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Autore: Girl_in_Blu    02/11/2011    12 recensioni
[Storia partecipante al contest “FANDOM’S WARRIOR” indetto da Calbalacrab e Bluemary]
Vegeta, spietato mercenario, è al servizio di Freezer, tiranno sadico e malvagio. Il principe dei saiyan non sopporta l’ossequiosa obbedienza che deve al suo sovrano, così sfoga la frustrazione dell’essere comandato in eccepibili torture, aspettando il momento della sua tanto agognata vendetta.
One shot che alterna momenti del passato, in cui Vegeta era un cucciolo con le sue primissime impressioni su Freezer; a un presente, in cui da soldato è intento a conquistare un pianeta.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Freezer, Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
- Questa storia fa parte della serie 'Il Principe dei Saiyan'
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 Storia partecipante al contest “FANDOM’S WARRIOR” indetto da Calbalacrab e Bluemary




 

 Fandom: Dragon Ball
Titolo: Waiting for revenge
Autore: Girl_in_Blu
Rating: giallo
Generi: introspettivo, drammatico.
Avvertimenti: One shot, missing moments 
Note iniziali: In questa one shot riprendo un tema a me caro: il passato di Vegeta, quando ancora era al servizio di Freezer.
La tematica in questione l’ho affrontata anche in una doppia drabble ‘Circolo vizioso’ ma non soddisfacendomi,
ho deciso di sviluppare una fan fiction più lunga e accurata e che spiegasse, almeno in parte, il perché della crudeltà di Vegeta.
 












 

 Waiting for revenge






 



Sorrideva malefico vedendolo rinsavire per il dolore, il calcio allo stomaco era stato così potente da riportare il moribondo svenuto a contorcersi ancora una volta, ricordandogli così della sua triste e, purtroppo per lui, non imminente fine.
-Non così presto!- aveva ordinato severo il Principe –oggi, la morte tarderà ad arrivare…-
L’avversario non combatteva, era stremato, accasciato a terra in una pozza di sangue, il suo misto a quello dei cari.

La puzza, su quel pianeta sperduto nella galassia del Nord, era nauseabonda già al loro arrivo, ma dopo quello sterminio l’aria, rarefatta e pesante, era divenuta irrespirabile.
Quelle non erano le condizioni climatiche adatte per la loro specie, nonostante ciò il saiyan continuava instancabile ad infierire su quel corpo.

-Andiamo Vegeta, è inutile perdere tempo qui- gli aveva consigliato Nappa, ma bastò uno sguardo del suo compagno, uno di quelli truci e malvagi, intensi quanto agghiaccianti che solo il principe di quel regno insanguinato sapeva fare, per intimidire il colosso che indietreggiò, leggermente intimorito.
Soddisfatto del potere che esercitava sull’altro, del modo in cui, senza parole, riusciva a comandarlo, aveva diretto il suo oscuro e crudele cipiglio alla sua preda.

Aveva poi ripreso a colpirlo, non accontentandosi dei rivoli di sangue violacei che fuoriuscivano dalla bocca e dalle lacerazioni già inflitte, aveva per questo cominciato a rompergli anche le ossa, più resistenti del previsto.
Lo scricchiolio delle più piccole era musica per le sue orecchie e in un crescendo di note aveva iniziato a dedicarsi agli arti, la loro rottura risuonava nell’aria accompagnata da un grido acuto della vittima…musica e voce di un’opera estremamente tragica e cruenta: il suo genere preferito.

Il malcapitato soffriva e Vegeta godeva di quell’espressione dipinta sul quel viso, come su quello di un qualsiasi altro sconosciuto.
Vedeva la sofferenza e la morte, entrambe diverse tra un individuo e l’altro.
Continuava ad abusare della sua forza, a colpirlo quasi come se questo avesse commesso il più grave dei torti nei confronti del saiyan più spietato che fosse mai nato, ma non era così.
Era solo uno dei tanti alieni di uno dei tanti pianeti sterminati.
Routine, insomma.
 


 
 
-E, così, questo è tuo figlio?- aveva domandato il tiranno, guardando il bambino e sorridendo gli aveva mostrato tutta la malvagità di uno sguardo glaciale, di occhi penetranti e affilati come quei denti, era semplicemente mostruoso.
-Ti va di giocare con un saibaim?- gli aveva detto, con tono affabile e gentile, in contrasto con la sua vera natura.
Nonostante fosse solo un bambino; Vegeta aveva avvertito, in quello che per ora era soltanto uno straniero, meschinità e freddezza.

Aveva però annuito, allettato all’idea di giocare con la vita.
-Allora seguimi- gli aveva detto dal suo piccolo trono e lui obbedì.

Il cucciolo lo sentiva, era il suo istinto di saiyan a suggerirgli chi fosse quell’essere, non le sue parole, quelle sapeva benissimo che potessero mentire spudoratamente, ma nell’espressione inquietante di quel volto, così lontano dalla sua mente e memoria, così diverso da quelli delle persone che conosceva, aveva compreso qualcosa d’indefinito.
Una sensazione ecco cos’era, non sapeva spiegarla, ma avvertiva nell’aria il pericolo.

La sua coda, come un sensore ad alto raggio, apice del suo stesso istinto, gli suggeriva cosa provare: inquietudine e, soprattutto, diffidenza.
Per lui Freezer era diverso e, nella sua diversità, nemico in quanto straniero.

Era troppo piccolo per capire quell’alleanza, o per intuire cosa sarebbe accaduto, per lo meno non da quel primo e indimenticabile incontro, ma sapeva che in sua presenza doveva stare in guardia e non fidarsi.
Era una sensazione implacabile che dalla coda era penetrata fin nelle ossa, doveva soltanto assecondarla.
 

***

 
In una stanza, il piccolo principe giocava con i suoi giocattoli preferiti: i saibaim.
Ciò che più adorava era vedere la morte nei loro occhi, guardare la vita abbandonare quei corpi verdastri.
Prima li colpiva con pugni e calci, si divertiva a torturarli così: riducendoli in fin di vita e poi dalla mano, avvolta in un guanto di candido bianco, emanava una piccola sfera che scagliava sui moribondi.
Vedeva il corpo trapassato da una parte all’altra da quel suo piccolo colpo, non usava nemmeno tutta la sua forza, non era necessario, poiché non voleva disintegrarli.
Desiderava guardare il sangue scorrere copioso, non gli bastava quello che sgorgava dalle lacerazioni già inferte.
No, a lui piaceva osservare la pozza verdastra che si formava sotto il corpo caduto, vedere gli occhi spegnersi e i muscoli rilassarsi.

Era curioso di capire come si morisse, come ogni essere nella sua diversità soffrisse e si spegnesse.
Un cucciolo, un piccolo concentrato di malvagità e potenza, ecco cos’era il principe Vegeta e proprio queste sue doti avevano affascinato il tiranno che aveva visto in lui ciò che egli stesso possedeva.
Era un talento che non poteva essere sprecato, un’opportunità da crescere e sfruttare.
 
 
 


Si trastullava in eccepibili torture, si divertiva così Vegeta: in atroci azioni, in drammatici epiloghi per i sui sfortunati nemici.
Riusciva a dimenticare per un attimo la sua vita, la propria sottomissione a quell’essere che lo aveva derubato della sua libertà, che aveva leso l’orgoglio e la dignità di erede a un trono ormai distrutto e inesistente.

Lui, Principe dei saiyan, era un semplice sottoposto di un malvagio tiranno.
Per quanto abituato a quella vita, fatta di cadaveri e macerie, ciò che proprio non digeriva era l’ossequiosa obbedienza che doveva a Freezer.
Conscio che se avesse leccato i suoi piedi, come Zarbon e Dodoria avevano sempre fatto, avrebbe raggiunto un grado più alto, una posizione migliore e maggiore libertà e respiro alla base, ma lui non poteva scendere a patti con se stesso.
Non ne valeva la pena, avrebbe sempre avuto qualcuno che lo avrebbe comandato, che gli dicesse cosa fare e come compierlo nel migliore dei modi, avrebbe sempre sventolato il vessillo d’un altro, mai il suo.
 
L’unica cosa per cui lottare era l’orgoglio, quel muro d’acciaio dietro il quale si era barricato e che aveva subito la prima crepa con la sottomissione a quell’essere e che ad ogni ordine o rimprovero riceveva un duro e indimenticabile colpo.
Aveva creato in sé una trincea, dove combatteva contro quel nemico, apparentemente indistruttibile, quello che pian piano stava distruggendo l’unica cosa che avesse mai posseduto: se stesso.

Lo odiava con tutte le forze e sapeva che un giorno gli avrebbe cavato gli occhi, tagliato la coda, sbudellato dalle interiora.
Oh sì! Vegeta era certo che prima o poi lo avrebbe ucciso con le sue mani e che la morte dell’altro sarebbe stata lenta, una lunga agonia che lo avrebbe condotto all’inferno.
Sogghignava ogni volta che ci pensava, quando era solo e nessuno poteva accedere ai suoi indecifrabili pensieri.
Non si sarebbe mai esposto, non avrebbe condiviso con i compagni quella comune frustrazione, non avrebbe mai regalato allo stesso viscido Freezer la soddisfazione di vederlo turbato.
 

 
 
 
-Pensavo facessi meglio- aveva detto il tiranno dal suo piccolo trono, sospeso nell’’aria –hai impiegato due settimane per conquistare un pianeta d’inetti- aveva poi aggiunto, voltandosi per guardarlo.
Un lieve sorriso si stava dipingendo su quel volto biancastro, Vegetata sapeva quanto Freezer amasse ridicolizzarlo e quanto godesse, ogni volta, vedendolo chinare il capo.
-Non ammetto imprevisti la prossima volta- ordinava.
I due membri della sua squadra erano iracondi e codardi allo stesso tempo, cominciavano a lamentarsi per poi zittirsi a un grugnito del tiranno, erano ridicoli nella loro incoerenza.
Lui annuiva, s’inchinava e obbediva, consapevole che mostrando la propria rabbia avrebbe donato a quell’essere il suo piccolo momento felice.
No, preferiva sfogarsi in altri modi e luoghi…

 
 

 
I giorni in cui riceveva un ordine era particolarmente nervoso, poiché non sapeva mai cosa provare; combattuto tra il prurito alle mani e l’acidità allo stomaco per dover obbedire, non alle sue voglie, ma un viscido tiranno.
-Questa volta sii più veloce, vedi di sbrigarti!- gli diceva dispotico, riferendosi alle missioni precedenti, per colpirlo ancora una volta.
Ma ogni tanto riconosceva, negli alieni che incontrava, alcuni tratti che li accomunavano a Freezer: colore degli occhi o della pelle, sguardo o altezza, lineamenti o espressioni e così si perdeva in fronzoli, in spietate torture che gli facevano tardare la conquista di un pianeta; provocando l’ira del tiranno, le sue ramanzine e punizioni umilianti.

Proprio come su quel fetido pianeta, quegli alieni avevano strisce violacee sul volto, come lui.
Non poteva non dedicarsi ai preliminari che precedevano l’exploit della sua rabbia, del proprio rancore e risentimento e così si dilettava in torture spietate, allentava la pressione che incombeva sul suo animo.
Perdeva tempo per Nappa, ma per lui non era mai stato così.

Se Vegeta non avesse compiuto quelle immani ed immonde stragi, sarebbe impazzito.
Perso nell’oblio dell’ossequiosa obbedienza, tra un’accondiscendenza e la propria inossidabile volontà di vendetta e di ritrovare la libertà persa, sarebbe divenuto matto se non avesse trovato un trastullo piacevole e che soddisfacesse, almeno in parte, il suo istinto.
 

-Abbiamo preso questo pianeta già da giorni- gli diceva Nappa intimorito –cosa aspettiamo ad andarcene?- chiedeva, raccogliendo le briciole di un coraggio spesso latitante.
-Ci fermeremo qui ancora per un po’- gli rispondeva Vegeta, indisturbato.
L’altro lo guardava intontito, non comprendendo la sua scelta –ma perché?- insisteva curioso.
-Non sono affari tuoi. Ho deciso e così sarà- gli rispondeva irritato, per l’irriverenza, Vegeta.
Aveva bisogno ancora di un altro po’ di tempo, per riacquistare un minimo di tranquillità e sanità mentale per affrontare l’umiliazione del ritorno.
 

***

 
Poggiato il piede sul cranio di quello stesso alieno, sogghignava malefico sussurrando –adesso puoi morire-.
Poi si era udito un rumore sordo, gli aveva rotto la testa procurandogli l’agognata e desiderata morte.
Tanto quel pianeta era pieno di altri abitanti dal volto a strisce violacee, doveva trovarli e torturali, solo così avrebbe appagato se stesso.

La sua era un’illusione che gli permetteva un attimo di respiro, un anelito di libertà che lo rincuorava e che gli faceva assaporare ciò che un giorno sarebbe stato realtà.
…Ma era tutto un circolo vizioso, dal quale non riusciva ad uscire.

Era la sua natura a suggerirgli quella soluzione, era un combattente e non poteva sottrarsi a quella spinta bellica che attraversava ogni fibra del suo corpo, elettrizzandolo come se fosse stato colpito da una scarica elettrica.

Si sentiva vivo strappando la vita dei suoi nemici.

Avrebbe sì preferito scontrarsi con un abile combattente, con uno che avrebbe potuto evitare un suo attacco o difendersi.
Avrebbe voluto sentire anche il suo sangue; quando, colpito sul volto, avrebbe avvertito il sapore della lotta, della vita e della morte stessa.
Il sangue era tutto ed era divertimento e se non avesse versato una goccia del suo regale fluido carminio, non sarebbe stato soddisfatto.
Ma in fondo aveva appena iniziato su quel fetido pianeta, magari avrebbe avuto l’occasione di scontrarsi con un guerriero degno d’essere tale.

Nell’attesa di vendicarsi si trastullava così, ma sapeva che non sarebbe trascorso molto tempo ancora, prima di riuscire a raggiungere l’oro e la potenza degna di un saiyan d’elite.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 













































Note finali: alcune frasi nell’ultimo pezzo le ho cambiate rispetto alla consegna, poiché si presentavano confusionarie. So che le strisce di Freezer sul volto sono rosa, ma ho optato per il ‘violaceo’ per una scelta stilistica e poi perché dubito che Vegeta conosca la differenza tra questi due colori, almeno non ce lo vedo a fere delle differenze XD
Spero che la storia vi sia piaciuta e che sarete gentili nel lasciarmi un vostro parere, consiglio, critica.
Grazie per aver letto.
Jo



 


 

   
 
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