Chapter
05:
La controffensiva
Gli echi della tragedia di Greenfield Bay non avevano
impiegato molto tempo per raggiungere Port Royal, e ora erano sulle bocche di
tutti, miserabili ed aristocratici. Si mormorava che i Corsari della Regina
fossero stati inviati verso i Caraibi per porre fine a quei massacri
ingiustificati, ma non tutte le navi riuscivano ad attraversare l’oceano sane e salve. C’erano i giorni di bonaccia, c’era
la mancanza di rifornimenti, c’erano le tempeste, e naturalmente c’erano anche
tutte le altre navi illegalmente pirata, che bloccavano i
corsari prima ancora che potessero raggiungere la loro destinazione.
Coloro che ce la facevano, ed erano stati al massimo due, non erano ancora riusciti a raggiungere la
Coleridge. Essa doveva procedere alla sua normale e non invidiabile velocità,
ma attorno alla nave del Capitano mascherato fiorivano tempeste, gorghi e
cavalloni come non se n’erano mai viste. L’ultima cosa che sentivano
i corsari che sprofondavano nell’oceano con la loro nave era una candida
melodia di flauto traverso.
Proprio uno di questi corsari ciondolava seduto al banco del “Vecchio
Marinaio”, raccontando delle sue disgrazie a chiunque fosse disposta
ad ascoltarlo. All’ombra di un angolino riparato, Sonia
ascoltava senza un particolare interesse. Quell’uomo era stato vittima della
Coleridge, come molti altri prima di lui, e non sarebbe stato
certo l’ultimo. Era stato ritrovato sulla spiaggia bianca vicino
a Port Royal con una corda stretta intorno alla gola, le cui vene
bluastre ormai sporgevano dalla pelle. Era stato un miracolo se non era morto
soffocato, ucciso dalla perfezione come al solito
pulita e asciutta tipica della Balia.
Sonia sospirò, passandosi una mano
fra i capelli corti, biondi. I suoi occhi un tempo
neri e lustri come scarabei adesso erano di un grigio scuro e molto spento,
piatto. Non che fosse ubriaca: del resto, poteva permettersi di bere soltanto
acqua.
La notte volgeva al termine,
colorando l’ambiente del grigio azzurrino tipico del momento che precede l’alba. Sonia si sporse per osservare dalla finestra
le stelle ancora visibili, e non poté che rasserenarsi. Non si sentiva sicura
la notte. Era il regno dei suoi incubi peggiori, dei suoi ricordi più
spiacevoli. Quando arrivava il tramonto il suo cuore
aveva un tonfo, riconoscendo nei colori pastello gli stessi che avevano
illuminato il corpo tranciato in due dell’infimo signor Livingstone. Poi la
notte calava gocciolante intorno a lei, come un calamaio che viene
rovesciato su un quadro mal riuscito. E allora il cielo trapunto
di stelle non le appariva come uno splendido spettacolo; era il riflesso di un
incubo a occhi aperti, che purtroppo non era soltanto un miraggio, ma era la
realtà. Non le restava altro da fare che nascondersi al Vecchio Marinaio a leccarsi le ferite. Era l’unico luogo che
traspirava una sorta di atmosfera, qualcosa che la
riportava ai suoi primi due anni di vita, quando i pirati non avevano avuto
ragione della sua esistenza, quando ancora era bello navigare per i mari del
continente Americano.
E quel corsaro sventurato sembrava
fosse lì apposta per farle sentire distintamente quell’emozione, non per le
storie che raccontava. Era più il suo aspetto, o il suo tono di voce. Anche lui
un sopravvissuto, come lei, alla Coleridge, anche lui aveva vissuto l’incubo
del mare ingrato del quale aveva osato desiderare di essere
sovrano.
Sonia non riuscì a trattenere il
flusso delle sue riflessioni e così, per evitare che sfociasse nell’assurdo, uscì dal Vecchio Marinaio. Attraversò la silenziosa Port Royal che tra poche
ore si sarebbe risvegliata per riprendere la solita vita, cercando di respirare
al massimo quell’odore notturno. Magari un giorno sarebbe riuscita ad
apprezzarlo; per ora ne era soltanto terrorizzata. Conosceva bene quel buio, lo ricordava, dolorosamente. Il buio nel quale aveva vissuto molti dei suoi anni.
L’intervento dei corsari
dall’Inghilterra si era rivelato del tutto inutile. Chi aveva visto la
Coleridge almeno una volta, non voleva parlare, e se parlava, non diceva nulla
di rilevante per la caccia. Il Commodoro Norrington non sapeva più dove
sbattere la testa, come egli stesso aveva ammesso di
fronte ad alcuni suoi fidati sottoposti.
Greenfield Bay era uno dei paesi
di mare più vicini a Port Royal, il quale a suo volta
era uno dei pochi luoghi che non avevano ancora subito le razzie della
Coleridge. E non ci voleva molta fantasia per
immaginarsi che presto la fortuna si sarebbe capovolta per le famiglie che
popolavano Port Royal.
Stavolta Norrington non si sarebbe
lasciato fermare dalle titubanze di un vecchio nonno troppo intento ad ammirare
i suoi nipoti per prendere in mano la situazione. Poteva essere la sua
occasione per raggiungere un gradino ancora più alto, dimostrando
contemporaneamente a ogni Inglese che si rispetti che
solo lui era in grado di porre fine per sempre all’incubo della Coleridge.
Aveva deciso di inviare soltanto
un messaggio al Governatore Swann circa i suoi intenti di dare il via ad una
controffensiva. Era certo che l’urgenza del pericolo avrebbe risvegliato
perfino il Governatore. L’attacco a Greenfield Bay aveva gettato tutti nel panico,
e se Norrington non prendeva subito gli adeguati provvedimenti, chi poteva
farlo?
- Commodoro Norrington…? - azzardò
timidamente un uomo, ridestando improvvisamente il suo superiore: voltandosi
dalla finestra del suo ufficio fino alla porta, sul lato opposto di esso, Norrington si rese conto che il suo sottoufficiale
aspettava ancora degli ordini.
- Fate armare la Mary Stuart, -
ordinò freddamente il Commodoro, scrutando di nuovo la vita fiorente del porto
che si poteva ammirare dall’altro guardando dalla sua finestra. - E voglio una piccola flottiglia pronta ad intervenire in
caso di bisogno. -
L’altro
annuì meccanicamente, con una certa fretta di andarsene. Chiunque non amava
molto parlare con il Commodoro Norrington quando quest’ultimo preparava una
controffensiva all’insaputa del Governatore, cosa che per lui era già una
specie di sacrilegio.
- Che i
cannoni siano pronti ad accogliere qualsiasi attacco! - aggiunse Norrington con
un latrato che increspò la sua voce misurata, - E’ molto probabile che la
Coleridge ci attaccherà dal mare senza avvicinarsi. Voglio tre turni di guardia
da otto ore, venti guardie sul camminamento ovest e altre dieci su ogni altro
lato. Appena la Coleridge viene avvistata, faremo
evacuare gli abitanti di Port Royal fin dentro il forte, e tenderemo un agguato
a quelle creature di Satana! -
- Funzionerà senz’altro,
Commodoro, - convenne il tenente, pur non essendo del tutto convinto. Port
Royal aveva un buon piccolo esercito ed era bene organizzata… ma chi poteva
competere contro la protezione che le tempeste tropicali sembravano offrire
alla Coleridge e al suo equipaggio?
- Non ho chiesto da te
un’informazione sulla mia probabilità di riuscita, - fece presente il Commodoro
senza risentimento, ma con un’acutissima punta di stizza. In verità non era
molto sicuro che fosse prudente trasferire numeri così ingenti di soldati sulle
navi e sulle mura, ma non aveva altra scelta.
- Date
disposizione affinchè ogni cittadino della zona portuale trasferisca i
suoi averi all’interno del forte. In caso di pericolo nessuno dovrà restare
indietro… soprattutto i bambini. -
- Bene, signore, - annuì
l’ufficiale, - Sarà fatto, signore, -
E se ne andò,
dopo un perfetto saluto militare, lasciando il Commodoro Norrington immerso nei
suoi dubbi. In quel momento il messaggio doveva essere senz’altro già pervenuto
al Governatore, ma ora non c’era più tempo di guardarsi indietro: la
controffensiva di Port Royal stava per scattare.
Una figura si mosse dietro la
porta del Commodoro, figura che aveva sentito ogni parola restando nascosta
nell’ombra, ma Norrington parve non accorgersene; né seppe mai che Sonia Livingstone
aveva udito segretamente ogni sua singola disposizione.
- C’è movimento, giù al porto… -
Will Turner scrutava attentamente
la grande agitazione che fioriva nella zona portuale
del suo paese, cercando invano di immaginarsi che cosa ci fosse dietro
quell’improvvisa animazione.
- Ne sai qualcosa? - domandò,
rivolto a uno dei pochissimi maggiordomi della loro
nuova abitazione. Quest’ultimo alzò le spalle in modo molto educato.
- Nulla, signore, - rispose, e
Will indovinò facilmente la percentuale di bugie che poteva nascondersi dietro
quella frase che, come tutte le risposte del domestico, era sempre discreta e controllata.
- Sembra quasi che tutti se ne
stiano andando… -
Il maggiordomo proseguì incurante
nelle sue pulizie. Non era difficile tenere in ordine casa Turner. Era decisamente più piccola delle ville del resto
dell’aristocrazia di Port Royal, ricordava piuttosto una casa di ricchi
borghesi. Era situata su una collina ricca di vegetazione, poco lontana
dall’abitazione del Governatore Swann. Era stato proprio quest’ultimo a farla
costruire, per lui e sua moglie Elizabeth. Da essa si
aveva uno scorcio della zona più animata del porto, e dietro, s’innalzava
imponente il forte, con le sue mura bianco giallastre, dentro il quale
sembravano confluire tutti gli spostamenti che avvenivano giù al porto. Decine
di persone sciamavano armate di casse e carriole, trasportando ogni genere di oggetto fino, appunto, al fortino centrale.
- Sembra un’evacuazione generale… -
commentò Will Turner fra sé, a voce non troppo alta. D’un tratto però sentì una
serie di passi concitati, seppure ostacolati dall’abito, e li identificò
senz’altro come quelli di Elizabeth.
Semi strozzata dal corsetto che ancora la sua
domestica la esortava ad indossare, con la giustificazione che si trattava di
un regalo del Governatore, e che fosse quindi buona norma accettare, la moglie
di William gli fu a fianco e indovinò immediatamente che cosa avesse catturato
l’attenzione di suo marito.
- Ho appena saputo da mio padre… -
ansò Elizabeth, e Will, premuroso, si affrettò ad allentarle i nodi del
corsetto, - Grazie… Ho appena saputo che il Commodoro Norrington sta preparando
una controffensiva alla Coleridge senza richiedere il suo consenso! -
- Non l’ha presa
bene, eh? -
- No, - annuì Elizabeth sorridendo
maliziosamente, - Era paonazzo. -
Per entrambi, comunque,
il fatto più eclatante della notizia non era il fatto che si fosse agito senza
approvazione del Governatore di Port Royal: senz’altro il fattore più degno di
nota era che, almeno fino a quel momento, nessuna città si era mai arrischiata
nel dichiarare battaglia alla Coleridge.
- Dunque Norrington ha intenzione
di nascondere la gente di Port Royal nel forte, - arguì William, ma fu
immediatamente redarguito da un gesto eloquente della moglie, che si premette
l’indice sulle labbra per ricordargli che, nella stanza attigua, loro figlio stava ancora dormendo. Will si strinse nelle
spalle come se avesse appena pronunciato un’eresia, poi riprese, a voce più
bassa: - Tuo padre che cosa ne pensa? -
- Dice che è un’impresa folle, -
commentò amaramente Elizabeth, - Che nessuno può sconfiggere la Coleridge… e
dice anche che comunque non si avvicinerebbero mai a
Port Royal. -
- Come fa ad esserne certo? - si
meravigliò Will.
Sua moglie scosse le spalle. Non
sapeva altro, e neanche lei capiva il perché del comportamento del padre.
- Io, comunque…
ritengo che il Commodoro abbia ragione. -
Will non era
meravigliato di quelle parole, non le trovava strane, soltanto un po’
inaspettate. Si volse rapidamente alla sua destra, verso Elizabeth, soltanto
scoprire i suoi occhi lucidi e l’espressione di pianto trattenuto. - E’ solo
che penso… che… magari… se la Coleridge arrivasse fin
qua… cosa succederebbe a lui? -
- Liz… - Will era al metà fra il confuso e l’amareggiato. Poteva immaginare
che cosa affliggesse a tal punto Elizabeth, ma in un certo senso avrebbe preferito non saperlo, soltanto per non doversi fare
un’idea troppo pessimistica. Posò le mani sulle spalle di Elizabeth
e la strinse addosso a sé, mentre lei lottava sempre di più per respingere le
lacrime. - Sveglierai il bambino, - sorrise Will per tirarla su di morale. Il
maggiordomo pensò bene di togliere il disturbo.
I singhiozzi di Elizabeth
si fecero sempre più convulsi, fin quando non si trasformarono in una risata
che la donna non si sforzò di reprimere. Non sapeva esattamente perché le fosse
venuto da ridere a quel modo. Ma le era tornata un po’
di speranza.
Sollevando da
terra la gonna vaporosa perché non la intralciasse, corse istintivamente verso
la stanza dove suo figlio ancora dormiva, in un gesto impulsivo di controllare
che andasse tutto bene, che lui fosse ancora lì, che non c’era alcun motivo di
preoccuparsi.
Il bambino dormiva, infatti, tranquillamente nella sua culla, sommerso dai
pizzi dei suoi vestiti infantili. Le guance erano
rosee e l’espressione serena. Teneva teneramente il pollice fra i denti,
essendosi addormentato in quella posizione.
Will si fece alle spalle di Elizabeth, cingendole la vita con le braccia.
- Oh, Will… -
sospirò Elizabeth, guardando intensamente il suo bambino, - Come vorrei che
fosse un po’ più grande… soltanto un po’ più grande… -
- Non gli succederà
niente, Elizabeth, - la rassicurò Will, - Non glielo permetteremo. -
Elizabeth trasse conforto da
quelle parole, ma soltanto fino a un certo punto.
Sapeva che né lei né Will avrebbero mai permesso che
la Balia portasse via anche a loro quel dono così importante, ma era
equivalente la consapevolezza che, contro i pirati della Coleridge, ogni
resistenza fino a quel momento dimostrata si era sempre rivelata vana.