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Autore: Eterocromia    05/11/2011    1 recensioni
Venga tu dal cielo o dall'inferno, che importa, o
Beltà, mostro enorme, pauroso, ingenuo; se il tuo
occhio, e sorriso, se il tuo piede, aprono per me la
porta d'un Infinito adorato che non ho conosciuto?
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Daemon Spade, Giotto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The ballad of Mona Lisa








~
Venga tu dal cielo o dall'inferno, che importa, o
 Beltà, mostro enorme, pauroso, ingenuo; se il tuo
 occhio, e sorriso, se il tuo piede, aprono per me la
 porta d'un Infinito adorato che non ho conosciuto?
~





Trascinava le membra anemiche e singolari per i corridoi infiniti di quell’immensa villa, leccandosi le labbra sottili, agognando disperazione e dolore. In una mano stringeva una lampada ad olio, che gli donava abbastanza luce da incorniciare il suo volto spettralmente affascinante e indicargli la via. Nel buio rigoglioso che come alone lo seguiva, si stagliò una calda e flebile luce dallo spiraglio di una porta socchiusa. L’intraprendenza lo colse e lo spinse ad avvicinarsi, ben consapevole di ciò che quella stanza nascondeva con ardore. Daemon Spade si avvicinò con cautela silenziosa, lasciando che le sue vesti provocassero un fruscio appena accennato. La mano guantata si appoggiò sulla maniglia e scivolò con perfezione, e altrettanto fece il suo sguardo. Una figura nuda e scultorea stendeva dormiente sul letto color crema, con il volto pensieroso affondato nel candido cuscino. La chioma bionda era perfettamente al suo posto, incorniciando i preziosi segreti che quelle ciglia conservavano; la luce tenera rimbalzava fluidamente sulla schiena scoperta di Giotto, e scompariva man mano al di sotto delle natiche coperte in malo modo dal lenzuolo.
La candela che era appoggiata sul comodino era sferzata dal gelo proveniente dalla finestra spalancata sulla notte solitaria e triste. A passi svelti fece irruzione nella camera vittoriana, poggiò con arguzia la lampada su un mobile e volò a chiudere la finestra gelida; le tende amaranto si richiusero in esse, spingendolo verso il letto matrimoniale. Dall’alto, fissò le armoniose forme del corpo di quel maledetto demone e ne divorò i confini, al solo pensiero di quanto potesse essere ingannevole il genere umano.
Le mani di Giotto erano aggrappate dolcemente al suo libro preferito –I fiori del male- e apparivano come rami decrepiti e sull’orlo di cedere. Nonostante tutto, non smetteva di essere bello. E le sue scapole -le sue dannate scapole!- fuoriuscivano bruscamente dalla schiena, arcuate in una perfezione geometrica. Daemon era fermamente convinto che la sua pelle prima o poi si sarebbe strappata in quel punto, e ne sarebbero fuoriuscite delle meravigliose ali che gliel’avrebbero portato via; il diretto interessato l’aveva contrastato con un sorriso –i suoi dannati sorrisi!- e gli aveva risposto che, se mai le sue scapole si fossero rivelate delle ali, sarebbero state ali senza piume: solo uno scheletro marcio e ammuffito dai peccati di cui si era macchiato. Il suo cuore ribolliva di ossessione mista a rabbia quando gli sorrideva in quel modo; anzi, sorrideva sempre in quel  modo incomprensibile eppur così affabile.
Le sue labbra erano una Monna Lisa, curvate sempre in un malizioso segreto.


She paints her fingers with a close precision
He starts to notice empty bottles of gin
And takes a moment to assess the sins she’s paid for

A lonely speaker in a conversation
Her words were swimming through his ears again
There's nothing wrong with just a taste of what you've paid for




Per Daemon Spade, Giotto era anatomicamente perfetto.
I suoi occhi gioivano al sol pensare al meraviglioso sangue che ne sarebbe potuto fuoriuscire –rosso perpetuo come il suo animo nobile- nel caso avesse mai avuto la gioia di torturarlo. Quell’uomo era diventato la sua ossessione principale, la sua follia personale, a tal punto che immaginava di possederlo e annientarlo con la sua elegante violenza.
Portò una mano alle labbra e si sfilò il guanto scuro, lasciandolo scivolare sul pavimento marmoreo. In uno scatto silenzioso, balzò sul letto, poggiando le mani tese all’altezza delle spalle di Giotto, e le ginocchia all’altezza delle sue natiche; curvato su quel corpo apparentemente esanime, appariva non molto diverso da un corvo pronto a divorare la sua preda. Stirò le labbra in un sorriso contorto e fece pressione sul collo dell’altro con le dita, quasi a volerlo soffocare; si chinò di più, a tal punto che il suo naso sfiorava la guancia gelida di Giotto. Appariva vagamente spettrale in quella posizione, e lateralmente il suo volto non si poteva scorgere perché coperto dai capelli; quegli stessi capelli che le mani –le sue dannate mani!- del Primo avevano sfiorato più volte. Appoggiò le labbra cadaveriche sul lobo di Giotto e sussurrò, macabramente.

«Sorgi dal nero abisso o discendi dagli astri?
Il Destino incantato segue le tue gonne come un cane:
tu semini a casaccio le gioie e i disastri, hai imperio su tutto,
non rispondi di nulla


Gli occhi di Giotto si aprirono bruscamente, rivelando due gemme aranciastre che lo fissarono attentamente. Quello sguardo privo di ogni cosa colpì fortemente l’animo di Daemon Spade, convinto che un’emozione assente come quella non sarebbe mai potuta esistere in Giotto. Quest’ultimo si ricompose immediatamente, socchiudendo gli occhi pacatamente e sorridendo ancora una volta. Non c’era esitazione né paura, era tutto scomparso. Daemon notò di soppiatto come la mano che stringeva il libro si protese verso di lui, sfiorandogli la guancia. Un miracolo bloccò Daemon dal saltare via, perché quella mano era più gelida della sua pelle cadaverica, ma questo pensiero venne subito scaldato dalla voce –la sua dannata voce!- di Giotto, che gli rispose letteralmente per le rime.

«Cammini sopra i morti, Beltà» le labbra si incurvarono in qualcosa di tremendamente ipnotizzante «e ti ridi di essi, fra i tuoi
gioielli l’Orrore non è il meno affascinante e il Delitto,
che sta fra i tuoi gingilli più cari
» lentamente, lasciò scivolare la mano ghiacciata fino al collo, donandogli brividi «sul tuo ventre orgoglioso danza amorosamente.»
I sospiri tiepidi si abbattevano contro la guancia immacolata di Giotto, che non smetteva di sorridere. Lo odiava, con tutto il cuore, e di risposta gli morse dolorosamente la guancia, che si dipinse di un rosso sfumato.
Giotto tacque.
Daemon iniziò a ridere.



He senses something, call it desperation
Another dollar, another day
And if she had the proper words to say,
She would tell him
But she'd have nothing left to sell him



Come un folle, spostò il suo volto sulla schiena priva di imperfezioni, e ne iniziò a baciare tutta la superficie. Stanco poi di giocare, la sua attenzione si focalizzò di nuovo su quelle scapole tentatrici; spostò lo sguardo a Giotto che lo fissava di nuovo in quel modo, e gli si avventò sulle labbra in un bacio che gli tolse tutto il fiato, mentre sfilava dai pantaloni un coltellino. Si allontanò dal suo volto e prese memoria della curvatura perfetta delle sue scapole: con uno scatto improvviso, prese il mento di Giotto all’indietro con una tale forza che lo costrinse a rialzarsi di poco col busto, poggiando i gomiti. In quella posizione, Daemon poteva vedere esattamente di fronte ai suoi occhi la bocca –quella dannata bocca!- di Giotto striata in una smorfia mista a fastidio e sorpresa. Nuovamente, si gettò sulle sue labbra, assaporandone il vino che declamavano.
La mano sinistra gli teneva il petto scoperto, mentre la destra fece roteare il coltello e poi si avventò alle sue scapole.



Say what you mean
Tell me I'm right
And let the sun rain down on me
Give me a sign
I want to believe

Woah, Mona Lisa,
You're guaranteed to run this town
Woah, Mona Lisa,
I'd pay to see you frown




Iniziò lentamente a trafiggerlo in quel punto, tracciando linee apparentemente confuse. Non abbandonò affatto la bocca dell’altro, che ora gli urlava pietà e si dimenava; sentiva pienamente i gemiti di dolore che gli accarezzavano le corde vocali, il battito accelerato e, soprattutto, il rumore del suo sangue che già sgorgava caldo.
Con macabro gusto, continuò la sua opera, passando all’altra scapola. Nonostante in quel momento non avesse visione di come stava operando, era consapevole della precisione anormale che impiegava in lavori del genere.
Lasciò le labbra tremanti di Giotto –e di conseguenza lasciando che l’intero corpo ricadesse sul letto- solamente quando ebbe terminato: ora ammirava con una risata il sangue amaranto che colava dalle ali che aveva inciso sulla schiena non più vergine di Giotto.
La lampada iniziò a fulminarsi, dando luce sempre più fioca.
Il corpo di Giotto tremava, ma a stento si notava; aveva chiuso gli occhi, non volendo mostrare il dolore che gli adornava le iridi, ma il sorriso ancora c’era, seppur come l’ombra di un fantasma.

«Non c’è niente di male a voler solo un assaggio del tuo dolore, Giotto.
Perché non lo condividi con me?» sibilò il demone, ridendo.
Non avvertendo risposta, continuò il suo discorso insano.
«Ti ho appena donato la libertà» la sua espressione cambiò, diventando quasi triste.
«Perché non voli via da me?»

«Sarebbe da stupidi volare in una gabbia che non ha spiragli né appigli.»
Daemon giurò di aver visto un luccichio balenargli negli occhi impercettibilmente socchiusi.
«E poi, dopotutto, non è male essere imprigionati nel tuo cuore, Daemon.»

Giotto sorrise.
Daemon avvertì il bisogno di piangere.

Da Satana o Dio, che importa? Angelo o Sirena,
 che importa se tu –fata dagli occhi vellutati, profumo,
luce, mia unica regina- fai l’universo meno orribile e
questi istanti più gravi?

  
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