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Autore: Oducchan    24/10/2011    2 recensioni
-Avanti, ripeti-
Kisame arriccia il naso, contrariato. Sa che è giusto, sa che deve farlo, sa che sicuramente non può farne a meno perché se non passerà il prossimo test la sua carriera scolastica sarà decisamente a rischio e già vede le occhiate di rimprovero e i borbottii del professor Umino insorgere contro di lui, ma per quanto si sforzi la sua mente non riesce a concentrarsi. O meglio, più si spreme le meningi, meno le cose gli restano in mente. Buio totale.

A quanto sembra, non si erano detti ancora tutto. Forse per rimediare c'è ancora tempo.
[KisaIta] [Tie-in di "Eyes - fumo di china"]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Itachi, Kisame Hoshigaki | Coppie: Itachi/Kisame
Note: AU, Lime, Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
- Questa storia fa parte della serie 'Fumo di china'
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-Avanti, ripeti-

Note:

a)     Questa storia è una sorta di tie-in a Eyes-fumo di china”, da incastrarsi prima della fine del terzo capitolo. Ovviamente, non è comprensibile se non si è letta tutta la fic precedente. Per tutti coloro che l’hanno letta, ed amata.

b)     per farla breve, Itachi soffre di cheracotono, una particolare malattia agli occhi, mentre Kisame fa parte di una specie di banda criminale del quartiere.

c)     Ora, siccome stiamo parlando di Kisame Hoshigaki e Itachi Uchiha, sono consapevole del fatto che in questa storia risulteranno orrendamente OOC. Lo so, me ne rammarico, e a mia unica discolpa posso dire che è inevitabile. Uno come fa a farli… innamorare, sennò?

d)     Cenni di problematiche familiari e di bullismo giovanile. Così, giusto per. Buona lettura.

 

 

 

 

 

Before it comes the end

 

 

 

 

 

 

-Avanti, ripeti-

Kisame arriccia il naso, contrariato. Sa che è giusto, sa che deve farlo, sa che sicuramente non può farne a meno perché se non passerà il prossimo test la sua carriera scolastica sarà decisamente a rischio e già vede le occhiate di rimprovero e i borbottii del professor Umino insorgere contro di lui, ma per quanto si sforzi la sua mente non riesce a concentrarsi. O meglio, più si spreme le meningi, meno le cose gli restano in mente. Buio totale.

-Si dice forza elettromotrice indotta… la forza elettromotrice che… che…-

Gli occhi di Itachi, dietro gli occhiali squadrati, hanno un guizzo difficilmente interpretabile. Forse spera che riesca, finalmente, a completare la dannata frase, o magari si sta già preparando all’ennesimo fallimento. E visto che Itachi Uchiha si lascia scappare un’espressione con la frequenza con cui nell’universo nasce una nuova forma di vita, la cosa non fa altro che risucchiare ulteriormente la sua attenzione lontana dalla fisica e più vicina al corpo smilzo diligentemente seduto al suo fianco. Kisame sbuffa, esasperato, e ha un moto d’impazienza.

-Va bene, basta. Non lo so.-

Itachi stavolta sospira platealmente, afferrando le pagine del libro che tiene aperto in grembo per voltarlo nella sua direzione in modo che possa leggere il postulato in questione. Kisame aggrotta la fronte, studia per un attimo la frase, si sforza anche di squadrare attentamente il disegno esplicativo annesso e poi scuote la testa, chiudendo di scatto il volume e gettandolo in un angolo del letto.

-Fanculo la fisica e ‘fanculo lo studio. Mi sta esplodendo il cervello!- protesta veementemente, evitando però di rivolgere lo sguardo verso il compagno, sentendosi immediatamente colpevole di aver abbandonato l’impresa.

Dal canto suo, Itachi non replica e non lo riprende minimamente. Si limita a fissarlo per qualche secondo ancora, talmente intensamente che pare non stia nemmeno battendo le palpebre, e poi, improvvisamente, serra forte gli occhi, un debole gemito sofferente che gli sfugge dalle labbra pallide e sottili, e una delle mani corre subito al volto. Lunghe dita diafane stringono la radice del naso e poi massaggiano delicatamente le palpebre serrate, cercando di cancellare immediatamente l’accenno di lacrima che si è formata proprio nell’angolo dell’occhio destro, appena sotto le ciglia. Kisame, allarmato, sobbalza e si piega immediatamente verso il suo viso, in attesa.

-Stai bene?-

Itachi aspetta che la fitta che ha attraversato i suoi bulbi oculari mandando forti scariche di puro dolore al suo cervello si sia del tutto acquietata, prima di rispondere. Solo allora si sfila le lenti dal viso, sollevandole sopra la fronte tra i capelli neri, e socchiude cauto le palpebre, incerto e forse anche insicuro su quello che accadrà. Ha imparato a convivere con la malattia e a celarla a chiunque, e per un certo verso è quasi grato di non doversi più nascondere almeno davanti a Kisame.

Ma mostrarsi debole non è mai stato nelle sue corde.

-Sto bene- sussurra, sforzandosi di rilassare la piega contratta delle spalle e di riprendere le normali attività di studio pomeridiano senza dar troppo peso a quello che è successo. Prima che possa voltare il viso per chinarsi verso lo zaino e recuperare un libro di letteratura giapponese, però, una grande mano callosa si avvicina, lentamente, alla sua guancia, per poi avvolgerla con una delicatezza quasi inumana.

-Dovresti farti visitare di nuovo. Nell’ultima settimana sei peggiorato…-

Qualcosa nel petto di Itachi ha uno scatto un po’ nervoso. Non è poi passato parecchio tempo da quando quella stessa mano si è avventata sul suo collo e ha cercato di togliergli l’aria dai polmoni con estrema veemenza, lo avverte il suo inconscio, e la cosa pare non essergli del tutto indifferente. Tuttavia… il calore. Il calore di quel palmo, di quelle dita. Dire che nessuno si è mai avvicinato tanto da toccarlo in quel modo è un eufemismo. Respira lentamente, una, due, tre volte, prima di sollevare lo sguardo verso il suo interlocutore rimasto in attesa.

-L’ospedale mi ha detto che mi telefoneranno quando sarà il momento- risponde, pacato, e senza nemmeno accorgersi piega appena appena il collo, così, giusto per accomodarsi meglio in quella carezza, avvertirla ancora di più contro la pelle, lasciarla scivolare dentro fino a scaldarlo –Non c’è motivo di fare storie prima di allora-

Kisame inala bruscamente l’aria che gli serve, trattenendo il fiato per i secondi che seguono. Si sono parlati, si sono chiariti, si sono confessati reciprochi segreti e hanno semplicemente ricominciato, ma quella faccenda è rimasta lì in sospeso senza che nessuno dei due avesse il coraggio di affrontare attivamente l’argomento. E ora la cosa gli torna improvvisamente ben in mente, lampante, luminosa, il turbinio di sensazioni ed emozioni provate, il calore dirompente nel petto, il suo sapore sulle labbra, il suo respiro sul viso, e… e Itachi lo guarda un po’ perso, e Kisame si piega in avanti un altro po’, sente il suo naso sfiorargli lo zigomo, e poi socchiude le palpebre e poi il cuore inizia a pulsargli furioso nel petto come il bacio diventa meno dubbioso e si fa intenso, dita diafane che si stringono inquiete attorno alle sue spalle, capelli neri che si scompigliano sul viso, le sue mani che scivolano sul corpo sottile e…

Il trillo acuto del suo telefonino lo avvisa indispettito di aver ricevuto un messaggio da qualcuno di non ancora specificato. L’incanto si sbriciola in un secondo, giusto il tempo che Itachi impiega a raddrizzarsi, a sbattere le palpebre e a fissarsi perplesso le mani. Kisame vorrebbe dire qualcosa, ma poi l’imbarazzo ha il sopravvento e decide che è meglio prima controllare chi è il mittente dell’sms appena giunto, e poi trovare il modo di sbrogliarsi dalla spinosa situazione, se mai ne esiste uno. Un bacio è affrontabile, due… necessitano di qualche parola in più.

Sfila il telefonino dalla tasca dei pantaloni e fissa curioso lo schermo. Un attimo soltanto, e l’espressione gli si pietrifica sul viso, passando velocemente dal subbuglio al furioso. Maledizione. Maledizione, maledizione, maledizione.

-Devo andare- dichiara rapido, sforzandosi di soffocare la rabbia in fondo alla gola e di non sembrare troppo brusco, chinandosi a recuperare la pila di libri sparsi sul letto e infilandoli in malo modo nello zainetto che porta con –Forza, muoviti, ti riporto a casa-

Itachi sbatte le palpebre, restando immobile. Lo osserva muoversi a scatti per la piccola stanza, grande, grosso e improvvisamente minaccioso, e la sua fronte si corruga in una ruga indispettita. Conosce quel modo di fare. Se lo ricorda bene.

-Mi pare avessi detto che non ci saresti più andato-

Kisame si congela sul posto, il braccio ancora teso sulla piccola scrivania a frugare nervoso nel cumulo di carte e oggetti tra i più svariati a cercare le chiavi della macchina. Si congela, riconoscendo immediatamente il tono freddo e glaciale con cui Itachi lo rimprovera. Quello con cui gli sputa in faccia i suoi errori e le sue debolezze sottolineando quanto infinitamente enormi siano, e con cui vuole farlo sentire in colpa. O così lo interpreta lui. Perché quello è il tono che ha Itachi quando è veramente arrabbiato.

E quando Itachi è arrabbiato, Kisame s’infuria.

-Non devo sicuramente renderne conto a te!- abbaia, gli occhi gonfi e spalancati che paiono volergli saettare fuori dalle orbite, e il volto paonazzo che fa a pugni con quel suo solito colorito vagamente malsano tendente al bluastro –Ho detto di muoverti, quindi alzati! Hai capito?-

Il rampollo degli Uchiha invece non fa nemmeno una piega, restando lì seduto immobile a fissarlo, in silenzio. I capelli neri gli si sono sciolti e sparpagliati sulle spalle e le guance pallide hanno acquisito un paio di toni di colore e se per contrasto la cosa lo fa sembrare ancora più fragile e frangibile, dall’altro l’espressione marmorea del suo viso emana un’area di nerboruta decisione che riesce a farlo rabbrividire comunque, nonostante tutta l’ira che gli sta circolando in corpo. Perché forse è quello, che l’ha attratto in lui, e che poi non gli ha permesso di scaricarlo in malo modo adducendo qualche malsana scusa a tutto quel casino di incomprensioni e sensazioni che è spuntato fuori all’improvviso tra loro. Forse è quello che gli ha concesso finalmente di fidarsi di qualcuno, di farlo entrare nella sua vita e di addentrarsi in punta di piedi nella sua. Itachi ha il coraggio di guardarlo dritto negli occhi e di non farsi spaventare da nulla. Nemmeno dalla spada lunga quasi due metri che tiene nascosta in cantina debitamente avvolta in metri di bende e infilata tra gli armadi per non farla vedere a sua madre; nemmeno da Samehada, perché a lui l’ha mostrata debitamente, il suo segno di appartenenza alla combriccola dei Sette, e anche se non ha voluto sapere dove e come ne è entrato in possesso, quell’arma è rimasta lì a segnare l’unico vero legame che non si riesce a instaurare tra loro due.

Perché Itachi glielo ha chiesto, con grande sforzo e scarso uso di parole, ma Kisame non è ancora riuscito ad ascoltarlo.

-Avevi detto che non ci saresti tornato-

Già, l’aveva detto. Aveva detto che non sarebbe più andato al ritrovo con gli altri sei spadaccini, che non avrebbe più preso parte alle loro “imprese”, che non avrebbe più contribuito a svezzare piccoli criminali da strapazzo. L’aveva detto, è vero, ma poi rimasto solo aveva fatto i conti con quella che era la sua vita e si era detto che non aveva una vera e propria alternativa. Che Itachi alla sera poteva tornare alla sua calda alcova di ragazzo privilegiato, coccolato da sua madre e adorato dalla famiglia, ma che lui aveva ancora l’inferno sulle spalle e quando Zabuza chiamava, doveva andare. Quando Raiga progettava una bravata, lui approvava. Quando Mangetsu lodava il suo adorato fratellino e ridacchiava estasiato raccontando quanti altri marmocchi avesse terrorizzato, lui doveva mostrarsi concorde ed altrettanto entusiasta. Era quella la sua vita.

Quando Itachi si alza, Kisame sobbalza, preso alla sprovvista, e accantona velocemente tutti quei pensieri. Il sangue ora pulsa più lento e limaccioso, anche se le ultime fiamme di furia covano ancora nel sottofondo del suo petto. Segue con la coda dell’occhio l’altro ragazzo, almeno fino a che quello non gli arriva a un passo di distanza, lo sguardo inespressivo ben puntato sul suo viso.

Non reagisce, aspetta. Solo che quando quello, senza dar segno di stare veramente tenendo in alcuna considerazione quel che sta facendo, si sfila la felpa di dosso facendola scivolare su dal torace smilzo e poi gettandola per terra, per poco non si strozza con la propria saliva.

-Che diamine stai facendo, si può sapere?!?-

L’Uchiha non risponde, restando lì fermo a guardarlo, e improvvisamente a Kisame sembra che quei suoi occhi neri profondi come l’oceano e l’inferno siano più lucidi, più gonfi e più sofferenti che mai. Ha la sensazione che lo stia guardando ma che ormai non riesca più a vederlo, che sia troppo tardi e che sia irrimediabilmente perso in un cielo scuro e senza stelle. Dura solo un secondo, perché al successivo battito di palpebre Itachi pare rimettere la stanza a fuoco e assottigliare le pupille in funzione della luce, ma Kisame riesce ad avvertire ancora il panico premere sul fondo dello stomaco.

-Ti do un valido motivo per non muoverti da questa stanza-

Le sue dita armeggiano coi bottoni della camicia e l’Hoshigaki si sente sopraffare istantaneamente da un mix di emozioni contrastanti. Arrossisce, probabilmente, poi sente un conato di oltraggio risalirgli in gola subito spazzato via da un rigurgito di vergogna e da una vampata di rimorso. Distoglie lo sguardo, non prima di aver allungato un braccio per stringere quella mano nella sua, bloccandola e impedendole di proseguire oltre il terzo occhiello.

-Finiscila-

Nella stanza cala il silenzio, che si protrae nei secondi che seguono, almeno finché Itachi non sospira, lasciando andare il tessuto e intrecciando le dita tra loro, stringendole con forza e portandole con fare quasi noncurante alle labbra. Poi fa un passo indietro, applicando la giusta forza per invogliarlo a seguirlo di sua spontanea volontà, e torna a sedersi comodo sul materasso, incrociando le gambe e aspettando paziente che gli si sieda accanto. Solo allora lascia ciondolare il capo fino a posarlo contro la sua spalla, socchiudendo piano gli occhi.

-Resta qui- sussurra. Kisame sobbalza appena, nell’avvertire il fiato caldo carezzargli morbido il collo. S’irrigidisce per qualche istante, e poi sbuffa, la mano libera che cerca di spostargli i capelli dal viso per poterlo osservare meglio.

-D’accordo. Tu però smettila di fare l’idiota-

Itachi arriccia il naso, ma non replica almeno finché non si rimette seduto e può voltarsi a fissarlo. Come al solito, il suo viso non esprime alcuna emozione. Ma i suoi occhi, stavolta, sono accesi di una scintilla che a stento riesce a definire.

-Perché?-

Kisame vorrebbe davvero riuscire a ridere, e probabilmente ci riuscirebbe anche, se non fosse per il fatto che l’altro, nel frattempo, si è alzato , scivolando silenzioso verso di lui, e gli si è praticamente accomodato in grembo, giusto a cavalcioni delle sue ginocchia, e lui ora riesce ad avvertirne il peso quasi inesistente, per non dire evanescente, sulle cosce, e la cosa gli ha letteralmente mozzato il respiro in gola. Itachi ne approfitta per cingergli le spalle con un braccio, poggiando la fronte pallida contro la sua, e restando ad ascoltare il battito cardiaco filtrare tra i vestiti contro la mano abbandonata sul suo petto. Kisame trema, impercettibilmente.

-Ehi…- mormora, e deglutisce subito dopo, perché la voce gli è uscita un po’ troppo incerta e traballante per i suoi gusti –Ho ancora una denuncia per lesioni che mi penzola sul capo, lo sai-

Itachi espira lentamente, senza dar troppo peso a quelle parole, e poi stringe appena la presa affondando le dita e le unghie tra i vestiti, in un moto che pare quasi volergli strappare il cuore dal petto per portarselo via.

-Resta qui- esala, e la sua voce è talmente viva, trasudante di bisogno, di necessità, di desiderio e di una marea di altre cose che sarebbe troppo complicato per lui riconoscere e catalogare, che Kisame non riesce a trattenere un mezzo gemito e a baciarlo con forza e con tutta la disperazione che gli sgorga impotente dal petto, stringendolo a sé nella muta promessa che no, non lo lascerà più andare e che va bene così, qualunque cosa, sempre, per sempre, finché avrà aria nei polmoni e sangue nelle vene e forza per poterglielo dire.

Suo. Solo ed unicamente.

 

   
 
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