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Autore: Love_in_idleness    04/11/2011    5 recensioni
Un colore
Così solo,
Il tuo.
La storia della vita di Saga. Una parabola tinta di blu, dal suo arrivo al Santuario alla sua scomparsa. Una parabola che attraversa amore e solitudine, luci e ombre, fino a sfiorare il divino. Lui, che in fondo rimane del tutto umano.
Genere: Romantico, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gemini Saga, Sagittarius Aiolos
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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blu 35

35.

[Prato]

 

 

“Lo abbiamo trovato. Signore.”

“Sì.” Sussurra.

Un suono indescrivibile esce dalla sua gola e si allunga in un sospiro di dolore e di nebbia.

Il giorno sta per sorgere sulle bianche colonne dei Templi.

“Mai più,” Dice. “neanche in questa luce di Grecia, mai più saranno così chiari.”

 

Saga abbandona per un istante la maschera e gli abiti sacerdotali.

Con l’ultima forza che gli resta, diluita nel colorarsi del giorno, esce di nascosto dal suo Tempio e cammina per quella strada che non vuole percorrere mai più. Corre su quelle scale che non desidera più salire mai più.

C’è una porta bianca, e oltre alla porta, una lunga stanza vuota e fredda. Accanto alla parete, un semplice tavolo di marmo.

“Ricordo questa scena.”

E sul tavolo lui.

“Aiolos.”

Si avvicina. Passi che rimbombano tra pareti silenziose. Ha come la sensazione che questa stanza per cadaveri, di cadaveri ne contenga due. 

“Ai –“

Lo sfiora con una mano. Appena, gli accarezza la guancia, le labbra, il volto coperto di terra e di sangue. Nessuno l’ha ripulito.

“Cosa abbiamo fatto? Cosa ti ho fatto? Io?” Sussurra.

E all’improvviso, si rende conto.

Ci sono tante cose che vorrebbe chiedergli. Ma lui non può parlare. Non parlerà mai più. È morto e non parlerà mai più, mai più sentirà il timbro della sua voce, o il calore del suo petto, mai più potrà toccare e vedere quel corpo così bello, mai più potrà sentirsi a casa assieme a lui.

È morto.

“Cos’ho fatto?”

C’è un pallido riflesso celeste tra i capelli di Saga in questo momento. Lui lo sa. Che è il regalo dell’alba, il più prezioso dei doni, e sparisce con il tempo di una meridiana celeste che segna i minuti, le ore.

Si inginocchia accanto al corpo inerte e piange. Per tutto il tempo che gli resta, prima di morire un po’ anche lui.

È morto.

 

“Non piangere, Saga.” Diceva un tempo Shion. “Un Cavaliere non piange.”

Un Cavaliere non piange alla luce del giorno.

Per un attimo, si ricorda di Kastor. Di quell’immagine che col tempo si è sbiadita come molte cose nel suo cuore, e lo rivede steso su questa stessa tavola, rigido di morte e bianco come il mantello di un guerriero, come le vele che solcano il mare di prima mattina. Era fiero e maestoso, il suo volto compunto, e sapeva di essere morto nel giusto.

Così Saga l’aveva lasciato andare.

Ma Aiolos, Aiolos sapeva di non essere morto nel giusto. Aiolos sapeva di essere morto nella sofferenza, e di essersi condannato. Sapeva di aver trattenuto il fiato per salvare un essere indegno. Sapeva di morire perché amava un essere indegno.

Credeva di salvare un uomo celeste che si era solo addormentato.

E il suo viso, così abbagliante ora, porta per Saga i segni di questa pena.

Morto nel disonore e nella pena.

“Cosa potevo farti di peggio, amore mio?”

Si rialza. Gli sfiora i capelli.

“Nessuno ti ricomporrà. Perché sei morto da traditore, e ai traditori la sepoltura non è concessa. Sei morto da empio, e hai rovinato l’attesa di questo Santuario. Per me, anche, sei morto da traditore. Ma come faccio a lasciarti qui nelle loro mani?”

Non riesce a smettere di toccare quel viso. Fa male, è gelido, ad ogni tocco sembra bruciarlo. Fa male anche vederlo. Ricorda la pelle dei morti, quella dei bambini coperti di lividi blu e macchie di sangue, quella di Kastor che era bianca come un mantello. Anche la sua è bianca come un mantello. Pallida come il marmo su cui riposa. Non c’è vita in essa. Tutto il suo colore splendente… Aiolos il luminoso non emana più rilessi dorati.

“Non sanno nulla. Non sanno… nulla… io... ti porterò lontano.”

 

C’è un prato, dietro ai campi di allenamento, sempre battuto dal sole fino a tardi. Oggi che è quasi terminata l’estate verdeggia come una volta.

Saga se lo ricorda bene, colorato e odoroso in quella stagione lontana. La stagione splendente.

Che non tornerà mai più.

“Da domani questo prato sarà popolato dai fantasmi, e nessuno disturberà il tuo sonno.”

Finché non tornerò.

Ha scavato una fossa, smuovendo la terra come un animale. Ha respirato l’odore umido della profondità ctonia, e ne è rimasto intossicato. La terra è marcia, sotto. È bagnata. Ha guardato Aiolos e si è chiesto quanto in fretta questa terra possa consumare il suo splendido viso.

Ha baciato le sue labbra inerti e fredde – ed è stato colto da un brivido di orrore.

L’ha avvolto in un mantello candido come un giglio, candido come le vele che solcano il mare dirette in posti forse più felici.

L’ha lasciato scivolare. Il suo ultimo abbraccio. Nel petto profondo e mutevole della terra l’ha richiuso, per l’eternità confinato sotto la luce solare che gli appartiene. Per l’eternità spoglio, e disadorno, per l’eternità condannato.

Ora guarda il tumulo di terra fresca e odorosa che si riscalda sotto la luce di questo mattino. Una giornata di fine estate.

Saga sorride.

Ironia.

Il nostro prato. La nostra stagione.

“Avevi gli occhi davvero troppo belli.”

Si scosta un filo d’erba dai capelli, vaghe sfumature celesti.

E piange ancora. Inonda la terra di lacrime.

“Sono le lacrime più sincere. Di tutto il male ch ho fatto, Aiolos, di tutto il sangue di cui mi sono macchiato, il tuo solo brucerà in eterno. Il tuo solo non doveva… non doveva essere…”

Non un nome resterà inciso nella pietra, consegnandolo all’immortalità come il più santo, e il più luminoso, e il più bello tra i Cavalieri di Atena. Nulla. Sarà presto polvere.

Saga disegna il suo nome con la punta delle dita sul terriccio, poi cancella.

Perché? si chiede. Da domani il nostro prato sarà popolato dai fantasmi.

“Io – cosa posso fare ora, che ho perso tutto?”

Indugia, Saga. Non se ne vorrebbe andare. Se potesse, scaverebbe una fossa accanto alla sua, si coricherebbe nell’abbraccio di morte della terra, e, sfiorandolo, si lascerebbe ricoprire. Se potesse.

“In fondo, sono già morto. Qui. Muoio anch’io.”

È giorno pieno, ormai.

Si spegne la meridiana celeste. Il sole accarezza capelli dai pallidi riflessi blu, e un volto sofferente come la luna.

“Qui, con te, ritornerà anche il mio corpo. Promesso, amore mio.”

 

Il più santo, il più luminoso, il più bello di tutti i Cavalieri, questa notte ha accettato il suo destino di morte. Per salvare la Dea, e per salvare l’uomo che ama. Non importa quanto dovrà costare.

Saga non saprà mai perché Aiolos s’è portato il suo nome nella tomba.

Eppure, nel momento del loro addio, quando si è voltato verso di lui prima di scomparire dalla finestra, ha sorriso.

“Svegliati.” Ha detto.

Saga si risveglierà, un giorno, da questo lungo sonno.

 

Convocare tutti i Cavalieri, pensa Saga.

Allontanarli.

Si immerge nella vasca da bagno con un sospiro.

Il cielo è già azzurro, fuori dalla finestra, ma per quanto sole splenderà sulla Grecia, i Templi non saranno mai più chiari come prima.

Spegnere i Templi. È l’ora stabilita?

Scivola più in basso, sommerso dall’acqua. I suoi capelli volteggiano come onde sulla superficie, morbidi, serici. Pallidi.

Fili di nebbia.

Finita anche l’ultima ora di Saga celeste.

 

Un colore

Così vuoto,

il tuo.

 

 

 

***

Basta, mi metto a piangere. Non pensiamoci più. Come ho fatto a scrivere questa roba? Sono appena tornata da Lucca, sono ancora mortalmente stanca. Quest’anno è successo anche a me il celebre: “Ho fatto milioni di foto e non c’è manco un album con me in tutta facebook.” I miei 15 minuti di gloria sono sfumati nel nulla. Meglio concentrarsi su Blu.

Al solito, le risposte alle recensioni, sotto le recensioni!

I luf yah!

   
 
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