in un angolo della pasticceria con una cappa macchiata in testa.

Romano attese qualche minuto prima di seguire il Nazista all’interno.

Il soldato apparentemente non aveva imparato le basi dei verbi Italiani, perché stava dicendo “Io dammi la ragazza! Io dammi i soldi!” La figlia del pasticcere si aggrappò al braccio del padre, sussurrandogli all’orecchio; c’era sudore sul viso di lui e lacrime su quello di lei. Ma poi lei smise di sussurrare – era l’unica ad aver visto entrare Romano. Quando lui incontrò i suoi occhi disperati, sgranati, annuì e basta, e portò una mano alla cintura.

Romano roteò il coltello una, due volte, avvicinandosi al soldato. Il Nazista aveva smesso di parlare in quella bastardizzazione della loro lingua e stava ora gridando in Tedesco contro il proprietario. Romano gustò l’improvvisa esalazione che tagliò a metà le grida del soldato mentre la sua lama gli penetrava nella schiena.

I lampioni in strada si stavano giusto accendendo quando Romano trascinò il Nazista morto fuori dal negozio per uno stivale, poi lasciò cadere la gamba e lasciò il soldato nel centro della strada. Fissò i ciottoli di Napoli, macchiati dalla sporcizia Tedesca, perché questa non era la loro città e a loro non importava di mantenerla bella, solo di mantenerla obbediente.

I Napoletani per le strade stavano mormorando l’uno all’altro, spostando gli occhi da Romano al soldato e attorno a loro aspettandosi di vedere arrivare altri soldati.

“Cosa?” Disse loro Romano. “Avete paura? Anche io.”

Teneva ancora in mano il coltello. Sangue colava dalla lama e lungo il suo braccio. Era viscido fra le sue dita e lui lo strinse con più forza.

Sono pronto alla morte.” Mormorò.

Mostrando i denti in un ringhio, cadde a terra, impiantando il coltello nella schiena del Nazista e lasciandolo lì. Piazzò il piede sulla testa del soldato morto, e questa volta la sua voce fu forte. “L’Italia chiamò!

All’inizio solo poche voci risposero. Ma tutti loro vedevano le bende strette attorno alla fronte della loro nazione, le finestre di Napoli chiuse da assi di legno o divelte, il sangue del Tedesco che colava dal pugno serrato di Romano. E presto l’intera strada, poi l’intera città ruggì insieme a lui. “Siamo pronti alla morte! L’Italia chiamò!

Quattro giorni dopo i Tedeschi se ne andarono. I pochi ritardatari vennero cacciati via dai cittadini di Napoli, Romano in testa. Ma prima che l’ultimo soldato potesse lasciare la città, Romano lo fece cadere, si mise accanto a lui a terra, afferrandogli il bavero della divisa portandolo vicino. Sorrise.

“Dì al Duce che sto venendo a prenderlo. E dì a Germania―” Il suo sorriso si trasformò in un ghignò. “―Che mi riprendo mio fratello.”

                                                                                                              Beati sono i misericordiosi, perché troveranno misericordia.

Provincia di Roma, Giugno 1944

Germania si stava ritirando. Una cosa strana a cui pensare, ma Romano non aveva molto tempo per pensare in quei giorni. Si acquattò fra gli arbusti del versante della montagna, guardando come ogni gruppo di soldati Tedeschi incespicava lungo il sentiero. Strinse la pistola e attese.

Quando gli ultimi soldati l’ebbero oltrepassato, si fermarono e si voltarono, gridando giù per la montagna, “Herr Deutschland!

Allungando il collo quanto poteva senza farsi vedere, Romano poté vedere la familiare figura dell’uomo biondo più indietro lungo il sentiero. Germania gridò una risposta e fece loro cenno di proseguire. Non aveva nemmeno in mano la pistola, tenendola nella fondina. I soldati esitarono per un momento prima di avviarsi di nuovo su per il versante.

Romano attese fino a che Germania non gli fu praticamente addosso prima di balzare sul sentiero colpendolo col calcio della pistola in viso con abbastanza forza da farlo rotolare giù per il passo per qualche metro.

Si avvicinò lentamente a dove Germania si era fermato; non incespicò come aveva fatto Germania, conosceva quello montagne fin troppo bene. La pistola era malferma, ma sempre puntata contro il petto di Germania.

Romano non sapeva cosa dire. Sapeva cosa voleva dire, ma c’erano così tante parole che imperversavano per la sua mente incensurate che se le avesse dette tutte era certo che Germania non sarebbe stato in grado di capire. E lui voleva che Germania capisse.

“Si erano arresi a te.” Fu la prima cosa che gli uscì di bocca.

Germania non lo guardò, semplicemente si pulì il sangue dalle labbra con il dorso della mano, lasciando una striscia di rosso a macchiare la pelle nera del suo guanto. “Devi essere più preciso. La tua gente ha un talento naturale nell’arrendersi.”

Romano gli tirò un calcio allo stomaco.

Cefalonia!” Gridò, spingendo in avanti la pistola. “I miei uomini si erano arresi, e tu li hai lo stesso ammazzati come fottuti animali.”

Germania non disse nulla, non lo guardò, non cercò nemmeno di alzarsi, rimase semplicemente appoggiato su un gomito a terra a fissare il versante della montagna.

Romano prese un lungo respiro e stabilizzò la mira, la voce. “Dov’è mio fratello?”

“A Salò.”

Questa volta, Romano gli tirò un calcio al petto.

“Cos’è, non hai voluto mandarlo in uno dei tuoi campi? A farlo lavorare per te?” Un altro calcio, e Romano si ritrovò a urlare. “Niente è sacro per te, vero? Cosa farai adesso, bombarderai il Vaticano? Sparerai in testa al Papa?” Si inginocchiò e afferrò una manciata dei capelli perfettamente tenuti di Germania, forzandolo a guardarlo in faccia. Sbatté la canna della pistola contro lo zigomo marcato di Germania, sibilando. “Vorrei solo che ammettessi quale malato bastardo tu sia.”

Germania sostenne il suo sguardo, ma non rispose. I suoi occhi blu avrebbero potuto appartenere ad una bambola per la vita che contenevano.

Romano spostò la canna della pistola contro la fronte di Germania e la usò per spingergli la testa nella polvere, premendola giù facendo comparire un cerchio rosso attorno alla punta della pistola, l’unico segno che la pelle di Germania non era fatta di cera.

“Forse dovrei solo farla finita.” Mormorò. “Cosa ne pensi, Germania?”

La voce di Germania era bassa senza traccia di minaccia, un semplice e meccanico insieme di suoni. “Non sarai tu a porre fine a tutto questo.”

Romano cercò di sorridere, ma i muscoli del suo volto erano così contorti dalla rabbia che tutto quello che riuscì a fare fu una smorfia. “Va bene. Voglio che tutto questo duri a lungo per te.”

Roteò la pistola così da stringerla per la canna, e poi colpì Germania al viso. Colpì la sua testa ancora qualche volta prima di gettare la pistola di lato così da poter usare i pugni. Ossa si frantumarono nel naso di Germania e presto le nocche di Romano si spaccarono e il suo stesso sangue schizzò contro quella pelle pallida.

E Germania glielo permise. Avrebbe potuto rispondere a ogni colpo, Romano lo sapeva, e avrebbe vinto, ma non fece altro che rimanere prono rilasciando solo l’occasionale gemito mentre Romano gli stava a cavalcioni, una mano stretta attorno al collo e l’altra che gli massacrava il volto.

Ansimante, Romano afferrò la maglia di Germania con entrambe le mani. “Perché non combatti? O ti piace soltanto picchiare mio fratello?”

Germania serrò gli occhi. Quella era l’unica cosa vicina ad una reazione che Romano avrebbe ottenuto da lui. Venne salvato dal dover capire cosa fare dopo da deboli voci che provenivano dalla montagna – voci che parlavano in Inglese.

Romano sentì Germania tendersi sotto di lui; non aveva più molto tempo ormai. Portò il viso vicino a quello dell’altro uomo. “Io vado a Nord.” Sussurrò. “E loro saranno proprio dietro di me. E quando sarò arrivato, che Dio mio aiuti, sarà meglio che mio fratello sia tutto d’un pezzo.”

Le voci stavano avanzando rapidamente, e più forte fra loro risuonava una risata vittoriosa che poteva appartenere solo ad America.

Germania sembrava essersi risvegliato dallo stato catatonico nel quale era caduto, e spinse via Romano con facilità, correndo su per la montagna dietro al suo esercito. Romano lo guardò andarsene, le mani tremanti, le nocche che pulsavano.

“Hey! Italia!”

Si voltò per vedere America che risaliva il sentiero, il suo reggimento alle spalle. Stava sorridendo. “Hey, non correre via così! Non senza un po’ di protezione, almeno!” Quando raggiunse Romano, America gli diede una poderosa pacca sulla spalla, e Romano non poté fare a meno di fare una smorfia. Ora che l’adrenalina stava abbandonando il suo organismo, si ricordò di quanto stava male.

“Grandi notizie.” Disse America, l’accecante luce del sole che si rifletteva sui suoi occhiali. “Hanno lasciato Roma. È ora di riprenderti la tua capitale!”

Quando l’unica risposta di Romano fu lo sgranarsi degli occhi e la bocca che si muoveva senza formare parole, il sorriso di America si addolcì. “Stai bene, amico?”

Romano chiuse la bocca e serrò i denti, muovendosi oltre America verso la sua città. “Presto.”

                                                                                                                 Benedetti sono i puri di cuore, perché vedranno Dio.

Ravenna, Settembre 476

Era andato a Nord per trovare suo nonno, ma Roma non c’era. Fu un bambino piccolo a salutarlo invece – un bambino piccolo con lo stesso viso di Romano che scoppiò a piangere solo a vederlo. Singhiozzando, ma sorridendo, oscillò verso Romano con tutta la velocità che potevano permettergli quelle corte, tozze gambe.

“Sei tu? Sei tu? Papà ha detto che ci saremmo incontrati un giorno! Sono così felice, finalmente ti ho incontrato, sono così felice!” E gettò le braccia attorno a Romano.

Romano si irrigidì nell’abbraccio; le braccia dell’altro bambino erano deboli, ma calde, e non del tutto estranee. “Io ti conosco.” Mormorò. “Come ti conosco?”

“Sono tuo fratello!” Si illuminò il bambino. Era più basso di Romano di un’intera testa; strano che riuscisse a parlare così bene. “Sono il Nord!”

Lui è dove è andato Papà.

Romano si accigliò. “Dov’è Papà?”

Il viso dell’altro bambino era seppellito contro il petto di Romano, lacrime che gli inzuppavano la maglia. Piccole dita afferrarono la stoffa mentre il bambino – come chiamarlo? Fratello? Nord? Ragazzino Che Gli Ha Rubato Il Nonno? – diceva con voce soffocata. “Nessuno te l’ha detto?”

Romano tolse le dita del bambino dalla sua maglia, poi lo tenne a distanza di braccio così che non potesse aggrapparsi di nuovo a lui. “Detto cosa?”

Il bambino abbassò il capo, il viso venne nascosto dalla tenda formata dai suoi bei capelli castani. “Nessuno era presente quando è successo. Solo io. Alcune persone ancora non mi credono. Era tutto così tranquillo. Sono solo arrivati e hanno detto al bambino che non era più l’Imperatore. Poi Papà ha detto che era stanco ed è andato a letto e non si è più alzato.”

La voce gli si spezzò alla fine e ricominciò a piangere.

Romano lo spinse a terra.

Salò, Aprile 1945

Romano corse per le stanze, il petto che si sollevava faticosamente, gli occhi che saettavano attorno così da non mancare di vedere nulla. Gli uomini di Germania se n’erano andati, e così quelli del Duce, lasciandosi alle spalle solo mobili e qualche misero effetto personale e documenti bruciati. Quello era stato il loro quartier generale, ma avevano coperto bene le loro tracce, e non c’era modo di dire se avessero tenuto lì dei prigionieri.

Ma qui era dove Germania aveva passato la maggior parte del suo tempo in Italia, e quindi sarebbe stato più facile tenere qui Veneziano, così che Germania potesse comandarlo, dominarlo, fino a che non fosse rimasto più nessuno spirito da frantumare.

Romano calciò una sedia contro il muro, e si mosse verso la prossima stanza.

Nel seminterrato trovò solo una porta chiusa. Angolò la pistola e sparò contro il lucchetto, poi tirò un calcio alla porta aprendola.

Le mura e il pavimento erano in cemento, l’aria stagnante odorava di muffa. C’era un sottile materasso in un angolo, un lavandino e un gabinetto in un altro. Veneziano era accasciato a terra nel centro della stanza.

Romano cadde in ginocchio accanto a Veneziano, lo fece rotolare così che avesse la testa appoggiata al suo grembo, il volto emaciato e cinereo rivolto verso l’alto. Mezze lune di porpora erano presenti sotto i suoi occhi. Romano gli schiaffeggiò le guance incavate, pensando che magari avrebbe potuto forzarci un po’ di colore. “Hey, hey, Veneziano!”

Veneziano fissò il soffitto con palpebre pesanti, lo sguardo vuoto, e sembrò non sentire suo fratello. Era coperto di sporcizia, e quando Romano portò il viso più vicino al suo un odore metallico gli riempì le narici. Afferrò la mano di Veneziano, e sentì a malapena la pelle sotto la ruvidezza di quello che era o sporco o sangue rappreso.

“Hey, dì qualcosa. Veneziano! Fratello! Nord! Hey, rispondimi, ragazzino!”

Gli occhi di Veneziano era rivolti verso l’alto, verso il soffitto e oltre. Non riconobbe mai suo fratello. Fu allora che Romano notò un leggero movimento delle labbra di Veneziano; stava mormorando qualcosa, e solo quando Romano si chinò così da sentire il respiro del fratello contro l’orecchio riuscì a capire cosa stava dicendo:

“…plena, Dominus tecum, benedicta tu…

Romano soffocò. Premette la fronte contro quella di Veneziano mentre recitava insieme a lui la preghiera. Ma Veneziano si bloccò su una parte, sussurrandola ancora e ancora con voce piccola, vuota. “-ora pro nobis peccatoribus, nunc et in hora mortis nostrae, in hora mortis nostrae, in hora mortis nostrae…” – prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte, nell’ora della nostra morte, nell’ora della nostra morte.

                                                                                                  Benedetti sono gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.

29 Aprile 1945

“Ave Maria―”

“―Concepito senza peccato.” Recitò Romano, con la stessa facilità con la quale respirava, con la stessa sicurezza con la quale si era fatto il segno della croce. “Perdonami, Padre, perché ho peccato.”

Il rosario che stringeva tra le mani era il terzo che aveva posseduto – il primo lo aveva lasciato in Spagna; il secondo lo aveva cacciato fra le mani di suo fratello proprio prima che arrivasse Germania. Questo gli era stato dato dal Papa quando era tornato a Roma mesi prima. Fece scorrere le dita sui lisci grani mentre contava i giorni a mente. “Sono passati un anno, sei mesi e due settimane dalla mia ultima confessione.”

“Che peccati hai commesso, figlio mio?”

“Ho ucciso un uomo, Padre.” Deglutì. “Ho ucciso molti uomini, in realtà. E- e una donna, anche.”

Sentì un lento sospiro provenire dalla’altra parte della cabina. “Perché li hai uccisi, figlio mio?”

“Perché- perché dovevano morire.” Si fissò le mani, appoggiate contro le gambe piegate, il rosario fra i pollici. “Io- noi- è stato per il bene della pace!”

“Allora li hai uccisi nel nome della giustizia?”

“Sì! Sì, ma…” Quelle morti, è vero, erano state in nome della giustizia, della pace – ma come spiegare l’accatastare i cadaveri nel mezzo della città, mutilarli, umiliarli? Quella non era stata opera del senso di giustizia di Romano; era stato il suo orgoglio ferito e il suo corpo ferito, la rabbia e il risentimento. “Quando è successo, mi sono sentito…mi sono sentito vendicato, mi-”

Chiuse gli occhi. “Mi è piaciuto.”

“Ma te ne penti ora?”

“No. Dovrei, ma non posso. Perché so che il mondo sta meglio senza di lui- senza tutti loro. È stata una cosa buona, Padre!” Romano si morse il labbro, le guance calde per la vergogna. Da quand’è che si metteva a discutere con un ecclesiastico? “Voglio dire…è solo…Dio vuole la pace, non è vero? Allora cosa ne faccio di coloro che disturbano la pace?”

La voce del prete era gentile. “Queste persone di cui parli, riceveranno il loro giudizio, con o senza il tuo aiuto. Il Signore vuole che tu difenda il Suo volere, ma non che tu perda la tua anima lungo la strada. Devi sempre mantenere l’amore nel tuo cuore, anche verso coloro che ti hanno fatto torto.”

Un fuoco divampò allora nello stomaco di Romano. “Certe volte non penso di poterlo fare. C’è questo- quest’uomo, Padre.”

“Lo odi?”

“Lo detesto.” Ringhiò Romano. “All’inizio erano solo piccole cose, ma poi lui…” Serrò i denti, strinse i pugni attorno ai grani del rosario. “Ha fatto del male alla mia famiglia. A tutti, ha fatto del male a tutta la mia famiglia – e io ho una- una famiglia molto grande, Padre. Li ha lasciati a morire di fame, li ha derubati, ne ha uccisi molti. Anche i bambini, Padre!” La sua voce si faceva sempre più veloce, mentre le sue mani gesticolavano nel nulla. “Beh, okay, non l’ha fatto lui direttamente, ma era a capo di coloro che l’hanno fatto, e di certo non ha provato a fermarli! Sapeva cosa stava facendo e l’ha fatto comunque, e ha ucciso i miei bambini, Padre-”

“E sarà punito.” Il prete lo interruppe con la sua calda, calma voce, arrestando il fiume di vetriolo che sgorgava da Romano. “Per mano di Dio Stesso. Ciò che provi è naturale – in questi tempi bui, anche il più santo degli uomini può desiderare la vendetta. Ma devi avere pietà di quest’uomo che ha peccato nei tuoi confronti, perché a meno che non si penta, la sua punizione sarà eterna, e non conoscerà il regno dei cieli.”

Se solo, pensò Romano, premendo il rosario contro la fronte. Se solo fosse così semplice. Cos’era il regno dei cieli per Germania? Per tutti loro? Per la sua gente era una di due inevitabilità, la fine di una strada che percorrevano per tutta la loro vita. Per Romano, era il luogo verso il quale rivolgeva le sue preghiere. Per Germania, il regno di Dio non era altro che un altro luogo da conquistare.

Il prete doveva aver preso il suo silenzio come un invito a continuare. “Devi scegliere il tuo cammino, figlio mio. E…beh, bambino, le tue parole ti fanno sembrare molto più vecchio di quello che suggerisce la tua voce. Abbi fede che Dio ti aiuterà a portare i tuoi fardelli. Anche i più grandi peccati possono essere perdonati, se lo chiedi a Dio.”

La fronte di Romano dolse quando i grani del rosario gli premettero contro la pelle. “Non è questo il peggio.”

“Hai un altro peccato da confessare?”

“Ho quasi ucciso mio fratello.”

Le ombre oltre la grata si mossero mentre il prete cambiava posizione, forse portandosi una mano al petto, o appoggiando il mento sulle mani. “Raccontami la tua storia, figlio mio.”

Romano appoggiò i gomiti sulle ginocchia, chinandosi in avanti appoggiando i palmi della mani contro la fronte, il rosario premuto in mezzo, creando diverse mezze sfere perfette sulla sua pelle. “Immagino di non averlo ferito io stesso, ma, beh, l’ho guardato e sapevo che sarebbe successo qualcosa di brutto e ho lasciato che accadesse, non ho fatto niente se non quando ormai era troppo tardi. E ora lui è―è un relitto. Non riesco nemmeno a farlo mangiare.”

“Hai forse alzato le mani contro tuo fratello?”

“Beh, no, ma―”

“E vuoi bene a tuo fratello?”

Romano piegò indietro il capo per fissare le ombre sopra di lui. “Sono sempre stato così geloso di lui. Vede, crescendo…sono stato solo un ingrato ragazzaccio che nessuno voleva mai tra i piedi. Ma mio fratello, tutti lo adoravano. Lui aveva tutti i bei dipinti e i testi ed era tutto quello che tutti noi avremmo voluto essere. Provavo così tanto risentimento nei suoi confronti.”

“Ma non lo hai ucciso.”

“L’ho guardato uccidersi.”  L’ho guardato distruggere tutto quello che è, solo perché pensava che qualche tizio gli avrebbe voluto più bene così.

“Ma gli vuoi bene?”

“Lui non sa quanto.” La voce di Romano tremò, incrinandosi mentre abbassava il rosario, i grani che tintinnavano fra le sue mani tremanti. “Non gliel’ho mai detto.”

“Forse puoi mostrarglielo.”

Serrò le mani, e alzò lo sguardo alla grata che li separava. Sapeva che aspetto aveva quest’uomo senza doverlo vedere in volto, sapeva quanti anni aveva, che era nato ad Ancona, che aveva voluto protestare contro i Fascisti ma aveva avuto paura per la famiglia di suo fratello, che suo nipote era innamorato di un’Ebrea.

“Padre,” chiese “cosa pensa di questo paese?”

Il prete cominciò a parlare, poi si fermò, e rimase in silenzio per qualche momento; attraverso le ombre Romano lo vide scuotere le spalle. “È un paese di peccatori.” Disse “Come ogni nazione al mondo.”

Romano sorrise debolmente. “Giusto.”

“Figlio mio, ti penti dei tuoi peccati?”

“Sì, Padre.”

“Allora prega una decade del rosario per ogni vita che hai preso. E per tuo fratello – occupati di lui al meglio delle tue possibilità. Il resto sta a lui e al Signore.”

“Sì, Padre.”

“Ora, recita l’Atto di Dolore.”

Romano unì le mani, il rosario premuto fra i palmi mentre portava le nocche alle labbra.

                                                                                               Benedetti sono i perseguitati a causa della giustizia, perché loro è il regno dei cieli.

Maggio 1945

Sedevano insieme sulle fondamenta di quella che una volta era stata una chiesa nella periferia di una piccola cittadina. I piedi di Romano penzolavano dai resti del muro mentre guardava le montagne; Veneziano sedeva accanto a lui, ma aveva il capo chino, fissava i banchi frantumati, l’altare in rovina, i frammenti di vetro che creavano un caotico mosaico sul pavimento annerito.

E ancora rimaneva in silenzio.

Non stava nemmeno mangiando. Romano aveva provato di tutto – non che avessero molto da offrire, ma aveva fatto il possibile con ciò che avevano – ma suo fratello non voleva mangiare. O parlare, nemmeno piangere. Non faceva altro che fissare proprio come in quel momento fissava le rovine della chiesa, con occhi aperti solo a metà e le sopracciglia leggermente corrugate.

“Immagino che sarebbe potuta andare peggio.” Commentò Romano, i talloni che colpivano il muro. “Saremmo potuti finire con Russia.”

L’espressione di Veneziano rimase la stessa, il che era sbagliato in sé stesso. Lui doveva essere fluido, le mani sempre in movimento, il profilo delle labbra che mutava sempre ad ogni idea che gli attraversava la mente. Non rimaneva mai a lungo fissato su un unico pensiero – solo per il tempo che gli ci voleva per decidere quale pomodoro era più maturo, o quale maglia indossare, o quale sfumatura di verde doveva usare per quella foglia che era parte di quel ramo che era parte di quel particolare dipinto che era la cosa che poteva guardare a lungo senza distrarsi. Perché quando pensieri oscuri continuano a rimanere in agguato nel retro della mente, uno non vuole pensare troppo a lungo ad una cosa per paura di scoprire dove porti.

La notte dopo che avevano reclamato Roma, quando finalmente erano riusciti ad avere una capitale e avevano potuto davvero chiamarsi Italia – quella notte, Veneziano era scivolato nel suo letto, si era aggrappato a lui e aveva pianto. “Non sarò mai più solo.” Aveva detto. “Saremo i nostri stessi capi, e non ci faremo più del male, e ci proteggeremo a vicenda, e Papà è di certo così orgoglioso di noi adesso!” Niente più guerre in casa nostra, aveva pensato Veneziano; niente più stranieri che marciano in casa nostra senza un invito, Romano era stato d’accordo. Che sogno donchisciottesco era stato.

“È come se non fosse mai finita, vero?” Mormorò Romano. “Ci sarà sempre qualcosa. Era lo stesso per il Nonno – non riusciva mai a riposare, neanche alla fine.” Alla fine quando mi ha lasciato per venire da te, perché sei sempre stato tu il suo preferito e io la causa persa. “Non voleva questo per noi, ricordi?” Ma forse Veneziano non si ricordava – o se lo ricordava adesso, almeno, dopo aver visto cosa succede quando qualcuno prova a diventare l’Impero Romano.

Se si ricordava, non lo fece notare.

Romano distolse lo sguardo con un sospiro. “Prima di andarsene – il Nonno, intendo, prima che andasse a Ravenna―” per stare con te “―gli ho chiesto se potevo avere una spada. Volevo imparare a difendermi, sai? Ma lui ha detto che non voleva che noi avessimo delle spade. Ricordi cosa ha detto? Ha detto che invece avremmo dovuto essere dei pittori – avremmo dovuto dipingere cose, scolpire, scrivere, cantare, tutte quelle cose lì. Ha detto che così saremmo rimasti giovani, avremmo vissuto a lungo e saremmo stati ricchi in modi migliori. A quel tempo la cosa non aveva avuto nessun senso per me, ma è questo quello che ci ha detto, disse ‘Non voglio che voi distruggiate, voglio che voi―’”

“‘―creiate.’”

Romano alzò la testa di scatto. Le labbra di Veneziano stavano tremando, gli occhi sgranati fissavano i frammenti di vetro sul pavimento della chiesa. Sollevò le mani tremanti per guardarle con orrore. La sua voce era poco più di un patetico squittio.

“Oh, Papà…”

“Veneziano, tu―” Romano lo afferrò per le spalle, cercando di guardarlo negli occhi. Ma l’attimo dopo Veneziano gli si gettò addosso, seppellendo il volto nel petto del fratello. Dalla profondità della sua gola provenne un terribile singhiozzo che riverberò per il petto di Romano, facendosi sempre più forte fino a diventare un grido. Romano era paralizzato, poteva solo fissare la testa di suo fratello.

“Ho pensato,” le parole di Veneziano erano soffocate “ho pensato che avremmo potuto creare insieme l’Impero Romano.” Tutto il suo corpo tremò e le sue parole rovinarono come una valanga. “È questo che mi aveva detto e lui mi aveva detto la stessa cosa e questa volta volevo che fosse la realtà ma non lo era e non lo era e ora ho deluso Papà e ho deluso te e―”

Romano rise. Era una risata strana – gentile, senza fiato. Quando Veneziano alzò lo sguardo su di lui, gli occhi rossi e le sopracciglia corrugate, Romano gli prese il viso fra le mani e sorrise.

“Sei tornato normale! Grazie a Dio, mi stavi davvero spaventando.”

Veneziano tentò di sorridergli, ma non ci riuscì quando venne sopraffatto da un altro singhiozzo. Quindi si gettò contro Romano, premendo un maldestro, umido bacio contro la sua guancia, per poi piangere contro il suo collo.

“Senti, devi solo…” Romano appoggiò una mano sulla testa di Veneziano. “Il Nonno sapeva di cosa stava parlando. Devi solo ricordarti cosa ci ha insegnato, va bene?” Perché ha insegnato tutto a te, e sei tu quello da cui io ho imparato.

“Mi dispiace, Romano.” Sussurrò attraverso i singhiozzi. “Mi dispiace per tutto.”

Romano roteò gli occhi. “Ti perdonerò, se mangerai qualcosa.”

                                                                                                                                                       La fine

Note Storiche:

-Le parti in corsivo fra i paragrafi sono le Otto Beatitudini, le benedizioni dal Discorso della Montagna di Gesù.

-Le parole in latino che recita Veneziano provengono dall’Ave Maria:

Ave, o Maria, piena di grazia, il Signore è con te. Tu sei benedetta fra le donne e benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù. Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Amen.

-Il malcontento pubblico degli Italiani nei confronti della guerra culminò con il rovesciamento di Benito Mussolini e l’armistizio con le Forze Alleate, firmato il 3 Settembre. L’Italia non ha avuto scelta se non quella di accettare le condizioni degli Alleati, le quali includevano il minimo supporto in caso di ripercussioni dei Tedeschi contro gli Italiani. Il giorno in cui venne annunciato l’armistizio, le forze Tedesche presero rapidamente il comando, disarmando i soldati Italiani e prendendo il controllo della maggior parte del paese.

Pochi giorni dopo, i paracadutisti Tedeschi salvarono Mussolini e lo portarono a Nord, a Salò, dove venne istituita la Repubblica Sociale Italiana come governo fantoccio.

-Le Quattro Giornate di Napoli: le forze Tedesche vennero scacciate dalla città di Napoli da una rivolta dei cittadini.

-“Cefalonia” si riferisce all’isola Greca dove, poco dopo la firma dell’armistizio, 5,000 soldati Italiani vennero uccisi dopo essersi arresi all’esercito Tedesco. Questo non è stato che uno dei crimini di guerra commessi dei soldati Nazisti contro gli Italiani.

-Nel 1945, con gli Alleati che avanzavano verso Nord e la Resistenza Italiana che acquistava forza, Mussolini, sua moglie, e diversi ministri cercarono di scappare in Svizzera, ma vennero catturati dai Partigiani della Brigata Garibaldi. Vennero uccisi tutti, e più tardi i loro corpi vennero esposti in pubblico così da essere derisi e presi a colpi di pietre.

-Non c’è una data precisa per la caduta dell’Impero Romano, ma molti affermano che la deposizione dell’ultimo Imperatore dell’Ovest, segni la sua fine. Questo avvenne quando la capitale era stata spostata da Roma alla città di Ravenna nel Nord Italia.

-Le frasi pronunciate da Romano a Napoli provengono da una strofa del Canto degli Italiani, l’Inno Nazionale Italiano.

Fatemi sapere che ne pensate e se avete qualche osservazione da fare riguardo alla traduzione!

  
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