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Autore: My Pride    26/10/2011    3 recensioni
Forse lo scopo della nostra vita è il viaggio stesso, non la destinazione. Qualunque risposta mi attenda, oggi è l’inizio del mio viaggio.
La mia storia comincia qui.

Quell’occhiata avrebbe dovuto mettermi soggezione, probabilmente, ma in quel momento ero troppo preso dalla foga di quella che sperai sarebbe stata la mia prima avventura.
Di una cosa, però, ero sicuramente certo: non sapevo in che guaio mi ero cacciato.
[ Prima classificata al «Pirates Contest!» indetto da visbs88 ]
[ Vincitrice del Premio Coppia più originale al «Chi è normale non ha molta fantasia» indetto da Butterphil ]
Genere: Avventura, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Curse of the sea'
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Oceani_3 ATTO III: PORTO RICO, STIVA DELLA CARAVELLA › MAR DEI CARAIBI, 1768
LOADED TO THE GUNWALL
[1]
 
    «Adesso spiegami cosa ci fa qui quel moccioso, Gale, spiegamelo!» sbraitò per l’ennesima volta Cid, continuando a camminare avanti e indietro nella cabina, nervoso a dir poco. Aveva cominciato quella solfa nel momento stesso in cui ero tornato alla caravella con quel ragazzo al seguito, trascinandomi via da lui in modo che potessimo parlare a quattr’occhi senza la sua costante presenza. Tentare poi di calmarlo era stato completamente inutile, anche perché aveva cominciato a tamburellare nervosamente con le dita sul tavolo, spiegazzando qualche cartina e rovesciando persino due bottigliette d’inchiostro quando alla fine si era alzato in piedi per iniziare quel via vai continuo che mi aveva fatto dolere la testa.
    «Te l’ho detto, Cid, mi ha seguito», sbuffai, sorreggendomi il viso sul dorso di una mano.
    Lui, però, mi fulminò con lo sguardo. «E non potevi cacciarlo?» sbottò irato. «Ti avevo detto di prendere da mangiare, non di raccogliere un topo di sentina!»
    «Calmati», provai, sebbene sapessi che avrebbe potuto continuare a rimproverarmi per ore. «Stai facendo questioni per un’idiozia».
    «L’idiozia l’hai fatta tu nel momento stesso in cui hai portato qui il ragazzo», rimbeccò scorbutico, fermandosi finalmente e dando un po’ di tregua ai miei occhi. Non ne potevo davvero più di vederlo fare avanti e indietro. «Sai bene qual è la nostra destinazione, Gale... ti sembrava forse il caso di trascinarti dietro un moccioso? Eri ubriaco?»
    «Forse saresti dovuto venire con me, invece di tornare alla nave», ironizzai, adagiandomi contro lo schienale della sedia prima di reclinarmi un po’ all’indietro insieme ad essa, in modo che potessi poggiare uno stivale sul bordo del tavolo. Alzai anche l’altro per incrociare entrambi i piedi e stare più comodo, mentre nel frattempo la mia attenzione era interamente concentrata altrove, ma un pugno di Cid sul tavolo mi fece sussultare.
    «Se sei così idiota da portarti appresso un moccioso pur sapendo cosa dobbiamo fare, Gale, non venirmi a dire che dovrei controllarti proprio per questo. Hai ventisette anni, per la testa di Black Sam
[2], comportati come un uomo e cerca di non fare le solite stronzate».
    «Io credo che il ragazzo debba venire con noi», replicai, al che Cid si schiaffò immediatamente il palmo della mancina in faccia.
    «Dannazione, Gale, non hai sentito ciò che ti ho appena detto?» sbottò iracondo, passandosi quella stessa mano fra i capelli. Si era liberato della bandana nel momento stesso in cui quella discussione fra noi era cominciata, lanciandola in un angolo lontano della cabina. Adesso giaceva inerme e solitaria accanto alle casse di viveri nuovamente rifornite, afflosciata come la pelle di un serpente che aveva appena fatto la muta. «Se non sapessi che sei stupido di tuo, mi chiederei che cosa ti sia preso», soggiunse in uno sbuffo tutt’altro che divertito, e avrei volentieri risposto per le rime se un bussare alla porta non avesse richiamato la nostra attenzione.
    Io e Cid ci guardammo, e fu proprio lui il primo a riprendersi da quello stato di parziale e bizzarro scombussolamento. Troppo indaffarati nel discutere, e tra l’altro abituati ad essere solo in due su quella sottospecie di caravella, ci eravamo quasi dimenticati della presenza del ragazzo. «Va’ via, moccioso», abbaiò Cid. «Io e il Capitano stiamo dibattendo, i mozzi non sono ammessi alla nostra tavola».
    Beh, da topo di sentina a mozzo. Un passo avanti c’era stato. Riuscii a sentire l’incertezza di quel ragazzo anche attraverso il legno di cui era composta la porta, il che fu incredibile. «Volevo solo...» cominciò con un basso pigolio ovattato. «Ho pensato che fosse giusto informarvi del pattugliamento che la marina sta attuando giù al porto».
    A quelle parole quasi caddi dalla sedia per colpa di Cid, che aveva sgranato gli occhi ed era corso alla porta così in fretta che quasi mi parve avesse un cazzo di grillo al culo. La spalancò con ben poca grazia e afferrò il ragazzo per la camicia, portandoselo ad una spanna dal viso con violenza inaudita. «Cosa diavolo aspettavi a dirlo, moccioso?!» sbottò, scansandolo di malo modo e correndo fuori dalla cabina come una furia, lasciando me e Patrick - se ben ricordavo il nome con cui quel tipo, Garrington, l’aveva chiamato - alquanto basiti.
    «Ma che diamine gli è preso?» domandai, forse più rivolto a me stesso che al ragazzo. Non avevamo ancora fatto niente che ci facesse conoscere dalla marina del luogo e ci facesse prendere dunque di mira, ma allora perché tutta quella fretta? Stornai lo sguardo su Patrick, mettendomi in piedi prima di raggiungerlo sulla soglia. «Andiamo, ragazzo», lo spronai, attraversando il corridoio sottocoperta per giungere alle scale che portavano al ponte, e avrei anche cominciato a salirle con tutta calma se l’improvviso e brusco movimento della nave non mi avesse fatto perdere l’equilibrio.
    Rischiai di cadere su Patrick, che fortunatamente riuscì a sorreggermi pur essendo mingherlino e poco in carne. «Sicuro di non essere nei guai con la marina, Capitano?» mi chiese scettico, e mi voltai per fulminarlo con lo sguardo prima di calcarmi il cappello in testa.
    «Sicurissimo, corpo di mille balene», sbottai, decidendo di tralasciare il modo dubbioso con cui mi stava osservando per prestare la mia attenzione al mio vice al di sopra del cassero. Di idiota me ne bastava già uno, a ben pensarci. «Cid!» esclamai per richiamarlo, vedendolo dinanzi al timone. Lo ruotava con una velocità inaudita, muovendo le mani in sincronia per evitare che gli scappasse e perdesse così l’inclinazione dell’imbarcazione, cosa che avrebbe solo fatto oscillare la nave in modo spaventoso.
    «Non ora, Gale, sono occupato!» strepitò in tono rabbioso, e fu proprio in quel mentre che mi accorsi del vociare proveniente dalla terra ferma. Corsi verso la poppa della nave e mi poggiai con le mani al parapetto di legno, sgranandogli occhi nel rendermi conto della moltitudine di soldati che puntava i fucili nella nostra direzione. Un gruppetto composto all’incirca da una ventina di uomini stava invece correndo verso l’ammiraglia ormeggiata poco distante, e tra loro distinsi l’ufficiale che aveva organizzato l’incursione alla locanda in cui avevo trovato Patrick.
    «Quello è il Commodoro Waine!» esclamò incredulo quest’ultimo, facendomi trasalire. Ero stato talmente assorto nell’osservare quel caos che non l’avevo minimamente sentito avvicinarsi. E dire che quella nave scricchiolava che era una meraviglia, sia in mare che in porto.
    «E che diamine vorrebbe da noi?» chiesi scettico, guadagnandoci uno sguardo stralunato.
    «Se non lo sa lei, Capitano...»
    «Quante storie!» sbottò Cid mentre tentava di prendere il largo il più in fretta possibile, nonostante il vento non lo permettesse del tutto. Sferzava le vele senza gonfiarle del tutto, facendo sventolare sinistramente la bandana che fungeva da bandiera e scricchiolare al tempo stesso i legacci che assicuravano la stoffa agli alberi. «Mobilitare persino un’ammiraglia solo per qualche barile di polvere da sparo e tre casse di ferraglia!»
    Sebbene fossi stato più che attento nell’osservare la nave della marina che levava gli ormeggi e spiegava le vele, nel sentire Cid mi voltai immediatamente verso di lui a bocca spalancata. «Eri tu quello che cercavano, allora, topo di fogna che non sei altro!»
    «Lui?» domandò Patrick, giacché fin dal principio, come gli altri clienti della locanda, aveva creduto cercasse me. Che ragazzino di poca fede.
    Non gli prestai attenzione, gettando un’ultima occhiata all’ammiraglia prima di correre incontro a quel degenerato. «L’hai fatto di nuovo, vero?» sibilai, risparmiandomi dal tirargli un pugno solo perché era al timore.
    La voglia di farlo davvero, però, tornò prepotente e divampò come fuoco vivo nelle mie viene nel momento stesso in cui lui sorrise. «Dovresti saperlo che ho un debole per la divisa, Gale», ironizzò, nonostante non fosse affatto il momento di scherzare. «Sarebbe andato tutto liscio come l’olio se non mi avessero beccato proprio mentre me ne stavo andando».
    Sentii una vena pulsarmi sulla fronte. «Tu, ninfomane cleptomane che non sei altro, proprio la marina orientale dovevi derubare?!»
    «Tu non hai idea dell’armamentario che hanno, Gale, è davvero formidabile!»
    «Ma che diavolo vai farneticando, idiota?!»
    «Ragazzi?» Patrick ci richiamò con voce incerta, e lo fulminammo entrambi con lo sguardo prima di sbottare, «Che c’è!» Lui non si lasciò però intimorire, continuando soltanto a guardare al di là del parapetto in poppa. «Questa bagnarola resisterebbe a dei colpi di cannone?»
    Per qualche attimo io e Cid sbattemmo le palpebre all’unisono, e fu proprio lui, passato l’attimo di parziale sbigottimento, a rispondere. «E’ talmente malridotta che se venissimo colpiti anche solo una volta allo scafo saremmo spacciati».
    «Ah», fece il ragazzo, e lo vidi deglutire a fatica e stringere così forte le mani sul parapetto che le nocche sbiancarono. «Allora credo che siamo spacciati».
    Capimmo con esattezza quel che aveva voluto dire solo quando udimmo il cupo tuonare di un primo colpo di cannone. L’aria divenne satura di zolfo e polvere da sparo, e le grida provenienti dall’ammiraglia iniziarono a farsi sempre più alte e vicine, simbolo che stavano entrando sulla nostra traiettoria di tiro. Cid imprecò a denti stretti e tentò una brusca virata, rischiando quasi che il pennone si curvasse e che i legacci che assicuravano i tre alberi si spezzassero. Sentii Patrick lasciarsi sfuggire un’esclamazione sorpresa prima di vederlo rinserrare la presa sul parapetto, ma non ebbi il tempo di dargli retta poiché avevo il compito di spiegare la vela maestra. Più velocità riuscivamo ad acquistare con quella bagnarola, più possibilità avremmo avuto di salvarci da quella situazione.
    «Cid!» gridai al mio vice, cercando di mantenere l’equilibrio mentre la nave oscillava sotto ai miei piedi. «Cos’altro hai rubato, dannazione?!»
    «Niente, giuro!» urlò di rimando, e fui quasi sul punto di credergli prima che lo vedessi con la coda dell’occhio tirar fuori dai pantaloni quella che sembrava una pergamena spiegazzata. «Soltanto la mappa per il paradiso!»
    C’era da aspettarselo che avrebbe rubato qualcosa di sicuramente importante, maledizione a lui! Sarebbe stato troppo bizzarro se la marina avesse fatto tante storie solo per qualche barile di polvere da sparo e un po’ d’armeria. «Questa è la volta buona che ti getto in mare, Cid!» lo minacciai, imprecando a denti stretti prima di correre ad afferrare i legacci di tribordo.
    «Fuoco alle polveri!» gridò una voce alla mia destra, ed ebbi appena il tempo di girarmi che una palla di cannone centrò l’albero di mezzana, spezzandolo come se si fosse trattato di un fuscello. Schegge di legno si disseminarono nell’aria circostante, cadendoci addosso come tanti piccoli frammenti di vetro. Cercare di proteggermi il capo fu un grosso sbaglio, poiché lasciai andare inavvertitamente la corda e le vele sventolarono furentemente nel vento che si era innalzato verso est. Seguì il sonoro tonfo della parte superiore dell’albero che si schiantava contro la balaustrata e il suo seguente crollo rovinoso in mare, spruzzando zampilli freddi in ogni dove prima di venire inghiottito dalle acque.
    Un’altra grossa palla di cannone fischiò pericolosamente nei pressi della poppa, mancandola miracolosamente solo grazie ad un’ennesima e brusca virata che aveva compiuto Cid. La nave oscillava terribilmente e in modo spaventoso, tanto che era difficile mantenere l’equilibrio senza aggrapparsi a qualcosa. Il suono delle cannonate riempiva l’aria e mi assordava, riportandomi al tempo stesso alla memoria quanto era accaduto anni addietro nel mio villaggio natale; con quei pensieri per la testa ghermii ciò che era rimasto dell’albero di mezzana e volsi lo sguardo in direzione di Patrick, che si teneva al parapetto per quanto le forze glielo permettessero. A peggiorare la situazione si era messo anche l’annuvolarsi del cielo e il calar della nebbia, simbolo che di lì a poco sarebbe potuto scoppiare un temporale che avrebbe potuto troncare la nostra fuga una volta per tutte.
    «Patrick!» urlai, allungando una mano verso di lui come se farlo potesse servire realmente a qualcosa. «Vieni qui, ragazzo, muoviti!»
    Mi guardò ad occhi sgranati e spaventati, rinserrando maggiormente la presa su quello che era ormai divenuto il suo unico appiglio sicuro. Le grida provenienti dall’ammiraglia della marina si erano intensificate e, sebbene confusa con il sibilo che sentivo nelle mie orecchie e lo sciabordio delle onde che si infrangevano contro la chiglia al suo passaggio, la voce del Commodoro Waine appariva la più alta e minacciosa di tutte, così rabbiosa e altisonante da sovrastare l’ululato del vento.
    Senza perdere d’occhio Patrick, almeno per quanto concessomi dalla visuale che andava pian piano sfocandosi, mi alzai in piedi tentando di non perdere l’equilibrio. «Cid, tutta a tribordo!» ordinai al mio vice, correndo il più in fretta possibile verso il ragazzo anche se l’oscillare della caravella non me lo permetteva. Lo afferrai per un braccio non appena lo raggiunsi, sentendolo irrigidirsi nel momento stesso in cui una palla di cannone sfrecciò sopra le nostre teste; oppose resistenza quando cercai di staccarlo da lì per portarlo al sicuro, e i suoi occhi ingigantiti dalla confusione sembrarono quasi sul punto di schizzargli fuori dalle orbite. Urlò spaventato e si aggrappò a me quando una palla fece breccia nella parte superiore dello scafo, facendo crollare su se stesso il lato ovest della nave. Il ponte si inclinò sotto ai nostri piedi all’improvviso, e io ebbi appena il tempo di aggrapparmi ad una colonna della balaustra, così da evitare di scivolare di sotto; Patrick allungò una mano per fare lo stesso, ma le dita, rimaste troppo a lungo strette intorno al parapetto, cedettero e gli fecero mollare la presa, e fu solo per miracolo che riuscii ad afferrarlo per il polso con la mano libera, vedendolo di sfuggita impuntare i piedi contro il ponte inclinato per darsi una spinta e non cadere. Strisciò sulle assi di legno con i gomiti, aggrappandosi con entrambe le mani al mio avambraccio e stringendo le palpebre così forte che naso e fronte gli si corrugarono. Sembrava non voler vedere ciò che gli accadeva intorno, ma anche ad occhi chiusi era alquanto difficile ignorare il dondolio sempre più sinistro della caravella.
    «Figli d’un cane!» La voce di Cid apparve flebile e lontana a causa dei tuoni che avevano iniziato ad esplodere in cielo. «Quei bastardi fanno sul serio!» Attraverso la foschia sempre più densa lo vidi voltarsi nella nostra direzione, i capelli scompigliati e sudati gli ricadevano sulla fronte fin quasi a nascondergli gli occhi. «Resistete un altro po’, ragazzi! E tenetevi forte!»
    Tenerci forte... och, beh, facevamo quel che potevamo. Avevo cominciato a non sentire più il braccio, e un orribile formicolio stava iniziando a correre pericolosamente lungo di esso, simbolo che il sangue non stava circolando più come avrebbe dovuto. Anche la presa delle mani di Patrick stava divenendo meno salda, e pian piano le dita non ebbero più la forza necessaria per tenersi alle mie braccia, facendo inesorabilmente allentare la stretta; come a rallentatore lo vidi spalancare gli occhi ed aprire la bocca per dar vita ad un urlo senza voce, scivolando precipitosamente lungo le assi di legno del ponte e rotolando rovinosamente su se stesso.
    «Patrick!» esclamai, allungando inutilmente una mano verso di lui ma vedendolo sparire oltre il parapetto ormai in frantumi. Boccheggiai incredulo, sentendo nelle mie orecchie solo cupi suoni distanti che non avevano nulla a che vedere con il possente tuonare dei cannoni che avevo udito fino a quel momento. Cosa diavolo avevo fatto? Nella speranza che quel ragazzino potesse essere la persona che avevo cercato così a lungo avevo lasciato che venisse con me senza fermarlo... ma a che scopo? Avevo solo lasciato che morisse in quel modo. Non me lo sarei mai perdonato.
    «Vallo a prendere invece di restare lì come un idiota, Gale!» La voce rabbiosa di Cid mi riscosse dal mio stato di torpore e alzai dunque gli occhi verso la sua figura ormai sfocata, senza riuscire a capire che cosa intendesse. Fu nel voltarmi verso il ponte in cui era sparito Patrick che vidi due mani aggrappate alla base: cercava di resistere nonostante le schegge di legno che gli ferivano a sangue le dita, e il tremore scomposto che le animava lasciava intendere che di lì a poco non ce l’avrebbe più fatta.
    Senza nemmeno riflettere mi lanciai a capofitto nella sua direzione, lasciandomi scivolare lungo il ponte per raggiungerlo più in fretta. Quasi caddi anch’io prima di riuscire a frenarmi bruscamente, abbassando lo sguardo per capire con l’esattezza la posizione di Patrick. Aveva poggiato entrambi i piedi ad una trave che era capitolata fuori dallo scheletro dello scafo, ma a causa dell’acqua che aveva cominciato ad impregnarla risultava scivolosa e poco affidabile.
«Prendi la mia mano, ragazzo!» esclamai non appena riuscii a tenermi a qualcosa, allungando un braccio verso di lui per far sì che mi afferrasse. Cercando di issarsi e di non capitolare di sotto si slanciò un po’, sfiorando la mia mano con due dita. Fece per prenderla ma la presa gli sfuggì,  e rischiò davvero di essere sbalzato fuori dalla nave quando un’altra palla di cannone centrò l’albero di trinchetto. Urlammo entrambi quando lo vedemmo cadere verso di noi, trascinandoci verso il mare senza che potessimo evitarlo. Tentai di issarmi su di esso e vidi di sfuggita Patrick fare lo stesso, gli occhi stralunati e spaventati mentre cercava di rinserrare sempre più la stretta con le braccia intorno all’albero, divenuto ormai la nostra sola e unica speranza.
    «Ehi! State bene, ragazzi?» gridò Cid dalla barra del timone al di sotto del cassero, e anche se non potei vederlo ero certo di sapere con che espressione avesse pronunciato quelle parole.
    «Pensa a portarci lontani da quest’inferno!» esclamai subito dopo in risposta, sperando che mi sentisse nonostante il sibilare del vento. Mi issai meglio sul legno dell’albero e riuscii a raggiungere Patrick, che mi afferrò il braccio con tale forza che quasi temetti volesse strapparmelo letteralmente dall’articolazione. «Tranquillo, ragazzo, tra poco andrà tutto per il meglio!» tentai di rassicurarlo.
    Non sembrò aver capito davvero le mie parole, però annuì bruscamente come se sentisse il bisogno di farlo, provando a lanciare un’occhiata verso l’ammiraglia che si faceva sempre più lontana.
    Riuscimmo a distanziarla solo grazie alla nebbia che era calata a gravare sulla superficie del mare. In verità non ci avevo minimamente sperato, ma fu un sollievo sentire unicamente il suono del nulla vigilare costantemente intorno a noi. Lo sciabordio dell’oceano si era affievolito e anche il fischio del vento era ormai un ricordo lontano, esattamente come la moltitudine di colpi di cannone che ci avevano bombardati fino a quel momento.
    Quando era stato sicuro di aver fatto perdere le nostre tracce alla marina, Cid aveva abbandonato immediatamente la sua postazione e ci era corso in contro, gettandoci una corda a doppio nodo che aveva recuperato in ciò che restava della stiva; era stato lui stesso, poi, a trascinarci via dall’albero, ed era rimasto persino scombussolato quando Patrick si era gettato fra le sue braccia in preda ad un attacco isterico, singhiozzando. Mi aveva quindi gettato un’occhiata perplessa, quasi avesse cercato di chiedermi aiuto, e con un po’ di incertezza aveva poi cominciato a picchiettare la sua schiena nel tentativo di calmarlo, riuscendo solo a provocargli un altro attacco di tremore e a fargli aumentare la presa sui vestiti.
    Adesso era già da una buona mezz’ora che dormiva, sfinito, sull’unico giaciglio presente nella mia cabina, mentre io mi ero concesso un attimo di respiro godendomi un goccio di rum. Seduto sul ponte del castello di prua, che si era miracolosamente salvato da quell’assalto, osservavo il mare che sfrecciava sotto i miei occhi svogliatamente, tenendo la bottiglia per il collo. Che ci tenessimo ancora a galla era un miracolo, ma il cielo sopra di noi era ancora plumbeo e poco rassicurante, come se attendesse il momento esatto per riversare tutta la sua collera sugli ignari marinai.
    «Ce la siamo vista brutta, eh?» Cid, che si trovava nuovamente al timone, aveva parlato con voce pacata e bassa, ma perfettamente udibile. Era rimasto a sua volta scosso da quel che era successo poche ore addietro, e anche se avevo tentato di offrirgli un sorso di liquore aveva bellamente rifiutato.
    Annuii automaticamente, tralasciando il fatto che non potesse vedermi dal punto in cui era. «Non venivamo bombardati così dai tempi della Conqueror», replicai, ricordando i saccheggiamenti che avevamo compiuto a bordo del mio vecchio galeone. Però non c’era davvero paragone con quella bagnarola con cui viaggiavamo adesso.
    Cid sospirò. «È stata colpa mia, Gale, mi spiace», rimbeccò sottovoce. Sembrava davvero dispiaciuto per quanto era accaduto con la marina militare pocanzi, il che era alquanto bizzarro, conoscendolo. «Avrei dovuto lasciar perdere quella stupida mappa».
    «Sta’ zitto e cerca di portarci a riva, Cid», lo spronai, troppo stanco persino per litigare come al solito. In un altro momento gliene avrei dette quattro e l’avrei gonfiato di botte - beccandomi a mia volta un occhio nero, tra l’altro -, ma dopo ciò che avevo passato ero davvero sfiancato. Magari ci avrei pensato una volta ripresomi.
    Cid si zittì e, virando la nave verso ovest, intraprese la rotta che ci avrebbe portati in un luogo sicuro. O almeno quella era la speranza di tutti noi, in quel momento
.
 

 

[1] Letteralmente significherebbe “essere ubriaco” in gergo piratesco.
Già dalle prime righe del capitolo si può benissimo intuire il perché della scelta del titolo.

[2] Nato a Hittisleigh il 23 febbraio del 1689 e morto a Wellfleet il 27 aprile del 1717, il suo vero nome era Samuel Bellamy, ed è stato un pirata britannico dalla carriera assai breve. Difatti non durò più di un anno, ma ciò nonostante lui e il suo equipaggio riuscirono a catturare più di cinquanta navi.
Fu chiamato “Black Sam” perché non portava la tipica parrucca incipriata che andava in voga nel Settecento, ma lasciava in bella vista i suoi lunghi capelli neri, legandoli solo con un laccio. Divenne inoltre noto per la misericordia e la generosità verso coloro che catturava durante le incursioni, tanto da ottenere anche il soprannome di “Principe dei pirati”
La leggenda ufficiale narra che ogni volta che conquistava una nave chiedeva di provarla. Se non la riteneva abbastanza veloce la restituiva al legittimo proprietario e se ne andava per la sua strada.

 
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