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Autore: Dian87    28/06/2006    1 recensioni
Shir Swordmaker, il fabbro celta, è in viaggio per scoprire gli assassini della sua famiglia, ma in una taverna incontra altri celti e si decide a narrare la sua storia
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Entrai in una taverna e vidi delle persone celte, era impossibile non riconoscerle, tra cui dei bimbi, che, raggiuntami, mi chiesero di narrar loro la mia storia, come abitudine del mio popolo.
- Mi chiamo Shirley Swordsmaker, ma per il mio clan d’origine sono Shirley mac Chloris, per gli altri celti e popoli “barbarici” Shir mac Roy e per i popoli “civilizzati” Shir Swordsmaker e sono un uomo per gli ultimi due.
So che è strano che una diciottenne non sia sposata e con dei figli sotto il tetto del marito, ma il mio passato me lo vieta, almeno finché il brehon non avrà eseguito la giustizia. Avevo una vita normale: mio padre era uno spadaio che eseguiva anche le mansioni di fabbro, mia madre si occupava dei campi assieme a sei dei miei fratelli, il settimo, il più piccolo, stava in casa con i nonni, la nonna filava la lana e imparavo di tutto. Con la mamma imparavo a occuparmi dei campi, con la nonna a cucire, ricamare e filare e con il papà a fabbricare armi che potevano tagliare due corpi umani consecutivamente o un corpo in armatura completa di ferro.
La mia era una vita semplice: svegliarsi alla mattina per andare ai campi con la mamma, pranzare con la famiglia, al pomeriggio in fucina con papà, cenare con la famiglia, alla sera filare in casa mentre la nonna narrava le leggende di entrambi i popoli che vivevano a Carlisle, poco fuori dal vallo, per i cristiani. Tuttavia la semplice allegria serale non era destinata a continuare.- cominciai, sedendomi al loro tavolo.
- Cos’accadde?- chiese un bimbo dagli occhi di mare e capelli d’oro.
- Avevo compiuto sette anni da qualche mese, per i cristiani eravamo in maggio e io ero nata in febbraio. Come ogni pomeriggio, fin da quando potevo camminare sola, ero con mio padre in fucina a studiare la sua tecnica, che ormai m’era entrata nel sangue. L’unica cosa che ricordo bene del suo aspetto è che aveva sempre con sé uno spadone di due mani, dall’elsa ricoperta da un tessuto rosso, simbolo dell’aldilà, e dalla lunga lama, lunga come metà dell’altezza che ora ho, in tutto lunga settantasette centimetri e mezzo. C’era lì anche mia madre con Nathan, il mio fratellino più piccolo, di qualche mese di vita. Di lei posso dire che aveva un ciondolo rotondo con inciso un triskell, che rappresentava, nella nostra famiglia, i nonni, i genitori e i figli, ovvero il passare del tempo e non, come ha detto più di qualcuno, la dinastia.
- Tieni le pinze, Shir.- mi disse mio padre.
Presi le pinze, tenendole il più forte possibile.
- Papà, perché hai sempre con te quello spadone?- chiesi.
- È stato affidato al nonno di tuo nonno dal dio Lugh in persona, dev’essere messo al servizio del bene e il custode non deve mai separarsene.- rispose, martellando il pezzo di ferro.
- E perché?-
- Per proteggere i più deboli e il nostro popolo, nonché guidarci verso la giustizia.-
Finì di preparare la lama e la mise a raffreddarsi.
- Ora a casa, che si sta facendo tardi.-
Il sole stava calando a ovest e la cena ci avrebbe tenuti impegnati per qualche ora, ma Waldhari, che aveva cinque anni, era desinato a portare l’ombra.
- Oggi un uomo mi ha chiesto se il fabbro celta viveva qui.- disse, mentre cominciavamo a mangiare la salata.
- Chi era?- chiese la mamma.
- Pareva un greco, dall’accento, ma parlava bene la nostra lingua.-
Finimmo di mangiare, ma mamma e papà sembravano turbati.
- Prendete i vostri zaini e andate nel bosco con i nonni.- disse papà.
Mi alzai, correndo in camera con gli altri dove presi il mio zaino per le emergenze, e tornai con i miei fratelli, ma, quando loro partirono per il bosco sacro, io rimasi lì con i miei genitori e Nathan.
- Shir, sotto la casa c’è una grotta, vi si accede tramite un armadio che abbiamo messo affinché non ci andiate. Va’ lì con Nathan e attendi che tutto sia finito, dopo andate dallo zio Heimirich, presso il Loch Ness.- disse papà.
Mi mise ad armacollo lo spadone e mi abbracciò, dopo la mamma mi mise al collo il ciondolo.
- Ricordati di noi, Shir.- mi raccomandò la mamma.
- Sta a te conoscere i poteri della lama e ora va’, Shir.-
La mamma mi affidò Nathan, che stava ancora dormendo, e corsi giù in cantina, vedendo l’unico armadio che raggiungeva il soffitto. Aprii una delle sue ante e la luce della luna m’illuminò il cammino dal basso. Entrai, chiusi l’anta alle mie spalle e seguii la luce a carponi, raggiungendo la larga sala circolare della grotta. La luce proveniva dall’alto e Nathan si mosse nel sonno. Aveva capelli biondi, occhi azzurri e una pelle molto chiara, mentre io avevo capelli castani, occhi azzurri e pelle eburnea. Sentii delle urla e il crepitare del fuoco, strinsi a me Nathan, sentendo i piedi bagnati dall’acqua. Le urla continuarono per tutta la notte, impedendomi di dormire anche se crollavo dal sonno. Mamma e papà stavano morendo, lo sapevo. Non li avrei perdonali, non l’avrei permesso. Non mi sarei sposata, non mi sarei unita carnalmente, non avrei mai amato nessuno finché non avessi portato giustizia e non avessi fatto di Nathan un valoroso guerriero.
E avevo solo sette anni…
- Prometto sulla spada di Lugh, Godshand, che non mi unirò a nessuno carnalmente, non mi sposerò e non amerò finché gli assassini non verranno giudicati da un saggio brehon e Nathan non diverrà un guerriero.- giurai, estratta la spada e tenuta in mano davanti a me, con la punta rivolta in alto.
Crollai addormentata subito dopo, risvegliandomi solo a mattina inoltrata.-
- Oh...- fece una bimba dagli occhi di giada e i capelli di nocciolo.
- Risalii la parete non molto scivolosa con Nathan in braccio, uscendo dalla grotta, e, per prima cosa, cercai la mia casa. Il paesaggio era quasi irriconoscibile. Il fuoco aveva divorato tutto e dieci corpi carbonizzati giacevano scomposti al suolo. Ignoro quanto tempo stetti lì, immobile, con tutte le immagini della mia vita che mi scorrevano davanti agli occhi rigati dalle lacrime, quasi a volermi salutare un’ultima volta, ignoro dopo quanto tempo dall’uscita dalla grotta giunse lo zio Heimirich, giunto in origine per portarci a un matrimonio di una lontana parente, e il viaggio da Carlisle a Loch Ness, ripresi coscienza della mia identità quando vidi la sorella gemella di mia madre, Mistral.-
- Cosa fece dopo?- chiese una donna celta, dai capelli biondi raccolti in due lunghe trecce e occhi di zaffiro.
- Passai gli undici anni seguenti a Ness’s, il villaggio in cui vivevano gli zii, allenandomi con Godshand, acquisendo una straordinaria abilità e agilità. Avevo fatto amicizia con Nessy e i suoi cuccioli e la zia Mistral mi aveva regalato un cavallo, un clydesdale morello, per il mio quindicesimo compleanno. Era nero come la notte e per questo l’avevo chiamata Duncon. La mia abilità su di lui era minore di quella del combattimento su terra, ma molto spesso gli parlavo mentre lo strigliavo ed ero certa che mi capisse, così cominciai a parlargli anche durante le corse, sussurrandogli semplici comandi all’orecchio e, più tardi, dicendogli cose diverse dai semplici comandi. Era una vita pacifica, ma attendevo sempre il giorno in cui il druido, il brehon e il capoclan mi avrebbero convocato per la missione, finché un giorno una delle donne, vedendomi accaldata, mi offerse una bevanda che mi fece crollare al suolo, priva di sensi.-
- Vischio?- chiese un uomo, dai capelli bruni e gli occhi d’ametista.
- Una secchiata d’acqua gettatami in pieno viso mi risvegliò bruscamente. Ero in un antro oscuro ed era accesa un’unica torcia, che illuminava tre anziane persone: il druido, il brehon e il capoclan.
- Sono state effettuate molte ricerche per scoprire gli assassini della tua famiglia, Shir, ma abbiamo scoperto solo due cose.- iniziò il capoclan.
- Sono degli accaniti delinquenti e si sono rifugiati al sud.- continuò il druido.
- Quanti ti viene ordinato di fare è ricondurre qui i tre delinquenti vivi, dove verranno giudicati per i loro misfatti.-
- Ti avviso: non lasciarti condurre dall’ira, figlia di Chloris, perché, se li ucciderai, sarai messa anche tu sotto giudizio.-
- Ho capito, non vi deluderò. Ho promesso su Godshand, la Mano degli Dei, che giustizia verrà fatta da un saggio brehon.-
Il capoclan mi diede una ciotola, ordinandomi con lo sguardo di berne il contenuto. Feci com’era stato ordinato e persi i sensi, cadendo fra le sue braccia.-
Mi guardarono, sorpresi della mia fiducia nei capi e decisi di continuare.
- Passai qualche giorno a casa dall’ultimo risveglio, e mi preparai per il viaggio, salutando Nessy e i cuccioli, il villaggio e i parenti, ricontrollando ogni tanto le cose che mi portavo nel viaggio verso sud. Nathan si dimostrava forte, per mio fratello io e lui eravamo gli unici figli di Mistral, e non nipoti, e pensava che andassi a catturare gli assassini di un’altra famiglia, faceva di tutto per non piangere e sorridere. Mi lasciavo un’altra volta tutto alle spalle , di nuovo mi sarei allontanata dai luoghi che mi avevano visto crescere per l’ignoto.
Saltai sul cavallo e mi piegai, stringendo la mano del fratellino.
- Non temere, cucciolo, tornerò per terminare l’addestramento.- gli sorrisi.
Partii al galoppo, fermandomi la sera in un qualsiasi villaggio, dove chiedevo le informazioni usando le mie quattro identità, ma non trovai alcuna informazione utile, sebbene molti m’abbiano indicato Camelot come luogo in cui avere le risposte. Presi la mia decisione e mi diressi a Camelot, dove già il primo giorno incontrai delle persone, la vampira Mina, il principe Asgar e il mago Gandalf, a quest’ultimo ho affidato il ciondolo di mia madre e a questi, più alcuni altri abitanti del regno, ho dovuto rivelare la mia storia e la mia vera natura. Dopo qualche settimana ho nuovamente incontrato il principe e mi sono allenata con lui, prima misurandoci in una corsa a cavallo, lui su Sylver e io su Duncon, dopo con le armi, finché un viandante ci ha interrotto.
Ho continuato le mie ricerche finché, qualche tempo dopo, lontana dalla mia terra natale e a est del regno di Camelot, venni attaccata da dei briganti.-
- Li abbattesti da sola?- chiese il bimbo, vedendomi sorridere e annuire.
- Mi circondarono in una radura ed erano otto, compreso il capo, un omone grosso con una folta barba rossa e ondulati capelli lunghi fino alle spalle.
- Dacci tutto quello che hai, mezza calzetta.- m’intimò, ignorando la mia natura.
Sorrisi, celata dal mantello, estraendo Godshand e stando con la guardia bassa. Vidi le asce e i pugnali, semplici banditi, non quelli che cercavo io, come un cieco in un mondo di sordi. Mi si slanciarono addosso e piantai la lama nel suolo, mentre una luce marrone veniva emanata dai miei occhi. Si formarono delle mura di terra tra me e i banditi e tra questi e l’esterno, che si riunirono in cima, bloccandoli all’interno.
- Che stregoneria è mai questa?!- esclamò il capo.
- Non è stregoneria, è magia.- risposi, estraendo la lama e facendo così crollare i muri.- Vi salverete, sta a voi trovare la retta via.-
Mi allontanai verso un ruscello lì vicino e mi misi a pulire la punta sporca di terra. Conoscevo gli attacchi più semplici, quelli che si facevano toccando direttamente l’elemento, gli attacchi più complessi, ammesso che ve ne fossero, non li conoscevo ancora, e sapevo cosa mi accadeva: la mia anima si legava all’elemento e il colore di quello prescelto veniva emesso dai miei occhi, mentre potevo fare qualsiasi cosa con la materia, dalle mura difensive agli attacchi più distruttivi. Immersi tutto lo spadone nell’acqua e vidi nel riflesso tre uomini: un uomo con i capelli lisci e neri, occhi marroni e pelle olivastra, uno con lunghi capelli biondi raccolti in una coda, occhi verdi e pelle chiara e l'ultimo con corti capelli rossi, occhi azzurri e pelle molto chiara, quasi quanto la mia. Sembravano non molto più vecchi di me e solo il rosso aveva la barba. Mi voltai, ma non c’era nessuno.
- Dunque siete voi l’oggetto della mia missione.- mormorai, fissandomi nella mente quei tre volti e facendo un rapido schizzo a colori.
Mi rialzai, strusciando l’arma sulla coscia per asciugarla sui pantaloni, e la rimisi via. Sarei tornata ben presto a Camelot e avrei cercato di sapere dove si nascondevano per portarli dalla giustizia, vicino a Loch Ness dove sarebbero stati annegati o nelle paludi o nelle torbiere e la mia famiglia avrebbe potuto viver tranquilla nell’altro mondo. Osservai il sole calare a ovest.
“Domani riprenderò il mio cammino.” pensai.
Fischiai e Duncon mi raggiunse, chiedendomi di accarezzarlo. Sorrisi, rispondendo alla sua richiesta.
- Finalmente so le fattezze di coloro che cerchiamo. Per questa notte ci accamperemo qui, domani torneremo a Camelot.- gli dissi, sorridendo.
Preparai il campo. Cos’avrei fatto quando li avrei incontrati? Sarei riuscita a controllarmi o li avrei uccisi? Avevo promesso e non avevo mai rotto una promessa.-
- Mi spiace non poterla aiutare con quegli assassini,- disse l’uomo.- ma la pregherei di stare attenta nel suo viaggio.-
- Vi ringrazio.- risposi.- Ora sto tornando a Camelot, quindi dubito che ci saranno altri pericoli.-
- Noi ora stiamo cercando una nuova casa: vogliamo essere il più vicini possibile alla nostra gente.- disse la bimba, sedendosi sulle mie ginocchia.
- Mia madre diceva sempre che non siamo lontani dalla nostra gente quando siamo a mesi o anni di distanza, ma quando siamo lontani da loro con questo- le toccai la fronte.- e questo.- le toccai il cuore.- È stato un piacere parlare con voi.-
Feci scendere la bimba e mi allontanai, calcandomi bene il cappuccio sul viso, per tornare a Camelot.
Il fabbro celta… ora lo ero io perché, quando non costruivo armi e armature, mi occupavo degli utensili per le persone…
Sorrisi, salendo su Duncon, il mio clydesdale morello. Avevo succeduto mio padre non solo nel ruolo, ma anche nel soprannome.
  
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