Il giovane allenatore di nome Maxuel, da tutti chiamato Max, quel giorno avrebbe cominciato la sua avventura come giovane promessa nella lotta pokèmon.
Andò nel laboratorio a poche centinaia di metri da casa sua per chiedere uno starter.
Il prof. Elm gliene offrì tre, i soliti, cyndaquil, totodile e chicorita.
Lui subito scelse totodile, e quello gli saltò addosso e iniziò a giocare con Max.
la sua avventura era iniziata, o meglio la sua più grande sfortuna era iniziata.
Max era figlio di un coordinatore pokèmon e di un allevatrice, sapeva perfettamente come trattare i pokèmon e a come farli diventare potenti.
Tempo poco aveva già una squadra fortissima.
E in ancor meno tempo tempo era già alla terza palestra, la palestra di Fiordoropoli.
Fiordoropoli oltre ad avere una palestra, ha anche una meta molto attesa da molti giovani allenatori, il casinò.
Un simpatico edificio in qui potevi giocare i tuoi soldi e la tua fortuna per ottenere una somma maggiore.
Max decise di provare, fece rientrare tutti i suoi pokèmon e poi pensò tra se e sé: “dai solo una volta e poi andiamo a sfidare la palestra”.
Ma non fù una volta sola, furono moltissime.
Max rimaneva tutto il giorno nella piccola stanza del casinò, giocando, perdendo e guadagnando altri soldi.
Il proprietario preoccupato prese il suo hootoot e gli diede un messaggio per i genitori del ragazzo.
Il messaggio recitava: -cari signori, mi spiace informarvi che vostro figlio passa tutto il suo tempo al mio casinò. I suoi pokèmon vanno oramai ad allenarsi da soli, e si sono praticamente tutti evoluti, sono stati proprio loro a spiegare al mio pokèmon a chi consegnare la lettera. Vi prego di intervenire.”
il messaggio di risposta era molto lungo, ma una parte in particolare colpì chi si dovette occupare del caso: “signore grazie dell'informazione, ma stentiamo a crederci. Nostro figlio ha sempre detto che per lui la cosa più importante è sempre, e sempre rimarrà l'amicizia con i pokèmon.”
Il proprietario no poteva sbattere fuori dal casinò un cliente, quindi rimase lì impotente.
Dopo mesi che guardava Max giocare, si accorse di molte cose: i suoi pokèmon venivano una volta al giorno a fargli visita, Max mangiava seduto al suo posto e aveva imparato a dormire con gli occhi aperti, così da poter sempre giocare.
Ormai Max era più uno zombi che altro, e anche i suoi pokèmon se ne resero conto.
Un giorno i pokèmon entrarono nel casinò, titti e sei si ricordavano delle amorevoli cure di Max; tutti e sei si ricordavano delle attenzioni di Max, e il fatto di non averlo più con loro aveva reso cattivi quei pokèmon.
Ormai erano tutti a livello cento.
Erano tutti potentissimi, dei pokèmon potentissimi e che dentro di loro portavano solo odio, non verso Max, ma verso quella macchina che glielo aveva portato via.
In preda alla collera i pokèmon entrarono nel casinò, distrussero tutto e uccisero tutti i presenti il proprietario compreso.
Max non si mosse, stava muovendo ancora il braccio come per tirare la leva per incassare la vincita.
Non si era nemmeno reso conto dei suoi pokèmon.
La rabbia di quei pokèmon superava limiti sconosciuti, e in preda a questa ira attaccarono Max.
Lo uccisero, lo sbudellarono, lo carbonizzarono, lo congelarono, lo avvelenarono, lo fulminarono e infine lasciarono la sua carcassa in quel posta che tanto aveva amato.
Povero Max pensarono in tanti, se l'è meritato pensarono altrettanti.
Voleva diventare ricco. Morì ricco.
Voleva avere amici. Morì solo.