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Autore: MissysP    25/10/2011    1 recensioni
Anko è una donna forte, tutti ne sono consapevoli. Ma una donna forte ha anche bisogno di un momento per ricostruire la maschera che porta tutti i giorni. Soffocare il proprio dolore nel fumo e nell’alcol di certo non aiuta.
Un viaggio per affrontare il proprio passato, per quanto possa essere doloroso. Presto dobbiamo fare i conti anche con quello, nulla gli può sfuggire.
[cit.| Mentre rimugino su questi pensieri mi accorgo di star fissando un pezzo di stoffa. Lo osservo attentamente poiché ha un’aria famigliare. L’ho già visto da qualche parte ma non mi ricordo dove. Mi avvicino lentamente e mi chino per prenderlo. La stoffa è cotone, quello di un kimono grezzo per bambini. Ha dei motivi a forma di fagiolo rosso.]
Storia arrivata 3° al concorso "In Memoriam" di Dreamwolf
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anko Mitarashi, Kakashi Hatake, Sorpresa
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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Nickname autore: sul forum _Multicolor_ / sul sito MissysP 
Titolo storia: The moud of feeling 
Pacchetto: Palude 
(Persona ricordata: Orochimaru 
Persona che ricorda: Anko 
Luogo: Palude)
Eventuali altri personaggi: Kakashi Hatake
Genere: Sentimentale, Triste
Rating: Giallo
Avvertimenti: Missing-Moments, One-Shot, OOCTrama/introduzione: Anko è una donna forte, tutti ne sono consapevoli. Ma una donna forte ha anche bisogno di un momento per ricostruire la maschera che porta tutti i giorni. Soffocare il proprio dolore nel fumo e nell’alcol di certo non aiuta. 
La morte del proprio maestro può essere la causa di un combattimento interiore di una persona, se poi questo maestro ha cancellato la memoria della propria allieva ha conseguenze ancora più disastrose. Una donna forte può affrontare il dolore tenuto dentro di sé, anche per fin troppo tempo? 
[cit.| Mentre rimugino su questi pensieri mi accorgo di star fissando un pezzo di stoffa. Lo osservo attentamente poiché ha un’aria famigliare. L’ho già visto da qualche parte ma non mi ricordo dove. Mi avvicino lentamente e mi chino per prenderlo. La stoffa è cotone, quello di un kimono grezzo per bambini. Ha dei motivi a forma di fagiolo rosso.] 
NdA: Alla fine.








The moud of feeling



Il sole stava tramontando. Si stava andando a nascondere dietro le montagne, lasciando il posto alla sorella luna. Il cielo era spezzato a metà, diviso fra il caldo dell’arancione e il freddo del blu. Le nuvole pompose lottavano per conquistare un pezzo di cielo, anch’esse divise fra i due colori, insieme alle stelle. Stelle timide che escono allo scoperto, per aiutare a illuminare quella fredda notte. Fredda come il mio cuore. Non avevo un motivo per andare avanti, non c’era nessuno scopo nella mia vita. Anch’essa, proprio come me, era vuota. Il mio passato rubato, il mio presente peggiore e il mio futuro si staglia nell’oblio. 
Una nuvoletta grigia s’alza oscurando il sole davanti ai miei occhi, si mischia con l’aria e vaga per il bosco. La mano si alza e porta la sigaretta alla mia bocca, le labbra si appoggiano alla cicca di quel veleno per polmoni e aspiro. Un lungo respiro, sento il fumo scendermi nei polmoni, annerendoli. Sbuffo e subito dopo il fumo esce. La mia attenzione viene attirata anche da uno scintillio d’oro. Nell’altra mano tengo una bottiglia di vodka, non mi interessa se questo accostamento mi farà male. Ho solamente voglia di dimenticare quanto la mia vita faccia schifo. Sebbene sia sempre allegra, esuberante e iperattiva in questo momento proprio non mi interessa nient’altro che crogiolarmi nella mia solitudine dolorosa. 
Mi sento un rottame, un qualcosa da buttare che non vale nulla. Chiudo gli occhi, cercando di liberare la mente, ma non ci riesco. Qualcosa mi tiene aggrappata alla realtà crudele. “Ma come, non lo sai? La vita è sempre crudele” recito fra me e me. Ormai ne sono consapevole da molto moltissimo tempo e quindi perché dovrei meravigliarmene? 
Butto giù un’altra sorsata di quel veleno liquido e poi aspiro ancora una volta la sigaretta. La mia gamba lasciata a penzoloni, scalcia nel nulla, mentre l’altra e poggiata sul ramo dell’albero su cui sono seduta. Uno stormo di uccelli abbandona il loro nido per migrare verso un luogo più caldo. Anche io potrei lasciare Konoha per andare in qualche altro luogo? C’è un luogo che mi possa ospitare, tenendo lontano il passato e i brutti ricordi? Rido perché solo questo posso fare, la risposta la so già. Ovviamente no, che non esiste un tale posto. Il luogo giusto sarebbe sotto terra, quando ormai le mie membra sono in putrefazione e il mio cuore ha smesso di battere. La mia risata echeggia fra gli alberi di quel posto e due alci scappano impauriti da tale suono. Se solo avessi voluto li avrei uccisi in poco tempo, troppo lenti per me.
Chiudo gli occhi, beandomi di quei ultimi raggi di sole che riscaldano la mia pelle fredda e pallida. Mi poggio sul tronco e rimango in silenzio. La quiete di quel posto è incredibile, non c’è nessuna distrazione, nessun intruso indesiderato e per una volta posso fingere che tutto vada bene. 
Da sotto le palpebre vedo un’ombra che schizza via, pochi secondi d’oscurità e ritorna la luce. Poi avviene una seconda volta e poi una terza. Sbuffando riapro gli occhi, ormai il sole è tramontato del tutto e la luna governa il cielo. I miei occhi neri esplorano lo spazio circostante, ma non noto nulla. Un fruscio alle mie spalle e questa volta mi alzo in piedi. Cerco di farlo in tutta calma, ignorando la mia rabbia per quell’intrusione e fingo di non essermi accorta di nulla. Guardo la sigaretta, ormai ne rimane solamente il filtro, la butto per terra e presto la raggiunge anche la bottiglia. Sento il suono dei vetri che s’infrangono. Mi stiracchio e lascio che le braccia cadano a penzoloni. Mi sento intorpidita per il tempo trascorso in silenzio e ferma nella stessa posizione. Il mio corpo reclama movimento e quale esercizio migliore se non dare la caccia all’uomo che mi sta inseguendo? 
Sento che sul viso si sta formando un sorriso, per niente rassicurante. Faccio un saltello e incomincio a precipitare nel buio. Vedo le foglie verde scuro sfrecciare vicino al mio viso, mi fanno il solletico ma non penso a loro. Spero almeno che la caccia sia divertente. Appena sento che il mio piede aderisce con il suolo mi spingo di nuovo verso l’alto, con una velocità maggiore di quella di prima. Mi dirigo nella direzione opposta rispetto al mio inseguitore. Inizio una corsa fino allo stremo delle forze, una corsa che non porterò a termine. Salto da un ramo all’altro, guardandomi di tanto in tanto indietro. Riesce a mantenere il mio ritmo, restando a distanza di tiro. Appena salto su un altro ramo faccio uno scatto all’indietro e poi di lato. Sparisco dalla sua visuale e lo aggiro. Lo vedo, avvolto nell’ombra, fermo che si guarda attorno. Mi sta cercando, ma non immagina che io sia più vicina di quanto pensa. In silenzio, senza sollevare nemmeno una foglia, mi avvicino sempre di più a lui. Porto una mano nel mio borsellino, pieno d’armi, e ne estraggo un kunai. Lo porto al viso e con la punta della lingua ne lecco la superficie. Pregusto il momento in cui assaggerò il suo sangue e ne sarò soddisfatta. La prossima volta ci penserà due volte prima di interrompere i miei momenti di pausa. Lo vedo sempre più vicino, quando sono a pochi passi da lui non mi preoccupo di fare silenzio, ormai è troppo tardi. Un altro salto e gli sono di fronte, cadendo verso di lui. Il kunai davanti al mio viso e l’altra mano in posizione di difesa. Lo vedo sempre più distintamente, avvolto dall’ombra sembra una figura nera. Poi scorgo qualcosa, un occhio. Un occhio rosso, comprendo quale tecnica vuole usare e mi affretto a lanciargli il kunai. Ne osservo la traiettoria e mi maledico nel momento in cui lo vedo sfiorargli il viso, graffiandolo solamente. In risposta un altro kuani, nascosto nell’ombra mi colpisce in pieno petto. Boccheggio e sparisco. 
Puff. 
Prendo al volo il kunai che la mia copia ha lanciato e la osservo sparire in una nuvola di fumo. Sorrido ma non sono soddisfatta dal mio operato. Contavo di fargli più male, è un peccato che non ci sia riuscita. Lecco il poco sangue che trovo sulla superficie dell’arma e aspetto che l’uomo mi raggiunga. 
-Smettila di infastidirmi, Kakashi- lo rimprovero, cercando di essere il più infastidita possibile. Se la mia vita è piena di oscurità, lui rappresenta lo spiraglio debole di luce che vedo infondo al tunnel nero. Un piccolo sorriso si delinea sulle mie labbra, ma non voglio dargli la soddisfazione di vederlo. Mi raggiunge e si ferma a poca distanza da me. Entrambi ci troviamo in mezzo ad uno spiazzale, gli alberi ci proteggevano da eventuali intrusi e ci aggiravano in circolo. Lo guardavo fisso negli occhi, uno diverso dall’altro. Uno nero e l’altro rosso. Un accostamento che mi è sempre piaciuto. Si avvicina sempre di più e noto la sua espressione seria. Non riesco a capire se sia preoccupato o arrabbiato, quella maschera gli copre la maggior parte del volto e non riesco mai a comprendere le sue intenzioni. Per una volta, invece, le capisco dai suoi occhi. Se prima ne apprezzavo il colore diverso ora mi accorgo che sono strani. Sembrano tristi e preoccupati. Che cosa è successo? Qualcosa di grave? 
Apro la bocca per parlare, ma lui mi blocca in anticipo abbracciandomi di scatto. Sgrano gli occhi, restando senza fiato. Non riesco più a pronunciare una parola, stupita da quel gesto. Cosa voleva significare? Poggio la fronte sul suo petto e chiudo gli occhi assaporando quel contatto. Le mani si fanno strada e anche loro reclamano il loro posto sulla sua pancia. La stoffa ruvida della divisa mi ricorda le tante missioni passate insieme e non posso che sorridere a quel ricordo. Mi abbandono a quell’abbraccio, cullandomi nel suo calore. Un calore che mi è stato negato fin da piccola. Due occhi color giallo si fanno spazio fra i miei pensieri e non posso che rimanerne disgustata. Come possono simili ricordi risalire in superficie proprio adesso? Stringo forte fra le mani il giubbotto di Kakashi e incomincio a tremare. Dopo un attimo mi rilasso e sospiro. Mi scosto un poco da lui, quel tanto che basta per guardarlo negli occhi. 
-Come mai questa dimostrazione d’affetto?- domandò, leggermente preoccupata. Non è da lui e la visione di quei occhi mi hanno incupita un poco. Non volevo permettere al passato di ritornare. Sebbene non mi ricordo molto, il mio corpo reagiva con un conato di vomito ogni volta che lo vedevo e anche con brividi di terrore. Stare, però, fra le braccia di questo ninja mi rilassa in parte. Mi diverte e con lui posso giocare a chi si fa male per primo. Sorrido, cercando di rassicurare sia l’uomo che ho di fronte che me. 
-Allora?- lo incoraggio. Noto la sua difficoltà nel parlare, ma voglio illudermi che non sia nulla di grave. D’altronde siamo in un periodo di tranquillità. Lui abbassa lo sguardo e sospira, rassegnato al compito che gli hanno assegnato. 
-Vedi, Anko…Si tratta di Orochimaru- mormora. Faccio fatica a capirlo e quasi mi sembra che il nome da lui pronunciato sia un’allucinazione del mio cervello. Si senza alcun dubbio. Scuoto la testa, cercando di mantenere il sorriso di rassicurazione di poco prima. 
-C-credo di non aver capito bene- rispondo. Lo guardo negli occhi cercando di trasmettergli la mia speranza di aver capito davvero male. 
-Orochimaru… Ci sono giunte notizie che Sasuke l’abbia ucciso- disse, con una certa riluttanza. Lo guardai meglio, incapace di dire o fare qualsiasi cosa. Quale reazione dovrei avere? 
-E… A-allora?- domando seriamente confusa. Il mio corpo ha preso a tremare, tradendomi. Gli occhi che spesso si intrufolano nella mia mente ritornano. Occhi gialli che cominciano a vorticarmi attorno, la mia vista si stava offuscando e sentivo il mio respiro smorzato. Mi mancava l’aria e a fatica mi tenevo in piedi, lentamente mi staccai da lui. Le mie gambe tremavano ma dovevo resistere; io non ero debole. Non posso piangere una persona di cui non mi ricordo nulla e anche se me lo ricordassi, non dovrei piangerlo. Non dovrei piangere una persona crudele e senza scrupoli come lui, mi ha privato di una parte importante di me. Stringo i pugni e serrai la mascella, combattendo contro l’impulso di lasciare scivolare lungo le mie guance quelle lacrime amare e senza senso. 
Faccio qualche passo indietro e mi fermo, lo guardo e noto la sua espressione di dolore. Dolore non per quel mostro, ma per me; lui si preoccupa per me. Non voglio la sua pietà, non mi piace. Io sono forte e non ho bisogno della sua pietà o quella di nessun altro. Chiudo gli occhi, continuando a stringere le mani fino a quando le unghie non mi si conficcano nella pelle, e faccio un respiro profondo. Riapro gli occhi e noto che si è avvicinato, compio nuovamente qualche passo indietro. In questo momento ho bisogno di spazio, del mio spazio, e cerco di sorridergli 
Forte, ecco cosa sono. 
Passo, passo e incomincio a scappare. Scappo da lui, da quello che mi ha appena detto, dal mio passato e dal mondo intero. Quel giorno era terribile ma adesso è diventato anche più orribile. Perché ho buttato via quella bottiglia? In questo momento mi sarebbe servita. Corro fra gli alberi, salto su un ramo e continuo la mia fuga. Non so dove andare e non m’importa, voglio solamente restare da sola, a mettere in ordine i miei pensieri. 
-Anko!- lo sento esclamare. Non mi fermo, non lo voglio ascoltare e se lui ci tiene davvero a me, capirà che voglio restare da sola. Corro, non mi fermo e scappo. Solamente questo, con il cuore che mi martella nel petto e cerca di uscire fuori. Una lacrima mi riga il volto e io non la fermo, non l’asciugo. 
Senza essermi mai fermata raggiungo le sponde di un fiume. Mi blocco lì, ferma ad osservarmi sulla superficie, grazie alla luce della luna. Il mio volto è rigato da più di una lacrima e non me ne ero neanche accorta. Scuoto la testa con amarezza e continuo a guardare quell’acqua cristallina. Sebbene la luce lunare mi permetteva di distinguere il fondo del fiume, riuscivo a notare i pesciolini che ci nuotavano dentro. Una lacrima si fonde con l’acqua del torrente e a quel punto scoppiai. 
Urlai forte, più forte che potevo. Sentii uno stormo di uccelli che volavano via, spaventati, come il resto degli animali. Le mie mani corsero freneticamente verso il borsello delle armi e le lancia in ogni direzione, senza badare a cosa miravo. Una volta finito le armi all’interno della borsa mi strappai quelle che avevo addosso: i kunai, gli shurikens e molto altro ancora. Perché dovevo soffrire così tanto per una persona che ho deciso di abbandonare? Per una persona che mi disgusta? Per una persona che in realtà si è dimostrata un mostro? Urlo ancora una volta e cado in ginocchio. Sbatto le mani a terra, colpendola più volte fino a scavarne dentro. Stringo forte i denti, voglio smettere di piangere e lo farò. Le mie mani si fermano, graffiate e insanguinate; il dolore fisico non fa altro che distrarmi da quello emotivo. Lentamente mi rialzo in piedi e mi guardo attorno. Non c’è nessuno e incomincio a incamminarmi verso chissà dove. Per la prima volta la mia mente è vuota, libera da pensieri o altro. 
Sembro un fantasma che vagabonda per quei boschi, cercando una meta in cui fermarsi a riposare. Cammino e non penso a nulla, se dovessero attaccarmi molto probabilmente mi difenderei con una ferocia che non mi appartiene. Porta la mano sinistra sul mio collo e tocco là, dove è impresso e ben evidente il segno maledetto. Rido ironica del destino che mi è toccato. Cosa mi aveva spinto a stare con quel mostro da piccola? Non mi so rispondere e non ho voglia di pensarci. Lui è... morto. Non riesco ancora a capacitarmene. Lui, un pazzo e fanatico dell’immortalità alla fine è morto e per mano di un moccioso. Scuoto la testa, delusa da quello che un tempo era il mio maestro. Non ci posso credere, quel bambino è riuscito dove un esercito, o quasi, di ninja hanno fallito. Potrei convincermi che la colpa sia del suo corpo ormai cadente a pezzi, ma perché prendermi in giro? 
Sasuke è riuscito ad ucciderlo e per questo dovrei esserne felice eppure non mi sento così. Sono presa nell’autocommiserazione che non mi accorgo di dove io mi trovi. Sento uno splash e abbasso lo sguardo. Mi trovo in mezzo ad una grande pozza d’acqua mischiata alla terra. Una melma color marrone scuro mi sporca le scarpe e i piedi. Non mi preoccupo e continuo a guardarmi attorno. Alzo lo sguardo e vedo foglie costeggiare il terreno ricoprendo la massa melmosa e piena di rami spezzati. Questo posto è pieno d’insetti che mi svolazzano attorno e cerco di scacciarli, innervosita. 
Orochimaru è morto. Per quanto mi è difficile ammetterlo, era il mio maestro e anche se l’ho abbandonato dentro di me ci sono sentimenti contrastanti. Lui mi ha accudito per molto tempo, quando non avevo nessuno, ma allo stesso tempo non approvavo ciò che faceva alle altre persone. Rabbrividisco di disgusto se ci ripenso ancora. Sentii il rumore dei miei passi, impossibile non udirli dato che strascicano e rimbombano ad ogni passo che compio. Il fango rende difficile anche solo sollevare il piede, ma sono una ninja e di sicuro non sarà dell’acqua mischiata a della terra a fermarmi. Continuo, gli occhi persi chissà dove e rimugino rispetto alle sensazioni che percepisco. Scuoto la testa e alzo lo sguardo. No, non dovrei piangere la sua scomparsa, non dovrebbe nemmeno importarmene. Anzi, dovrei esserne felice. La Foglia ha un nemico in meno adesso. Un nemico pericoloso sistemato e partito per l’altro mondo. 
Mentre rimugino su questi pensieri mi accorgo di star fissando un pezzo di stoffa. Lo osservo attentamente poiché ha un’aria famigliare. L’ho già visto da qualche parte ma non mi ricordo dove. Mi avvicino lentamente e mi chino per prenderlo. La stoffa è cotone, quello di un kimono grezzo per bambini. Ha dei motivi a forma di fagiolo rosso. Strano nessun bambino segnerebbe questo tipo di disegno per il proprio kimono. Lo porto di più vicino al mio viso e guardando intensamente quel lembo di stoffa alla fine un dolore improvviso e acuto mi trafigge la testa. Sono costretta a indietreggiare e a chinarmi su me stessa. Stringo la stoffa al mio petto con entrambe le mani e boccheggio alla ricerca d’aria. Cerco di rimanere tranquilla e di respirare a fondo mentre la mia mente viene scaraventata nel passato. 
Una bambina correva fra gli arbusti. Correva il più velocemente possibile, ma per le sue gambe troppo corte era impossibile riuscire a tener testa ad un adulto. La bambina stava piangendo disperata, voleva scappare da quel mostro che la inseguiva. L’erba era ala e fredda, piena di pozzanghere, causate dal giorno piovoso in precedenza. Il suo respiro era affannoso e i polmoni le dolevano. Ma non poteva fermarsi, non doveva altrimenti sarebbe stata la fine per lei. Continuava a correre e ogni tanto si guardava indietro per controllare se l’uomo la stesse inseguendo. All’inizio non lo aveva visto e aveva rallentato la corsa, fermandosi in uno spazio all’aperto fra gli alberi, una radura. Rallenta la corsa e annaspando alla ricerca d’aria e continuava a guardarsi attorno freneticamente. Lo aveva seminato? Era riuscita a scappare. Sentì una risata di divertimento sadico. La bambina sussultò e prese a indietreggiare, nei suoi occhi era ben visibile il terrore. Le labbra le tremavano come le gambe. Alzò gli occhi e vide il suo inseguitore saltare da un ramo all’altro. Inciampò in qualche sassolino e cadde a terra, bagnandosi e sporcandosi di fango. Il suo bel kimono era rovinato. Un kimono marrone con dei strani motivetti cuciti sopra: dei fagioli rossi. Il ninja compì un ultimo salto e le arrivò di fronte. Incominciò a camminarle incontro e la bambina prese a indietreggiare strisciando la quella poltiglia di terra. In qualche modo riuscì a rimettersi in piedi e riprese a correre. Chiuse gli occhi per non guardare indietro, incominciando a versare lacrime di disperazione. Improvvisamente sentì i suoi piedi sprofondare nel terreno. Riaprì gli occhi e si accorse di essere in una palude. Con la poca forza che le rimaneva cercò di raggiungere un tronco, ma l’acqua sporca si rivelava più alta di lei. Cercò di nuotare vicino al tronco che stava in mezzo a tutta quella poltiglia. Con una manina tremante riuscì ad afferrare il tronco. Era stanca e infreddolita. C’erano ancora quelle urla che le inondavano le orecchie ferendola. Le veniva da vomitare, la presenza di tutto quel sangue l’impressionava ancora. Corpi squarciati, interiora lasciate sparse dovunque e lui fra di loro che rideva soddisfatto. In mano aveva una cartella e stava scrivendo qualcosa. Scosse la testa cercando di dimenticarsi di quelle orribili immagini. Aveva gridato, da dietro la porta in cui si nascondeva. Orochimaru l’aveva notata e era corso verso di lei. In quel frangente aveva capito di volersene andare ed era scappata. 
Riaprì gli occhi, osservandosi attorno in quella palude. Il tronco su cui si era arrampicata la sosteneva, il fango era dovunque, un tappeto di foglie ricopriva il terreno e impediva di accorgersi del luogo in cui ci si trovava. Arbusti, rami spezzati e tronchi le impedivano di scorgerlo e l’ansia saliva sempre di più. Sentiva solamente dei fruscii e l’erba alta si muoveva, ma non riusciva a scorgere nessun’ombra, non riusciva a vederlo. Deglutì faticosamente, sperando che non la trovasse e che fosse lontano da lei, ma quando percepì due mani fredde e grandi prenderla per la vita incominciò a dimenarsi, a urlare e scalciare. Non riusciva a liberarsi da quella stretta ferrea e il cuore le batteva all’impazzata. 
“Lasciami! Lasciami andare, mostro” continuava ad urlare. La presa si fece più forte, fino a bloccarle il respiro. La bambina boccheggiò, le facevano male le costole. Le sue gambe smisero di agitarsi, arrendendosi davanti all’evidente forza dell’uomo. 
Orochimaru saltò dal tronco per atterrare sul terreno solido e più stabile. Senza troppa premura e delicatezza lasciò cadere la bambina a terra che si sbucciò un ginocchio. Aveva preso a singhiozzare, accovacciandosi su se stessa. Le sue spalle sussultavano ad ogni singhiozzo e si sentiva il rumore delle gocce raggiungere l’acqua stagnante del terreno. 
“Smettila di piangere, Anko” le ordinò freddamente. La bambina cercò di eseguire il suo ordine, ma fu troppo forte per lei il dolore e l’unico modo per sfogarsi era piangere. Non sarebbe servito a niente cercare di combatterlo e quindi si limitò a subire passivamente. Il suo respiro non accennava a calmarsi e fu presto invasa da singhiozzi ancora più forti. L’uomo si irritò ancora di più, ma non le disse nulla. Il tempo passava senza che nessuno dei due dicesse o facesse niente. 
“V-Voglio andarmene…” mormorò timidamente la bambina. Lui l’osservò solamente e non proferì parola. Dopo un attimo, che sembrò un’eternità, lo vide spostarsi. Si mise davanti a lei e poi s’inginocchiò. La guardava fissa negli occhi, quei occhi gialli che in quel momento la mettevano in soggezione. Vide la sua lingua lunga leccarsi le labbra e poi una mano afferrarle il colletto del kimono per sbatterla contro un albero, lì vicino. 
“E così vuoi lasciarmi? Vuoi lasciare il tuo maestro, l’uomo che si è preso cura di te?” domandò, con quella sua voce infida e viscida. Provava ancora più repulsione di quanto ne provasse prima. Lo guardò, fisso negli occhi, e cercò di non mostrargli la sua paura. Il suo sorriso perfido le provocò dei brividi lungo la schiena. 
“S-si” balbettò, la sua voce tutta via non sembrava seguire i suoi ordini. Doveva essere più forte e in questo modo l’avrebbe fatta fuori con più rapidità. 
“Bene” rispose solamente. La lasciò andare e lei cadde per terra, di nuovo. Alzò i suoi occhi impauriti e guardò le mani del suo maestro. Stava compiendo dei sigilli, ma non riusciva a capire a quale tecnica si trattasse. Del chakra violetto si espanse per l’intera mano che stava allungando verso di lei. Anko incominciò a indietreggiare, terrorizzata da quello che avrebbe potuto farle. Ma la sua fuga fu breve, la sua schiena si trovò schiacciata contro il tronco su cui lui l’aveva sbattuta. Tremava e le gambe non rispondevano ai suoi ordini di rialzarsi e incominciare a correre. 
“Sta’ ferma” le impose e lei ubbidì. S’era rassegnata al suo destino, sarebbe morta. Morta in quel posto orrendo e pieno di fango. 
“Addio, Anko. Crescerai anche senza di me” le disse. Il tono che usò sembrò quasi dolce. Anko lo guardò sorpresa. Le sua bocca si aprì, per dire qualcosa ma la mano si calò su di lei coprendole gli occhi. Il buio si precipitò su di lei. 
Buio. Lo stesso buio che percepii quella volta. Spalancai gli occhi, terrorizzata di risvegliarmi e di trovarmi di fronte ancora quell’uomo. Nel vedere che tutto attorno era tranquillo, mi rilassai leggermente. Il mio respiro era accelerato, mi sentivo oppressa da quel ricordo. Provavo ancora quella paura, quella solitudine e quella desolazione per quel giorno, tutti sentimenti provocati da lui, da un mostro. Scossi la testa, cercando di rimettermi in piedi. Stringevo ancora il pezzo di kimono nella mano e quando me ne accorsi mi avvicinati ad una pozza d’acqua sporca e lascia che cadesse fino in fondo, appesantito dal liquido. Guardai quel pezzo sprofondare, odiandomi per aver ricordato quel momento. Odiavo Orochimaru, per quello che mi aveva fatto, ma non potevo rifiutare l’ultima parte del ricordo. Non avevano senso quelle parole, non se è stato lui a pronunciarle. Perché lo ha fatto? Mi rifiuto di credere che quel serpente schifoso provasse dei sentimenti. Lui traeva solamente il piacere dal dolore degli altri e soprattutto era sempre in collera con il mondo. Non avrebbe mai provato affetto e di sicuro non per una mocciosa come me. 
Non dovevo preoccuparmi di quello, non volevo. Orami era morto e io non potevo più far nulla. Tuttavia non potevo non ammettere che quella frase mi aveva lasciata sorpresa. Che potesse anche lui…? Scossi la testa con forza. Non era assolutamente possibile! Mi rifiutavi di crederlo, ma forse è proprio questo il motivo. 
Mi ha cancellato la memoria e mi sono basata solamente sui racconti e sulle descrizione degli altri. La mia mente non ricorda quasi nulla e di conseguenza non riesco a ricordare come si comportasse con me. Mi ha mai dimostrato quel lato gentile e quasi premuroso nei miei confronti? Perché non riuscivo a credervi? Per il semplice fatto che non mi ricordavo di lui. Eppure quel ricordo non può essere falso. Mi ha solamente cancellato la memoria non l’avrebbe manipolata per accertarsi che in un futuro remoto avrei potuto ricordarmi di lui e di conseguenza modificarla. Era un piano troppo assurdo e insensato. Anche se alla fine avessi recuperato la memoria, non si sarebbe preso il disturbo di modificarmi i pensieri. 
Mi stesi nuovamente per terra e mi appoggiai al tronco. La notte stava per lasciare il posto al giorno e non volevo farmi vedere in quelle condizioni. Avrei continuato a fingere, era la scelta migliore. Non voglio che gli altri mi vedano debole, proprio non voglio. Mi rialzo e riprendo a camminare. Questa notte ho non posso lamentarmi do non aver fatto esercizio. Sorrido scuotendo la testa, che pensiero stupido. Cammino, ritorno nel punto esatto in cui sono scappata da lui. Lo trovo ancora là, seduto su un ramo a leggere quel dannato libro di quell’uomo pervertito. Non cambierà mai. Faccio un passo e poi un altro. Riprendo ad indossare la mia maschera, quella che faceva intendere che andava tutto bene. 
Forte. 
Avrei continuato a fingere e pian piano avrei ricostruito i pezzi del mio passato, comprendendo una volta per tutte la verità su quell’uomo che è stato il mio maestro. 
Kakashi si accorge della mia presenza, mi guarda solamente ma non dice nulla. Gli sono grata per la sua comprensione. 
-Ancora a leggere quel dannato libro, Kakashi?- domando, cercando di avere un tono derisorio. Lui mi guarda solamente, senza rispondere alla mia battuta o cedere alla mia provocazione. Sospira e ritorna a leggere. 
-Certe abitudini sono dure a sparire- dice con tono allusivo. Lui mi comprende ma non faccio nulla per affermare il contrario, servirebbe solamente e a confermagli ciò che già pensa. Ha capito che indosso una maschera, ormai da troppo tempo. 
Mi limito a far ritornare le cose com’erano prima. Lancio un kunai verso Kakashi, che prontamente lo schiva e scappa. Mi lancio al suo inseguimento, rilegando ancora una volta il passato in un angolino della mia mente. Con la sensazione di avere due occhi gialli che mi fissano la schiena.


Questa storia ha partecipato al concorso "In Memoriam" indetto da Dreamwolf
3° classificata

Eventuali NdA: Okay ci ho messo un bel po’ a scrivere questa storia e ancora non ne sono convinta. Ammetto di aver ceduto al panico quando mi sono accorta di non riuscire a scrivere ma alla fine si è sistemato tutto, no? Questa piccola schifezzuola mi è venuta in mente mentre ripensavo a come una donna, supera il dolore. Ci sono diversi modi e diverse donne, ammettiamolo. E non tutte lo affrontano allo stesso modo: c’è chi scoppia a piangere, chi non mostra i propri sentimenti e chi vuole dimostrarsi forte senza riuscirci sempre. Credo che Anko possa far parte di quest’ultima categoria. In fondo ha avuto un pezzo di passato in comune con Orochimaru, tralasciando che gli ha trasmesso l’amore dell’essere sadica nei confronti degli altri, e credo che Anko sarebbe stata lo stesso una donna forte. Secondo me ha cercato di non farsi influenzare dal suo passato, anche se non se lo ricordava e ha cercato di andare avanti. Spero che non ti mandi in subbuglio lo stomaco e che Orochimaru non decida di farmi una visitina durante la notte per vendicarsi del toro subito. Perché sì, sono al corrente che in questa One-Shot lui si un po’ OOC e non ci posso fare niente. Devo di dire che, però, in questo modo mi sembra più umano e simpatico, certo per quello che può essere…   
Bene ora la finisco di scocciare. 
Finisco con il mostrarvi i fantastici banner per la storia ^^ Image and video hosting by TinyPic Image and video hosting by TinyPic
  
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