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Autore: Sorella_Erba    25/10/2011    1 recensioni
[Do começo ao fim]
Thomás aveva vissuto in una bolla colma di acqua di mare e vi era cresciuto nuotando.
Accenni slash/incest.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bolle.

Per Liv.
Ti voglio tanto bene.

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Thomás aveva sempre avuto le mani calde, gli occhi pieni e il sorriso sulla bocca. Per ventidue anni.
La mamma gli diceva che somigliava a una creatura celeste, a un angelo del paradiso – quelli belli, con la veste candida, i boccoli d'oro e un'aura fatta di stelle ad avvolgerli come una coperta; Francisco gli baciava quei riccioli da angelo biondo con le labbra sapide del cloro della piscina in cui si allenava.
Thomás aveva vissuto in una bolla colma di acqua di mare e vi era cresciuto nuotando, i contatti con l'esterno ridotti al minimo. Quei ventidue anni che non si era reso conto di avere gli gravarono sulle spalle d'improvviso, tutt'in un colpo, il giorno della morte di sua madre, quando comprese che la convinzione che la sua dolce presenza sarebbe stata eterna era una menzogna, e i ventidue anni divennero il triplo di quelli che aveva già consumato rincorrendo una bugia confortante. La bolla d'ovatta era esplosa e lui era caduto su un pavimento gelido – e gli occhi colmi d'amore si svuotarono e si riempirono della realtà; le dita erano gelate e il corpo percorso da brividi.
Sua madre non c'era più e lui annaspava come se avesse i polmoni gonfi d'acqua. L'aria gli mancava.
Fuori dalla bolla, il mondo era ghiaccio.
Francisco, anche lui, sentiva freddo. Allora avevano fatto l'amore per riscaldarsi.

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Costruirono un'altra bolla, stavolta più grande e resistente.
Lì si scaldavano le mani a vicenda, si riempivano gli occhi l'uno dell'altro e mordevano sorrisi.

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La paura più grande di Thomás era uscire fuori e affrontare il mondo.
Aveva ventitré anni, una ferita ancora aperta all'altezza cuore e l'insicurezza e la gelosia di chi ama – le mani fredde, gli occhi vacui, attraversati da un velo di tristezza, le labbra una linea retta, muta.
Andarsene significava mettere a dura prova la resistenza del suo rifugio sicuro. Francisco era la sua casa e quella bolla che odorava di cloro e di sesso.

Era crudele, e glielo sospirò sul collo nell'ultima loro notte.

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Fece molte vasche, quel giorno, forse troppe.
Dalle grandi vetrate, si scorgeva chiaramente il paesaggio bianco e grigio di una Mosca che pareva taciturna e introversa. Nevicava. Non era importante.
L'acqua che gli abbracciava i muscoli tesi e stanchi era ancora tiepida, segno che la piscina era stata riscaldata di recente. A ogni immersione, vi espirava dentro e sentiva il calore scendere dalle narici e carezzargli il viso in migliaia di minuscole bolle che si spaccavano a contatto con la pelle. Sott'acqua, chiudeva gli occhi e fingeva ci fosse la voce di Francisco a chiamarlo – «Thomás Thomás Thomás Thomás» sussurrava a ogni bacio sulla nuca, le braccia forti e calde strette sul suo stomaco, mentre gli rimaneva dentro ancora un po', dopo averlo amato. Thomás apriva gli occhi e vedeva appena in tempo la parete della vasca, sprofondava in acqua e si voltava in una capriola veloce.
L'acqua che gli turbinava nelle orecchie aveva lo stesso suono dei mormorii di Francisco. Non era sufficiente, e a ogni bracciata sentiva il respiro correre via e la pesantezza della nostalgia scavargli il petto e annientarlo, divorargli i polmoni e i brandelli di cuore.
   
 
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