Film > Pirati dei caraibi
Segui la storia  |      
Autore: Bittersteel    30/10/2011    0 recensioni
Questa non è una storia conosciuta. Questa è una storia vecchia, che ormai assomiglia sempre più a una leggenda, sempre meno alla realtà. Il vecchio Capitano Teague ne sa qualcosa, e, se vorrete ascoltarlo, vi racconterà.
Tutto cominciò in una notte senza luna. Un pirata fuggiasco e una bambina.
NB: l'avvertimento AU si riferisce ad avvenimenti non canon difficilmente contestualizzabili, data la scarsità di fonti. La storia sarà ambientata tra i mari dei Caraibi che abbiamo conosciuto nei quattro film.
Genere: Avventura, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Nuovo Personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Figlia del Mare

 

Davvero ci sono momenti in cui l'onnipresente e logica rete delle sequenze causali si arrende,
colta di sorpresa dalla vita, e scende in platea, mescolandosi tra il pubblico,
per lasciare che sul palco, sotto le luci della libertà vertiginosa e improvvisa,
una mano invisibile peschi nell'infinito grembo del possibile e tra milioni di cose,
una sola ne lasci accadere.
Alessandro Baricco, Oceano Mare

 
 
C’è una storia piccola piccola, tra le carcasse che compongono la Baia dei Relitti. Una storia che in pochi conoscono, e che altri credono sia una leggenda. Una storia di abbandono, e paura, e viaggi. Una storia che potrebbe essere per bambini; ma tra Pirati ci sono solo uomini, poche volte donne. Non c’è spazio per l’innocenza, per le favole della buona notte, per l’uomo nero sotto il letto.
La storia che voglio raccontare comincia una notte, su una spiaggia dorata, le onde del mare a sbuffare contro gli scogli, un uomo che scappa e una minuscola bambina che piange.
La storia che vi racconterò parla del Capitano Valera, se sia una leggenda o la pura realtà, lo lascio immaginare a voi.

***

Edward Teague non era mai stato un uomo atletico. Il Capitano Teague aveva invece fatto della corsa un’amica preziosa, e quanto mai affidabile. La sabbia era umida, ma non abbastanza solida da evitare di sprofondare, e correre risultava parecchio difficile. Non poteva comunque fermarsi, o i soldati inglesi lo avrebbero impiccato nella prima piazza pubblica a disposizione; inoltre la luna era alla fine del suo ciclo, per cui non riusciva a vedere molto. Al contrario la truppa aveva le torce, e poteva individuare le sue tracce.
Decise rapidamente di raggiungere la battigia il prima possibile, e altrettanto velocemente trovare una barca, o un posto riparato tra gli scogli. Possibilmente sotto il naso di quegli stolti. Dopotutto, non si sarebbero mai aspettati di averlo a mezzo metro di distanza.
Sfortunatamente per il Capitano Teague non c’erano scogli su quella costa dei Caraibi.

Legandosi il cappello sulla schiena con la cintura che portava, si buttò in acqua. Una attimo dopo gli uomini in divisa sbucarono da dietro le palme.
- Setacciate la zona, non può essere andato lontano. Buttatevi in acqua se necessario. Prendetelo.
La voce del Comandante Peakfrost era densa di rabbia. Gli uomini presero ad aggirarsi nei pressi del punto in cui Teague era sprofondato.

Prese un profondo respiro e piano si immerse del tutto, lo scroscio coperto dal rombare delle onde. Si allontanò velocemente, per quanto glielo permettessero i muscoli stanchi, tornando a far riemergere almeno il volto ogni tanto. Gli parve di sentire il Comandante urlare qualcosa agli uomini, poi le torce si allontanarono dalla spiaggia.
Era momentaneamente salvo. Continuando a nuotare a pelo d’acqua si allontanò nella direzione opposta da quella scelta dai soldati.

Facendo attenzione al minimo rumore o movimento, uscì dall’acqua, coperto dall’oscurità. Dopo qualche passo verso la foresta di palme che ricopriva – pensava Teague – tutta l’isola, le sue orecchie tese sentirono qualcosa che assomigliava a un miagolio. Facendo più attenzione e credendo che fosse un gatto, utile sulle navi per proteggere le provviste dai topi, seguì il rumore, finendo per trovarsi in una piccola insenatura, protetta da arbusti marini e rimasugli stinti di coralli. Alla cieca, tendendo le mani, sprofondò in acqua fino al ginocchio, e lì, al buio e con le dita nel fango, il miagolio divenne un vagito.

 Se c’era una cosa in cui il capitano Teague credeva, era l’assoluta inutilità dei bambini: urlavano, piangevano, creavano caos e rubavano provviste. Aveva provato una volta a farne degli ostaggi, ma quegli sporchi ninos spagnoli avevano ricoperto il ponte di escrementi e vomito, per cui aveva finito per abbandonarli sul primo sputo di terra appartenente alla corona spagnola.Edward Teague provò invece curiosità per quel suono nuovo, e, nascostosi nell’insenatura, attese l’alba per decidere cosa fare. La creatura sembrava non avere fame, e appena l’uomo la toccò smise di piangere, finendo per accoccolarsi su quel petto sudato, gli occhi a guardare le stelle.

Il sole colse il capitano preparato a partire con la prima nave per Tortuga, anche se avrebbe preferito condurre proprio la sua, di nave, piuttosto che chiedere di essere trasportato come un qualunque mozzo. Raccolse il piccolo, che dimostrava all’incirca un anno, secondo le sue (pressoché nulle) conoscenze, e lo avvolse meglio nella giacca. Si incamminò in silenzio verso il porto. Il bambino sembrava non avere fame, né voglia di piangere, il che lo rese ancora più simpatico agli occhi del signor Teague. Sbadigliò, e mostrò alcuni dentini, piccoli e sani.
- Potrà mangiare qualcosa di solido, meglio così.
Percorse due ore fra le fratte per non lasciare impronte, il capitano arrivò al porto. Si fermò in un’osteria frequentata da gente di ogni classe sociale e chiese una tazza di caffè, una di latte e del pane. Spezzettò il pane nel latte e aspettò che il bimbo aprisse gli occhi. Se qualcuno trovò strano un uomo sulla trentina accompagnato da una creatura di pochi mesi non lo diede a vedere, e chi se ne curò fece finta di niente. Quando il bambino aprì gli occhi provò ad imboccarlo, e quello prese a mangiare con appetito. Teague bevve il caffè in fretta, e quando finirono posò una moneta d’oro sul tavolo, dileguandosi poi tra la folla.

Potevano essere all’incirca le otto del mattino, i marinai caricavano e scaricavano casse e mercanzie, la gente importante appena sbarcata si dirigeva alle ville. Pirati e bucanieri avevano in quel momento pochi problemi, nel frequentare il porto, tanta era la confusione che vi regnava. Il capitano si incamminò in silenzio verso il bordello più vicino, conscio che avrebbe trovato poche donne sveglie, e ancora meno disposte a parlare. Il tempo stringeva tuttavia, non c’era altra scelta.

Entrò dalla porta sul retro, e incontrò come al solito la tenutaria, vecchia e rugosa, con un vestito giallo oro che le arrivava alle caviglie e il seno cadente strizzato nel corpetto.
- Jeannie, devi aiutarmi, - disse in fretta, guardandosi intorno. Qualcuno avrebbe potuto riconoscerlo da un momento all’altro, e non c’era tempo, - Devo partire con la prima nave disponibile.
La donna lo guardò di sfuggita, e rispose con quella che a Teague parve un’occhiata maliziosa, - Il bordello apre fra qualche ora. Tuttavia, ci possiamo accordare su un prezzo soddisfacente per entrambi, - sorrise lasciva, e continuò, - dipende dal tuo borsello.
Il capitano Teague, che non aveva mai esitato a perdere tempo e denaro in qualche letto caldo, per un momento considerò la proposta, anche se poi avrebbe posto fine alle trattazioni con una pistola puntata alla tempia della sua interlocutrice. Edward Teague aveva un disperato bisogno di notizie su come fare la madre, e una gran fretta. Decise quindi di fare e dire quello che si era riproposto all’alba.
- Per questa volta favorisci i tuoi servigi a qualcun altro, - disse risoluto, - io sono qui per un paio di domande. E, -  aggiunse fosco, - se mi chiedi un pagamento sarà solo ai danni del tuo stomaco, visto che te lo ritroverai pieno di piombo.
La lascivia sul volto di Jeannie si ritirò rapida come la Marina Spagnola alla vista del Jolly Roger, tuttavia rimase ferma, come invitandolo a continuare.
Teague rivelò l’involto nascosto alla bell’e meglio sotto l’ampia casacca, e Jeannie trattenne a stento un gemito.
- Ho bisogno di sapere com’è, insomma, - balbettò, - quanti anni ha, cosa devo fare per farlo mangiare, cosa mangiano quelli come lui, quando dormono, quando pisciano, se posso portarlo su una nave…
- Ho capito, - rispose la donna, - vieni dentro.
Lo condusse in una specie di cucina, con una tavolata così lunga da sembrare infinita, un camino e un acquaio. Madama Jeannie prese una coperta e la stese sul tavolo, poi prese il bambino dalle braccia di Teague e lo adagiò sulla coperta. Lo liberò dagli stracci che lo ricoprivano, e sorrise.
- Teague, penso che dovresti dargli un nome, al bambino, - disse calcando sull’ultima parola, - preferibilmente un nome da femmina.
Incredulo, il Capitano si avvicinò al tavolo, fissando il punto tra le gambe della bambina, credendo ancora di poter trovare un pisellino. Sgranò gli occhi, invece, e lasciò le braccia libere di scivolare lungo i fianchi.
- Lasciala a me, - Jeannie sospirò, - si troverà meglio di quanto tu creda.
- No.
Edward Teague pronunciò la parola prima che il capitano Teague potesse solo pensare a una possibile risposta, - Non mi va che diventi una puttana, non mi va che possa essere toccata da qualsiasi bastardo rognoso. No, verrà con me.

Madama Jeannie era attonita, incredula, sconvolta. Mai un discorso le era sembrato così incredibile, e lei, in cinquantacinque anni di onorato servizio ne aveva sentite di cose strane, dalle posizioni sessuali ai metodi di pagamento, agli idiomi, - Teague, hai contratto il male spagnolo? Sei andato fuori di testa? Ti rendi conto che vuoi portare una bambina su una nave, e a Tortuga?
Vedendo che l’uomo non forniva risposte, continuò imperterrita, - Che speranze avrebbe? Non vuoi farle fare la puttana qui, e magari a Tortuga sì. Che vita puoi darle, sempre a correre per il mondo o scorrazzando su una nave? A tiro di cannone, a rischio di uragano?

Checchè dicesse quella donna, il Capitano Teague aveva già deciso. Non sapeva perché, ma portare la bambina con sé gli sembrava la scelta più giusta, anche se imbarcare una donna portava sfortuna – ma che dici Teague, è solo una bambina, non ha neanche le tette, anche se per una donna c’era solo un mestiere possibile, tra pirati – Teague, vecchio rincoglionito, l’hai trovata in acqua, vivrà in acqua.
- No, vecchia megera, vivrà su una nave, dapprima come mozzo, poi come nostromo, secondo,  poi magari capitano, - ed Edward Teague sorrideva, mentre parlava, - le insegnerò io. E’ figlia del Mare, dove vuoi che viva? Dimmi solo come farla crescere.
- Va bene, buffone, ma se avrai difficoltà, puoi sempre portarla qua. Le tratto bene, le mie ragazze.
Così la vecchia ricordò pian piano come si faceva a crescere un bambino, e a ogni domanda di Teague, incerto come un contadino che si trova improvvisamente a comandare un bastimento, sorrideva compiaciuta, e dava spiegazioni adeguate. All’ora di pranzo si fermarono per una fetta di carne salata, e farina di riso per la più piccola. Si salutarono poco dopo, il capitano uscì e la donna, ferma sulla porta gridò di scatto,- Ricorda di spiegarle la differenza tra maschi e femmine prima che sia troppo tardi. 

Accennò un sì con la testa, poi svoltò l’angolo. Soldati in uniforme rossa stavano pattugliando il porto, - Maledizione.
Tornò al bordello, e sotto gli sguardi stupiti della tenutaria Jeannie e diverse sue ragazze filò dritto per il primo piano. Dalla finestra osservò i movimenti del gruppo più vicino, mandando rapidamente a mente le loro posizioni. Con la bambina sempre stretta tra le braccia uscì sul balcone, scavalcò l’inferriata e saltò sul tetto della casa di fianco. Corse diversi metri, fin quando sentì delle voci agitate e parecchi colpi di pistola. Saltò giù dal tetto, battendo malamente il sedere sul mucchio di sterco che si trovava pochi metri più sotto, e si intrufolò nella prima porta a destra, trovando una modesta tavola imbandita. Rubò qualche limone, e corse fuori.

Una decina di uomini armati aveva appena girato l’angolo. La bambina lo guardò con gli occhi scuri, zitta. Teague corse nella direzione opposta, trovandosi a pochi passi dal porto. Nascose la piccola nella giubba e sparò due colpi di pistola per attirare l’attenzione.
Nel mentre i soldati caricavano a fucili spianati, si sedette su un carro merci che passava giusto in qual momento, calcandosi il cappello, puntando la pistola al fianco del vetturino, che fece finta di niente. Arrivato in vista della nave che l’avrebbe condotto in mare aperto saltò giù e si nascose tra le scialuppe a riva.
Udì un fischiettare sommesso, poi l’ambasciatore francese e la sua scorta passarono a breve distanza dal suo nascondiglio. Svelto come il lampo si unì al corteo, qualcuno gli buttò un mantello addosso, percorse la passerella, raggiunse il ponte della nave. Salvo.

- Levate l’ancora, cagnacci rognosi, spiegate le vele, si torna a Tortuga.
Raggiunse in poche falcate il castello di poppa, chiuse le porte e stese la piccola sul letto, guardandola come se la vedesse per la prima volta, chiamando alla mente tutte le raccomandazioni della vecchia megera. Tagliò uno dei limoni che aveva in tasca, spremette il succo in un bicchiere e lo fece bere alla marmocchia. Quella bevette storcendo la bocca, e il capitano si ricordò che non aveva ancora un nome.
- Per quanto mi piacerebbe chiamarti Jack, sei femmina, quindi ci vuole qualcosa di diverso, - sghignazzò, - e visto che oggi siamo stati particolarmente prudenti, nel rischiare la pelle, direi che ti potresti chiamare Prudence. Così, a scanso di equivoci.
La coprì con il lenzuolo logoro, si versò due dita di rum nel calice d’argento, bevve. Poi andò al timone.

***

Prudence aveva quattordici mesi, secondo Jeannie, quando la trovai. Nei successivi tredici anni le insegnai tutto quello che sapevo sul mare: le sue leggi, i suoi uomini, i suoi pericoli e le sue meraviglie. Prudence apprendeva con entusiasmo e passione, e non mi stupii poi molto quando, a otto anni, mi disse che voleva diventare capitano di una propria nave. La incoraggiavo sempre, quando ci vedevamo al ritorno delle mie scorribande.
Già dal suo primo viaggio verso Tortuga cominciai a maturare un affetto paterno, un amore sconsiderato secondo solo a quello per il mare, il suo fluire incontrastato, il suo moto perpetuo. Sull’isola possedevo una casetta, inutile dire che vi stavo pochissimo. La mia bambina crebbe lì sotto le cure di Nancy, una schiava emancipata, che le insegnava cose da donna. Quando tornavo mi raccontava che Pru, come aveva preso a chiamarla, guardava sempre l’oceano, e sapeva predire con esattezza quante navi erano in arrivo e a che distanza. Lei diceva che glielo raccontavano i pesci, Nancy credeva fosse la reincarnazione del Mare, con quegli occhi profondi come l’oceano e altrettanto scuri. Per me era solo la mia Prudence, che mi si rannicchiava contro il petto e mi raccontava la giornata, quello che aveva visto o fatto, o detto. A tredici anni non era più una bambina, ma non aveva ancora assunto vere e proprie forma da donna: aveva un portamento aggraziato ma poco femminile, sapeva sparare con precisione, era un’ottima spadaccina e una personcina molto furba. Nuotava come un pesce, e aveva sviluppato braccia forti. Aveva tuttavia un aspetto molto androgino. Da lontano non si sarebbe detta una ragazzina, con quel seno acerbo, molto diverso da quello che le donne di Tortuga mettevano in mostra attraverso i corpetti stretti. Tagliava i capelli spesso, e sempre all’altezza delle orecchie. L'aspetto di un mozzo, ma la mia bambina.
A quattordici anni sembrava un ragazzino. Era molto alta, per la sua età, e asciutta. Mi parlava sempre più di navi e viaggi, sempre meno delle sue giornate. La sentivo allontanarsi con le maree, sempre meno mia figlia, sempre più figlia del Mare.

Fin quando il Mare non la chiamò a sé. Ed è proprio qui che finisce la storia della piccola Prudence  ed inizia la leggenda del capitano Valera. A quattordici anni, una bella mattina di Aprile, Prudence sparì. Nessuno la vide imbarcarsi, nessuno la vide scappare.
Nel corso degli anni ho sentito varie voci, e varie volte ho creduto di riconoscere in quel capitano coraggioso e crudele il volto dubbioso di mia figlia. E’ impossibile, adesso, distinguere la verità dal mito, ma, se mi ascolterete, potrete farvi un’idea tutta vostra, potrete credere alle parole di un padre abbandonato, o diffidare dalle parole di un pazzo.

La verità? La verità il più delle volte sta nel mezzo.
 
 
 
 
 
 


Note:
Mozzi, Marinai, Capitani, salve!
Questa avventura durerà all’incirca tre capitoli, forse quattro. Spero vi divertirete a leggerla come io mi sono divertita nello scriverla.
Il Capitano Edward Teague è l’unico personaggio che non mi appartiene e con cui non guadagno niente, a scriverne. A parte divertimento, è ovvio.
Jack, come avrete capito, non è ancora nato, e un po’ mi dispiace. Il contesto è un po’ confuso, volutamente: prima che Teague diventi Capitano Nobile, prima della nascita di Jack, prima di qualsiasi avventura che noi conosciamo. Ho provato a chiedere in giro notizie in più sulla storia del mio coprotagonista, ma le fonti sono rare e pur chiedendo su pagine specifiche sui social network non ho avuto risposte.
Il titolo della storia è esattamente una canzone di Florence + The Machine, che amo.
La citazione di Oceano Mare, un libro che ho adorato. Non sarà l’unica, mi sa.
Se volete, salite a bordo della Calypso, scopriremo qualcosa in più sul leggendario capitano Valera.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Pirati dei caraibi / Vai alla pagina dell'autore: Bittersteel