Stavo leggendo delle fic quando, quasi per caso, mi sono accorta che
si avvicinava un temporale. Anzi, per la verità era già
molto vicino, quasi sopra casa, ma tendo ad accorgermene difficilmente
dalla mia finestra coperta in mansarda.
Ho staccato tutto e sono scesa, un'ora d'anticipo (quasi le 4 di notte)
sulla mia "tabella di marcia".
Sono finita alla finestra spalancata dei miei, seduta sulla moquette,
ad osservare il cielo, l'orizzonte, tutto.
E , visto che tendo ad impersonificarmi con i "miei" pg preferiti,
m'è venuto in mente un Draco al mio posto.
Il temporale, la finestra in camera dei genitori, etc sono cose reali,
ricordo di questa strana nottata passata a fissare i fulmini in cielo
(e tremando davanti alla gigantesca gru-parafulmine sotto casa) e ho optato
per dare a Draco la mia stessa età per rendere la fic ancora più
"vicina"a me.
È venuta un po' "così", angst. Non ci posso fare
nulla. In fondo, non sempre l'amore ha l'happy end o viene tragicamente
spezzato dalla morte di uno dei due amanti, cullato dalle braccia dell'altro
durante l'esalazione dell'ultimo respiro.
Il titolo più adatto sarebbe stato, come dice Madda, "Seghe
mentali temporalesche", ma non era proprio il massimo. :P
Alla fine, dopo molto patire, ho scelto la data in cui è stata
scritta (anno a parte), che è quindi anche il giorno in cui si
svolge.
Solo dopo aver deciso mi sono accorta che mettere la data come titolo
poteva aiutare a capire qualcosa in più di tutta la trama "fra
le righe".
Per non essere troppo criptica, vi dirò solo una cosa: date un'occhiata
alle date. ^o^
Dedica alla mia beta preferita (e unica) Madda, alla mia mammina Samantha/Narcissa e alla pseudo zia Vera.
Diclaimers: I personaggi appartengono alla loro genitrice, Mrs Rowling.
Ringrazio in anticipo coloro che(se) recensiranno. ^^28 giugno 2001
Ricordo che da piccolo io temevo i temporali.
Avevo un terrore folle, non dei fulmini che illuminavano il cielo a giorno,
ma dei tuoni che venivano dopo.
Ogni estate, ogni notte in cui la natura si sfogava con violenza, io mi
riducevo ad un cucciolo tremante, infagottato nelle coperte fin sopra
alla testa e abbracciato al mio peluche di turno.
Ad ogni rombo sussultavo, aggrappandomi ancora di più al mio animaletto
di pelo, come se lui potesse mandare via quei tuoni cattivi che tanto
mi spaventavano.
Poi sono cresciuto e la paura, anziché scomparire, come avviene
per la maggior parte delle persone, è solo mutata, trasformata
in terrore per i fulmini.
Ogni volta che un lampo squarciava il cielo, dentro di me imploravo -non
so nemmeno chi- di smetterla.
Più volte, durante le tempeste più violente, ho anche pianto
qualche lacrima.
Ora ho ventuno anni e non temo più i temporali come un tempo.
Certo, non li adoro.
O meglio, non li adoravo.
L'altro ieri, mentre gli elfi sparecchiavano e io e i miei genitori ci
alzavamo da tavola, si avvicinò una tempesta.
L'aria si fece fresca, le nuvole oscure presero possesso del cielo mangiando
velocemente la luce, dando al giardino un aspetto tetro, quasi spettrale.
Si alzò un vento forte, così forte come io non ricordo di
aver mai visto in tutta la mia vita. Vedevo i rami agitati, come dotati
di vita propria al pari del Platano Picchiatore di Hogwarts, scricchiolare
sotto quella furia, l'acqua cadere con violenza, con un'angolazione quasi
innaturale.
E io sono rimasto incantato, sul terrazzo, ad osservare, senza curarmi
delle gocce che si accumulavano sulla mia pelle nuda.
Una saetta lunga e ben definita squarcia il cielo, illuminando tutto, quasi accecando con la sua luce bianca.
Ora non fa differenza, anche se il mio terrore inconscio per i fulmini
mi trattiene cautamente sulla soglia della portafinestra.
Non avrei mai il coraggio di rimanere sul balcone, vicino alla elaborata
ringhiera di ferro battuto.
No. Rimango seduto, gomiti sulle ginocchia, con la testa sempre in movimento,
come se stessi assistendo ad un'avvincente gara di Quidditch. Lo sguardo
spazia da destra a sinistra, cercando di cogliere una di quelle scie di
luce che tanto mi affascinano.
Mi volto all'indietro e osservo il letto matrimoniale poco distante. I
miei genitori dormono, mia madre leggermente appoggiata a mio padre.
Mi beo della visione per qualche istante, riempiendomi il cuore, e torno
a guardare fuori dalla finestra.
Luce accecante illumina il cielo, nascosta parzialmente alla mia
visuale dal grande frassino davanti a me.
Ombre surreali si proiettano sulle foglie, e il cielo violetto, dopo un
momento di buio, torna ad accendersi.
Perché sono in camera dei miei? In fondo, il maniero Malfoy è
immenso, e pullula di camere inutilizzate.
La mia stanza ha un'immensa portafinestra che guarda a nord. La tempesta
è a sud. Quindi la solitudine della mia camera è da scartarsi.
La stanza dei signori Malfoy guarda a sud, un grosso albero frondoso
la ripara dalla luce del sole che, seppure ancora a est, riesce a fare
spiacevolmente capolino dalla finestra.
A discapito delle fredde apparenze, noi Malfoy non siamo soliti dormire
in stanze separate da lunghi corridoi, né chiudere le porte delle
camere.
Io, fino a qualche anno fa, avrei addirittura sofferto di non so quale
fobia, se qualcuno se avesse osato anche solo accostare la porta della
stanza durante la notte.
Poi però mi sono accorto che forse, chiudendo la porta, d'inverno
la mia camera, notoriamente la stanza più fredda dell'intero maniero
-ha provato a raggiungere anche i dodici gradi- sarebbe potuta essere
un po' più calda.
Sono così abituato alla porta chiusa che ora, anche durante le
estati torride come questa, non la apro.
Sono una serpe strana e pazza che, come dice sempre mia madre -la poveretta
sta male quando pensa che io dormo ancora con il plaid e il pigiama invernale
nonostante i trenta gradi-, dorme anche in luglio con la finestra chiusa
e i tendoni tirati in modo che non passi nemmeno uno spiraglio di luce.
I rombi del temporale appena nato erano attutiti dalle spesse mura del
maniero mentre percorrevo il lungo corridoio della zona notte.
Stavo raggiungendo la mia stanza quando sono passato davanti alla porta
aperta della camera dei miei genitori. Come sempre ho buttato un occhio,
abituato ad osservare per un istante le due figure addormentate. Un'abitudine
che ho preso da quando papà è uscito da Azkaban due mesi
fa e ha dato forfait al Signore Oscuro.
È come se, inconsciamente, temessi di non vederlo più.
Stranamente la figura di mio padre si stagliava contro la finestra. I
bagliori dei lampi gli donavano un aspetto quasi surreale, mentre i capelli
riflettevano la luce diventando bianchi, quasi trasparenti.
Un fantasma.
Deglutii spaventato. Per un istante temetti di avere davanti una visione,
e che mio padre fosse ancora in cella o, peggio ancora, nel mausoleo di
famiglia.
Ma fu un istante, appunto.
Poi la mia mente tornò a lavorare e il cuore si calmò.
Senza dire una parola entrai nella stanza. Mia madre sembrava non essersi
accorta della mancanza di papà, e continuava a dormire.
Mi avvicinai a mio padre, fermandomi al suo fianco.
Lui sembrò percepire la mia presenza, ma non disse nulla.
Rimanemmo lì immobili per… non so nemmeno per quanto. Poi
mamma sussurrò un "Lucius?" preoccupato.
Allora papà si voltò leggermente e un fulmine illuminò
il suo sorriso dolce.
Rivolto a me.
Da quanti anni non lo vedevo guardarmi così?
Lo fissai intensamente negli occhi, per un istante infinito, leggendogli
dentro come mai prima d'ora mi aveva permesso di fare.
Gioia. Felicità. Per essere libero. Per poter assistere anche ad
una cosa così normale come un temporale.
Amore. Per me. Per mamma. Per essere tornato fra di noi.
Abbozzai un sorriso, e lui mi poggiò una mano sulla spalla, per
un secondo, per poi raggiungere il letto, in un fruscio di lenzuola di
seta, ed accarezzare un braccio a mamma, per tranquillizzarla con la sua
presenza.
Per quanto tempo li ho fissati, senza muovere un muscolo, stando attento
a non respirare troppo forte, per non rompere l'idillio?
Il mio cuore invaso da un'autentica felicità. Per loro. Per l'amore
che aveva vinto sulla seduzione del Signore Oscuro.
E le lacrime di mia madre ormai erano solo un ricordo lontano, così
come il dolore di vederla svuotata, durante i lunghi mesi di distacco
dal suo Lucius.
Una saetta, subito seguita da un'altra, e un forte boato, come se
il cielo si fosse squarciato.
L'aria fredda, carica di minuscole goccioline mi investe il viso. Una
sensazione piacevole.
Avrei dato la vita per la sua liberazione.
Davvero.
Tutto pur di saperlo al sicuro, senza addosso quella lurida divisa, il
volto non più emaciato.
Tutto pur di non sentire mia madre piangere in silenzio, chiusa nello
studio, cercando di non mostrarsi fragile ai miei occhi.
Non lo sopportavo.
Il cuore mi faceva male al solo pensiero, minacciava di rompersi ogni
volta che sentivo un suo gemito di dolore.
Avrei venduto l'anima al Signore Oscuro, pur di farlo uscire da Azkaban.
Si, sarei stato disposto a seguire le sue orme e accettare il Marchio,
in cambio della sua libertà.
Non è servito, fortunatamente, e ora posso sentire il respiro flebile
di mio padre, ormai riaddormentato, accompagnato da quello di mia madre.
Osservo a bocca aperta i lampi ben delineati che attraversano il cielo, tutti i miei sensi pieni, conquistati, ipnotizzati da questa danza violenta.
Vorrei qualcuno che mi abbracciasse, mentre rimango seduto ad osservare
il temporale. Due gambe ai miei fianchi, un torace contro la schiena e
due braccia avvolte al mio corpo.
E un viso appoggiato alla mia spalla, guancia contro guancia.
Solo una persona, in effetti, una in particolare.
Una persona che non avrò mai.
E a me sarà negato quello che posso osservare, e sentire, nei miei
genitori.
Perché so che io gli appartengo. E non potrò mai concedere
il mio cuore a qualcun altro.
D'altra parte, se l'è portato via quel giorno -la fine del settimo
anno alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts-, quando l'ho visto
allontanarsi dalla stazione con la Weasley fra le braccia.
Anzi. Per la verità credo che il mio cuore non ce l'abbia lui,
no. Credo sia ancora lì, a King Cross, davanti alla barriera del
binario 9 e ¾, ridotto in tanti piccoli pezzettini.
Il coraggio non è mai stato il mio forte, e non ho mai tentato
un approccio serio con lui.
Non avrei sopportato l'idea di un rifiuto o del disprezzo nei suoi occhi
smeraldo.
La guerra è finita una settimana fa.
E sua moglie, Ginevra Weasley, gli ha donato un figlio come "premio
per la vittoria".
Appoggio stancamente il viso all'anta della finestra e osservo, con sguardo opaco, la tempesta infuriare, riuscendo a strapparmi dal mio torpore quando un fulmine particolarmente grande attraversa il cielo.
I tuoni si diradano, i rombi si fanno lontani, la luce delle saette
smette di illuminare il cielo.
Solo il vento rimane, a testimonianza della sfuriata della natura.
Mi alzo lentamente, le ginocchia leggermente doloranti per l'immobilità
a cui le ho costrette per troppo tempo.
L'occhio mi cade ancora sul letto matrimoniale.
Mamma ora giace fra le braccia di papà, e sento un tuffo al cuore.
È una scena perfetta, nella sua semplicità. Degna di essere
ritratta in un dipinto di Hayez.
Il ritratto dell'amore.
Puro.
Impensabile, assurdo se accostato ad un Malfoy.
O forse solo a Draco Malfoy.
E non perché non ne sia capace -per la verità non so se
sarei in grado di provare un sentimento del genere, mai provato-.
No. Perché io ho disimparato ad amare. O, per lo meno, avrei dovuto.
Mio padre si è premurato di ripetermi, fin da piccolo, che l'amore
rende deboli, che l'amore non è per i Malfoy.
Ma ora che sono adulto, so che non intendeva tutti i Malfoy, ma solo me.
No. Non crediate che sia egoismo Luciusiano.
No. Ha dei validi motivi per augurarsi che io non mi innamori -con la
i maiuscola- mai.
Sorrido tristemente guardando per l'ultima volta le due figure abbracciate, prima di uscire dalla stanza.
Cammino lungo il corridoio della zona notte, il rumore del vento lontano,
soffocato.
I ritratti appesi alle pareti sonnecchiano.
Tutti tranne uno.
Draco Malfoy.
No, non il mio ritratto.
Draco Abraxas Malfoy. Un mio antenato, vissuto all'epoca dell'Imperatrice
Sissi.
Mio padre dice che da questo illustre Malfoy -che fin da bambino frequentò
la corte reale inglese- io non ho ereditato solo il nome.
In effetti ci assomigliamo molto, fisicamente.
Nonostante io sia, come molti a scuola usavano definirmi, la copia
in piccolo di Lucius Malfoy, potrei benissimo sembrare il figlio di
Draco Abraxas.
Mi fermo un istante a fissarlo, e lui accenna un sorriso.
Non ha mai parlato. Non con me o in mia presenza, per lo meno.
Ma tutte le volte che passavo davanti al suo ritratto, lui mi ha sempre
sorriso quasi -è pur sempre un Malfoy- dolcemente.
"Anche io li trovavo affascinanti."
Mi guardo attorno freneticamente, cercando di capire chi ha parlato, ma
tutti dormono.
Riporto la mia attenzione al mio omonimo e lo vedo sorridere apertamente,
i piccoli denti bianchi leggermente in mostra, le labbra rosate socchiuse
in un dolce sorriso che raramente ho visto in faccia ad un Malfoy.
"Che… che cosa?" chiedo balbettando.
I miei antenati mi hanno sempre intimorito, così austeri e rigidi
nei loro ritratti ricchi, nelle loro cornici di legno dorato finemente
intagliate.
Ma lui, Draco, forse per il nome in comune, forse per la giovane
età, forse per l'aspetto così simile, l'ho sempre sentito
più vicino, l'unico al quale potessi abbozzare un sorriso senza
timore, mentre tutti gli altri ritratti da me hanno sempre ricevuto solo
una rispettosa occhiata di striscio.
Non ho mai avuto paura a guardarlo negli occhi.
Occhi grigi, argento, come i miei.
È sempre stato come guardarsi in uno specchio incantato, che ti
mostra come sarai a vent'anni.
Come sono ora.
Uguale a me, in tutto e per tutto.
E io non ho mai temuto il mio riflesso.
Ma sentirlo parlare è uno shock, considerando che mai l'ho sentito
dire qualcosa.
"I temporali. Sono sempre suggestivi… E malinconici. Fanno
pensare a cose che sarebbe meglio lasciare seppellite nel cuore."
Aggiunge, dando ad intendere che lui sappia come mi sento ora.
Certo che lo sa, conoscendo quello che ha passato.
La mia mente vaga senza una meta reale per qualche istante, senza la percezione
del tempo e dello spazio.
"Buonanotte Draco." mormoro abbozzando un leggero inchino con
il capo.
Mi allontano percependo il suo sguardo pungente sulla schiena -è
questo che provano le persone che incappano nei miei occhi?- seguirmi
comprensivo.
Lo sguardo di una persona che, seppure vissuta anni fa, condivide il mio
stesso destino.
Mi richiudo la porta della camera alle spalle e mi ci appoggio, sospirando.
Il pensiero rivolto ad un… eroe… dai capelli sempre spettinati
e dagli splendidi occhi verdi.
Una lacrima solca la guancia pallida di Draco Lucius Malfoy, brillando per un istante nell'oscurità.
Mi lascio cadere per terra, la schiena contro lo spesso legno scuro della porta, la testa fra le braccia, le ginocchia al petto, arroccato in me stesso.
Un viso dai medesimi tratti chiude gli occhi, mestamente. Una stilla sulla guancia, una goccia reale, viva, sulla tela dipinta.
Una targa dorata riluccica nel buio.
"Draco Abraxas Malfoy. 5 giugno 1880 - 15 agosto 1901"
Suicida.
Per amore.