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Autore: Flaviuz    31/10/2011    4 recensioni
Un ragazzo da solo in casa. Una notte interminabile. Un incubo cosciente che sembra non volergli dare tregua.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una notte come tante riposavo sereno nel mio letto, rifugio di una vita che ero contento di non affrontare almeno fino al mattino successivo.
Steso su un fianco, guardavo il mio piede fare capolino dalle coperte e osservavo la realtà sfocarsi placidamente attraverso i miei occhi carichi di sonno. Lentamente il buio allargava il suo dominio nella mia mente trascinandomi sempre più in fondo ad esso. Il sonno non riusciva però a pervenire, e la notte sembrava volersi prendere gioco di me. Riaprendo gli occhi vidi di nuovo il mio piede, proprio come l’avevo lasciato circa nove secondi prima. Forse solo un po’ più freddo.
Distolsi l’attenzione da esso e misi a fuoco il resto della mia camera.
Notai il lampadario ondeggiare in maniera quasi impercettibile, e vidi le tende sollevarsi durante una folata di vento mostrandomi chiaramente il volto della luna. Sembrava sorridermi mentre da sola dominava il mantello di tenebra dentro il quale era avvolta, e, quasi vergognandosene, offuscava la sua luce dietro un gregge di nuvole. I suoi raggi riflessi vegliavano su di me illuminando la stanza.
I giochi di luce e ombra proiettavano lungo il pavimento sagome senza forma. Chiusi gli occhi, sperando di doverli riaprire solo quando il sole si fosse trovato abbastanza in alto nel cielo, ma quella notte sembrava non volermi prendere con sé. Così li riaprii, e vidi quelle figure di tenebra avvolgere il mio letto in una morsa sempre più stretta e soffocante.
Grottesche ombre cinesi di oggetti inanimati esposti alla luce della notte danzavano ai bordi della mia stanza. Tutto era in movimento, e niente lo era.
Castelli medievali, leoni che rincorrono gazzelle, imbarcazioni che navigano in mare aperto, un insetto intrappolato in una ragnatela. Era come guardare un cielo dipinto sul mio soffitto.
Sentii il vento ululare nuovamente il suo tributo alla luna, questa volta con tanta foga da farmi rabbrividire, così mi rannicchiai sotto le coperte, cercando di coprirmi quanto più possibile. L’idea di alzarmi per chiudere la finestra al momento era un’opzione troppo articolata e complessa.
Fissai a lungo il vuoto riflesso nella mia mente, prima che un altro brivido si abbattesse sul mio corpo. In quell’istante mi accorsi di non essere io a tremare. A tremare, quella volta, erano le ombre intorno a me. Volteggiavano da un lato all’altro della stanza lasciando alle loro spalle una scia nera semitrasparente. Riuscivo quasi a toccarle.
Le ombre avevano preso vita nella notte, e la mia stanza era il loro regno. Mi sentii un intruso, un invasore in attesa di essere punito. Una parte di me non riusciva a crederci. Non voleva crederci.
Udii una voce nella mia mente urlarmi che queste ombre non potevano essere reali, che era senz’altro l’abbraccio di Morfeo. Solo un’illusione della mia mente, rimasta in bilico sul ponte che divide il mondo di chi è sveglio dal mondo di chi non lo è.
Pensai che se quello era davvero l’abbraccio di Morfeo, stanotte egli non sarebbe stato cordiale con me, e preferii sottrarmi ad esso. Mi rialzai di scatto, rimanendo per qualche istante seduto al centro del letto coprendomi il volto con le mani. Mi scoprii a respirare affannosamente, ma fui felice di essere sveglio e di non trovarmi più in quella stanza all’apparenza identica alla mia, ma circondata da pareti fatte d’ombra.
Mi distesi dolcemente quando una folata di vento sollevò nuovamente le tende. Allontanai le mani dagli occhi, e loro erano ancora lì. Roteavano ancora più velocemente attorno al mio letto, mentre io mi limitavo ad osservarle, spaventato come un bambino e nascosto sotto le coperte come se loro mi potessero proteggere.
La voce urlante che prima tentò di risvegliarmi venne sostituita da un sussurro. Una voce pungente che mi bisbigliava parole incomprensibili. Pensai di impazzire mentre un dolore lancinante iniziò ad espandersi nella mia testa. Credo di aver urlato prima che il materasso iniziasse a tremare. Ricordo chiaramente di aver pianto, di aver implorato perdono. Perdono per cosa?
Il letto sobbalzò diverse volte, e quella voce che sussurrava parve, nella mia testa, più rumorosa di qualsiasi altra voce urlante. Le ombre continuavano a vorticare sulla mia testa, sotto il mio letto e su ogni angolo della mia stanza, in modo sempre più veloce e rumoroso. Guardando le pareti non riuscivo più a distinguere la luce dall’ombra. Bene e male si erano fusi dando vita a immagini fuori dalla comprensione umana.
Raggiunsi il limite, pensai di morire.
Poi tutto tacque.
Vidi di nuovo la luna, questa volta attraverso le mie tende. Sembrava ancora sorridermi, ma era un sorriso diverso dal solito. Non lo conoscevo, e mi faceva paura.
Sentii il letto tremare di nuovo, o forse questa volta a tremare ero io.
Non ero certo di aver davvero visto quelle ombre, e neppure di essere stato pienamente cosciente. Su una sola cosa non avevo dubbi: quella notte non avrei dormito.
Rimasi del tempo a meditare. Poi presi una decisione.
Non ricordo bene perché lo feci, forse non ci fu mai una motivazione precisa. Forse una parte di me era ancora convinta di trovarsi in un sogno, o forse fu solo insana curiosità, ma quando decisi di guardare sotto il mio letto non potevo immaginare a cosa sarei andato incontro. Sollevai il busto scostando le coperte. Mi sporsi poi di lato, calando la testa lentamente fin sotto il materasso. Mi sentii stupido pensando che ad aspettarmi potessi trovare altro se non il nulla.
Calandomi più in basso, sentii un formicolio lungo la schiena. Potevano essere delle unghie oppure le zampe di animali della notte. La sensazione di tangibilità che mi avevano dato le ombre non era più solo una sensazione.
Quando mi chinai abbastanza da riuscire a coprire il lato sottostante del letto col mio sguardo, notai qualcosa brillare sul fondo. Una luce verde flebile e lontana. Osservavo quel bagliore, a testa in giù, non potevo fare altro che chiedermi cosa fosse. Avrei dovuto risalire, ma decisi di rimanere lì dov’ero.
Poi lo vidi.
Una mano afferrò il mio viso.
   
 
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