Storia di un cane
Sono nervoso.
Intorno a me luci, strani suoni, voci attenuate, forse vengono da un’altra stanza. Nella mia visuale, fatta di pochi colori, le forme degli oggetti sono sbiadite più del solito; il fatto di non riuscire a vedere bene mi agita ancor di più.
Tento invano di alzarmi, ma questo mi provoca un sussulto doloroso al cuore che mi leva il respiro. Ansimo ancora più forte, costretto a posare di colpo la testa sulle zampe che mi sento pesanti, intorpidite.
Sono così debole...
Mi sfugge un gemito, e poi un altro, a due respiri più profondi; inspirare l’aria non è mai stato così doloroso. Sono costretto a chiudere gli occhi, gemendo ancora, mentre il cuore mi pare stia per scoppiare, da quanto batte forte.
Ancora qualcuno che parla; non riesco a capire, mi fischiano le orecchie.
Un guaito spontaneo quando qualcosa punge la mia zampa anteriore, già tesa e dolorante di suo; provo istintivamente ad alzarmi per scappare, ma noto con orrore di non riuscirci. Le zampe posteriori non le sento più da diverso tempo, ormai, ma adesso anche il resto del corpo sembra davvero pesante, addormentato.
Sono spaventato, mi rendo conto di essere immobile e di non percepire quasi nessuno stimolo esterno.
Continuo a guaire dalla disperazione, dal dolore; i miei lamenti devono essere davvero acuti, sento infatti qualcun altro della mia specie rispondere addolorato al mio pianto.
Improvvisamente il suo odore mi investe e la sua mano calda si posa dolcemente sul mio capo, mentre l’altra mano va a solleticarmi sotto il muso, proprio come adoro.
E infine la sua voce ferma, così rassicurante alle mie orecchie, che si rivolge proprio a me.
Apro stancamente gli occhi, smettendo di piangere, giusto per osservare il suo viso e il suo sguardo a pochi centimetri dal mio.
«Ehi, amico... va tutto bene» mi sussurra, con il suo piccolo sorriso appena accennato su quel volto così calmo.
Calmo: così mi appare Earl; così mi appare sempre. Questo mi tranquillizza.
Poi vedo i suoi occhi; i suoi occhi neri, profondi, tristi.
Earl è triste. Mi dispiace.
Mi dispiace perché avevo promesso a me stesso che lo avrei reso felice.
Socchiudendo gli occhi, torno allora indietro nel tempo, nei miei ricordi, dolci e amari allo stesso tempo.
*
Tradito
Non ricordo
molto della mia infanzia, di mia madre e
dei miei fratelli.
Sono nato in uno di quei posti definiti “allevamenti”, figlio di“campioni”, come si dice. Mio padre, che non ho mai conosciuto, e mia madre erano ottimi cani da caccia: dei Pointer inglesi. Io sono un Pointer, un “magnifico esemplare di Pointer”, così mi avevano definito.
Sono nato in uno di quei posti definiti “allevamenti”, figlio di“campioni”, come si dice. Mio padre, che non ho mai conosciuto, e mia madre erano ottimi cani da caccia: dei Pointer inglesi. Io sono un Pointer, un “magnifico esemplare di Pointer”, così mi avevano definito.
Maschio, pezzato
bianco e nero, dagli occhi color
ebano, con un fiuto eccezionale, garantito dai miei genitori.
Io e i miei fratelli fummo venduti presto e a caro prezzo.
Io e i miei fratelli fummo venduti presto e a caro prezzo.
Il mio primo
padrone era un cacciatore, ovviamente. Era
severo e rigido, ricordo mi picchiava forte quando non facevo bene
qualcosa, ma
io ho un carattere posato, non mi sono mai ribellato.
Vivevo in un
capanno tra topi e fieno; vissi lì il
mio primo anno di vita.
Non ero bravo a
cacciare. Proprio così: nonostante
discendessi da ottimi cacciatori, io ero una frana. Il mio padrone non
capiva
il perché: rispondevo sempre ai richiami, apprendevo in
fretta ciò che mi
insegnava, ero attento e disciplinato, eppure non riuscivo a stanare
nemmeno
una preda, oppure ritrovare nel bosco il punto in cui era caduto
l’uccello
colpito dal mio padrone.
Mi
portò dal veterinario e, dopo un’accurata visita,
risultò che, per un problema genetico, il mio olfatto faceva
cilecca: era poco
sviluppato, insomma, per questo non riuscivo a fiutare le prede.
In giro di pochi
giorni mi ritrovai da solo in mezzo
ad un campo.
Quella mattina
presto, infatti, il mio padrone - di
cui non ricordo nemmeno il nome - mi fece salire sulla sua 4x4, si
avviò per le
campagne, in zone che non avevo mai visitato, si fermò in
mezzo alla strada di
terra, al bordo di un campo di grano, aprì la portiera ed
esclamò:
«Forza,
vai!»
E io,
riconoscendo il comando, partii
immediatamente, spedito, nella direzione indicata dal suo dito indice,
pronto a
cercare la selvaggina che probabilmente il mio padrone aveva
individuato tra il
grano. Solo dopo un centinaio di metri percorsi di corsa sfrenata mi
resi conto
di essere rimasto solo.
Mi fermai
ansimando un po’ e mi voltai indietro,
verso la strada: una nuvola di polvere doveva ancora posarsi a terra,
segno che
la macchina era ripartita velocemente giusto qualche istante prima.
Girai la
testa in varie direzioni, ma non scorsi l’auto da nessuna
parte, già scomparsa
dietro gli alberi che costeggiavano la strada.
Allora tornai a
guardare nella direzione che mi
aveva indicato il padrone e puntai il naso a terra, avanzando in cerca
della
bestia che dovevo portargli: nonostante l’olfatto poco
sviluppato potevo percepire
chiaramente che nelle vicinanze non
c’era nessuna bestia, né viva né morta.
Mi fermai di
nuovo e tornai ancora a guardare la
strada.
Mi sembrava
assurdo che il mio padrone mi avesse
indicato una direzione sbagliata e poi se ne era andato. Sì,
assurdo. Mi fidavo di lui; credetti
ci
fosse stato un errore. Pensai che si era semplicemente spostato
più avanti con
la macchina, inseguendo con lo sguardo il coniglio o il fagiano o la
lepre che
era scappata in un’altra direzione; magari mi aveva anche
chiamato, dicendo di
inseguirla, ma io, troppo preso dalla punta, non l’avevo
sentito.
Certo di queste
considerazioni, ricordo di aver
continuato a cercare in quel campo e nel boschetto limitrofo per tutta
la
mattina, e poi il pomeriggio, finché non era calata la sera.
E ricordo anche
che, a parte qualche topo o riccio o passero, non avevo fiutato niente.
Non
c’era cacciagione lì; non c’era niente
che io
dovessi trovare.
Solo a notte
fonda, sdraiato accanto il bordo della
strada proprio nel punto in cui aveva fermato la macchina e mi aveva
fatto
scendere, riuscii a realizzare che il mio padrone mi aveva tradito.
Fu una
considerazione terribile. Terribile. Non
riesco a trovare nessun altra parola. Mi fidavo di lui e lui mi aveva
tradito.
Nonostante
stessi malissimo, decisi di non
arrendermi. Attesi seduto lì tutto il resto del giorno dopo
e la notte
successiva; ogni volta che passava una macchina - molto di rado mi
ricordo - mi
alzavo in piedi e iniziavo a scodinzolare, ma non era mai lui. Non si
fermava
nessuno e, all’alba del terzo giorno, mi ritrovai ad avere
molta fame e sete.
Pieno di un
vuoto interiore, mi allontanai
lentamente da lì, conscio che il mio padrone non sarebbe
più tornato a
prendermi.
Girovagai altri
due giorni, riuscendo a dissertarmi
in un paio di ruscelli, ma senza mangiare nulla. Nemmeno un topo o una
piccola
lepre: iniziavo ad inseguirli, ma loro, rapidi, fuggivano presto tra i
cespugli
e il sottobosco, così che, con il mio debole olfatto, non
riuscivo più a
rintracciarli.
Ero dimagrito e
stanco quel sesto giorno della mia
solitudine, quindi per questo quell’uomo riuscii a catturarmi
facilmente. Usò
un lungo bastone d’acciaio con in cima un collare rigido, che
strinse appena me
lo passò sul collo. Mi fece salire su un furgoncino con
all’interno una gabbia:
non opposi alcuna resistenza, ero troppo debole.
E
così finii in canile.
La prima cosa
che mi colpì fu il rumore. Un chiasso
assordante tra abbai, gemiti, il tintinnare di ciotole di ferro che
cadevano a
terra, ringhi e il chiaro suono di una lotta tra due cani parecchio
nervosi, il
ticchettare delle unghie sul pavimento di cemento, le gabbie scosse
violentemente dai cani che si affollavano per vedere il nuovo arrivato,
mangime
smosso nelle mangiatoie di ferro. Le orecchie mi ronzavano e stringevo
un po’
gli occhi, abbassando il capo per cercare di schermare un po’
tutto quel
rumore, ma era impossibile.
Poi, la puzza mi
investii. Piscio, bisogni vecchi non
raccolti sul pavimento delle gabbie, puzzo di pelo bagnato e delle
vecchie
cucce con all’interno stracci mai lavati, per non parlare
degli aliti di un
centinaio di cani che abbagliavano tutti nella mia direzione... Un
inferno, non
trovo altra definizione.
Fui portato in fondo a quel corridoio a cui lati affollavano gabbie con almeno quattro cani all’interno; l’uomo aprì proprio l’ultima, già occupata da un meticcio maschio tipo barboncino e un bel segugio femmina che, intuii, era purtroppo sterilizzata. Mi lasciò lì dentro e si allontanò; gli altri due cani mi annusarono per qualche tempo e io feci lo stesso, poi tornammo ad ignorarci. Senza perdere altro tempo, attratto dall’odore, mi fiondai verso la mangiatoia e presi a mangiare parecchie crocchette sommariamente insapori e un po’ dure. Bevvi anche molto, poi, veramente stanco, mi posai sopra un bancale di legno, mentre la segugia entrava in una cuccia e il barboncino si acciambellava in un angolo riparato dal vento, pian piano il rumore del canile si placò e io mi addormentai.
Continua...
Per scrivere questa storia mi sono ispirata alla mia esperienza di volontariato in un paio di canili.
Il racconto sarà breve: si concluderà tra tre piccoli capitoli e un breve epilogo.
Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto; grazie a chi ha letto. :)
A presto!
Fui portato in fondo a quel corridoio a cui lati affollavano gabbie con almeno quattro cani all’interno; l’uomo aprì proprio l’ultima, già occupata da un meticcio maschio tipo barboncino e un bel segugio femmina che, intuii, era purtroppo sterilizzata. Mi lasciò lì dentro e si allontanò; gli altri due cani mi annusarono per qualche tempo e io feci lo stesso, poi tornammo ad ignorarci. Senza perdere altro tempo, attratto dall’odore, mi fiondai verso la mangiatoia e presi a mangiare parecchie crocchette sommariamente insapori e un po’ dure. Bevvi anche molto, poi, veramente stanco, mi posai sopra un bancale di legno, mentre la segugia entrava in una cuccia e il barboncino si acciambellava in un angolo riparato dal vento, pian piano il rumore del canile si placò e io mi addormentai.
Continua...
Per scrivere questa storia mi sono ispirata alla mia esperienza di volontariato in un paio di canili.
Il racconto sarà breve: si concluderà tra tre piccoli capitoli e un breve epilogo.
Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto; grazie a chi ha letto. :)
A presto!