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Autore: Me91    05/11/2011    0 recensioni
Questa è la storia di un cane. Un cane come tanti altri, un Pointer, che racconta la sua vita fatta di ricordi dolci e amari: dall’infanzia alla vecchiaia.
Storia partecipante al contest "Animal Stories" indetto da Gabby_8827
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quant’è vero che il tempo passa in fretta
 
La sveglia suonò allegramente, vibrando sul comodino in legno chiaro e avvicinandosi sempre più pericolosamente al bordo, minacciando di cadere da un momento all’altro.
Rapido attraversai il salotto, abbandonando il mio morbido cuscino che fungeva da giaciglio, raggiunsi la camera, aprii la porta socchiusa con il naso e saltai sul letto, riempiendo di baci il viso di Earl che borbottò di smetterla, per poi scoppiare a ridere.
La sveglia cadde infine a terra e si zittì.
«Su, Paul, smettila, smettila! Sono contento anch’io di darti il buongiorno, ma basta...!» provò Earl, mentre ci mescolavamo tra le coperte e i cuscini, in una buffa confusione.
Buffo, proprio come il perché mi avesse chiamato Paul.
Ero con Earl da nemmeno una settimana e lui, da bravo ragazzo single, era intento a pulire minuziosamente casa; al momento passava lo straccio bagnato a terra, intimandomi a rimanere sul divano, fermo, qualsiasi cosa fosse accaduta, altrimenti avrei di nuovo sporcato. Obbedivo in silenzio, guardandolo incuriosito lucidare il pavimento marroncino. Intanto alla radio c’era la pubblicità di un nuovo supermercato ed entrava un’aria davvero pungente dalle finestre lasciate momentaneamente aperte per far asciugare in fretta il pavimento. D’un tratto la pubblicità finì e al suo posto partì una canzone annunciata con il titolo di “Maybe I’m Amazed”. Drizzai le orecchie, in ascolto. I toni così profondi della voce del cantante e la melodia di un ottimo gusto, a mio parere, mi portarono ad ululare in direzione della radio, seguendo quasi il ritmo della canzone. Earl smise per un attimo di pulire, ascoltò la canzone, guardò me ed esclamò con una risata:
«Ti piace Paul McCartney? Davvero ti piace? Molto bene, molto bene, Paul
 
Earl è un informatico. Lavora a casa a lungo, anche sette o otto ore al giorno, a volte fino a tarda notte. Progetta software per un’azienda e perfeziona programmi, tutto nel suo studio, in cui trova l’ambiente di lavoro ideale.
E’ una persona schiva, un po’ solitaria, che ha ricercato la compagnia di un cane per non sentirsi troppo solo. Mi disse di aver scelto me perché, a prima vista, aveva intuito che gli assomigliassi molto nel carattere; teoria confermata.
Aveva provato ad avere qualche relazione, con due o tre ragazze, ma tutto si concludeva con un nulla di fatto. Era troppo timido, non andava mai bene. Però lui era comunque felice. Sì, felice. Ero io la sua felicità e questo mi rendeva particolarmente orgoglioso. Sono un cane obbediente, pulito e silenzioso, proprio come piace a Earl. E sì, ero felice anch’io.
 
Iniziò tutto una mattina di autunno, durante una nostra passeggiata insieme, per l’abituale giro del quartiere alberato. Le foglie marroni, rosse e gialle a terra ruotavano al vento creando una vista davvero suggestiva.
Avevo ormai quindici anni.
Earl camminava al mio fianco, con le mani in tasca e il capo del guinzaglio legato ad un polso; io avanzavo con calma, forse un po’ stanco, come mi sentivo da qualche tempo. Avevo il muso rivolto verso terra, forse in cerca di qualche odore che il mio naso poteva captare lievemente; quasi non vidi l’idrante rosso davanti a me che riuscii ad evitare grazie anche ad una tempestiva strattonata di Earl.
«Ehi, amico, tra un po’ ci sbattevi il muso...» commentò lui, con un accento impensierito nella voce.
Mi resi conto di non riuscire a mettere bene a fuoco le cose intorno a me. Attribuii tutto questo alla stanchezza e non ci feci più troppo caso.
La vista non tornò più quella di prima e nei giorni successivi iniziai anche a risentire dell’età, muovendo le zampe con più fatica. Comunque non mi persi mai d’animo, andando a svegliare Earl tutte le mattine con allegra irruenza, strattonandolo nei primi dieci metri di strada non vedendo l’ora di annusare la profumata urina della bellissima Setter del vicino di casa, mangiando sempre tutto e voracemente. Semplicemente ora mi stancavo con maggiore facilità, ritrovandomi spesso con il cuore che batteva forte e il fiato corto, anche solo dopo una breve scalinata. Earl se ne accorse e, premuroso, evitava di farmi camminare troppo a lungo o di percorrere strade con troppi “sali-scendi”.
L’inverno era giunto quasi al termine, quando quella mattina la sveglia del mio padrone iniziò a suonare come al solito alle otto meno dieci. Earl non riuscì a destarsi in tempo per zittirla, così che questa cadde a terra come ogni volta, tacendo. Il ragazzo sbadigliò sonoramente e si mise seduto sul letto, arruffandosi ulteriormente i capelli con una mano e infilandosi gli occhiali. Dopo qualche secondo ancora di stordimento realizzò che c’era qualcosa che non andava. Volgendo uno sguardo alla porta socchiusa della camera si sbrigò ad alzarsi, si infilò la vestaglia e giunse in salotto, preoccupato.
Io ero là, sdraiato a terra, immobile.
Non percepii affatto Earl gettarsi di colpo in ginocchio accanto a me, sollevandomi, scuotendomi e chiamandomi; non rispondevo.
Quando ripresi conoscenza mi trovavo sul tavolo del veterinario, attaccato ad una flebo. Sentii il dottore spiegare che avevo avuto un forte attacco di cuore e che ero vivo per miracolo. Però, purtroppo, ero rimasto a lungo privo di sensi e senza respirare; la scarsa affluenza di sangue al cervello e la mia avanzata età avevano provocato dei danni celebrali: ero rimasto paralizzato dalla vita in giù. Il fatto di non sentire più le zampe posteriori mi fece andare nel panico: iniziai ad agitarmi, mentre il respiro si faceva corto e il cuore batteva così forte da farmi male. Earl tentò di calmarmi, ma, non riuscendoci, il veterinario fu costretto ad iniettarmi un leggero calmante, che mi fece placare.
Iniziò un brutto momento per me ed Earl che era costretto a premermi sulla vescica per farmi fare la pipì, visto che non sentivo più lo stimolo, e a raccogliere i miei bisogni pulendomi anche spesso. Io continuavo a dimostrargli il mio affetto con leccate e uno sguardo grato; questo lo tirava sempre un po’ su. I primi giorni furono davvero difficili per entrambi, ma poi il tutto divenne come una routine e le cose andarono un po’ meglio.
Io comunque peggioravo costantemente, si capiva. Prendevo molte pillole, camuffate nel cibo, ed Earl mi faceva spesso punture o flebo, come gli aveva insegnato il veterinario. Una volta a settimana avevo il controllo; non era mai un bel momento perché il dottore non poteva far altro che constatare l’aggravarsi della mia situazione. La paralisi si stava estendendo e io ero sempre più stanco ed affaticato anche se me ne stavo sdraiato tutto il giorno. Il veterinario aveva iniziato a proporre un “metodo rapido per far finire le sofferenze”, come l’aveva definito; vidi Earl diventare scuro in volto, incapace di dire niente. Continuammo ad andare avanti, entrambi senza pensare molto alla mia condizione; io sempre allegro e amorevole nei suoi confronti e lui pieno d’affetto in ogni momento.
Venne presto, però, il momento di tornare alla realtà.
Era subito dopo pranzo che iniziai a stare veramente male. Sdraiato su un fianco ansimavo pesantemente e l’aria calda di inizio estate certo non mi aiutava. Mi sentivo il corpo pesante e il cuore batteva forte, fortissimo, togliendomi il respiro. Non riuscivo a tenere molto aperti gli occhi.
Vidi Earl decidere.
Capii che aveva deciso dall’espressione del suo volto: era lontana, spenta, veramente affranta.
Ma io ero d’accordo: lui sapeva che era giusto e io volevo dimostrargli che mi fidavo ciecamente del suo giudizio. Provai a scodinzolare, ma ovviamente non ci riuscii; provai allora ad alzare un po’ il capo per leccargli la mano vicino il mio muso, ma non riuscii a fare nemmeno quello. Earl parlò con il veterinario al telefono, poi mi prese in braccio e uscimmo insieme di casa. Mi teneva stretto a sé, dolcemente; ricordo, era una bellissima emozione. Poi mi adagiò sul sedile della macchina e partimmo.

Continua...

Ecco qua l'ultimo capitolo; e tra un po' posterò anche l'epilogo. Grazie millissime a tutti coloro che mi hanno seguito fin qui e... a presto! :)
  
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