Bets and Neckleces
Il rumore di passi risuonava per tutto il corridoio, creando un' eco smorzato che s’infrangeva contro le pareti antiche e consumate del castello.
Susan Bones camminava lentamente per quei corridoi, assonnata, le spalle rilassate e una vaga voglia di caffè a torturarla.
Era di nuovo in procinto di sbadigliare
– per l’ennesima volta in quella giornata
– quando una mano le
afferrò un braccio e la strascinò
all’interno di una stanzetta
scura. Parecchio scura.
Anche nel buio riconobbe la figura di
fronte a sé e si addossò completamente alla
parete, spaventata.
Strizzò gli occhi, credendo di star
immaginando tutto.
Sì, sicuramente quella situazione era
frutto della sua immaginazione.
Rilassò le spalle, e sorrise.
Lui la guardò accigliato – stava
davvero sorridendo a lui come un ebete? –, prima di darle una
leggera spinta, facendola sussultare esageratamente.
«Tutto bene, Tassorosso?»
«Quindi… quindi tu sei reale!»
«Quindi… quindi tu sei
completamente
fuori di testa.»
Lei gonfiò le guance, indignata.
«Senti, Bones»
cominciò lui,
appoggiandosi alla parete con aria divertita. «Posso capire
che per
te sia shockante ritrovarti un Serpeverde di fronte, sembri una che
detesta parecchio le attenzioni.»
Stavolta le sue guance si colorarono di
rosso, mentre voltava lo sguardo.
«Ma io sono qui per una missione precisa, e se tu non mi darai del filo da torcere, finirà tutto prima che tu esca da questa claustrofobica stanzetta.»
«Io non… non…»
«Fammi finire, Tassorosso»
interruppe
il suo borbottio, con un tono rilassato e controllato.
«Quella
collana che hai addosso in questo momento, è un regalo di un
tuo
fedele amico, lo so bene» fece una pausa significativa, come
a
soppesare le parole. «Devi solo rendermela, poi io
sparirò
completamente dalla tua vita.»
Lei rimase immobile – muta – per un
tempo interminabile. Lo fissava alienata, senza neanche sbattere le
ciglia.
«Sto aspettando.»
Lei si riprese, portando istintivamente
la mano alla collanina.
«Io non posso» disse, arrossendo leggermente. «E’ importante per me. »
«Suvvia, Stupida Nanetta» come l’aveva chiamata? «E’ un oggetto di poco valore.»
«Ha un valore affettivo»
disse,
abbassando la voce per la paura.
Al contrario delle sue aspettative –
rabbia, incantesimi, la sua morte prematura–, il Serpeverde
si
limitò a sbuffare con aria annoiata.
«Sapevo che con un Tasso sarebbe stato
più difficile, ma ormai la scommessa è
fatta.»
Lei lo guardò stralunata, sempre più
stupita dal suo comportamento.
«Pensavo mi avresti uccisa.»
Lui alzò un sopracciglio, cercando di
non scoppiare a riderle in faccia.
«No, io le ragazze come te le mangio e basta» disse con sarcasmo. «Sentimi bene, Tappa. Io verrò a cercarti di nuovo, sappilo, e la prossima volta voglio sul serio quella collanina.»
«Io non posso, te l’ho detto.»
«Oh, sono sicuro che un modo
troverai»
riprese lui, con ancora quel tono rilassato. «Non vuoi che si
sappia
in giro ciò che hai fatto quel Venerdì 17,
vero?»
Arrossì dalla testa ai piedi,
guardandolo terrorizzata.
«Alla prossima, Stupida Nanetta.»
*
*
*
Per diversi giorni Susan Bones camminò
attenta ad ogni più piccolo movimento intorno a lei.
Attraversava i corridoi di fretta,
guardava continuamente alle sue spalle e teneva d’occhio
Blaise
Zabini costantemente durante le lezioni con i Serpeverde.
Non era più andato a cercarla.
Sapeva che da un momento all’altro
avrebbe potuto assalirla – o mangiarla, come le aveva detto
lui
stesso –, ma stranamente quel bastardo ancora non si decideva.
Lei, nel frattempo, moriva dall’ansia.
Ansia che trovò il suo culmine quando
sentì di essere di nuovo trascinata dentro uno stanzino.
Stavolta la luce era favorevole e
quindi si sentiva meno minacciata.
Magra consolazione.
Notò che il Serpeverde teneva la
camicia sbottonata, lo sguardo più acceso di quanto si
aspettasse e
i capelli perfettamente in ordine.
«Allora, Piccola, hai trovato una
soluzione alla mia richiesta?»
Lei arrossì dalla testa ai piedi –
la sua timidezza non le permetteva di nascondere le proprie emozioni
– per quel nomignolo così… intimo.
Respirò forte, infondendosi coraggio e
portando una mano tremante verso la tasca esterna della sua borsa
scolastica.
Vi frugò dentro, senza smettere di
guardarlo.
«Entro domani» disse poi lui,
senza
perdere la sua calma e con un sopracciglio alzato.
Con il buio dell’ultima volta non
aveva potuto ammirare gli occhi del ragazzo. Vi si soffermò,
notando
che apparivano chiari al confronto con la sua pelle scura e quel
netto contrasto li rendeva lucidi.
Le piacevano, decise.
La catenina all’interno della tasca
la distrasse; la tirò fuori e restò a fissarla
per diversi secondi.
La porse verso di lui, prima di
ritirare la mano. Di nuovo gliela porse e di nuovo la ritirò.
Maledizione.
Continuò per ancora qualche secondo,
prima di sentirlo ringhiare.
A quel punto se la portò al cuore,
guardandolo con gli occhi sbarrati di una nuova consapevolezza.
«Non posso farlo! »
Zabini chiuse gli occhi –
probabilmente per infondersi molta calma –, e si
portò le mani
sulle palpebre.
Quando li riaprì, lei sobbalzò.
«E perché non puoi, di grazia?»
«Perché…»
non doveva arrossire,
non doveva arrossire. «Perché per me è
veramente importante.
Quindi… beh, sei libero di spifferare a tutti il mio
segreto.»
Abbassò lo sguardo, intrecciando le
dita per non piangere.
Sentì gli occhi del Serpeverde
addosso, ma non rialzò lo sguardo.
«Lo immaginavo.»
Le sue parole la riscossero, e di nuovo
si ritrovò a guardarlo.
«Sei fedele persino a una stupida
catenina, ma siccome sei carina non mi va di rovinarti completamente
la reputazione» disse, guardando le guance della ragazza
colorarsi
di nuovo di rosso. «Tanto il modo per prenderla lo trovo lo
stesso,
stanne certa.»
La sorpassò, posando una mano sui
capelli e scompigliandoglieli leggermente come si fa con i bambini.
«Arrivederci, Tappa.»
Era… carina?
Si ritrovò immobile nella stanza,
rossa come un peperone e con il cuore che batteva a mille.
Oh, merda.
Si era appena presa una cotta per Blaise Zabini.