Anime & Manga > Il grande sogno di Maya
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Autore: editio    24/10/2011    2 recensioni
Una lettera indirizzata a Masumi... il racconto di sei mesi di lontananza. Cosa avrà da dire Hijiri al suo capo, al suo amico?
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Maya Kitajima
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IL SOLE DI MEZZANOTTE

 

Signor Hayami,

sono stato molto indeciso se scriverle o meno, ma alla fine, per la prima volta da quando ci conosciamo, ho deciso di contravvenire ai suoi ordini e agire di mia iniziativa.
Innanzi tutto la questione che più le sta a cuore: lei sta bene. Abbastanza bene, adesso.
So che certamente vorrà sapere cosa sia successo dopo la vostra separazione e la nostra partenza. Dal momento in cui quell’aereo decollò feci come mi aveva chiesto e tagliai ogni contatto con il Giappone: telefono, carta di credito… solo i documenti. Prestissimo però, grazie all’aiuto della persona da lei indicatami fummo in grado di avere dei nuovi passaporti e nel giro di un paio di settimane, oltre che in auto, cominciammo a muoverci anche per via aerea e credo che ormai sia quasi impossibile ricostruire i nostri spostamenti.
Maya mi seguiva in uno stato quasi catatonico. Era presente con il corpo ma la sua mente era persa chissà dove. Anzi, sappiamo benissimo entrambi dove fossero rimasti suoi pensieri! Mangiava, dormiva e faceva tutto quello che era necessario ma per molti giorni non parlò se non quando interpellata e solo a monosillabi. Era quasi sempre assorta nei suoi pensieri; lo sguardo rivolto all’interno, tanto da non accorgersi di quello che la circondava, della bellezza dei paesaggi che attraversavamo e del fatto che spesso sembrava di vivere dentro un film. Da parte mia cercavo di rispettare il suo bisogno di silenzio e non la forzavo; sapevo che prima o poi la sua volontà e la sua straordinaria vitalità avrebbero riacceso la fiammella del suo interesse.
In quel periodo non ci fermammo in nessun luogo per più di una notte. Non ero ancora sicuro di non aver lasciato tracce e sappiamo entrambi quanto i nemici di Maya siano potenti e pericolosi.
 
Dopo circa due mesi di vagabondaggi, un giorno mentre stavamo aspettando di poter salire sull’ennesimo aereo, un piccolo bimotore che avrei guidato io stesso, assistemmo ad una lite tra una ragazza e il capomeccanico di quel piccolo aeroporto. La ragazza gesticolava e urlava mentre l’uomo faceva finta di non sentirla, ma lei non sembrava intenzionata a lasciar perdere la questione. Li guardavo distrattamente pensando alla tappa seguente del nostro interminabile girovagare, quando sentì risuonare vicino a me una risatina. Mi girai stupito e vidi l’ombra di un sorriso indugiare ancora negli occhi di Maya. Allora mi interessai anche io a quello che stava succedendo. La ragazza stava dicendo che non poteva aspettare che il suo aereo fosse riparato, doveva trasportare assolutamente un carico importante che era atteso con urgenza e aveva bisogno di un altro mezzo. L’uomo scosse la testa e rispose che l’unico aereo al momento in aeroporto era quello che avevamo affittato noi e che fino all’indomani non ne sarebbero rientrati altri. La ragazza sembrò accorgersi solo allora della nostra presenza e si diresse verso di noi. Ricordo ancora lo scambio di battute che ebbe con Maya perché era la prima volta che quest’ultima mostrava interesse in qualcosa da quando eravamo partiti.
“Dove dovete andare?” chiese la ragazza con decisione.
Maya mi guardò un attimo e poi rispose: “E lei dove deve andare?”
Lei rispose dicendo un nome mai sentito prima.
“Non lo conosco” disse Maya. “È un bel posto?”. La ragazza le rivolse uno sguardo interrogativo. “L’accompagneremo”.
Io non osai replicare. In fondo un posto valeva l’altro e se questo era servito a scuotere Maya dal suo torpore, perché contraddirla!
Scoprimmo durante il viaggio che la ragazza era proprietaria e pilota di un piccolo Piper che in certi periodi dell’anno era il solo mezzo di comunicazione tra il luogo dove abitava e il resto del mondo.
Quella notte dormimmo a casa di Maggie, così si chiama.
Non essendo abituato a quel clima particolare mi svegliai molto presto e trovai Maya che avvolta in diversi strati di coperte guardava dalla finestra il panorama selvaggio illuminato da un pallido sole di mezzanotte.
“Non so perché ma questo posto mi ricorda la Valle dei Susini, sembra magico” disse in un sussurro quando mi avvicinai anch’io alla finestra. “Non potremmo restare qui, Hijiri? Almeno per un po’”.
Risposi di sì. Anche a me quel posto piaceva e oramai eravamo relativamente al sicuro.
Con l’aiuto di Maggie affittammo una piccola baita non troppo distante dal paese, completamente circondata dai boschi. Dicemmo di essere fratello e sorella e nessuno ha mai fatto domande sul perché e per come avessimo così all’improvviso deciso di rimanere dopo essere arrivati per puro caso. O forse la gente di qui sa che il caso non esiste. Chissà, signor Hayami… Mi sono trovato spesso in questi mesi a interrogarmi sulla casualità e sul destino senza tuttavia riuscire a trovare una risposta soddisfacente. Comunque sia, in un certo senso Maya aveva visto giusto quando aveva accennato alla magia di questo posto. Le persone, i paesaggi sconfinati, la natura, tutto sembra pervaso da una specie di aura positiva. I boschi in modo particolare. Maestosi e primitivi. Pericolosi se non si sa come affrontarli. Potrà sembrarle un paragone azzardato ma in un certo senso mi ricordano lei, signor Hayami: apparentemente glaciale e inaccessibile, ma capace di nascondere nel cuore bellezze inimmaginabili. Credo che anche Maya abbia colto inconsciamente questa somiglianza e sia per questo che abbia scelto di rimanere.
I giorni trascorrevano tranquilli tra lunghe passeggiate, letture e faccende quotidiane. Maya piano piano aveva ricominciato a parlare e ogni tanto anche a sorridere. Ma raramente faceva il suo nome o parlava della vita che aveva lasciato e del teatro, e quando inavvertitamente accadeva si fermava immediatamente troncando il discorso a metà quasi temesse che i ricordi potessero perdersi nell’aria insieme al suono delle sue parole.
Partecipavamo poco alla vita del paese. Io, lo sa, sono schivo di natura e Maya preferiva la solitudine. Apparentemente era tranquilla e abbastanza serena, ogni notte però, ogni singola notte, la sentivo piangere fino allo sfinimento nella sua stanza. Ogni singola notte, da quando eravamo stati costretti a lasciare il Giappone. E molto spesso, mio malgrado, mi alzavo dal letto e andavo da lei. La trovavo seduta con le braccia strette attorno alle ginocchia e i denti serrati nel tentativo di trattenere una sofferenza così evidente e straziante da far sanguinare il cuore a chiunque la vedesse. In quei momenti le asciugavo le lacrime e le accarezzavo i capelli in silenzio fino a che non tornava a coricarsi e allentava la stretta alla mascella. Non c’erano parole per consolarla, nient’altro che potessi fare se non farle sentire che io ero lì per lei, e per lei sola. Avrei voluto fare di più, ma non ne ho mai avuto il coraggio. Avrei voluto confortarla, ma sapevo fin troppo bene che sarebbe stato inutile. Se è vero che c’è un tempo per ogni cosa, quello era il tempo del dolore.
Trascorrevo molto tempo a pensare in quel periodo. Analizzavo ogni mia sensazione cercando di capire quali fossero i miei sentimenti. Le dirò la verità, signor Hayami, perché non voglio che ci siano incomprensioni tra di noi. Ci fu un momento in cui mi chiesi se sarei stato capace di riaccendere la luce nei suoi occhi, se sarei stato capace di far battere il suo cuore per me. Dopo tanti mesi di vicinanza e di condivisione mi ero reso conto di aver cominciato a guardare Maya con occhi diversi. Se prima il mio interesse era stato esclusivamente per così dire “professionale”, benché non possa negare di essere sempre stato affascinato dal suo carattere così fragile e forte allo stesso tempo e dalla sua determinazione, a quel punto avevo iniziato a desiderare per me le sue attenzioni. Avrei voluto che vedesse in me l’uomo e non l’angelo custode. Avrebbe potuto essere un nuovo inizio per entrambi. In tal caso sarebbe stato impossibile anche per lei ritrovarci. Ma benché non si possano comandare i sentimenti o i desideri, c’è sempre stata dentro di me la consapevolezza profonda che ciò non sarebbe mai potuto succedere. Maya vive per lei e di lei e questo non cambierà mai. Io sono un uomo pratico signor Hayami, mi conosce, e non mi imbarco in una battaglia se non ho almeno il dubbio di poter vincere. È stato automatico e quasi indolore passare dall’attrazione all’amicizia sincera e disinteressata. Sia lei che Maya avete ora in me un amico sincero, oltre che un fedele collaboratore.
 
Un giorno, qualche settimana dopo il nostro arrivo, ci ritrovammo per caso ad un matrimonio e fummo invitati a rimanere. Maya accettò con un sorriso triste e rassegnato, ma quando si trovò ad assistere allo scambio delle promesse improvvisamente proruppe in un pianto furioso e disperato e dovetti portarla a casa in braccio. Una volta arrivati al riparo tra le pareti della baita mentre stavo per appoggiarla sul divano, mi chiese di continuare a stringerla. Io… mi dispiace signor Hayami, so che questo le farà male e mi detesterà, acconsentii. Averla lì, abbracciata a me… non seppi resistere. È strano, signor Hayami, come a volte la vita si ripeta e sembri intenzionata a prendersi gioco di noi in ogni modo possibile. Anche lei aveva vissuto un momento simile nella Valle dei Susini, quindi credo di poter omettere tutto quello che mi si agitava nel petto. Rimanemmo a lungo stretti su quel divano, fino a che il pianto di Maya si placò e cominciò a raccontarmi con voce bassissima tutto quello che era successo nei giorni precedenti l’attentato al Kid’s Studio.
Mi raccontò della lite furibonda che si era conclusa con un bacio e la confessione dell’amore inaspettatamente ricambiato. Della lunga notte di spiegazioni e dolcezza che ne era seguita. Dei piani e dei progetti. Delle ombre e degli oscuri presagi che entrambi sentivate gravare sul cuore ma che non avevate il coraggio di confessare. Di come momento dopo momento, giorno dopo giorno i vostri baci fossero sempre più appassionati e di come lei, Maya, sentisse crescere dentro di sé nuovi desideri, nuovi fremiti. Di come sentisse sbocciare la sua femminilità ad ogni suo tocco e di come ogni volta, ad ogni incontro, ognuno di voi osasse carezze sempre più audaci. Fino a quella sera. La voce di Maya era diventata un sussurro quasi impercettibile quando mi raccontò della vostra prima volta. Non avrei mai creduto, signor Hayami, che la timida Maya riuscisse a parlare senza pudore di argomenti così intimi, che riuscisse ad evocare la passione di un’intera notte passata a darsi la vita con le labbra e con le mani, perdersi l’uno dentro l’altra e rincorrersi fino ai confini dell’universo, sentirlo esplodere dentro di sé e poi ricomporsi e tornare a esplodere in un circolo senza fine. Le sue parole andavano oltre la descrizione del semplice incontro di corpi per arrivare a narrare la fusione di due anime. Parlava lentamente, e le sue parole, scelte con cura, si diffondevano nel silenzio che ci circondava come i cerchi di un sasso lasciato cadere in acque placide. “Noi non abbiamo neppure dovuto cercarci, Hijiri, il difficile è stato riconoscerci e poi tutto è andato al proprio posto. Ci siamo annullati l’uno nell’altra e ricomposti come due metà perfettamente compatibili”. Credo che sia stato quello l’unico momento in cui l’abbia mai invidiata, signor Hayami.
Poi la bomba al Kid’s Studio a cui Maya e i suoi colleghi erano scampati per puro caso, semplicemente perché il figlio minore di Kuronuma si era ferito a scuola e lui aveva interrotto le prove per correre in ospedale e li aveva mandati a casa in anticipo. “Non riesco a credere che avrebbero sacrificato tante vite solo per colpire me. È per questo, Hijiri, che ho accettato di fuggire e nascondermi. Non avrei sopportato che altri potessero rischiare ancora la vita per colpa mia”.
Infine l’ultima notte trascorsa insieme. La disperazione. Il sapore salato delle lacrime che si mescolava a quello degli umori. La gioia stemperata dal dolore e il dolore stemperato dalla gioia. L’urgenza e la dolcezza.
Tutto, signor Hayami, per legare a sé per sempre ogni momento, ogni sospiro, ogni pensiero. Se ne stava lì, appollaiata sulle mie gambe e sul mio petto e mi apriva le porte della sua anima e dei suoi ricordi, con quella sua voce vellutata carica, di momento in momento, di timidezza, passione, paura, e soprattutto dolore, un dolore spietato. “E adesso ogni giorno, ogni attimo, ogni respiro mi sento morire. Non solo perché senza di lui mi sento incompleta ma perché non posso non pensare a tutto il tempo che abbiamo perso. A quanti anni di felicità abbiamo sprecato. E per quanto mi sforzi, per quanto ci provi con ogni fibra del mio essere non riesco a credere veramente che tutto si risolverà. Masumi ha detto che sarebbe stata solo una questione di tempo e poi sarebbe venuto da me, da noi. Ma io ho paura che non ci riesca. Paura che non smettano mai di ricattarlo, di minacciare la sua famiglia e la Daito. E provo una gelosia folle verso ogni persona che può vederlo e parlare con lui ogni giorno. Una gelosia che mi annienta il cuore, che mi divora. Lo voglio qui accanto a me. Voglio addormentarmi accanto a lui e svegliarmi accanto a lui. E poi penso che invece c’è lei al suo fianco. Ha sposato Shiori. È sua moglie adesso… sua moglie… moglie… moglie…”
Continuava a ripetere le ultime parole come una cantilena, tra i singhiozzi, finché scoppiò di nuovo a piangere proseguendo fino ad addormentarsi, spossata, tra le mie braccia.
 
Qualche giorno dopo durante una passeggiata arrivammo davanti a una piccola cascata e Maya improvvisamente cominciò a recitare le battute della Dea Scarlatta. Era meravigliosa. Akoya finalmente completa e con una nuova consapevolezza. La vita scorreva in lei e da lei. Era impossibile non rimanerne affascinati ed io, completamente assorto, non mi accorsi che non eravamo più soli fino a che non sentì un singhiozzo provenire da un punto alle mie spalle. Mi girai di scatto e vidi due abitanti del paese che si asciugavano gli occhi colmi di lacrime. Probabilmente non avevano capito neppure una parola, ma la luce che irradiava dal volto di Maya, la sua forza, la dolcezza nella sua voce, bastava quello a trasmettere tutto il sentimento, l’amore e la disperazione dello spirito del susino. Anche Maya si accorse di loro e si fermò. L’incanto era ormai rotto e lei fuggì verso casa.
Quella sera i due, un uomo e un ragazzo, vennero a farci visita. Li conoscevo di vista ma ero certo di non aver scambiato più di qualche semplice convenevole con loro dal nostro arrivo due mesi prima. Furono molto gentili e si informarono sullo stato di Maya. Dopo che li avemmo rassicurati e dopo aver conversato un po’ del più e del meno le chiesero se fosse un’attrice. “In un’altra vita”. Così rispose lei chinando la testa mentre gli occhi le si erano già inumiditi.
Le chiesero di ripetere lo spettacolo, per tutto il paese questa volta, ma lei rifiutò dicendo che oramai quel personaggio apparteneva ad un’altra attrice. Avrebbe però interpretato altri ruoli, se glielo avessero permesso. Accettarono.
Inutile dire che il monologo che scelse fu un successo straordinario, a cui ne sono seguiti altri nel corso dei mesi.
Recita solo per gli abitanti del villaggio. Rifiuta categoricamente che ci siano degli stranieri ad assistere e non vuole essere fotografata. Sa che cosa rischierebbe se in qualche modo il suo viso dovesse finire su qualche rivista, se per puro caso qualcuno dovesse riconoscerla.
È più serena. La recitazione ha, come sempre è stato, un effetto calmante su di lei e l’impegno che ci mette l’aiuta a tenere lontani gli altri pensieri, almeno per un po’. Ma si vede che le manca qualcosa. La luce nel suo sguardo non è più quella brillante di un tempo. È come se un velo la separasse dal mondo che la circonda, come se, benché interagisca e si lasci coinvolgere, il suo cuore fosse sempre lontano.
Ed eccomi qua, signor Hayami, a contravvenire ai suoi ordini. Eravamo d’accordo di mantenerci in contatto solo tramite il suo amico e così abbiamo fatto durante tutti questi mesi. Mi sono domandato a lungo cosa dovessi fare e alla fine ho deciso, da solo. Maya non ne sa niente. È arrivato il momento. L’uomo che le ha consegnato questa lettera, il suo amico, le illustrerà il piano che abbiamo studiato per permetterle di lasciare per sempre il Giappone e raggiungerci.
Non tardi, signor Hayami. Maya ha bisogno di lei.
Suo figlio nascerà tra poco più di un mese. Il figlio che lei non sa ancora di avere.
 
A presto.
Karato Hiijiri

  
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