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Autore: Ciel    01/11/2011    4 recensioni
Appena tornato sopravvissuto alla guerra di Troia, il re di Itaca Ulisse riceve la visita del Fantasma di Sparta che ha avuto l'ordine di ucciderlo.
Dopo un'odissea durata dieci anni, Ulisse riuscirà a sopravvivere anche a questa prova oppure verrà abbandonato dagli dei?
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Fre le vie della città, Itaca non sembrava così imponente come vista dal mare. I palazzi risplendevano di uno stile unico, pieno di decorazioni e rigoglioso di tutta la passione che gli artigiani e muratori avevano impiegato nella loro costruzione.
Una città che dal punto di vista estetico di sicuro avrebbe messo in ombra Sparta. Ma non era quello che a Kratos interessava. Il fantasma di Sparta non era lì per ammirare la bellezza di Itaca, ma per ben altri motivi: il volere del dio della guerra.
Nonostante tutto però, nemmeno lui poteva passare indifferente alla maestosità del palazzo reale, che spiccava incontrastato con i suoi muri perlacei e dorati.
Il guerriero cinereo scrutò qualche secondo con i suoi occhi scuri la residenza del suo bersaglio designato da Ares, finché un soldato spartano non gli chiese: "Kratos, signore! Abbiamo circondato l'intero edificio".
"Tenetevi pronti dunque. Uccidete pure chiunque provi a scappare o ad intralciarci, ma ricordate: Ulisse è mio".
"Sì!" rispose prontamente il soldato.
Kratos portò le mani dietro la schiena ed impugnò le sue armi, le Spade del Caos. Percepì dai polsi le catene che avrebbero segnato per sempre la sua servitù agli dei scaldarsi, come se fossero conscie della battaglia imminente. Alzò il bracciò destro verso l'alto e subito lo abbassò, scagliando la lama verso la porta. L'acciao tagliente si tinse di fuoco e all'impatto distrusse la superficie legnosa dell'ingresso.
Il generale spartano riprese in mano la Spada del Caos, riempì d'aria i polmoni e con la sua possente e cupa voce urlò ai suoi uomini: "PER LA GLORIA DI ARES!"
"PER LA GLORIA DI SPARTA!" risuonò in coro l'intero esercito.
Senza mostrare alcun sentimento in viso, Kratos strinse la presa delle mani intorno alle sue armi e si addentrò verso l'interno del palazzo reale.
Un piccolo plotone di soldati itachesi comparvero dopo poco, inorridendo alla vista del guerriero dai tatuaggi cremisi che adornavano quel corpo tanto pallido.
Il fantasma di Sparta non si curò minimamente di loro, avanzando verso l'enorme scalinata a chiocciola che conduceva ai piani alti dell'edificio. Alcuni dei nemici provarono ad attaccare per primi, ma una pioggia di frecce e pietre da parte dell'esercito spartano li investirono prima di poterlo raggiungere.

 

Ω


"Non... posso crederci" commentò sbalordito Ulisse mentre vide Kratos emergere dal piano inferiore.
Il signore di Itaca era un uomo sulla quarantina, con un fisico asciutto ricoperto di cicatrici e lividi. Il volto era composto da un insieme di lineamenti marcati, coperti dalla barbetta incolta e dai capelli rossicci lunghi fino al collo. Gli occhi marroni si fissarono sul generale spartano, mostrando un misto fra stanchezza e ira.
"Mi stai disturbando" fece notare Ulisse indicando dietro di lui una donna di rara bellezza. Penelope era seduta a terra completamente nuda. I lunghi capelli neri scendevano fino alla vita, ma riuscivano appena a coprire il corpo formoso e invitante della regina itachese. Si alzò in piedi, scrutando con i suoi occhi grigi colmi di irritatezza Kratos, che rimase completamente indifferente a quello spettacolo della natura.
"Fuori dalla nostra dimora, spartano" disse lei con un tono acido e più impostato di quanto potesse far pensare jl suo aspetto fisico.
"Non prima di aver compiuto l'incarcio affidatomi dal mio signore Ares".
"Sei solo un mostro insolente e privo di sentimenti!" ribatté la donna alzandosi, mostrando al meglio le sue grazie. "Ma cosa mi sarei dovuta aspettare, dall'uomo che ha ucciso la sua famiglia?"
A quelle parole il guerriero cinereo stava per scagliare un potente colpo verso la signora di Itaca, ma Ulisse fermò entrambi: "Penelope! Basta così!"
"Cosa? No, non intezione di separarmi nuovamente da te!"
"Non succederà" rispose l'uomo con determinazione. "Fuggi sul tetto, verrò io a prenderti quando avrò finito qui".
La donna chinò il capo. "Attenderò" concluse. Raccolse dal pavimento la sua lunga veste bianca e, appena prima di uscire dalla stanza, lanciò un'occhiataccia allo spartano.
Una volta rimasti soli i due uomini, il signore di Itaca cominciò: "Dieci anni, Kratos! Per dieci anni, ho vagato per i sette mari sperando solo di poter rivedere ancora una volta la mia amata terra e la mia dolce metà".
Mentre parlava, Ulisse prese in mano un'alabarda, tuttavia non si mise in guardia, pronto a combattere. Il nemico se ne accorse e, pur rimanendo all'erta, abbassò le braccia. I due cominciarono a camminare in tondo. Si fissavano a vicenda con degli sguardi talmente iracondi e profondi che sembravano stessero spellandosi con i soli occhi.
"Dieci anni di interminabili vicende furono il premio che mi è spettato per aver preso parte alla guerra di Troia ed aver visto morire i miei compagni Achille e Patroclo, e per averla vinta! Artemide si infuriò contro di me, maledicendomi e scagliando contro di me la sua furia per aver sconfitto l'esercito di Troia!"
"Cosa ti aspettavi?" lo interruppe lo spartano. "Nessun dio avrebbe gioito a vedere la sua città prediletta cadere a causa di un inganno come quello del tuo cavallo!"
"Lo sapevo bene invece! Ma mai mi sarei aspettato che anche Afrodite si sarebbe schierata contro di me per aver ucciso Elena! Perché lei stessa voleva punire la mortale che si era definita migliore di lei... e così volle vendicarsi di me!"
Il fantasma di Sparta replicò con solo un verso di disapprovazione e il suo nemico proseguì: "Quando finalmente potemmo ripartite, la nostra nave finì nel territorio di Marone, il sacerdote di Apollo. Nonostante egli fu così gentile da offrirci del vino, un uomo della mia barca, Piritoo, non si accontentò e gli rubò l'arco di Apollo, provocando anche la sua ira. Il dio ci fece finire nelle terre di Lestrigoni, un luogo dove giorno e notte sono una sola, confusa cosa!"
Ulisse si fermò per prendere fiato. Il ricordo di quei luoghi non erano di certo un peso facile da sopportare. Poi strinse la presa attorno all'elsa della sua arma e alzando lo sguardo continuò: "Riuscimmo a scappare grazie... ad una luce.
Giungemmo nella terra di Polifemo. Per pote fuggire, lo facemmo ubriacare con il vino di Marone e poi lo accecammo. E questo ovviamente fece scatenare anche l'ira di suo padre..."
Senza distogliere lo sguardo dal nemico, Kratos disse: "Poseidone".
"Esatto. Il dio dei mari ci condusse verso l'isola di Circe... quella strega, aveva trasformato i miei uomini in maiali e lne aveva serviti alcuni a cena! A CENA!!" urlò con disgusto e terrore il signore di Itaca. "Riuscì a sottrarle l'Otre dei venti e poi la uccisi... ovviamente c'erano alcuni dei che non perdoneranno mai un tale affronto!"
Il guerriero cinereo continuò a fissare Ulisse. Nonostante la sua voglia di finire quella missione, c'era qualcosa in quel racconto che lo incuriosiva, che lo spronava a fare arrivare il suo nemici alla fine.
"Suo padre Elio e il suo amante Ermes. Uno dopo l'altro, gli dei cominciarono a congiurare contro di me... ma non tutti. Quella luce che mi aveva già salvato una volta, mi aiutò di nuovo. Era Atena, Kratos!"
Al nome della dea, lo spartano rimembrò quando gli venne chiesto di liberare il mondo dalla presa di potere di Morfeo e di Persefone.
"Disse che mi avrebbe aiutato ancora se ne avessi avuto il bisogno, e che avrei trovato in seguito il modo di ripagarla. Fece tornare umani i maiali che Circe non aveva ancora cucinato e insieme potemmo ripartire. Eravamo quasi giunti a destinazione, Itaca era già visibile all'orizzonte, sulla linea del mare!"
L'eccitazione nella voce di Ulisse si ruppe a quei ricordi. Sembrò bloccarsi, perciò il suo nemico chiese: "Cosa accadde?"
"Ai miei uomini non bastò avere salva la vita" rispose il rosso con un tono rammaricato, come quello di un mentore che ha fallito nell'insegnare al suo pupillo. "Aprirono l'Otre dei venti, che sprigionati scagliò lontano la nostra nave! Si infuriarono contro di me anche Borea, Noto, Apeliote e Zefiro! I dei dei venti mi scatenarono contro un uragano e finimmo nelle acque delle sirene".
Kratos si ricordava bene le sirene, esseri che con il loro canto ti ammaliavano e confondevano, ma solo per poter assaporare la carne delle loro vittime.
"Si dice che è impossibile resistere alla loro voce. Ho sempre desiderato poterle sentire, quindi quella volta mi feci legare all'albero maestro della nave. Ordinai agli uomini di tapparsi le orecchie e di non slegarmi, mai, qualsiasi cosa facessi. Però le sirene, quando capirono che non avrei mai potuto finire tra le loro mani, mi rivelarono la verità: mio figlio, Telemaco, partito per cercarmi, terminò il suo viaggio in quelle acque".
Ci fu un minuto di silenzio. Kratos rimase zitto perché conosceva bene come ci si sente quandi si perde chi si ama. Comprese il dolore del suo avversario e, lealmente, attese che si sentì meglio almeno per continuare a parlare.
"Quando la nave aveva navigato abbastanza per non essere più preda di quei malefici mostri" continuò Ulisse con un filo di voce, "il mare si aprì".
"Cosa?"
"Nell'oceano si aprì un portale che conduceva nell'Oltretomba. non posso dire con certezza perché anche Ade si è scagliato contro di me, posso solo pensare che sia stato suo fratello Poseidone a chiedergli di farlo... ma in quella voragine di morte, quando davo già per conclusa la mia esistenza, l'anima di Telemaco e di altre persone un tempo a me care mi salvarono. La nave tornò a navigare normalmente e... e ancora adesso stento a credere a ciò che vidi e ricordo".
Il generale spartano sapeva bene di cosa stesse parlando il suo avversario: quel luogo che si poteva raggiungere solo con la morte, dove le anime immeritevoli dei Campi Elisi precipitavano fino al fiume Stige. Alcune annegando, le altre che riuscivano a salvarsi sarebbero state torturare da mostri e demoni per l'eternità. Lui era giunto lì in passato, quando Atena gli aveva chiesto di salvare Elio dalla presa mortale di Morfeo.
Ma ciò che più aveva incuriosito Kratos era un'altra cosa.
"Tu e il tuo equipaggio siete riusciti a scappare, tutti, dall'Oltretomba?"
"No, qualcuno cadde giù. Piritoo, mi sembra, e qualche altro... ma non ricordo bene con precisione chi fossero. Ero spaventato, eravamo tutti scioccati, ed avevamo bisogno di riposarci. Approdammo su un'isola per fare una sosta e uccidemmo delle vacche che pascolavano. Non potevamo sapere che quelle erano le vacche custodite da Cariddi".
Secondo le storie che raccontavano i vecchi marinai, Cariddi era figlia di Poseidone, ma nata con delle malformazioni tanto orrende che, come dicevano i più sarcastici, avrebbero fatto inorridire anche i serpenti di Medusa.
Gli dei la nascosero, vergognandosi dell'aspetto atroce di quella che era la figlia di un dio, di un essere perfetto. La confinarono in una piccola isola, a badare alle vacche di Era.
Lo spartano rimase in silenzio. Ogni tanto stringeva la presa delle dita attorno all'impugnatura dorata delle sue Spade del Caos, tenendosi pronto per un possibile attacco a tradimento.
"Riuscimmo a fuggire prima che Era potesse raggiungerci sull'isola" proseguì l'eroe di Itaca. "Sapevo che avrebbe solo fatto aumentare la sua furia, ma di certo non sarei rimasto lì ad aspettare la morte. Viaggiammo senza sosta per tre settimane, fino ad arrivare ad Ogigia".
"Non me lo dire" lo interruppe Kratos. "Calipso".
"Già..." rispose il rossiccio. "Quella donna, quel... mostro, a causa sua persi tutti i miei uomini. Rimasi solo..."
"Quella strega ha ucciso il resto della tua ciurma e tu sei sopravvissuto? E come sei riuscito in quest'impresa?"
La voce del Fantasma di Sparta traboccava di curiosità. Forse quella prova sarebbe stata altrettanto ardua anche per lui, a quei tempi.
"Oh, non ci riuscii da solo, no di certo. Fu di nuovo Atena a salvarmi. A quel punto, dopo aver polverizzato Calipso, mi rivelò la verità: disse che ero il suo campione, e che in cambio del suo aiuto mi sarei dovuto recare ad Atene, per combattere una guerra contro Ares".
"Ares?" chiese sbalordito il guerriero cinereo. A quel punto, Kratos si chiede se il suo ordine di uccidere Ulisse, reduce di quella vicenda, potessero essere in qualche modo collegate. Nella mente del
campione del dio della guerra si instaurò un solo, semplice ma terrficante, dubbio: cosa avevano realmente gli dei di fare con lui, e con gli uomini?
Ulisse prese fiato per l'ennesima volta e continuò: "Rifiutai. Ero stanco di combattere, volevo solo tornare a casa da mia moglie e riposarmi per un lungo tempo... ma Atena si infuriò. Disse che ero un ingrato, che non meritavo la benevolenza delle divinità. E quando credevo che sarei finito in polvere come Calipso, finalmente la fortuna tornò a sorridermi: Atena mi lasciò andare. Disse che presto avrei ricevuto ciò che mi spettava, poi se ne andò, così come era venuta, da una luce".
"Sei stato saggio a non metterti contro Ares" commentò lo spartano, "ma sei stato molto più fortunato a non morire".
"Già..." replicò il rosso, sorridendo. "Proprio per questo non voglio morire ORA!"
Gridando l'ultima parola, l'eroe di Itaca alzò velocemente la sua alabarda preparandosi alla lotta. "Ho combattuto per dieci anni, ho affrontato mostri e calamità naturali! Quasi tutti gli dei si sono schierati contro di me! E ora che sono riuscito a tornare a casa, anche Ares vuole negarmi la pace? E' questo il ringraziamento per non essermi schierato con suo sorella?! E' questa la tanto venerata bontà degli dei?! Li ho serviti rischiando più volte la morte, e adesso mandano il Fantasma di Sparta!"
"Se le Sorelle hanno deciso che è nel tuo destino affrontarmi e morire, la cosa riguarda unicamente te" rispose Kratos. "Io eseguo solo gli ordini degli dei".
"Gli dei? GLI DEI?! Zeus e tutte le altre divinità olimpiche sono solo dei bambini che si divertono a schiaccarci sedendosi su di noi! Cosa farà Ares una volte che le guerre saranno cessate? Cosa farà Zeus quando noi umani non avremo più paura dei tuoni e dei fulmini? E cosa farai tu dopo che avranno abbandonato anche te?!"
"Gli dei non mi abbandoneranno! Mi basta avere fiducia che le mie azione verranno perdonate, un giorno!"
"Perdonate? Un giorno, il tempo degli dei volgerà al termine! Loro lo sanno, e si curano solo che questo non avvenga! Guarda in faccia alla realtà, Kratos: sono dieci anni che vaghi per la Grecia piagnucolando ai loro piedi e non hai ancora ottenuto nulla! Cosa vuoi che gli interessi della bestia cinerea che ha brutalmente assassinato la moglie e la figlia?!"
Parole misurate molto, molto male. Le sopracciglia del generale spartano si inarcarono, le narici si gonfiarono e i denti morsero le labbra. Con un gesto fulmineo una scia rossa come il sangue saettò nell'aria verso Ulisse.
L'eroe di Itaca riuscì a parare con la sua alabarda la Lama del Caos, ma l'arma si ruppe in due pezzi. Subito dopo, una seconda scia rossa sfrecciò e si conficcò nella gamba destra di Ulisse, mozzandola. L'uomo cadde a terra, riuscendo appena a percepire l'ingente perdita di sangue prima di perdere i sensi.

 

Ω

 

Quando rinvenne, Ulisse si guardo intorno con fare nervoso, scuotendo il capo da destra a sinistra diverse volte prima di capire che si trovava sulla sua nave, legato all'albero maestro.
Sentì dei passi avvicinarsi, ma non riusciva a vedere chi fosse in quella posizione, ma sapeva già che a raggiungerlo era il Fantasma di Sparta. E infatti comparve proprio lui, con tutto il tetro pallore della sua pelle e l'immensa collera che mai aveva accennato di calmarsi in quel decennio.
L'eroe di Itaca, ormai inerme, deglutì e parlò: "Sei uno sciocco, Kratos... e tu sai che è così!"
Lo spartano non rispose, ma semplicemente continuò a fissare in cagnesco l'avversario, ormai inerme.
"Gli dei dell'Olimpo ti hanno abbandonato tempo fa" continuò Ulisse. "Ora, per te come per me, non c'è più speranza".
Il tono di voce del rosso andò indebolendosi sempre più, come se fosse sull'orlo di un burrone. Ma questo a Kratos poco importò e, nella più totale indifferenza, rispose: "Artemide, Afrodite, Apollo, Poseidone, Elio, Ermes, Borea, Noto, Apeliote, Zefiro, Ade ed Era. Infine, anche Ares ed Atena... con tutti questi olimpici che bramano la tua morte, Zeus saprà bene cosa fare di te".
Conclusa la frase, il guerriero cinereo piantò nel legno la lancia dell'alabarda di Ulisse e si incamminò per scendere dalla nave. Ancora una volta ignorò l'itachese che, sforzando le sue corde vocali, chiedeva a Kratos dove fossero i suoi dei.
"Dopo dieci anni credi ancora che manterranno le loro promesse, solo uccidendomi?!"
Tempo addietro, col titano Atlante avevano già affrontato un discorso simile, ma questa volta preferì ignorare il suo interlocutore. Anche se, in cuor suo, Kratos sapeva che la risposta sarebbe stata la stessa di allora: "È tutto quello che ho".
Sceso dall'imbarcazione, il generale spartano diede ordine ai suoi uomini di far partire la nave. Una volta tolta l'ancora, Kratos tornò al palazzo di Ulisse, dove altri suoi uomini stavano ripulendo il luogo; si incamminò dunque per le scale, fino a giungere sul tetto. Da lì lo spartano osservò la nave di Ulisse dirigersi verso le Colonne d'Ercole, dove avrebbe trovato la fine. E a quel macabro pensiero, lo spartano collegò inconsciamente il dubbio che l'eroe di Itaca gli aveva fatto sorgere sugli dei. Un dubbio che prestò si tramutò in paura, quella di essere abbandonato.
I suoi pensieri vennero però interrotti da un suono metallico dietro di lui. Per un solo istante, Kratos sentì il rumore di alcune catene venire spostate. Si girò di colpo, negli occhiun misto di paura e speranza. "Deimos?" chiese, ma dietro di lui non c'era nessuno.
Poco dopo, risalendo le scale, lo raggiunse un soldato. "Signore. Penelope, la moglie di Ulisse, è sparita. Non la troviamo da nessuna parte, credo che sia fuggita".
"Che fugga" replicò bruscamente l'altro. "Che viva o muoia non ci è di alcuna utilità".
"Sissignore. E c'è dell'altro: stiamo caricando tutti i gioielli e i tesori sulla nostra nave e abbiamo trovato una statua della dea Atena".
Senza riflettere, il generale spartano rispose: "Portate anche quella sulla nave".
"Certo signore" concluse il soldato.
Entrambi fecero per andarsene, ma il Fantasma di Sparta si fermò ad osservare nuovamente il tetto, ma non c'era nessun altro. Deluso, mentre scendeva le scale i pensieri di Kratos tornarono al fratello, chiedendosi se lo avrebbe mai rivisto.

 

Ω Post Scriptum Ω

 


 Il rumore metallico di catene che venivano trascinate si faceva poco alla volta sempre più vicino, e con essa i gemiti di una donna che cercava di liberarsi dalla presa del suo misterioso rapitore.
Un uomo alto e muscoloso, con lunghi capelli e una folta barba nera. Sulla pelle, un marchio rosso cicatrizzato. Stampata sul viso, un'espressione iraconda.
Deimos lasciò cadere al suolo la donna, Penelope, e prese da una tasca una sfera bianca molliccia.
La moglie di Ulisse quasi rabbrividì quando capì che era un occhio. Un occhio di Argo, per la precisione. L'uomo marchiato alzò il bulbo oculare e l'alzo contro un enorme portale metallico; questo si aprì mostrando dall'altra parte un mondo vuoto e devastato: il Mondo della Morte.
Deimos riprese la donna ed entrò nel luogo della sua prigionia. Ad attenderlo un essere alto dai lunghi capelli neri sciolti e lisci, la pelle grigia e vacui occhi bianco. Le dita finivano in affilati artigli.
"Ottimo lavoro" esordì Tanato ammirando la splendida donna. Si avvicinò ad essa e cominciò ad accarezzarle il viso, eccitato per quella che, in futuro, dopo numerose violenze ed abusi, sarebbe morta nel parto di Erinni, la figlia del Dio della Morte.
"Puoi tornare" disse la divinità mentre Penelope cercava di allontanarsi, invano.
Senza dire una parola, Deimos si incamminò verso un piccolo tempio dalla forma circolare; si portò al centro dela stanza ed allargò le braccia verso l'alto. Da dietro le colonne dei rami d'albero si mossero in direzione dello spartano, annodandosi attorno alle catene che portava al polso. Le stesse catene che, un tempo, fu proprio Ares a mettergliele. Quelle stesse catene che lo accompagnavano, sfinendolo ad ogni passo.
Le piante tirarono su di peso l'uomo, lasciandolo sollevato a mezz'aria. Lì, dove altre volte già altre volte aveva pensato con ira a Kratos, il fratello che lo aveva abbandonato.



 

NΩTE

Come avrete avuto modo di leggere, il racconto si pone cronologicamente fra Chain of Olympus e il primo God of War, per l'esattezza pochi giorni prima dell'inizio.
L'ispirazione per questo racconto mi è venuta rivedendo il finale di CoO, dove Kratos sembra riporre ancora molte speranze negli dei e nelle loro promesse; mi sono chiesto "Ma allora, quando e perché Kratos ha cambiato idea fino allo stato in cui l'abbiamo incontrato per la prima volta?"
Detto fatto. Ulisse stesso gli ha instaurato questo dubbio che, col tempo, è diventata una paura. E, una volta abbandonato, solo l'ennesima dose di rabbia in più. Perché in fondo è proprio questo il tema della storia: l'abbandono.
In questo Ulisse è diventato molto simile a Kratos: entrambi sono stati abbandonati dagli olimpici dieci anni prima; ma se Kratos è andato avanti col desiderio di redimersi per la perdita della sua famiglia e vendicarsi, Ulisse invece una moglie da cui tornare ancora l'aveva. Mentre scrivevo però, ho notato che nella parte centrale è proprio lui con il suo racconto il protagonista di questa storia.
E mi sono anche accorto che gli ho inflitto una sfiga tremenda, basta rileggere la lista degli dei pronuncia nella parte finale. Ma, tutto sommato, era proprio il mio obiettivo: creare un personaggio con un background tanto sviluppato che potesse essere caratterialmente un degno rivale per Kratos, ma fisicamente ancora secondo alla sua furia.
Per quanto riguarda la scelta di inserire Ulisse come antagonista, è perché ho sempre reputato la guerra di Troia e tutta l'Odissea a seguire uno degli episodi più intriganti della mitologia greca. Non aver mai nemmeno un accenno di tutto questo in nessun GoW mi ha sempre lasciato l'amaro in bocca.

Tornando alla one shot.
Avrete sicuramente notato numerosi collegamenti con tutti i capitoli della saga, a cominciare dal primo God of War: nel finale gli uomini di Kratos trovano una statua di Atena e lui ordina di farla portare sulla sua nave. Sarà la stessa statua alla quale Kratos, ormai spazientito, parla all'inizio del gioco. Inizialmente avrei voluto mettere assieme alla statua anche due serve della reggia di Itaca
Vengono citate anche le Sorelle del Destino di God of War II, e Piritoo e l'arco di Apollo di God of War III.
Chain of Olympus viene addiritturare citato esplicitatamente in due occasioni: viene nominato Morfeo e viene ripreso testualmente parte del dialogo finale con Atlante. Ci sono anche altre frasi che vengono riprese testualmente dai vari capitoli: "Il tempo degli dei volge al termine", ripresa dal finale di GoW2, che in questa storia è diventata
Un giorno, il tempo degli dei volgerà al termine. Oppure la più celebre "Gli dei dell'Olimpo mi hanno abbandonato. Ora non c'è... più speranza" dall'inizio di GoW1, diventata per l'occasione Gli dei dell'Olimpo ti hanno abbandonato tempo fa. Ora, per te come per me, non c'è più speranza.
Qualcuno avrà anche notato l'uso della parola "campione": siccome sono stronzo quasi quanti gli olimpici (e me ne vanto) ho voluto inserire anche un piccolo riferimento al fumetto di God of War, una miniserie di tre numeri (stampati anche in Italia dalla Panini Comics, tanto per fare un po' di pubblicità) che fa da prequel a tutta la serie e narra di un feroce gioco degli dei che consiste nell'assistere a dei valorosi guerrieri scelti da ognuno di essi, detti
campioni. E ovviamente fra questi vi è Kratos; manca invece il campione di Atena, all'epoca impegnato nel bel mezzo della guerra di Troia... ma ovviamente quest'ultimo dettaglio viene esplicitato solo qui!

Infine non si può non notare le citazioni all'ultimo capitolo uscito, Ghost of Sparta. Per cominciare viene nominata Erinni, che nel gioco è un importante personaggio nonché boss. Qui ho chiarito che la madre è Penelope, rapita su ordine di Tanato dallo stesso Deimos. Arriviamo quindi alla sua comparsa alle catene che ne preannunciano l'arrivo. Nel gioco, le catene usate da Ares per imprigionare il fratello di Kratos sono anche un oggetto che sbloccano la skin di Deimos.
Una curiosità: nella mitologia greca originale, Deimos e Phobos sono due figli di Ares ed Afrodite, personificazione del terrore e della paura. A questo punto, per concludere, mi sembra doveroso sottolineare che Phobos (
φόβος nel titolo) significa in greco "paura".

 
  
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