;">Ai corpi dei compagni morti in battaglia furono concessi opportuni ed improvvisati onori funebri, avvolti tra le fiamme di una pira.
Nessuno
di loro era un caro
amico, ma nonostante ciò l’atmosfera era pesante,
il silenzio regnava e, anche
se non lo davano troppo a vedere, gli uomini erano pervasi da un
terribile
senso di avvilimento sovrano che stringeva loro il cuore e dava groppi
alla
gola. Quelli che adesso apparivano come cumuli di cenere nello scoppiettante braciere erano stati loro compagni di viaggio, di battaglia, li avevano
affiancati fino
a pochi minuti prima condividendo sudore e sangue.
I
cadaveri dei centauri furono
lasciati ai vermi.
Una
lunga colonna di
esordienti camminava lenta verso il fitto di quella foresta che fino ad
allora
aveva riservato loro solo insidie e difficoltà.
Il suolo si faceva man mano
sempre più
viscoso ed i loro passi sempre più appiccicosi. Gli arbusti che li
attorniavano
assumevano conformazioni astruse ed ospitavano gli animali
più miserabili. Una
grossa serpe aggrovigliata ad un albero sibilava
minacciosa verso la schiera di stranieri ed inverecondi
avvoltoi, mangiatori di carogne,
appollaiati su alcuni rami di un albero attendevano che qualcuna delle
loro
prede cadesse vittima delle tante insidie boschive. Orride scolopendre
viscide zampettavano
scomparendo nel buio di alcune spaccature nelle corteccie.
Kratos
camminava alla testa
della colonna, accompagnato da Chrestos che non lo aveva mai lasciato
solo da
quando era stato liberato da quelle catene che ancora si trascinava
dietro;
aveva trovato uno scoiattolo ferito durante il tragitto, e lo stava curando con dedizione, come un genitore solerte ed amorevole.
“Come
mai hai sterminato
tutti quei ragazzi?” chiese incuriosito Kratos, che non
poteva credere che un
simile bonaccione potesse essere in grado di concepire una tale malignità e macchiarsi di ingiurie così gravi.
“Volevano
uccidere Telio”
rispose secco l’interlocutore
“un
tuo amico? E perché mai
avrebbero dovuto farlo?” chiese Eumenos che li aveva raggiunti inserendosi nella discussione
“Per
mangiarlo.. ma io
gliel’ho impedito” spiegò fiero il
gigante
“Cannibali!?”
chiese
spaventato il figlio di Agathangelos
“no…Telio
è un cervo”
concluse con un soave sorriso in contrasto con la rudezza del suo volto
ispido
Eumenos
restò sbalordito
dall’affermazione e lanciò uno sguardo preoccupato
al comandante che non
ricambiò la maligna complicità che c'era dietro. “Sei
un grande guerriero…è
questo quello che conta, porterai molta gloria al nome di
Sparta”
Chrestos
grugnì accennando un
sorriso. mentre accarezzava il nuovo animaletto.
“Ehi mammina Che
ne diresti di allattare anche
me da quel tuo grosso seno?!”
sghignazzò
la voce fuori campo di Astenos che irritò
l’imponente guerriero, tanto che, nella foga di volerlo colpire si voltò di scatto con un braccio teso compensando con la lungheza della catena,ancora attaccata al polso, la distanza sufficiente per colpirlo in piena faccia.
La sferzata tuttavia non trovò il suo bersaglio e
squarciò sfrigolante l’aria.
“Calma
Chrestos, stai calmo”
lo arrestarono le autorevoli parole del comandante, quello che aveva
riconosciuto
come guida ed esempio da seguire: come un bambino cerca un riferimento nelle
parole di un adulto che conquista la sua fiducia.
D’improvviso
una freccia
colpì alla spalla uno dei guerrieri che non fece in tempo a
levare un grido che
cadde al suolo esanime “Cosa
succede?!”
gridarono di botto spaesati alcuni altri mentre Kratos aveva
già sguainato le
sue lame esaminando la zona velocemente
“Frecce
avvelenate!” avvertì
Eumenos, “in
guardia” e,
proferite queste parole un altro ragazzo
alle sue spalle stramazzò squasciando su quel fango putrido
con una freccia
puntata sul collo.
Astenos
che si accorse della
provenienza di quei dardi si buttò tra gli alberi alla
ricerca degli
aggressori ed intanto un altro guerriero cadde a corpo morto; Schivò due frecce che gli balenarono ad
una distanza infinitesima,
doveva stare molto attento, sapeva che un solo colpo poteva essere
letale, e
quel tiratore era veramente bravo, più abile di Eumenos.
Riuscì
ad intravedere un'
imponente ombra che iniziò ad avvicinarglisi velocemente.
style=""> Quando i flebili raggi che
raggiungevano il
sottobosco illuminarono il figuro, si accorse che era il signore di quei
centauri
fuggito nella foresta poco prima: quello che loro chiamavano Nesso.
Era
bordato da un’armatura di
placche straordinaria; pareva che le leghe metalliche che la costituisse
fosse
l'argento e l'oro massiccio, con due solide
spalline che lo facevano sembrare
più enorme di quanto non fosse già stato, ricoperto di lastre di ferro
su tutto l’equino
corpo e avvolto da un elmo lucente che lo mostrava più
temibile. Niente a
che vedere insomma con la cotta di
maglia che indossava nella precedente battaglia: chi poteva avergli
donato una
simile corazza? Si chiese.
Ma
non era il momento di
farsi domande, e, mantenendo la mente fredda, lo ghermì con la
sua frusta afferrandogli
una delle zampe, nel momento in cui il centauro era già in carica.
Continuando il suo attacco, Astenos, prosegui la sua corsa tantando di aggirarlo accostarglisi ai fianchi, ma la bestia lo anticipò, e in modo repentino
incoccò tre di quelle
letali frecce sul suo arco e le saettò contemporaneamente
sull’aggressore.
Astenos
si buttò su un lato
evitando i letali dardi, poi in una sequenza di immediati attimi, con tutta la forza che trovò in corpo tirò la sferza verso di sé con un deciso strattone riuscendo ad atterrare la belva per le zampe anteriori.
Astenos si rialzò in piedi e si avvicinò minaccioso verso la bestia con l’intento di tracciargli un lato sorriso sulla
gola con la spada di
Eumenos (che aveva preso in prestito durante una sua distrazione).
Il nemico che aveva di fronte aveva un'aria molto diversa sai suoi cugini, era del tutto sicuro di sé, pareva che la situazione sfavorevole in cui si trovava non lo turbasse minimamente.
Il guerriero della Laconia si arrestò di colpo,
la vista si offuscava mentre la sua mente lentamente vacillava, pian
piano
perse l’uso della mano sinistra: si rese conto atterrito di avere un grosso graffio sul palmo della mano.
E mentre il sangue lento usciva si rese conto nell'arco di un istante che uno di quei dardi
avvelenati lo aveva sfiorato durante il tiro precedente
lasciandogli quella piccola benché fatale ferita. Cadde sulle ginocchia.
“sei
così prevedibile…” si beffò
Nesso della sua situazione deridendolo “…sono
questi i temuti guerrieri di cui dovrei tanto preoccuparmi?...
Dionisio, non
credi di avermi sottovalutato un po’ troppo?!...”
si
liberò lentamente dalla
frusta che gli bloccava una gamba
“tutti insieme
forse potreste anche riuscire a
mettermi in difficoltà…Ma da soli valete meno di
zero” estrasse
una scimitarra dal fodero dietro la
schiena, Astenos
anche in quella
situazione ghignò mettendo a raccolta tutte le forze che gli erano rimaste per
rispondere all’arroganza di quel mostro
“noi…non
valiamo nulla!?.... E
tu? Discendente bastardo
di una stirpe in declino di saccheggiatori
miserabili buoni a niente…quanto puoi valere tu, che hai
abbandonato i tuoi
fratelli quando sono stati sterminati pietosamente da me e dai miei
compagni?...
Tu che ti presenti
solo adesso avvolto
dalle tenebre come un pauroso codardo, usando un arco e delle frecce
per
attaccarci….mai conobbi strumento più
vile”
il
centauro, colpito da
quelle parole di fuoco si avvicinò lentamente e, accostandosi a lui sussurrò:
“non
eguagliare la feccia dei
centauri ad un prescelto di un dio”
poi
gli puntò la spada sul collo
“la
tua testa servirà da
monito per il tuo signore”.
Mentre
preparava il fendente per decapitarlo, alcune lance volarono nella sua
direzione;
non fece in tempo a reagire che gli si infransero sulla corazza in una
tempesta
di schegge facendolo
impennare sulle due
gambe posteriori.
Dalla selva uscirono gli
altri soldati che
seguivano la strada spianata dalla grande mole di Chrestos;
“Che
volete fare voi alti?....Non
sapete neppure a cosa state andando incontro!”
gridò Nesso gettandosi in carica
contro il primo della fila il quale a sua volta, certo della sua
possanza,
cercò follemente lo scontro frontale.
L’impatto
fu disastroso per quest’ultimo il quale non riuscì
a colpirlo con la sua ascia
e venne schiacciato dalla foga travolgente del mostro, che non pareva
dare
accenni di esitazione fronteggiando la superiorità numerica
schiacciante con il
suo impeto selvaggio.
In
un certo istante un
inevitabile giavellotto eluse la sua corazza trapassando la carne poco
sotto
l’ascella.
Nesso
accusò il colpo,
rigettando parecchio sangue; e intanto Eumenos stava incorrendo verso
il nemico
dando prova dell’encomiabile precisione del lancio da poco
effettuato con
diversi giavellotti in spalla.
Per
un'altra via emerse
Kratos correndo di gran foga. Il
centauro estrasse la lancia dalla sua sanguinante ferita grugnendo come
un
cinghiale, poi incombette su quest’ultimo puntandogli contro
la picca: nell’impatto
la picca si inculcò al suolo e
Kratos la spezzò a metà con un calcio, ma non
poté sottrarsi ad una sciabolata
che gli solcò il petto inumidendo la spada del suo sangue.
Ma
il giovane genio del
combattimento reagì d’impeto e collise sulla
scorza metallica con le sue lame senza
però riuscire neppure a scalfirla. Nesso
che stava per contrattaccare con un secondo fendente si
arrestò quando avvertì
una lancinante fitta alla zampa posteriore:
la temibile ascia di Chrestos l’aveva battuta
con tanto veemente fervore
da far decollare il paratibia e denudare l’arto che ora era
vulnerabile.
Resosi
conto dello
svantaggio, l’alfiere dei divini si liberò della
morsa di Kratos con una
scalciata e, trovata una via di fuga, si
ritirò per la seconda volta travolgendo tutti quelli che
erano stati tanto
sconsiderati da paralisi davanti.
L’atmosfera
si era
attiepidata, erano passati pochi minuti da quando Astenos era stato
colpito ma
ancora non aveva ceduto al tristo destino della morte cui era incappato.
“
sei stato colpito!”
evidenziò conciso Eumenos, che lo aveva raggiunto,
attenuando la tipica
spocchiosità della sua voce, la quale si era fatta
impercettibilmente più
malinconica, tanto da ignorare il fastidioso furto della preziosa spada
appartenuta al genitore, che lentamente raccolse da terra per riporla
nel suo
fodero.
“Grazie
di avermelo fatto notare…..”
rispose ansimante ed affaticato Astenos
ancora abbastanza lucido per fare sarcasmo;
“Dei….Sono
avvelenate…non
servirà solo estrarla dal….” Non
riuscì a proferire altro verbo che il compagno
riagguantò la lama prediletta dal suo fodero, e sotto gli
sguardi sconcertati
degli astanti con un ultimo barlume di lucidità si
accoltellò violentemente la
ferita facendo schizzare guizzi copiosi di sangue più scuro
della norma che
gocciolavano al suolo sublimando in vapore incandescente; poi perse i sensi.
Si
accamparono in uno
spiazzo, scacciando le tenebre poc’anzi calate con la
luminescenza di uno
scoppiettante braciere che rivelò diversi stormi di
pipistrelli che svolazzavano
stridenti.
La
stanchezza della battaglia
precedente, della lunga marcia e di quella scaramuccia si erano fatte
sentire
per molti di loro: si buttarono quindi a terra senza indugio, cercando
una
consolazione in quelle poche ore notturne; alcuni di loro erano stati
feriti,
superando arditamente il dolore per tutto quel tempo, ed ora si
trovavano in
fila davanti ad alcuni debuttanti chirurghi che utilizzavano il ferro
ed il
fuoco per coagulare le lacerazioni e prevenire
l’imputridimento.
Astenos
era disteso nei
pressi del focolare, e la sua mano era stata pulita e bendata.
Eumenos
analizzava i cadaveri
dei compagni caduti a causa della mortale tossina: erano delineati da
una
terrificante smorfia di dolore, la loro pelle si era putrefatta ed
assunto una
pigmentazione grigiastra color carbone con delle spaccature da cui
fuoriuscivano ripugnanti larve, mentre
alcune luride mosche vi avevano già depositato le loro
nidiate.
“Conosco
questo veleno…”
proferì Eumenos “provoca
la morte delle
cellule ed una decomposizione dell’epitelio ininterrotta, ma
se viene arrestato
il flusso sanguigno, e quindi il contagio, prima che il veleno colpisca
i punti
vitali è possibile salvarsi…. le conseguenze del
suo tocco sono comunque
piuttosto gravi: potrebbe restare in coma per giorni, avere forti
convulsioni,
la febbre alta….”
“non
mi interessano i sintomi”
interruppe brusco Kratos, rimasto silente da quando aveva visto il
compagno
caduto: il suo volto era corrucciato, e i suoi occhi palesavano una
rabbia
infinita che andava a mascherare anche una triste
sofferenza…ma lui non era
tipo da svelare le sue debolezze emotive, neppure a quelli che
sarebbero stati
i suoi compagni di battaglia, neppure a sé stesso.
“…quando
potrà tornare di
nuovo in piedi per impugnare un’arma?”
“…forse
mai, chi lo sa?… ma
se è davvero un osso duro ha qualche
possibilità”
Kratos
rimase in silenzio
quasi confortato da quell’ultima asserzione; sapeva bene che
quel ragazzo era
fatto della sua stessa pasta: duro e freddo come l’acciaio,
mai avrebbe desistito,
neppure se toccato dalle cupe membra di Thanatos.
“E’
possibile scampare agli effetti del veleno?”
“non
saprei…non sono un
medico, bisogna sperare di essere colpiti su un punto non vitale e fare
come ha
fatto il nostro amico qui…devo dire che al dì la
della sua demenza, ha avuto un'
eccellente idea per salvare la pellaccia”
“Bene”
“come
potremmo dormire
tranquilli con un mostro simile alle calcagna!?” chiese uno
dei soldati ad
Eumenos
“è
semplice, ragazzo…doppi
turni di guardia per tutti!”
rispose
secco Kratos introducendosi nella discussione; il
soldato si ritirò sbuffando
“non
mi preoccuperei troppo:
da quanto ho capito il nostro nemico è ormai uno solo, e
così come noi anche
lui ha avuto una giornata pesante, ci lascerà stare per il
momento”
“non
ti adagiare”
Kratos,
anch’egli, come gli
altri, piuttosto esausto si appropinquò più
isolato dal resto del gruppo,
stringendo le sue lame nei pugni, tenendo la guardia in prevenzione di
un’ipotetica ennesima imboscata mentre Chrestos si era seduto
nei suoi pressi
come un cane da guardia.
Nessuno riuscì
a chiudere occhio: al di là
dei luminosi raggi del focolare le cupe e paurose tenebre avvolgevano
quel
tetro luogo, crepitanti scricchiolii li
tenevano in continua allerta, anche se erano felpati dai monotoni
frinii dei repellenti
insetti che spargevano i loro ormoni nel canto notturno.
Persino
Kratos si era
lasciato suggestionare da alcuni sinistri fruscii che parevano
avvicinarsi alle
loro postazioni, ed alle volte la fantasia faceva brutti scherzi
concretizzandosi in inquietanti sussurri.
I
giorni sorgevano
rappresentando una salvezza per le paure di molti in quanto si diceva
che gli
spiriti delle creature morte si manifestavano tra le tenebre di quegli
alberi,
i guardiani notturni stimolavano la loro immaginazione e giuravano di
aver
veduto i cupi e pallidi volti dei guerrieri caduti; ma come il
più delle volte
l’unico vero pericolo erano le voci ed i timori che si
trasmettevano come un
contagio.
Il
cammino diurno verso quel
tempio dimenticato era non meno arduo, e più di una volta le
incursioni di
Nesso avevano sparso lo sconforto tra loro: erano rapide ed incombenti,
impossibili da prevenire, alle volte si limitava ad eliminare un paio
di uomini
per poi dileguarsi per parecchio tempo. Che intenzioni aveva? Si chiese
il
comandante. Perché non lo attaccava? Pareva quasi volesse
neutralizzare il suo
intero schieramento per vedersela da solo con lui; ed intanto il loro
numero si
era incredibilmente decimato.
Astenos
era steso su una
spalla dell’enorme Chrestos, che non sembrava affatto
soddisfatto della
mansione assegnatagli, anche perché tra i due non correva
buon sangue, ma gli
ordini del comandante erano per lui legge, e non voleva deluderlo.
“…devo
proprio portarlo io il
pezzo di sterco del mio signore!?” bofonchiò il
gigante
“…ehi
fratellino… gentile da
parte tua, ma se devo defecare non sarà necessario che tu la raccolga…” rispose un ironica voce misteriosa la cui provenienza non fu reperita dal
confuso
Chrestos che perplesso si voltò guardandosi attorno.
Da
giorni Astenos stava dando
segni di una veloce ripresa, cosa che lasciò allibito
Eumenos, per l’incredibile
capacità di rigenerazione.
La
notte era calata
nuovamente, ma questa volta Kratos non si lasciò ghermire
dalla stretta di Morfeo:
teso e pensieroso rimase lui stesso da solo di guardia proibendo ad
altri di
affiancarlo; uno strano presentimento si faceva strada tra i suoi
pensieri per
giorni, incoraggiato dalla consapevolezza del fatto che avrebbe
vendicato il
compagno ferito nel corpo ma soprattutto nell’orgoglio e la
volontà nel
realizzare i suoi piani.
Così
il giovane ardito
guerriero si distaccò dal gruppo di dormienti, abbandonando
la postazione:
sapeva che per qualche strana ragione il centauro voleva solo lui, e
probabilmente lo voleva vivo. In questo modo andava incontro al volere
del suo
predatore, che sicuramente non gli aveva staccato gli occhi di dosso
dall’inizio del suo viaggio…il mostro non si
sarebbe lasciato perdere una così
allettante occasione.
Kratos
rimase immobile nella
stessa posizione per lungo tempo, attendeva paziente la mossa del suo
nemico
che a sua volta si stava ammissibilmente assicurando che non si
trattasse di
una trappola.
“…io
sono qui….” Sussurrò agli
alberi “…che
cosa aspetti?”;
quasi in risposta alla sua
domanda avvertì un
fruscio di foglie, e poi un incombente galoppare a pochissima distanza, “finalmente!!!” sguainò
veemente le fatali lame ed un’
immensa mole già gli era addosso: era lui. Il guerriero,
accortosi dello spostamento
d’aria riuscì ad evitare la dannosa collisione di
uno scontro diretto nella
quale non avrebbe avuto scampo e repentino si afferrò
all’armatura posteriore e
quindi trascinato dalla carica.
“RIDICOLO
UMANO! CREDEVI
AVESSI PAURA DI TE!?” latrò il
barbuto
centauro proseguendo con una folgorante corsa la cui accelerazione
avrebbe
fatto mangiare la polvere ad ogni comune equino.
“credo che tu
abbia avuto paura per tutto
questo tempo!” rispose mentre il vento a quella
velocità gli falciava la pelle,
ma trovò la forza di fronteggiare la resistenza
dell’aria e lo infilzò tra due
lastre di ferro
che
gli ricoprivano il dorso,
cercando di fare leva con la sua arma per spogliarlo della spessa
armatura.
Ma
Nesso non intendeva
lasciarglielo fare, e colto da una foga bestiale iniziò a
roteare su se stesso
incrementando ancora la lestrezza, e
per
invitare l’umano a lasciare la presa incominciò a
scontrarsi rimbombante contro
i tronchi degli alberi circostanti a discapito anche della sua pelle.
Un
comune centauro sarebbe
stato eliminato facilmente una volta scoperto nel fianco
dall’avversario, ma i
riflessi e la celerità del mostro surclassavano quelli dei
suoi simili.
Allo
stesso modo un comune
umano non avrebbe retto ai terribili impatti cui lo stava sottoponendo
Nesso;
sarebbe stato schiacciato dalla sua furia distruttrice: la schiena si
sarebbe
spezzata, enormi ferite si sarebbero aperte, portandolo alla morte
diretta.
In
effetti il corpo di Kratos
era messo continuamente a dura prova da quelle pericolose manovre: le
braccia
erano ricoperte di sangue, e presentava numerose lacerazioni sulla
schiena, ma
parve che la sua struttura ossea non fosse delle più comuni,
dotata di
un’intrinseca resistenza ai normali attacchi, che erano
attutiti anche dai
poderosi tessuti muscolari.
Riacquisito
l’equilibrio
sulla groppa di Nesso, con un urlo di rabbia, l’eroe
riuscì a lacerare parte
dell’armatura che scivolò lungo il percorso; il
centauro consapevole della nuova
vulnerabilità celerò ancora per
limitare
la precisione del successivo affondo, che non avrebbe più
trovato nel suo
percorso una spessa scorza ferrea a frenare il danno letale,
minacciandone
l’incolumità e Kratos si sbilanciò
cadendo all’indietro dalla sua schiena, ma
anziché stramazzare supino al suolo si afferrò
alla sua coda.
<<
p class="MsoNormal">“LASCIA
LA PRESA!” gridò il
mostro continuando a scontarsi irrefrenabile e dirompente contro ogni
superficie gli si parasse innanzi. danneggiando più
sé stesso che altro.
Il
combattente avviluppato a
quell’ondeggiante coda, che fungeva da fune, gli si avvicinò
tenuemente, ostacolato dai
continui urti col suolo che amalgamavano sangue e sudore col vischioso
fango; ma non
desistette e con uno scatto di potenza
infilzò la gamba del mostro denudata da Chrestos nella
precedente battaglia e
fece ruzzolare la creatura per diversi metri che lo trascinò
a sé nel suo stramazzare.
Si
accorse che il percorso
davanti a sé aveva preso una differente pendenza, e
l’inclinazione si faceva
concava: assieme alla bestia precipitò per
quell’erto pendio rotolando
rovinosamente e nell’incessante periodico sfracellamento
sulla scoscesa i due avversari
si colpivano e laceravano ad ogni ripresa.
Infine
Si schiantarono nel
terreno sottostante: un melmoso pantano viscido e sporco, in uno
scoppio di fiotti
e zampilli.
Kratos
Rimase qualche istante
steso a terra quasi intontito, poi si riprese rimettendosi appiedi
nonostante i
numerosi squarci, e la rottura di qualche costola, le quali avevano
ceduto alla
forza di impatto contro le querce: tuttavia probabilmente
l’avversario doveva
stare peggio.
Totalmente
imbrattato del
lurido humus s’avvicinò a quella che adesso
appariva come una montagnola di
sterco (e mai avrebbe detto che fosse un centauro se non
l’avesse visto
collidere) per dargli il colpo di grazia.
Il
bestione riemerse fragoroso
da quel fango accecato dall’ira, con la sciabola in mano
tentò di mutilargli un
braccio; pareva ormai che non gli interessasse più prenderlo
vivo.
Nonostante
i riflessi la lama
gli falciò la pelle e rischiò realmente la
perdita di un arto, ma Kratos non
cedette alla paura o al dolore ma sopraffatto da una furia senza confini strinse forte le sue armi poi girando velocemente su
sé stesso eluse la sua difesa e si
portò nelle sue immediate vicinanze, cercando di permeare
nelle lame la
velocità di rotazione di quella forza centrifuga generata: come risultato, le lame
iniziarono a
scaldarsi, la massa si dilatò, iniziando a prendere un
acceso colore arancio.
Arrestò
d’improvviso la
rotazione concentrando tutta la rabbia e la forza in un unico punto per poi
scatenarla in un micidiale impatto sull’imponente armatura
dorata del suo nemico.
Schegge
e tizzoni ardenti schizzarono da essa; il colpo risultò devastante, le spade sembravano una vera e propria trivella per arrivare al cuore.
Il centauro appariva incredulo ed impotente davanti agli effetti di quel potentissimo colpo che riuscì nell’intento e bucò la spessa corazza trapanando anche la carne al di sotto di
essa e facendolo impennare e cadere all’indietro.
L’avversario non si lasciò
scappare l’occasione di squarciare la pancia al mostro il
quale con rapidità disumana si voltò a bloccare l’affondo con la spada, che però non resse alla sua potenza e si infranse in mille pezzi.
A
questo punto Kratos, sicuro della vittoria, e consapevole di un’intrinseca potenza che cresceva giorno dopo
giorno in lui, iniziò a far vibrare le lame ricaricandole
della loro incandescenza, ma a discapito della sua difesa,
così che inaspettatamente fu atterrato perdendo
entrambe le armi.
Gli
zoccoli del mostro gli affondarono
ora sul corpo, il peso era insopportabile, mentre a sua volta il guerriero affondava
nella fanghiglia che gli ricoprì il volto impedendogli il
respiro.
“Non mi importa se
ti volevano vivo!! Avrò la
tua testa! Soffrirai come un cane, dopo che ti avrò
iniettato il mio
veleno!...E non sarai ricordato da nessuno, perché nessuna
polis greca ti ha
mai reclamato come suo figlio”
prese il
suo arco, ed incoccò una delle frecce,
da
quella distanza chiunque sarebbe morto sul colpo, persino uno come lui.
Quando nella melma
ritrovò una delle lame perdute
ancora incandescenti, il fendente partì celato dalla terra
stessa, ed imprescindibilmente
si infranse sullo zoccolo che lo aveva immobilizzato mutilandolo.
Con
un urlo selvaggio, Nesso
cadde sprofondando di qualche cubito nel fango.
Il giovane Kratos avvolto di una furia più
divina che umana, si lanciò
in corpo a corpo impedendogli così i mortali attacchi a
distanza che avrebbero
potuto eliminarlo; ignorò gli allarmi di dolore provenienti
da ogni singola
parte del suo corpo e si scontrò di gomito sul mostro
negandogli il fiato per qualche istante; poi con un montante rinforzato della lama diretto in pieno volto lo privò dell'elmo, che cadde sprofondando nella melassa, rivelando sotto di esso un volto barbuto e deforme che lo
ripugnò.
Ripensando all’orgoglio ferito del compagno caduto, evitò di concedergli la morte con tanta leggerezza.
Impresse di nuovo un' immane potenza su quell’arma eseguendo la manovra appresa poco prima e facendola ardere nuovamente.
La minidiale traiettoria falciò di netto il braccio sinistro dell'avversario accrescendo le sue sofferenze.
Kratos rimase a guardarlo mentre urlava e grugniva di dolore e fiotti di sangue nero spruzzavano ovunque. Sorrideva ora lo spartano, abbassando la guardia; ma la superbia fu sua nemica poiché il mostro, creduto sconfitto, con un'incredibile lucidità mentale e resistenza al dolore si approfittò della situazione. Con un riflesso repentino usò l'arto che gli era rimasto per sfoderare una freccia avvelenata dalla faretra e colpirlo al ventre all'altezza di un rene. o:p>
Il
ragazzo abbassò lo sguardo terrificato più per quello che era stato un imperdonabile stupido errore che per la ferita mortale di per sé.
Alzò il capo, guardò Nesso, l'avversario di cui si stava beffando poco prima aveva ora un sorriso insanguinato e terribile che gli solcava il volto “Una freccia
può essere usata anche in uno scontro diretto…” disse
sputando
sangue.
.
.