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Autore: MaTiSsE    02/11/2011    6 recensioni
Isabella era umana, ed in quanto tale fragile e sensibile.
Conosceva la paura. Lui, invece, l'aveva dimenticata secoli prima.
Era un'anima fredda, ormai. Sempre se un'anima l'avesse posseduta ancora, ovviamente.
Piccola storia di odio ed amore tra Isabella ed un Edward decisamente sadico...Buona lettura :)
Genere: Dark, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
- Questa storia fa parte della serie 'Amore Insano'
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L'Amore si Odia












..Come sto
Se vedo a malapena?
Mi perdo nei giorni neri, li crei tu...
Fai di me
L'anima più fredda.
Ci sei tu nelle mie vene
e le curi pure..









Londra, 1853.









"Vi prego! Vi prego mio Signore, No! NO! Abbiate pietà, vi supplico!"
"Taci, miserabile!"


Qualcosa vibrò nell'aria.

Isabella non comprese immediatamente ma fu tutto più chiaro quando la sua amica Charlize crollò inesorabilmente sul lurido pavimento di quella prigione umida e buia, vittima dei colpi di frusta inferti dal suo aguzzino.

Si voltò dunque a guardarla, incapace di proferir parola. Ma non riuscì a tollerare a lungo il suo sguardo: gli occhi della giovane, spalancati e lacrimosi,  parlavano infatti di una disperazione tanto intensa ed assoluta da far male al cuore ed all'anima. Persino lo stomaco le si contorse immediatamente in un singulto di orrore.

In tutta la sua esistenza - per quanto breve essa avesse mai potuto essere - non avrebbe mai più potuto dimenticare l'espressione terrorizzata della sua amica: Isabella era certa che avrebbe venduto persino sua madre o svenduto il proprio corpo
, in quel momento, pur di aver salva la vita, .
In ogni caso non sarebbe servito a nulla. La sua ora era ormai giunta: "qualcuno" aveva decretato dall'alto che la fanciulla avesse ormai perso qualsiasi attrattiva. Tanto valeva ucciderla.

Isabella conosceva fin troppo bene quel qualcuno, purtroppo.
Così come conosceva la sua assoluta mancanza di scrupoli e di sensibilità.




Nel mentre, Aro tornò ad accanirsi sulla giovane: strattonandola, la costrinse ad alzarsi in piedi.
Sul vestito già sudicio e scolorito faceva ora bella mostra di sé, vergognosamente nitida e visibile, una chiazza grande ed irregolare di urina.
Le viscere di Charlize non avevano dunque resistito alla paura, cosicché la bella giovane s
arebbe morta privata di qualsiasi forma di dignità.


Comunque sia, tutto questo non sembrava interessare all'essere immondo che la stava trascinando verso il baratro.
Aro, infatti, osservava Charlize con la stessa aria esasperata ed irrazionalmente famelica con la quale aveva in precedenza guardato altre vittime disperate prima di lei.

Ben presto il corpo di Charlize sarebbe stato soltanto uno fra i tanti che si andavano ammonticchiando, giorno dopo giorno, nella grande fossa comune scavata nel bosco dietro casa.
I suoi resti prosciugati sarebbero stati cibo appetitoso per topi e larve.
I suoi bei capelli dorati sarebbero scoloriti sotto l'alternarsi di pioggia e sole. Dopo solo pochi giorni nessuno più si sarebbe ricordato di lei.
Nessuno oltre Isabella, ovviamente.

Charlize non aveva cuore ed anima né per Aro né per chi orbitava al di sopra di lui. Non aveva passato e men che meno futuro. Avrebbe potuto essere bella, brutta, stupida, intelligente. Avrebbe potuto avere un marito, dei figli, una famiglia che l'aspettava in una casa al di là della radura.
Tutto questo per loro non contava.
Soprattutto Aro non sembrava badarci minimamente.
Aveva ricevuto un ordine: l'avrebbe eseguito. Charlize era semplicemente un incombenza di cui liberarsi al più presto, a questo punto.



"Adesso vieni con me ...E poche storie, stupida umana!" - Urlò quindi nuovamente, scuotendola, allorché le sue grida pietose tornarono a rompere il silenzio della prigione.
"Mio signore, no! Abbiate pietà di me...!"


"E basta con questa storia della pietà!" - Strepitò allora la bionda Jane, esasperata, liberandosi del cappuccio nero che nascondeva i suoi capelli morbidi, color del grano - "...Liberati di quest'essere inutile nel più breve tempo possibile, Aro... Mi sono stancata dei suoi piagnistei... Ed anche il padrone non ne può più!"

Aro, dunque, annuì risoluto e spinse via la povera vittima.
La fanciulla seguitò ad urlare. In ultimo, forse consapevole che per se stessa c'era ormai poco da fare, rimembrò la presenza dell'amica, nascosta in un angolo buio della prigione, ed a lei rivolse il suo appello estremo:


"Isabella! Isabella riguardati dal mostro! Non farti ingannare dal suo bel viso... Sta' attenta, Isabella, te ne prego!"


Isabella non riuscì neppure ad articolare una risposta. E neanche avrebbe potuto farlo, non davanti a Jane.
Ma più lacrime solcarono le sue guance pallide allorché l'eco di quell'ultima invocazione giunse al suo orecchio mentre la figura di Charlize spariva, inghiottita dal buio del corridoio dove il suo carnefice l'aveva sospinta.


"Mia Signora..."

Jane le si avvicinò lentamente, porgendole una mano per aiutarla a rialzarsi dalla paglia scomoda su cui si era accomodata.

"...Mia Signora, non piangete, ve ne prego. Lasciate che vi aiuti a rialzarvi..."

"Va' via!" - Urlò Isabella, inorridita, allontanandola con le mani - "Hai appena mandato un'innocente a morire! Non devi toccarmi, mostro!"

Jane sospirò rassegnata.

"Mia Signora, vi prego di ascoltarvi. So che non provate altro che disgusto nei miei confronti ma non allontanatemi, per favore. E perdonatemi: io eseguo soltanto gli ordini. Lo sapete. Per piacere, venitemi incontro prima che il padrone uccida anche me..."


Isabella la guardò di nuovo, diffidente. E, tuttavia, seppe che la giovane vampira non le stava mentendo, per quanto irrazionel ciò potesse apparire.


Lui era capace di qualsiasi cosa.
Lui l'avrebbe uccisa, la piccola, splendida Jane. La più bella tra le vampire che Isabella avesse mai conosciuto.
Perchè, dopotutto, non si trattava d'altro che dell'ennesima insulsa pedina nelle sue mani. Come tutti, in quella grande e lugubre casa, del resto. Lei compresa.

Cosicché si decise ad allungare una mano verso quella più curata e delicata della giovane - per quanto tale tocco le causasse comunque un'insopportabile ripugnanza - e darsi in questo modo la spinta necessaria per alzarsi.

Per quanto crudele potesse essere quella creatura non ne desiderava in ogni caso la morte.
Certe sofferenze avrebbe desiderato che fossero risparmiate a chiunque.


"Grazie, mia Signora..." - Mormorò dunque Jane - "...Vi ho portato un cambio d'abiti ed ho riempito la vasca di acqua bollente. Il padrone desidera vedervi al più presto, siate bella per lui..."

Isabella scosse la testa.

"Non voglio incontrarlo....Non dopo che..."

Non dopo che Charlize era stata così sadicamente condannata a morte. Isabella era certa di udire ancora le sue urla risuonare negli androni più isolati del palazzo.
O forse no? Dopotutto non ci voleva poi così tanto tempo per far fuori una fragile umana.


"Charlize era un essere inutile, mia Signora. Voi...voi siete diversa, per lui."
"Non dire sciocchezze! Charlize era un essere umano!" - Urlò la giovane, piangendo, di nuovo. Non poteva tollerare una tale insensibilità.
"Un essere umano che non portava il vostro nome e non aveva occhi profondi color nocciola, mia Signora."

Isabella tornò a guardare la sua serva bellissima con sguardo sconcertato. Non comprese come fosse possibile parlare in questo modo, senza un briciolo di pietà, di una povera donna che aveva perso la sua vita per nessuna ragione apparente.

O forse no? Forse una ragione c'era?


"E' morta per me, non è così?" - Mormorò dunque, spinta da una nuova consapevolezza.
"Signora..."
"Jane! Charlize è....E' morta per salvare me... E' vero? E' morta affinché lui fosse abbastanza sazio per incontrarmi! Dimmelo Jane, tu devi dirmelo se quella ragazza è stata uccisa per colpa mia!"


Quelle ultime parole Isabella le urlò. Le urlò a Jane che continuava a guardarla con commiserazione, come se avesse avuto a che fare con una patetica malata di mente; le urlò a se stessa, perchè si odiava profondamente da quando sapeva che ogni volta un innocente scontava con la vita la sua salvezza. Le urlò perfino a lui perchè tanto era certa che l'avrebbe udita.
Non gli sarebbe sfuggita la sua disperazione. E comunque non l'avrebbe considerata affatto.
Tanto Isabella era sua e non avrebbe potuto salvarsi.

Trovò perfino il coraggio per sfidare la naturale ripugnanza ed ancorare le spalle della sua serva con le mani, scuotendola. Come se avesse potuto, poi! Jane fu più irremovibile di una statua di granito. Ma la lasciò fare, dopotutto.
Lasciò che si sfogasse e che il suo corpo tremasse mentre singhiozzava su quella nuova tragedia e sul ricordo ormai andato degli occhi azzurri di Charlize.
Non li avrebbe rivisti mai più.

Aveva rispetto per Isabella, la piccola Jane. Era costretta ad avere rispetto per lei, pur non volendo: lei era la sua padrona.


Pochi minuti dopo, comunque, la sua pazienza fu premiata: Isabella, affranta, crollò sul pavimento piangendo sommessamente. Allora Jane le si accovacciò accanto sussurrandole, per l'ultima volta, il suo invito.


"Non piangete
mia Signora, per favore! Piuttosto, andiamo o faremo tardi. Ve ne prego, fate come vi dico io. Ascoltate le parole di una Vostra umilissima serva...Ascoltatele, per il vostro bene."







*








"Sei arrivata....Ce ne hai messo di tempo."

Isabella entrò nel salotto con passo incerto. Indossava un ricco abito di velluto verde e Jane le aveva infilato una rosa bianca tra i capelli ora profumati: il fiore preferito del suo padrone.
Lui le dava le spalle, rivolto com'era alla grande portafinestra della stanza. Apparentemente perso nella contemplazione del cielo scuro sopra Londra.

"E' già tanto che sia qui, dopo quanto è accaduto oggi."

La voce le uscì miracolosamente sicura, senza un' incrinatura.
Lui rise, piano. E dopo si voltò, incollando quegli occhi famelici ai suoi.
Occhi color sangue.

Isabella tremò, vergognandosi di se stessa.
Lui era bellissimo, come sempre.
Lui. Edward. Suo marito.


E lei lo desiderava. Nonostante fosse un omicida, nonostante non avesse alcun rispetto per la vita umana, nonostante fosse un essere privo di scrupoli.
Nonostante tutto questo lei l'amava.
Ed avrebbe preferito morire piuttosto che provare un sentimento tanto deprecabile.


Amava di lui perfino il suo sguardo spietato, quel guizzo di desiderio che gli leggeva negli occhi ogni qualvolta finivano con l'incrociarsi, quel sorriso crudele e meraviglioso che soltanto lui sapeva rivolgerle. Ne amava il naso dritto, i capelli spettinati, le spalle larghe, la sicurezza del suo incedere, l'eleganza dei movimenti. Perfino la sua anima malata e corrotta, era in grado di adorare con la stessa irrazionale accettazione con cui si venerano dei sconosciuti e lontani.

E lui somigliava davvero a un dio. Un dio dannato, ma pur sempre tale.
Come avrebbe mai potuto intimare al suo cuore di tacere, Isabella? avrebbe dovuto piuttosto strapparselo dal petto per smettere di macchiarsi di un simile peccato agli occhi di Dio!


"Ti riferisci alla tua amica, Isabella?" - Edward riprese a parlare con sicurezza, continuando a fissarla con interesse. - "..Ah sì....niente di particolare. Speravo in un bocconcino più appetitoso ma il cattivo gusto di Aro non si è smentito neppure questa volta."

Ad Isabella lo stomaco si contorse in un singulto di dolore e disgusto. Si aggrappò con tutta la forza che aveva alle balze del suo vestito da sera, tanto per concedersi un appiglio. Infine sbottò:

"Come potete parlare in questo modo di un essere umano, Edward? Voi non provate pietà, siete un essere ignobile!"


Edward la raggiunse in un istante, piantando il bel viso a due centimetri dal suo.

"Isabella, non ti concedo il diritto di parlarmi così! Dì... Vuoi vedere cos'è diventata adesso la tua amica?"

Isabella inorridì. Sapeva cosa l'attendeva.
Scosse la testa più volte.

"Che c'è, Isabella? Hai perso tutto il coraggio ed anche la tua bella lingua lunga?"

La giovane deglutì.

"Non voglio vederla...Non voglio!"

"Oh sì che lo farai, invece. E sarà la giusta punizione per la tua impudenza!"


Ad Edward bastò schioccare due dita affinché Aro facesse il suo ingresso nella grande sala. E non era da solo: teneva tra le mani, infatti, a mo' di trofeo, la testa di quella che era stata la bella Charlize.

La reggeva per quella massa informe e dorata che solo poche ore prima erano stati i suoi capelli.
Gli occhi della fanciulla erano sgranati e più azzurri di quanto Isabella stessa ricordasse.
La bocca era spalancata, le labbra bianche e screpolate.

Edward l'aveva addentata con così tanta foga da staccarle la testa dal collo: un fascio di nervi ricoperti da sangue rappreso era tutto ciò che restava delle connessioni con il resto del corpo.

La vista di Isabella si oscurò per qualche istante e la sua carne rispose a tale visione indipendentemente dalla sua volontà: fu costretta a scappare in giardino per vomitare fino all'ultima goccia del suo disgusto.


Fuori la luna splendeva chiara e luminosa, ignara di cotanta tragedia.
Isabella si chiese perchè proprio a lei.

Meritava davvero tutto quel dolore?





"Isabella...."

Edward la raggiunse, cingendole le spalle con le sue mani gelide. Aiutandola a rialzarsi.

"Sei facilmente impressionabile..."

Non rispose. Era davvero tutto troppo irrazionale per lei.

"Isabella..." - Edward la costrinse a voltarsi. - "Te l'avevo detto di non fare amicizia con nessuno, laggiù. Te ne saresti pentita. Loro alla fine moriranno e tu piangerai, stupida che non sei altro!"
"Perchè?!" - Urlò lei a quel punto, esasperata - "Perchè mi torturate, Edward?? Perchè non mi lasciate in pace?? Perchè proprio io, Edward, perchè?!"

Cominciò a singhiozzare, di nuovo. La disperazione l'accecò, prese a battergli il petto granitico con i suoi deboli pugni da ragazzina.
Edward non si scompose così come solo poche ore prima aveva fatto anche Jane.

Isabella era umana, ed in quanto tale fragile e sensibile.
Conosceva la paura. Lui, invece, l'aveva dimenticata secoli prima.
Era un'anima fredda, ormai. Sempre se un'anima l'avesse posseduta ancora, ovviamente.


"Perchè proprio tu? Perchè ti amo, Isabella." - Rispose infine, quando lei perse d'energia e si lasciò andare sull'erba bagnata.

"Mi amate e mi lasciate marcire in una lurida prigione..."
"Tu non vuoi obbedire. Sono costretto a tenerti rinchiusa. Potresti avere tutto ciò che desideri se soltanto ti decidessi a tenere un comportamento più umile ed assennato. Ed invece...Vuoi fuggire via da me. Tu mi tradiresti, se potessi Isabella. Questo non va bene."
"Io non vi tradirei perchè nulla ci lega realmente, Edward!"
"Sei una bugiarda..." - Sorrise - "Noi siamo marito e moglie, l'hai forse dimenticato?"
"Nessun padre della chiesa ha ufficializzato quest'unione! Voi non siete il mio consorte.." - Ribatté lei, stancamente.

Edward sospirò, spazientito.

"D'accordo. Allora devo ricordarti che mi ami, piccola Isabella? E' il tuo stesso cuore a volerti tenere legata a me, è questa la verità.."

Le alzò il viso con le dita.

Isabella lo guardò con occhi lacrimosi, mordicchiandosi il labbro inferiore.

Detestava ammettere che aveva ragione.
E detestava se stessa perchè il suo cuore era in grado di amare un essere ignobile come lui, inspiegabilmente. Forse perchè anche lei aveva la sua stessa anima marcia?


"Così va bene, Isabella....E non torturarti quella bella bocca...Accetta la realtà e rassegnati. Se mi ami ci sarà ancora redenzione per la mia anima."


Si avvicinò a lei, accovacciandosi accanto al suo corpo rigiro e sfiorandole il viso delicato con il suo profilo.
Isabella chiuse gli occhi e sospirò.

Il respiro fresco di Edward le ghiacciò la pelle, il suo profumo la stordì: sapeva di buono, di miele e di fiori appena sbocciati.
Qualcosa di così dolce che mai nessuno avrebbe potuto ricondurre ad un fautore di morte.

Al chiaro di luna, in quel giardino solitario, le braccia di Edward cercarono i suoi fianchi e li trovarono.
Ancorò il corpo di Isabella al suo e lei lo lasciò fare. Non si oppose, questa volta: le bastava davvero poco, del resto, per cadere in uno stato di trance quando suo marito le stava accanto. Dimenticava l'orrore, il cinismo e la sua crudeltà perfino quando le carezzava il viso con quella medesima, meravigliosa dolcezza. Le sue dita erano velluto sulla pelle di lei ed i suoi occhi color cremisi parlavano di amore e dolore se la sua mano s'intrecciava piano a quella di Isabella mentre il suo tocco diventava vivo e reale sulla quella carne ormai morta.


"Bella...." - Edward le sussurrò all'orecchio in modo tanto suadente da farla sussultare. - "Isabella....rispetterai i tuoi doveri coniugali, adesso?"

La giovane avvampò, spalancando gli occhi, ancora tra le braccia del consorte.

"Come...come? Qui, adesso?..Io non...io..."
"Ssshh! Non aver timore mia cara. Non aver timore. E non vergognarti. Io sono tuo marito, ricordatelo bene."

Isabella si immobilizzò, timorosa di ciò che sarebbe accaduto di lì a poco, in quel giardino solitario.
Edward la guardò sorridendo. La sua mano si poggiò sulla pelle candida di lei, alla base del suo collo. Da lì cominciò a scendere, muovendosi sinuosa, in un percorso di amore e desiderio, sino al petto e poi più giù, fino alla pancia piatta di lei, coperta di un leggero strato di velluto verde.

Il piacere che quel tocco gentile le provocò fu indicibile.

"Edward..." - Isabella stessa mugolò, vergognandosi per quel tono indecente con cui aveva pronunciato il nome del marito.
Lui sorrise di nuovo, stavolta compiaciuto. Infine si arrestò per un istante prima di strappare parte del corsetto di lei con un solo, rapidissimo gesto, lasciandola seminuda.

"Io..."
"Sssh, Isabella! Taci! Non t'hanno insegnato che parlar troppo è peccato?"

Isabella lo guardò quasi mortificata, come se Edward le avesse appena rivolto il più sensato dei rimproveri.
E dunque non si oppose quando lui l'addentò vorace al di sotto del seno tondo ormai scoperto, nutrendosi un pochino di quel sangue profumato di lei che tanto agognava.







Quella notte, nel buio della sua prigione, Isabella non chiuse occhio, troppo impegnata nel rimproverare se stessa per quel suo carattere così debole che la costringeva a rendersi schiava di Edward anche quando non voleva o non era giusto.


Quando era accanto a suo marito, Isabella perdeva razionalità, rispetto per se stessa e lucidità.
L'amava troppo per non concedergli finanche la sua anima.

Ma nel momento in cui gli stava lontana poteva donare a se stessa, di nuovo, l'illusione di odiarlo. E di provare disgusto per lui.
Tuttavia - ovviamente - si trattava di una bugia. Edward avrebbe potuto staccare la testa anche a sua madre, a conti fatti: Isabella l'avrebbe amato comunque, per quanto assurdo questo avesse potuto essere.
Ne era tristemente consapevole e questa verità faceva più male ancora al suo povero cuore di fanciulla innocente.










Storiellina nata per gioco.
Un pochino dark ma giusto perchè siamo in tema Halloween. =)

La frase iniziale, in corsivo, è tratta da una canzone dei Verdena: Corteccia (Nell' Up-Nea).
Il titolo invece è ripreso da una canzone di Noemi e Fiorella Mannoia: la canzone non mi piace ma il titolo era perfetto per la mia storia! ;)

Grazie di tutto =)
Matisse.

   
 
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