Spiriti
potenti, vi invochiamo.
Vegliate su noi, che stanotte
balliamo.
Volti alla luna, alta la testa,
danzano le streghe in
questa notte di festa.
Doveva
essere un semplice raduno con quei maghi e quelle streghe che aveva
conosciuto a Hogwarts. Una festicciola per mangiare, ascoltare la
musica dei tamburi e chiacchierare: delle loro vite, delle loro
famiglie, dei loro studi di magia.
Si era diretta alla radura
portando con sé un cestino pieno di erbe, felice di poter mostrare
ai suoi vecchi amici le piante e i fiori che aveva scoperto e
studiato, mentre fingeva di essere la semplice guaritrice del
villaggio di Hotter's.
La bacchetta era nascosta nella veste e
Iris, la sua gatta nera, la seguiva lungo le stradine.
Già
pregustava il momento in cui Jackson, che era da sempre appassionato
di oggetti Babbani, avrebbe calato l'archetto sulle corde del suo
violino. E lei avrebbe sorriso e si sarebbe messa a volteggiare, in
una danza innocente, al solo scopo di rispondere al bisogno di
movimento che le avrebbe trasmesso quella musica
cristallina.
Avrebbero tutti danzato, in quella notte di festa,
con gli sguardi rivolti alla luna.
Quando
è notte il lupo grida all'ombra della luna,
la danza delle
streghe non porta mai fortuna.
Fuochi e spiriti ballate dentro il
cerchio della luce,
tramontate stelle, anime sorelle.
V'erano
già stati di quei raduni.
Ricordava felice le notti trascorse a
ridere e danzare, bevendo Burrobirra e conversando con gli altri
maghi riguardo alle finali del Quidditch.
C'erano anche dei fuochi
decorativi. Qualcuno lanciava un incantesimo e le fiamme iniziavano a
ballare in aria, oppure le torce affisse ai tronchi degli alberi si
accendevano.
E il fuoco sembrava aver gettato un incantesimo su
tutti loro. Le piccole fiamme divampavano, le streghe ballavano
finché le stelle, brillanti sulla volta scura del cielo, non
iniziavano a svanire.
Dodici
rintocchi squarciano la notte scura,
la danza delle streghe,
signore di paura.
Dalle tenebre sorgete, lento il fuoco nero
brucia.
Spettri nel castello, fate il vostro ballo.
E
adesso era lì, gettata in quella cella umida, le tenebre che la
circondavano come se volessero inghiottirla. Il pavimento era gelido
sotto le sue membra, coperte solo da una sottilissima veste
grigia.
Tremava, cercando di frenare i singhiozzi.
Il silenzio
quasi irreale venne squarciato dal rintocco fin troppo vicino di un
campanile, poi seguito da altri undici rintocchi. Un rumore quasi
solenne, che segnava l'inizio dell'ultimo giorno della sua
vita.
Quando il dodicesimo rintocco si spense, lei si sfregò le
mani sulle braccia, nel vano tentativo di riscaldarsi.
Non poteva
fare nulla per uscire da quella situazione.
Le avevano preso e
spezzato la bacchetta, giudicandola un abominevole strumento del
demonio.
Era perduta. Quella stessa mattina ci sarebbe stato il
suo rogo. Fine di tutto, fine della sua vita, del sapore del pane
caldo e dei fiori di primavera. Fine del cielo terso dell'estate e
dell'erba che si muoveva, scossa dal vento.
Come avrebbe voluto
che un fuoco emergesse da quel buio... un fuoco che la scaldasse.
Anche se mancavano dodici ore al momento in cui le fiamme l'avrebbero
fatta gridare di dolore, prima di donarle la morte. In quel momento,
per lei fuoco
significava
solo calore.
Ma
il giorno dopo? Tremò all'idea del dolore che la aspettava e... cosa
ci sarebbe stato, dopo?
Sarebbe diventata un fantasma? Immaginò
il suo spettro vagare nel castello in cima a una collina poco
distante. Uno spettro che volteggiava e cantava a bassa voce,
unendosi alla danza di un gruppo di altre figure trasparenti.
Lei
non avrebbe ballato più... o forse sì?
Avanzò
a testa alta. Raccolse tutto il suo coraggio per non tremare o
piangere, mentre la legavano intorno al palo, ai suoi piedi una
catasta di legna ancora da ardere.
-Schifosa
strega...
-Maledetta!
-Lei ha curato mio figlio con la magia,
scommetto che l'ha maledetto...
-Merita questa fine.
I Babbani
continuavano a insultarla, la fissavano rabbiosi e soddisfatti. Lei
ricambiò quegli sguardi con tranquillità, come se stesse
semplicemente passeggiando.
Qualcuno appiccò il fuoco alla
legna.
Sapeva che stava per morire nel dolore atroce, eppure
continuava a guardarsi intorno con calma, nonostante dentro di lei si
levasse un silenzioso grido di disperazione.
Non
c'era più niente da fare.
Se
solo avesse deciso di imparare a trasformarsi in un Animagus... le
fiamme la lambirono. Il dolore la squarciò e la corrose. Sgranò gli
occhi e non riuscì a trattenere un urlo, mentre la sua gonna si
consumava e il fuoco bruciava le sue gambe e poi la vita, risalendo
fino al petto.
Sorse lentamente, il fuoco che le tolse la vita. E
fu come se acuti spilli bollenti le venissero conficcati in tutto il
corpo, facendola tremare e dolere. Gridava, senza riuscire a
trattenersi, le lacrime copiose che scorrevano sulle gote e sugli
zigomi.
Era
infernale.
L'ultima
cosa che vide, prima di consumarsi, prima che il fuoco scaraventasse
la sua coscienza nell'oblio, fu una bambina Babbana che si aggrappava
alla madre, gli occhi enormi e spalancati colmi del terrore più puro
e sincero dell'infanzia.
Poi
venne il buio.
Nelle
buie e abbandonate stanze del castello in cima alla collina, uno
spettro danzò.