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Autore: DazedAndConfused    22/10/2011    2 recensioni
Tonight I'm tangled in my blanket of clouds... Tre persone. ...If you walk out on me, I'm walking after you... Tre storie. ...Another heart is cracked in two, I'm on your back. Tre cuori. La scintilla scoccata con una canzone.
Genere: Fluff, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tonight I’m tangled in my blanket of clouds.



-… pronto?- una voce impastata nel sonno rispose con tono piatto e lievemente scocciato.

-Chris…-

-Kurt, che sorpresa! È un po’ che non ci si sente, eh? Come va?- gli rispose l’altro, e Kurt poté percepire chiaramente il ritrovato entusiasmo della sua voce, immaginando anche il suo sorriso fargli capolino tra le labbra. Al solo pensarlo più rilassato la fitta scomparve per qualche secondo, dandogli il tempo di riprendere un po’ il fiato.

-Io… non… non molto bene, ecco.-

Kurt amava la propria capacità di prevedere in qualsiasi istante il modo in cui il bassista avrebbe reagito. Sapeva che da un momento all’altro avrebbe dato due colpi di tosse, dovuti al suo trattenere inconsapevolmente il respiro e, cercando di dare nell’occhio il meno possibile (non riuscendoci affatto), gli avrebbe chiesto cosa diamine fosse successo.

Il tossicchiare nervoso di Novoselic non si fece attendere, così come il suo chiedere in tono fintamente pacato -Che cazzo t’è successo?-

Il ragazzo giocherellò con una ciocca bionda e non poté fare a meno di sorridere: quel “cazzo” era il segno tangibile di un’isteria da liceale mestruata che l’amico non riusciva proprio a celare.

-Ho provato l’ero.-

Krist serrò la stretta convulsa sulla cornetta, rendendo le nocche bianche come cenci.

-… come, scusa?-

-Non ce la facevo più, cazzo! Le fitte continuano ad aumentare, Chris, e io non ce la faccio più…-

L’altro sospirò: -L’eroina non è uno spinello, Kurt… è… è orribile, è solo merda, ti fotte il cervello!-

-Mi sembra di avere i Gremlins in pancia, merda…- tentò di sdrammatizzare lui, ma l’altro non lo stette a sentire.

-Non sto scherzando… Promettimi che non lo farai più!-

-Te lo prometto, Chris.-

 

 

-Sei una checca! Solo le checche inviano letterine romantiche, testa di cazzo!-

Chiunque fosse passato davanti alla buca delle lettere in quel preciso istante forse non lo avrebbe riconosciuto, ma avrebbe certamente pensato che a quell’essere umano plasmato a mo’ di palo della luce mancasse qualche rotella.

-E solo le checche ancor più checche non hanno il coraggio d’imbucarle!- strillò nuovamente, non realizzando di dare spettacolo al vicino di casa settantenne, che a quell’ora era solito portare a spasso il suo vecchio bassotto.

Krist diede un respiro profondo e finalmente fece scomparire la busta dentro l’imboccatura della cassetta, sentendosi potente come un Highlander.

-Checca. Checca. Checca. Fottutissima checca!- si rimproverò nuovamente, ritornandosene in casa e lasciando che il vecchio e il cane osservassero quel metro e mezzo di pantaloni viola sparire dietro la porta d’ingresso.

 

-Ma dimmi te se devo sempre far contenta quella troia là…- mugugnò, gettando nel borsone dei vestiti pescati a caso dal pavimento, scegliendoli con il suo personalissimo criterio del “prendo quelli che puzzano meno di morto”.

Dopo aver chiuso lo scaldabagno e aver lasciato un messaggio nella segreteria telefonica di Dave, uscì di casa e appiccicò alla porta il cartello “Attenti al cane” che usava sempre quando si assentava.

Non si poteva mai sapere con la gente che bazzicava a quei tempi, tutti potenziali ladri del preziosissimo vinile di My Generation che conservava nel secondo cassetto del comò come la più preziosa delle reliquie esistenti sul globo terrestre.

Pregò Dio, il karma e Superman di proteggere la sua creaturina e saltò sul taxi che era finalmente arrivato, facendo ben attenzione a non sbattere la testa sul tettuccio della vettura.

D’altronde, non sarebbe stata di certo la prima volta che il suo tenero cranio avrebbe avuto l’onore di assaggiare un corpo contundente.

 

 

Se in quel momento un’orda di giornalisti gli avesse chiesto se n’era veramente valsa la pena di fare il figo sul palco, ottenendo in cambio soltanto una figura dimmerda coi fiocchi, non avrebbe avuto alcuna titubanza nel rispondere un secco.

MTV aveva un’amplificazione del cazzo, su questo non c’era alcun dubbio, e lui, vuoi per questa mancanza della rete, vuoi per l’euforia della performance, si era esibito in un suo personalissimo spettacolino a base di bassi che non conoscono le leggi della gravità.

La sua fronte però le aveva imparate a proprie spese, quando il manico gli aveva tatuato affettuosamente sulla pelle un segno della sua visita di cortesia.

Krist aveva strisciato in giro per il palco sotto lo sguardo di Dave, intento a pestare sui tamburi, fino a quando aveva imboccato confuso l’uscita di sicurezza ed era entrato nel bagno barcollando, stupendosi di quanto sangue potesse uscire da quella fenditura, un piccolo e sentito omaggio da parte del dio del Rock n’ Roll.

I paramedici lo avevano poi quasi soffocato quando invasero il piccolo cesso, sottoponendolo a visite d’accertamento, bendaggi e idiozie d’ogni tipo, sotto le sue proteste per farli desistere da quell’improvvisa quanto acutissima sindrome della crocerossina.

Aveva appena ironizzato sul fatto se fosse necessario fargli anche una lavanda gastrica e si era inquietato quando li aveva visti pensarci su, quand’ecco che dalla porta aveva fatto capolino una testa folta di ricci scuri, seguita da un sorriso gentile.

Mandare affanculo dottori e compagnia bella fu un giochetto da ragazzi, considerando anche il fatto che uno dei migliori chitarristi del Rock era lì, solo per lui, e gli stava facendo l’allettante proposta di scolarsi dello champagne in sua compagnia.

Krist non se lo fece dire due volte, facendo prendere un colpo ad un Dave piuttosto agitato che, finita l’esibizione, si era precipitato nel backstage per accertarsi delle sue condizioni di salute e che se l’era invece ritrovato a sghignazzare con uno dei suoi idoli adolescenziali, lasciandolo livido più per l’invidia che per lo spavento.

E quando Kurt irruppe nello stanzino, aggredendolo per aver perso il tempo, Krist non si scompose minimamente: sapeva che quello era il suo personalissimo modo per fargli sapere quanto si fosse preoccupato, e in cuor suo sperava che quell’atteggiamento burbero derivasse anche da una gelosia che il cantante non avrebbe mai e poi ammesso a se stesso, figuriamoci a lui.

 

 

Quella mattina a Seattle pioveva.

Era una di quelle fastidiose pioggerelline primaverili, di quelle che ti urtano nell’animo. Non che generalmente il Sole lì spaccasse le pietre, però sarebbe stato alquanto carino tornare nella propria città e trovarsi un’accoglienza degna di essere chiamata tale.

Ma Seattle non sarebbe stata se stessa senza il marchio della pioggia perenne, quell’acqua che creava una cupola appannata e gonfia d’umidità e vapore, quell’acqua che opprimeva e rendeva le persone grigie già dalla nascita.

E siccome le sfighe non vengono mai da sole, ma sempre in piacevole compagnia, aveva scoperto che il taxi su cui si era fiondato per ripararsi dal diluvio universale aveva l’autoradio scassata.

E questa era cosa grave e ingiusta, perché Krist Novoselic detestava i gelidi silenzi che s’instaurano sempre tra passeggero e guidatore ma, ancor di più, detestava il dover raccontare vita, morte e miracoli di se stesso ad un tassista piuttosto ficcanaso e dall’accento inconfondibilmente made in Little Italy.

 

 

-Ma non mi dire, cos’abbiamo qui? Un Kurt Cobain intento a scribacchiare le sue seghe mentali sul suo diariuccio rosa confetto!-

Dave saltò addosso al cantante e tentò di strappargli dalle mani il quadernetto, ma quello resisteva intrepido, chiudendosi come fa un riccio quando si ritrova pericolosamente vicino alle ruote di un veicolo in autostrada.

Krist assisteva alla scena in un misto di apprensione e invidia: si aspettava che da un momento all’altro Kurt sclerasse di brutto e si scrollasse di dosso Dave, per poi pestarlo a sangue. Non gli sarebbe poi dispiaciuto così tanto dover fare da spettatore ad una scena tanto cruenta; se non altro, il batterista avrebbe finalmente levato le mani di dosso da lui.

La scena da perfetto film splatter che la regia del suo cervello stava magistralmente girando venne però interrotta dalla voce di Dave.

-Perché scrivere un diario?-

-Hai mai scritto delle lettere?-

Krist sorrise: era tipico di Kurt rispondere ad una domanda con un’altra domanda, ed era sicuro che ben presto se ne sarebbe venuto fuori con una delle sue perle di saggio incompreso.

-Sì, un paio… E parecchi anni fa…- sorrise l’altro, quasi per giustificarsi di quella mancanza.

-Ecco: tu hai scritto agli altri, io pure. Io scrivo ad una parte di me che ancora non conosco, che ancora non mi conosce, ma che verrà fuori col tempo. Questa parte di me sarà la chiave per tutto quello che non riesco a comprendere ora.-

Seguirono brevi attimi di silenzio abbastanza pesante, interrotti dalla solita ma alquanto provvidenziale demenza di mister Grohl.

-… e pensare che quella figa della mia compagna di banco del liceo lo usava solo per scriverci sopra che voleva scoparmi!- 

Kurt rise di cuore e, dopo aver riposto il quadernetto nella sua vecchia borsa in stoffa, accettò il silenzioso invito di Dave di unirsi ad una bevuta pre-registrazioni.

Krist vide la chioma del cantante, del rassicurante color del vino, scomparire dietro la porta blindata, e restò in silenzio.

Odiava il fatto che Kurt non fosse una persona come le altre e che non avesse qualche anno in meno.

Essere uno stupido ragazzetto quattordicenne gli avrebbe sicuramente permesso di scrivere il suo nome, rigorosamente con la C, tra quelle pagine.

E se c’era una cosa che Krist voleva con tutto se stesso, quella era trovare per sbaglio il proprio nome tra una presa per il culo rivolta ai Guns n’ Roses e l’altra.

 

 

171 Lake Washington Blvd. E. assomigliava ad un pacco regalo sciupato, legato dal triste nastro della polizia, mentre le sirene delle volanti lampeggiavano senza sosta, facendosi strada tra le gocce di pioggia.

Krist aveva il presentimento che quella sorpresa che stava per avere non gli sarebbe piaciuta affatto.

 

 

Il telefono squillò una, due, tre volte, ma nessuno si decise ad alzarsi dal letto.

Solamente al quarto squillo, quando Shelli mugugnò e girò fianco, Krist capì che era un modo indiretto da parte di sua moglie di fargli capire che l’ardua impresa spettava solamente a lui.

La radiosveglia sul comodino segnava le 2:07, e l’uomo non poté fare a meno di mugugnare una bestemmia a denti stretti, maledicendo l’autore del risveglio.

-Ma dimmi te chi cazzo può essere a ‘ste ore del mattino, porcaccio il Sign- esclamò, aggrappandosi a stento al corrimano della scala ed evitando di rotolare giù per le scale.

Conoscendo Shelli, si sarebbe sicuramente lamentata per il casino che avrebbe fatto, senza preoccuparsi se il suo osso del collo fosse intero o meno.

Caracollando pericolosamente verso il tavolino, afferrò la cornetta e ringhiò rabbiosamente un “Pronto”, dettato più dalla voglia di tornarsene a letto che dalla sua educazione che in questi momenti se ne stava in villeggiatura a Bali.

-Pronto, Chris! Per caso ho interrotto qualcosa?-

Chris. Chris. Chris.

Il cuore di Krist prese a battergli veloce nel petto, come se volesse gonfiare di botte la cassa toracica: a stento l’uomo riuscì ad appoggiarsi da qualche parte per non svenire, optando poi per il lasciarsi scivolare contro la parete.

-Kurt! Oh no, no… Assolutamente!- urlò, ricordandosi poi della moglie e abbassando il tono della voce sull’ultima parola.

Lo sentì sorridere dall’altro capo della cornetta, e non poté fare a meno di arrossire: le farfalle erano tornate a fare le affittuarie nel suo stomaco, alé.

-Sono felice di sentirtelo dire! Senti… Ti ho chiamato per avvisarti che io e Courtney stiamo tornando a Seattle, partiamo tra pochi minuti… I tipi del volo mi stanno rompendo le balle per via dell’imbarco ma non me ne importa nulla…-

Krist avvampò nuovamente e l’amico, memore delle telefonate della loro adolescenza, colse la palla al balzo, interpretando perfettamente il silenzio del bassista come un’occasione in più per sfotterlo.

-Avevo un gettone da sprecare, che vuoi che ti dica…-

-Dai, vaffanculo!- Krist rise finalmente, lasciando che la tensione accumulata in tutti quei giorni finisse di sciogliersi.

-Ok amigo, la mia signora mi chiama… Felice di averti sentito, ci si vede tra un paio di giorni, stammi bene!- lo salutò il cantante, facendo per riattaccare, ma la sua intenzione venne bloccata dal richiamo dell’amico.

-Kurt, io…-

-… tu?-

-Non farmi mai più scherzi del genere, intesi?-

-… promesso. Anche se, ad essere sincero, ho avuto un incremento esponenziale dell’ispirazione, giuro! Credo proprio che scriverò la nuova Lucy In The Sky With Diamonds, sai? Tutti quegli Stregatti e quei Colossei…-

-Dai, vai a farti fottere, coglione!-

-Ti seguo, checca! Ciao, Chris… A presto.-

Krist restò con la cornetta in mano ed un sorriso ebete stampato sulle labbra: quel “a presto” sarebbe arrivato a breve, per fortuna.

                             

                                                                                                                                                                                                                                                          

Il volo delle 00.14 era deserto, e Lux si concesse il lusso di tirare un profondo sospiro di sollievo.

Era stata una giornata veramente dura e faticosa: i voli su cui aveva dovuto prestare servizio si erano succeduti uno dietro l’altro, e ognuno era zeppo di gente, complice anche la tragedia appena scoperta.

All’apparenza Lux Anderson non sembrava una fan dei Nirvana: non girava con camicione in flanella o con occhi truccatissimi, non portava jeans strappati o anfibi sporchi.

Ma sotto l’aspetto impeccabile, sotto la divisa blu da hostess perfettamente tenuta e lo chignon biondo senza un capello fuori posto, batteva un cuore al ritmo del grunge, al ritmo delle cassette quasi sbobinate a furia di metterle e toglierle nel vecchio mangianastri di casa.

Lux era riuscita a mimetizzarsi, piccolo camaleonte dal viso d’angelo e la sensibilità spiccata, nel mondo di pescecani tutti grigi e uguali, quel mondo in cui ogni occasione era buona per sbranarsi a vicenda, quel mondo che non aveva saputo accogliere a braccia aperte le più disparate personalità geniali che vi avevano messo piede nel corso degli anni. Non c’era riuscito negli anni Sessanta, nei Settanta e negli Ottanta, e non ce l’aveva fatta nemmeno ora, nemmeno con quel ragazzo dallo sguardo vivo ma allo stesso tempo spento, i capelli talvolta biondi e talvolta rossi, e una voglia di cambiamento che non era riuscito ad esternare totalmente.

Aveva mandato segnali, Kurt. Segnali che non si era riusciti a capire, segnali che a volte non si erano voluti capire, per la paura del diverso, per l’indifferenza che ingeriva quotidianamente la moralità dell’intera razza umana, per la diffidenza che c’accomuna un po’ tutti… per la semplice paura che dare corda ad uno così avrebbe significato mettere a soqquadro millenni e millenni di storia.

Il primo Messia lo si era crocifisso, gli altri a venire erano morti tra la droga, il mistero e la negligenza dell’opinione pubblica… l’ultimo era morto sotto il grilletto premuto dal Sistema che tanto aveva tentato di estirpare.

Lux non poté non giungere alla conclusione che la razza umana fosse solamente una massa di coglioni che la sua mediocrità se l’andava a cercare con meticolosità ed estrema costanza, se ad ogni nuovo genio che nasceva ogni santissima volta era riservata la stessa fine meschina.

 

Dopo aver abbandonato le décolleté in un angolo ed essersi bevuta il dodicesimo caffè della giornata, la giovane donna decise di farsi un giretto per l’aereo, complice anche la totale assenza di passeggeri.

Le piaceva da matti poter camminare tranquillamente lungo il corridoio stretto, e immaginarsi tutte le persone che amava sedute in quei posti, intente a chiacchierare tra loro… Suo padre seduto vicino a Cobain, magari. D’altronde, Kurt aveva l’età di suo fratello Matthew, esattamente un paio in più di lei, e papà Anderson non si sarebbe di certo fatto problemi a parlare con quel ragazzo dal maglione sformato a righe nere e rosse.

Fu passando di fianco alla ventisettesima fila di posti che però, con la coda dell’occhio, intravide un’ombra accanto al finestrino.

Fece per aprir bocca quando riconobbe, sotto le occhiaie rosse e il viso mortalmente pallido, il co-fondatore dei Nirvana, ma la sua sensibilità ebbe la meglio.

Perfino un cieco sarebbe stato in grado di notare l’espressione sofferente del bassista, e Lux non fu da meno: quella era la classica espressione di chi sta per crollare dopo essersi trattenuto a lungo e soprattutto a stento, l’espressione che precede sempre il crollo della diga intenta a tenere a bada i sentimenti più intimi, intenta a proteggere l’io più profondo di ogni persona.

Se ne andò in punta di piedi, senza alcun rimpianto, badando bene a spegnere la radio dell’aereo nell’esatto momento in cui la stazione della musica classica si era accinta a trasmettere un estratto di Dumb, direttamente dall’ennesimo notiziario della giornata.

Si consolò pensando che Krist la stesse ringraziando mentalmente per la premura che gli aveva riservato, e sorrise piano.

 

 

Los Angeles, 1 aprile 1994

Caro Kurdt,

quando la città di smeraldo chiama, chiama per davvero, eh?

Ho appena finito di sentire Courtney al telefono: sbraitava come suo solito, ma tra uno strillo e l’altro sono riuscito a capire poche cose, che però bastano.

Devo aggiungere Fuga da Alcatraz alla tua lista di film preferiti, per caso? Dave mi suggerisce di farlo, s’è pure ripromesso di andare a noleggiare la videocassetta quando tornerai a trovarci, discolaccio…

Ok, mi sembra di vedere tra le righe il tuo sguardo alquanto perplesso, quanto vorrei averlo su di me, per cui la pianto e ritorno serio.

Non so nemmeno io perché ti stia scrivendo questa lettera: semplicemente, mi sono ritrovato ad impugnare la penna ed a lasciare che le parole venissero da sé.

Procurarti un telefono no, eh? Mi manca sentirmi chiamare Chris, sentire la tua voce calma e perennemente sarcastica, il tuo respiro attraverso la cornetta…

Ma credo che cercherò di accontentarmi di un paio di parole secche calcate dalla tua mano, anche se ormai non mi basta più nulla.

Kurt, so che mi ucciderai per quello che ti sto per dire, ma io ho bisogno di te.

Il pensiero che tu voglia lasciare Courtney non può che rendermi felice fino alla pazzia, ma allora perché te ne sei andato a Seattle? Perché non sei tornato da Dave, da me?

Non siamo abbastanza legati, noi due? Non riesci a sentirti te stesso, in mia compagnia?

Oppure, come quella pazza che ti ritrovi come marito va farneticando in questi giorni, ti vuoi autodistruggere? Hai paura di farmi male, Kurt?

Mi ferisci di più non facendoti vivo, vecchio mio.

E so che probabilmente saranno i fumi dell’alcool a permettermi di scriverlo con maggiore coraggio, ma io, mio caro Kurt Donald Cobain, ti amo.

E sappi che per formulare queste due fottute paroline non ho avuto bisogno delle nove birre che mi sono scolato solamente per impugnare la penna.

Da qualche parte, dentro di me, l’ho sempre saputo. Ho solo necessitato un po’ di tempo per prenderne coscienza, tutto qua.

Ti chiedo un ultimo, immenso favore: per l’ultima volta, fa’ che quel diario, quel dannato quadernetto che sa tutto di te, sia io, e rispondimi, rispondimi con il cuore in mano.

Il mio te l’ho già sventolato sotto il naso, riesci a vederlo?

A presto, mio Boddah

 

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                  Tuo Chris

 

 

Krist Anthony Novoselic si era sempre ritenuto un uomo fortunato: aveva una bella casa, soldi a palate e figa a volontà. Senza contare che il suo lavoro consisteva nel fare musica, una delle sue attività preferite assieme allo scopare, al raccontare improbabili barzellette e all’abbracciare Kurt ad ogni occasione possibile.

Ok, adesso avrebbe dovuto eliminare l’ultima, però…

Un uomo non piange, Novoselic. Un uomo non piange mai, cazzo. Mai, hai capito? Hai capit

La prima lacrima cadde esattamente su Boddah, su quel suo maledetto amico che avrebbe dovuto fargli capire che non ne valeva veramente la pena di gettare giù per il cesso ventisette anni.

-Come cazzo si fa… Come si fa?!- sbottò, accartocciando un po’ la carta fra le mani tremanti.

In quel momento desiderava soltanto che l’aereo andasse a schiantarsi da qualche parte, così da poter raggiungere Kurt e dirgli finalmente quello che non era riuscito a dirgli in nove fottutissimi anni.

Perché a Krist bruciava il fatto che, proprio nel momento in cui si era deciso a confessargli i suoi sentimenti, quel grandissimo bastardo del destino si fosse divertito a mandare a puttane tutto quanto.

Krist odiava il doversi alzare la mattina seguente con la consapevolezza che non ci sarebbero stati mai più sorrisi, battutine o telefonate nel cuore della notte.

Krist odiava la morte, o meglio: odiava la morte prematura, la morte unilaterale, quella morte che ti porta via le persone nel momento meno opportuno, ammesso e concesso che esista veramente un momento adatto per morire.

Krist odiava il darsi mentalmente degli ordini e non rispettarli, mentre la lettera ormai zuppa navigava nelle sue grandi mani, una naufraga senza timone né vele.

Kurt non l’aveva letta, e lui si era sentito terribilmente in imbarazzo nel dover fare il ladro a casa del suo migliore amico, ma quella lettera doveva sparire al più presto, se si voleva evitare ulteriore merda aggiunta a quella che si stava via via accumulando in memoria del cantante.

Krist odiava il dover condividere il letto con una donna che non amava più, che forse non aveva mai amato, mentre l’unica persona con cui avrebbe voluto dormire stretto, nel giro di pochi giorni sarebbe stata calata nella terra, o chissà dove.

Krist odiava il fatto che con Kurt fosse morto anche Chris, l’unica parte di sé che amava.

 

Si addormentò più per avere qualche forza da parte per arrivare al taxi, una volta giunto all’aeroporto, che per un bisogno fisico.

E fu lì che Krist scoprì, per la prima volta in quel giorno, qualcosa di bello: nei sogni Kurdt e Chris ritornavano a vivere, e lo facevano insieme.

Nel dormiveglia gli parve persino di sentire le sue dita sfiorargli leggermente il volto, e finalmente le labbra si distesero in una curva serena.

Fuori il Sole di Los Angeles cominciava a nascere.

 

 

Don’t ever ask your love for me.

Salve a tutte; innanzitutto ci tenevo a specificare che è la prima volta che scrivo su questo fandom e che sono agitatissima, e in secondo luogo volevo dare qualche indicazione per una lettura più chiara e comprensibile.

La prima scena è ambientata nel 1985: Kurt ha veramente chiamato Krist (o Chris, come lo chiama lui) quando ha provato l’eroina per la prima volta, e Novoselic lo ha veramente dissuaso dal riprovarci.

Le scene legate alla lettera sono tutte riconducibile ad un’intervista della Love in cui ha dichiarato che Krist avesse scritto una lettera per Cobain perché quest’ultimo non era raggiungibile telefonicamente; sempre lei lo avrebbe costretto ad andare in cerca del proprio consorte, durante quel maledetto aprile del 1994. Entrambi i fatti non sono mai stati confermati da Novoselic, quindi io li prenderei molto con le pinze: ciò non toglie che mi siano piaciuti un sacco e che mi sia vivamente augurata che tutto ciò fosse accaduto sul serio.

La seconda telefonata è invece ambientata nel 1994, dopo l’overdose di Kurt a Roma: non penso ci sia mai stata una sua chiamata, ma mi è piaciuto pensare che si fosse preoccupato per Krist.

Poi vabbé, c’è la famosissima scena degli MTV Music Awards del 1992, mentre le scene del diario, di Seattle, dell’aereo e la stessa lettera sono ovviamente frutto della mia fantasia. Lux Anderson è invece un mio personaggio.

Perfetto, ora vi posso lasciare in pace :3

Adié e bacioni,

 

 

Dazed;

   
 
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