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Autore: SunlitDays    27/10/2011    2 recensioni
Il proprietario della voce la guardava con un sorriso di scherno e uno sguardo interrogativo negli occhi, come se la strana, lì, fosse lei, come se fosse del tutto normale entrare in una gelateria con una scintillante armatura romana e un tridente alto due metri in una mano. [Sally/Poseidone]
Scritta per il contest "How Did They Meet?" indetto da nan96
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Poseidone, Sally Jackson
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Nickname:
SunlitDays
Titolo: Salty's Ice Cream
Genere: Romantico, Fluff, Comico
Rating: Giallo/Arancione
Avvertimenti: piccoli spoiler
Introduzione: il proprietario della voce la guardava con un sorriso di scherno e uno sguardo interrogativo negli occhi, come se la strana, lì, fosse lei, come se fosse del tutto normale entrare in una gelateria con una scintillante armatura romana e un tridente alto due metri in una mano.
Note dell'Autrice: questa fic è stata scritta per il contest How Did They Meet? indetto da nan96. Purtroppo, avendo consegnato solo in due, non è stata fatta alcuna classifica. Ringrazio comunque la giudice per avermi dato la possibilità di scrivere una fic su PJ, cosa che avevo intenzione di fare da tempo.
Note dell'Autrice2: la storia è composta da tre capitoli, aggiornerò quindi regolarmente ogni settimana, in più è la prima fanfiction su Percy Jackson che scrivo. Spero di aver fatto un lavoro decente.


Capitolo Primo


Era una giornata come tutte le altre alla “Creem’s Cream”, la gelateria più popolare di Montauk. Orde di bagnanti si accalcavano davanti al bancone gelato sventolando scontrini e urlando ordini; dei ragazzi si davano gomitate a vicenda indicando delle ragazzine in costume da bagno che, fingendo interesse verso i vari gusti, mettevano in bella mostra le gambe lisce e i sederi sodi, le mani che nascondevano le loro risate civettuole; un bambino, da qualche parte in fondo alla sala, lamentava il proprio gelato caduto.
Assolutamente una giornata come tutte le altre: calda, frenetica ed estenuante.
Sally Jackson, diciannove anni e cento sogni, si spostava da un lato all’altro del bancone, prendendo ordini e preparando coni gelato, un fazzoletto di stoffa che le penzolava dalla tasca, pronto per asciugarle il sudore.
Non era un lavoro difficile ed era anche piacevole talvolta; il trucco stava nel non distrarsi mai, o sarebbe stata la fine.

«Penny, il cioccolato è finito. Muoviti!». L’urlo roco del signor Creem arrivò proprio mentre Sally contava il resto da dare alla vecchia signora Callanger mentre un posticino della sua mente teneva ben stretto il ricordo delle prossime ordinazioni da preparare.
«Mi chiamo Sally» urlò, cercando di sovrastare il chiacchiericcio della folla.
«Muoviti!». Naturalmente, non c’era modo di spiegare al suo capo che se si fosse allontanata anche solo un attimo, ci sarebbe stata una rivolta dei clienti. Avrebbe potuto andarci lui stesso, ma Sally dubitava che il signor Creem potesse disturbarsi tanto da alzarsi dal suo comodo sgabello.
L’umidità le si attaccava sulla fronte e il labbro, e ciocche di capelli le sfuggivano dalla cuffietta incollandosi sulle sue guance sudate.
Solo quando l’ultimo cliente uscì, Sally poté finalmente sedersi un attimo e massaggiarsi i piedi stanchi. Non che potesse andare a casa, doveva ancora pulire e organizzare tutto per il giorno successivo.
La gelateria “Creem’s Cream” era una spaziosa e luminosa sala rivestita di marmo chiaro. Sulla sinistra facevano bella mostra tutti gli attestati e premi che aveva collezionato il signor Creem, un tempo un noto gelataio dai folti capelli rossi e la passione per il suo lavoro, divenuto poi un uomo sovrappeso con una decina di capelli bianchi riportati di lato come per nascondere la calvizie, e le dita perennemente inumidite per far scivolare le banconote più fluidamente.
Dietro al grande bancone gelato, c’erano foto del signor Creem con gente famosa passata per il locale negli anni: un’ulteriore dimostrazione dell’egocentrismo e amore per gli affari dell’uomo.
Sulla destra, invece, c’erano decine di tavoli di metallo messi a disposizione della clientela, e, in un angolo, una porta conduceva al magazzino e alla cucina.
La parte che Sally preferiva era la parete d’ingresso: era completamente di vetro e, nelle ore morte — non che ce ne fossero molte — Sally spesso si scopriva a fissare i vari bagnanti e a desiderare di essere una di loro.
Come dipendente di una gelateria di successo, non aveva molto tempo per se stessa, ma il salario era abbastanza da conservare i soldi necessari a pagarsi gli studi, e il suo capo le aveva permesso di usare la sua cabina: una minuscola catapecchia dalle tende sbiadite e il perenne odore di muffa. Ogni sera, prima di andare a letto, Sally doveva agitare le lenzuola per liberarsi della sabbia entrata dalle innumerevoli fessure e, ogni mattina, si svegliava con una sensazione di prurito e la pelle che sembrava un’arancia. Ma all'alba, Sally apriva la finestra facendo entrare il profumo di salsedine e osservando la spiaggia bianca e vuota, l'oceano che si estendeva immenso. Un posto magico. Sally sognava di tornare lì ogni anno, magari col suo futuro marito e il loro bambino.
Sapeva di meritare di più, ma la vita le aveva riservato diverse difficoltà, quale la perdita prematura dei suoi genitori, la malattia e, successivamente, la morte di suo zio. Ma non se ne rammaricava. Avrebbe lavorato di più e più duramente. La fortuna bisogna crearsela da soli, le ripeteva zio Rich.
«Penny, è arrivato un nuovo carico da sistemare. Che fai lì impalata, muoviti!» la rimproverò il signor Creem. Sally sospirò in silenzio. Adesso si sarebbe alzata e gli avrebbe urlato che non era lei quella che se ne stava impalata, e il suo nome non era Penny, per la miseria!
«Arrivo subito, signor Creem» rispose, invece. Lo guardò mentre si allontanava, il solito sguardo scorbutico, il pancione che si appoggiava sul pantalone come una pasta da pane lievitata troppo. Poi il suo sguardo si spostò verso gli scatoli da sistemare e sospirò di nuovo.
«Buongiorno» disse una voce limpida e con un accento orientale alle sue spalle.
«Mi dispiace» disse Sally con voce forzata, mentre cercava di issare una scatola di latte in polvere. «Siamo chiusi».
Riuscì finalmente a posizionare la scatola precariamente tra le sue braccia, si voltò, sorriso in volto, verso il cliente ritardatario e lanciò un urlo. La scatola cadde a terra con un tonfo aprendosi, e il latte in polvere si sparse ai suoi piedi. Il folle pensiero di Sally, mentre guardava con occhi sgranati l’uomo bizzarro che le si parava davanti, fu: il signor Creem mi detrarrà i soldi del latte dal mensile.
Nel frattempo, il proprietario della voce la guardava con un sorriso di scherno e uno sguardo interrogativo negli occhi, come se la strana, lì, fosse lei, come se fosse del tutto normale entrare in una gelateria con una scintillante armatura romana e un tridente alto due metri in una mano.
Il signor Creem entrò correndo e allarmato, un sigaro cubano che gli penzolava tra le labbra.
«Che succede?».
Esaminò per qualche secondo la situazione, poi il suo sguardo divenne vacuo e, inspiegabilmente, s'inchinò verso il nuovo cliente. Evidentemente sembrò giudicare le sue azioni e l’abbigliamento dell’uomo del tutto regolari, perché si raddrizzò e, sbuffando una nuvola di fumo, sorrise al cliente. Poi si voltò verso Sally.
«Guarda cosa hai combinato, sciocca ragazza. Adesso—». Si bloccò come se qualcuno avesse premuto il tasto “pause”. Restò per qualche secondo con la bocca aperta e il dito indice puntato verso la sua dipendente, e proprio mentre Sally stava per chiedergli se stesse bene, lui sorrise e disse: «Adesso perché non prepari al gentiluomo qui un bel gelato al cioccolato? Penso io a pulire».
Aggrottò le sopracciglia come se anche lui, come Sally, si stesse chiedendo il motivo dietro le sue parole. Poi si voltò rigidamente e si diresse verso l’armadio delle scope.
Sally respirò profondamente, gli occhi incollati verso il posto dove un momento prima si trovava il suo capo. Cominciava ad avere un sospetto: non era la prima volta che le capitava di vedere cose strane che, a quanto pareva, non esistevano. Come quella volta, quando aveva nove anni e suo zio l'aveva portata al centro commerciale. Avrebbe potuto giurare che nella lunga fila per il bagno, ci fosse stato un enorme serpente con la testa da leone. Quando l'aveva detto ad alta voce, una signora si era voltata e l'aveva guardata male, come se avesse detto una cosa terribilmente scortese verso un uomo perfettamente rispettabile. E quell’altra volta, in terza elementare, aveva costretto zio Rich a cambiarle scuola perché la sua maestra non le piaceva: aveva otto tentacoli e un becco d’aquila.
Zio Rich le diceva sempre di smetterla di giocare con i suoi amici mostri immaginari.
Ma quella non era immaginazione, e, di certo, non era neanche la realtà. Forse era un qualche disturbo post traumatico dovuto alla perdita dei suoi genitori? Sally sapeva soltanto che in quei momenti l’unica cosa da fare era comportarsi come se non ci fosse nulla d'inusuale.
Sorrise forzatamente all’uomo bizzarro appoggiato al bancone, cercando disperatamente di non guardare il letale tridente che lui stringeva nella mano destra, né la porzione di pettorali che s'intravedeva dall’armatura. Tossicchiò.
«Gelato al cioccolato, dunque? Subito». Cominciò ad armeggiare con la spatola, la mano che le tremava e i capelli umidi che le finivano negli occhi.
«Ecco a lei» disse quando ebbe finito, porgendogli il cono gelato. L’uomo la guardava con una tale intensità che Sally si sentì vacillare. Nei suoi occhi verdi vide un mare in tempesta, maremoti, resti distrutti di un’imbarcazione, un marinaio dallo sguardo disperato. Ebbe il folle istinto di inchinarsi, di promettere eterno servigio...
Batté le palpebre. Aveva ancora il braccio teso verso lo strano uomo, la voce dei bambini che giocavano sulla spiaggia arrivava fresca e gaia nelle sue orecchie. Guardò il cono gelato che stringeva in mano, aspettando di trovarlo sciolto. Era intatto: era passato solo un attimo.
Adesso l’uomo la guardava con sguardo interrogativo.
«Grazie» disse lui, la voce limpida e profonda. Prese il gelato che Sally gli porgeva, ma non lo mangiò, non si mosse. Continuava a guardare Sally come se lei avesse appena fatto apparire un coniglio dal suo cilindro e lui stesse cercando di capirne il trucco. Era snervante. Sally si rimise a lavoro, accanendosi su una ciotola particolarmente incrostata.
Dovevano esser passati svariati minuti quando alzò di nuovo gli occhi. L’uomo la stava ancora osservando, il tridente nella mano destra e il cono nella sinistra. Non una goccia di gelato era colata. Devo diminuire la dose di latte in polvere, pensò Sally.
Aprì la bocca, decisa a dirgli che c’erano dei tavolini molto comodi laggiù e che la vista, lì, era migliore, ma l’uomo la batté sul tempo.
«Straordinario!» disse inspiegabilmente. «Erano anni che non ne incontravo una». Sally stava cominciando ad avere seri dubbi sulla propria sanità mentale.
La porta si aprì ed entrò Tommy Fragola e Pistacchio Nel Cono Grande Grande: un bambino di non più di cinque anni che ogni giorno scappava dallo sguardo vigile della madre per scroccare un gelato gratis. Sally lo adorava.
«Fammi indovinare» disse Sally, fingendosi seria. «Una vaschetta di cioccolato e vaniglia» finì, con un gesto teatrale.
Il bambino gonfiò le guance con espressione frustrata. «Nooo» cantilenò. «Fragola e pistacchio nel cono grande grande».
«Oh, perdoni una gelataia distratta, messere. La servo subito» rispose lei. Prese la spatola e il cono più grande che avevano, consapevole che il bambino non l’avrebbe mangiato tutto.
Felice per l’enorme cono ricevuto, Tommy andò a sedersi su una delle sedie, leccando entusiasta il suo gelato, mentre Sally, avvertendo lo sguardo dell’uomo strambo su di sé, si accovacciò dietro al bancone con la scusa di pulire il danno che aveva fatto. Il signor Creem, notò distrattamente, non era ancora tornato dall’armadio delle scope.
«Bella canna da pesca, signore» sentì dire il bambino.
«Ti piace? È una Michell, un assetto perfetto. Ottimo se vuoi pescare dei bei pezzi grossi» rispose l’uomo, e il sorriso che accompagnò quelle parole si poteva percepire chiaramente.
Sally guardò attraverso il vetro e vide Tommy annuire con convinzione, come se lui fosse un esperto di pesca.
«Ti piace il mare?» gli chiese l’uomo. Aveva delle rughe attorno agli occhi, segno che dovesse ridere spesso. La sua zazzera spettinata di capelli neri suggeriva lunghe notti fredde passate sulla riva dell’oceano. E quegli occhi così verdi... un momento. Canna da pesca?
«Il mio papà mi porta sempre a pesca» stava dicendo il piccolo Tommy.
Canna da pesca, pensò Sally, ma certo! Deve essere un aggeggio che serve a pescare pesci, non un'arma letale.
Si sentì rincuorata e anche un po’ stupida per non averci pensato prima. Che poteva mai farci un uomo con un tridente? Certo, un’armatura non le sembrava un abbigliamento adatto a quel tipo di sport, ma cosa poteva mai saperne lei. E la reazione del signor Creem... l’uomo losco doveva essere un tipo famoso o molto ricco. Non era raro vedere gente del genere a Montauk.
Pulì con più vigore, sentendosi come una pazza a cui era stato detto di essere perfettamente sana.
Quando ebbe finito, si alzò dalla sua posizione accovacciata, sentendo la schiena scricchiolare.
L’uomo aveva appoggiato un gomito sul bancone, mentre con l’altra mano batteva il tridente ritmicamente a terra. Di Tommy Fragola e Pistacchio nel Cono Grande Grande non c’era traccia.
«Erano anni che non incontravo una come te» disse l’uomo e la guardò come il signor Creem guardava una catasta di banconote.
«Oh, ma dove sono le mie maniere. Le chiedo umilmente perdono, signorina, io sono Poseidone. Onorato di fare la sua conoscenza». Le prese la mano con delicatezza, chinandosi e sfiorando lievemente il dorso con le labbra.
Sally era senza parole, l’unica cosa che riuscì a blaterare fu: «Quale genitore chiamerebbe suo figlio Poseidone?» e poi si maledì fino al profondo del suo essere.
Ma l’uomo, Poseidone, rise, una risata profonda e di gola, come se mai avesse ascoltato qualcosa di più comico. Sally avrebbe voluto sprofondare.
Si trovava al suo posto di lavoro, con la divisa da lavoro, sudata e appiccicaticcia, i capelli umidi e in disordine, in compagnia di un uomo affascinante e bizzarro vestito come se fosse appena tornato dalla guerra di Troia, e doveva anche farsi prendere in giro. Ritirò la mano e le incrociò entrambe dietro la schiena.
«Chiedo scusa, signor Poseidone, ma come può ben vedere, siamo in orario di chiusura. Sarebbe molto cortese da parte sua se potesse mangiare il suo gelato fuori, grazie» disse gelidamente, perché Sally Jackson era sempre gentile e disponibile, e raramente diceva di no, ma non sopportava di esser presa per i fondelli, e grazie tante.
Il signor Creem scelse quel momento per tornare, secchi, stracci, spugne e detersivi di ogni tipo incastrati in ogni giuntura del corpo.
«Sono venuto a pulire» disse, come se non fosse stato ovvio, e s'inchinò per eliminare lo sporco che non c’era più.
Chiaramente, Sally doveva tornare a casa e farsi una lunga dormita.
Lo guardò incredula e frastornata per qualche momento e, quando rialzò lo sguardo, l’uomo non c’era più.
Un bambino dalla spiaggia urlò più forte: aveva fatto goal. Sally si voltò verso di loro, poteva vederli chiaramente dalle porte di vetro del locale. Correvano, urlavano, si spingevano. Uno di loro doveva considerare il goal irregolare, o forse non voleva accettare la sconfitta, perché prese il pallone sotto braccio e cominciò a protestare. Una donna adulta, una madre, si avvicinò a loro, un pareo rosso alla vita e un cappellino di paglia in testa. Prese il bambino piagnucolante per il braccio e lo portò via. Dai suoi gesti, Sally dedusse che lo stesse rimproverando, dopodiché gli accarezzò la testolina e gli dette un bacio sulla fronte. Poi entrarono nel fitto degli ombrelloni e Sally li perse di vista.
Il signor Creem canticchiava una canzone anni ‘60 mentre puliva, e Sally, gli occhi sui padri che insegnavano i figli a nuotare, sentì una morsa allo stomaco. Pensò a zio Rich che le prendeva la testa e con poca delicatezza la spingeva sott’acqua. “Nuota, Sally. Andiamo, nuota!”
Improvvisamente, una brezza entrò nel locale, portando con sé l’odore di salsedine, di libertà e speranza. Sentì tutta la stanchezza della giornata scivolare via dal suo corpo, portata via dal vento e, mentre guardava la spensieratezza dei bambini e l’amore negli occhi dei genitori, sorrise.

[continua...]


Nota: in “The Battle Of The Labyrinth” Sally afferma che da giovane aveva la capacità di vedere oltre la Foschia e che questa era una delle cose che aveva attirato l’attenzione di Poseidone su di lei.
Nota2: in nessun libro viene indicato quanti anni avesse Sally quando ha incontrato Poseidone, né se si fosse trovata a Montauk per vacanze o lavoro. Ma essendo ancora giovane durante la saga, ho pensato che all’epoca avrebbe dovuto essere appena maggiorenne, e considerati i suoi problemi economici, dubito avesse sprecato soldi per una vacanza a mare.
   
 
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