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Autore: Marghe    20/03/2004    0 recensioni
[ "Credetti veramente in quello che mi disse. Credetti davvero che Dio mi avesse punita. E allora io… io abbandonai Dio. E vendetti la mia anima..." ]
Genere: Avventura, Dark, Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Chapter 05:

Chapter 05:

La controffensiva

 

 

 

 

 

Gli echi della tragedia di Greenfield Bay non avevano impiegato molto tempo per raggiungere Port Royal, e ora erano sulle bocche di tutti, miserabili ed aristocratici. Si mormorava che i Corsari della Regina fossero stati inviati verso i Caraibi per porre fine a quei massacri ingiustificati, ma non tutte le navi riuscivano ad attraversare l’oceano sane e salve. C’erano i giorni di bonaccia, c’era la mancanza di rifornimenti, c’erano le tempeste, e naturalmente c’erano anche tutte le altre navi illegalmente pirata, che bloccavano i corsari prima ancora che potessero raggiungere la loro destinazione.

Coloro che ce la facevano, ed erano stati al massimo due, non erano ancora riusciti a raggiungere la Coleridge. Essa doveva procedere alla sua normale e non invidiabile velocità, ma attorno alla nave del Capitano mascherato fiorivano tempeste, gorghi e cavalloni come non se n’erano mai viste. L’ultima cosa che sentivano i corsari che sprofondavano nell’oceano con la loro nave era una candida melodia di flauto traverso.

Proprio uno di questi corsari ciondolava seduto al banco del “Vecchio Marinaio”, raccontando delle sue disgrazie a chiunque fosse disposta ad ascoltarlo. All’ombra di un angolino riparato, Sonia ascoltava senza un particolare interesse. Quell’uomo era stato vittima della Coleridge, come molti altri prima di lui, e non sarebbe stato certo l’ultimo. Era stato ritrovato sulla spiaggia bianca vicino a Port Royal con una corda stretta intorno alla gola, le cui vene bluastre ormai sporgevano dalla pelle. Era stato un miracolo se non era morto soffocato, ucciso dalla perfezione come al solito pulita e asciutta tipica della Balia.

Sonia sospirò, passandosi una mano fra i capelli corti, biondi. I suoi occhi un tempo neri e lustri come scarabei adesso erano di un grigio scuro e molto spento, piatto. Non che fosse ubriaca: del resto, poteva permettersi di bere soltanto acqua.

La notte volgeva al termine, colorando l’ambiente del grigio azzurrino tipico del momento che precede l’alba. Sonia si sporse per osservare dalla finestra le stelle ancora visibili, e non poté che rasserenarsi. Non si sentiva sicura la notte. Era il regno dei suoi incubi peggiori, dei suoi ricordi più spiacevoli. Quando arrivava il tramonto il suo cuore aveva un tonfo, riconoscendo nei colori pastello gli stessi che avevano illuminato il corpo tranciato in due dell’infimo signor Livingstone. Poi la notte calava gocciolante intorno a lei, come un calamaio che viene rovesciato su un quadro mal riuscito. E allora il cielo trapunto di stelle non le appariva come uno splendido spettacolo; era il riflesso di un incubo a occhi aperti, che purtroppo non era soltanto un miraggio, ma era la realtà. Non le restava altro da fare che nascondersi al Vecchio Marinaio a leccarsi le ferite. Era l’unico luogo che traspirava una sorta di atmosfera, qualcosa che la riportava ai suoi primi due anni di vita, quando i pirati non avevano avuto ragione della sua esistenza, quando ancora era bello navigare per i mari del continente Americano.

E quel corsaro sventurato sembrava fosse lì apposta per farle sentire distintamente quell’emozione, non per le storie che raccontava. Era più il suo aspetto, o il suo tono di voce. Anche lui un sopravvissuto, come lei, alla Coleridge, anche lui aveva vissuto l’incubo del mare ingrato del quale aveva osato desiderare di essere sovrano.

Sonia non riuscì a trattenere il flusso delle sue riflessioni e così, per evitare che sfociasse  nell’assurdo, uscì dal Vecchio Marinaio. Attraversò la silenziosa Port Royal che tra poche ore si sarebbe risvegliata per riprendere la solita vita, cercando di respirare al massimo quell’odore notturno. Magari un giorno sarebbe riuscita ad apprezzarlo; per ora ne era soltanto terrorizzata. Conosceva bene quel buio, lo ricordava, dolorosamente. Il buio nel quale aveva vissuto molti dei suoi anni.

 

 

L’intervento dei corsari dall’Inghilterra si era rivelato del tutto inutile. Chi aveva visto la Coleridge almeno una volta, non voleva parlare, e se parlava, non diceva nulla di rilevante per la caccia. Il Commodoro Norrington non sapeva più dove sbattere la testa, come egli stesso aveva ammesso di fronte ad alcuni suoi fidati sottoposti.

Greenfield Bay era uno dei paesi di mare più vicini a Port Royal, il quale a suo volta era uno dei pochi luoghi che non avevano ancora subito le razzie della Coleridge. E non ci voleva molta fantasia per immaginarsi che presto la fortuna si sarebbe capovolta per le famiglie che popolavano Port Royal.

Stavolta Norrington non si sarebbe lasciato fermare dalle titubanze di un vecchio nonno troppo intento ad ammirare i suoi nipoti per prendere in mano la situazione. Poteva essere la sua occasione per raggiungere un gradino ancora più alto, dimostrando contemporaneamente a ogni Inglese che si rispetti che solo lui era in grado di porre fine per sempre all’incubo della Coleridge.

Aveva deciso di inviare soltanto un messaggio al Governatore Swann circa i suoi intenti di dare il via ad una controffensiva. Era certo che l’urgenza del pericolo avrebbe risvegliato perfino il Governatore. L’attacco a Greenfield Bay aveva gettato tutti nel panico, e se Norrington non prendeva subito gli adeguati provvedimenti, chi poteva farlo?

- Commodoro Norrington…? - azzardò timidamente un uomo, ridestando improvvisamente il suo superiore: voltandosi dalla finestra del suo ufficio fino alla porta, sul lato opposto di esso, Norrington si rese conto che il suo sottoufficiale aspettava ancora degli ordini.

- Fate armare la Mary Stuart, - ordinò freddamente il Commodoro, scrutando di nuovo la vita fiorente del porto che si poteva ammirare dall’altro guardando dalla sua finestra. - E voglio una piccola flottiglia pronta ad intervenire in caso di bisogno. -

Laltro annuì meccanicamente, con una certa fretta di andarsene. Chiunque non amava molto parlare con il Commodoro Norrington quando quest’ultimo preparava una controffensiva all’insaputa del Governatore, cosa che per lui era già una specie di sacrilegio.

- Che i cannoni siano pronti ad accogliere qualsiasi attacco! - aggiunse Norrington con un latrato che increspò la sua voce misurata, - E’ molto probabile che la Coleridge ci attaccherà dal mare senza avvicinarsi. Voglio tre turni di guardia da otto ore, venti guardie sul camminamento ovest e altre dieci su ogni altro lato. Appena la Coleridge viene avvistata, faremo evacuare gli abitanti di Port Royal fin dentro il forte, e tenderemo un agguato a quelle creature di Satana! -

- Funzionerà senz’altro, Commodoro, - convenne il tenente, pur non essendo del tutto convinto. Port Royal aveva un buon piccolo esercito ed era bene organizzata… ma chi poteva competere contro la protezione che le tempeste tropicali sembravano offrire alla Coleridge e al suo equipaggio?

- Non ho chiesto da te un’informazione sulla mia probabilità di riuscita, - fece presente il Commodoro senza risentimento, ma con un’acutissima punta di stizza. In verità non era molto sicuro che fosse prudente trasferire numeri così ingenti di soldati sulle navi e sulle mura, ma non aveva altra scelta.

- Date disposizione affinchè ogni cittadino della zona portuale trasferisca i suoi averi all’interno del forte. In caso di pericolo nessuno dovrà restare indietro… soprattutto i bambini. -

- Bene, signore, - annuì l’ufficiale, - Sarà fatto, signore, -

E se ne andò, dopo un perfetto saluto militare, lasciando il Commodoro Norrington immerso nei suoi dubbi. In quel momento il messaggio doveva essere senz’altro già pervenuto al Governatore, ma ora non c’era più tempo di guardarsi indietro: la controffensiva di Port Royal stava per scattare.

Una figura si mosse dietro la porta del Commodoro, figura che aveva sentito ogni parola restando nascosta nell’ombra, ma Norrington parve non accorgersene; né seppe mai che Sonia Livingstone aveva udito segretamente ogni sua singola disposizione.

 

 

- C’è movimento, giù al porto… -

Will Turner scrutava attentamente la grande agitazione che fioriva nella zona portuale del suo paese, cercando invano di immaginarsi che cosa ci fosse dietro quell’improvvisa animazione.

- Ne sai qualcosa? - domandò, rivolto a uno dei pochissimi maggiordomi della loro nuova abitazione. Quest’ultimo alzò le spalle in modo molto educato.

- Nulla, signore, - rispose, e Will indovinò facilmente la percentuale di bugie che poteva nascondersi dietro quella frase che, come tutte le risposte del domestico, era sempre discreta e controllata.

- Sembra quasi che tutti se ne stiano andando… -

Il maggiordomo proseguì incurante nelle sue pulizie. Non era difficile tenere in ordine casa Turner. Era decisamente più piccola delle ville del resto dell’aristocrazia di Port Royal, ricordava piuttosto una casa di ricchi borghesi. Era situata su una collina ricca di vegetazione, poco lontana dall’abitazione del Governatore Swann. Era stato proprio quest’ultimo a farla costruire, per lui e sua moglie Elizabeth. Da essa si aveva uno scorcio della zona più animata del porto, e dietro, s’innalzava imponente il forte, con le sue mura bianco giallastre, dentro il quale sembravano confluire tutti gli spostamenti che avvenivano giù al porto. Decine di persone sciamavano armate di casse e carriole, trasportando ogni genere di oggetto fino, appunto, al fortino centrale.

- Sembra un’evacuazione generale… - commentò Will Turner fra sé, a voce non troppo alta. D’un tratto però sentì una serie di passi concitati, seppure ostacolati dall’abito, e li identificò senz’altro come quelli di Elizabeth.

Semi strozzata dal corsetto che ancora la sua domestica la esortava ad indossare, con la giustificazione che si trattava di un regalo del Governatore, e che fosse quindi buona norma accettare, la moglie di William gli fu a fianco e indovinò immediatamente che cosa avesse catturato l’attenzione di suo marito.

- Ho appena saputo da mio padre… - ansò Elizabeth, e Will, premuroso, si affrettò ad allentarle i nodi del corsetto, - Grazie… Ho appena saputo che il Commodoro Norrington sta preparando una controffensiva alla Coleridge senza richiedere il suo consenso! -

- Non l’ha presa bene, eh? -

- No, - annuì Elizabeth sorridendo maliziosamente, - Era paonazzo. -

Per entrambi, comunque, il fatto più eclatante della notizia non era il fatto che si fosse agito senza approvazione del Governatore di Port Royal: senz’altro il fattore più degno di nota era che, almeno fino a quel momento, nessuna città si era mai arrischiata nel dichiarare battaglia alla Coleridge.

- Dunque Norrington ha intenzione di nascondere la gente di Port Royal nel forte, - arguì William, ma fu immediatamente redarguito da un gesto eloquente della moglie, che si premette l’indice sulle labbra per ricordargli che, nella stanza attigua, loro figlio stava ancora dormendo. Will si strinse nelle spalle come se avesse appena pronunciato un’eresia, poi riprese, a voce più bassa: - Tuo padre che cosa ne pensa? -

- Dice che è un’impresa folle, - commentò amaramente Elizabeth, - Che nessuno può sconfiggere la Coleridge… e dice anche che comunque non si avvicinerebbero mai a Port Royal. -

- Come fa ad esserne certo? - si meravigliò Will.

Sua moglie scosse le spalle. Non sapeva altro, e neanche lei capiva il perché del comportamento del padre.

- Io, comunque… ritengo che il Commodoro abbia ragione. -

Will non era meravigliato di quelle parole, non le trovava strane, soltanto un po’ inaspettate. Si volse rapidamente alla sua destra, verso Elizabeth, soltanto scoprire i suoi occhi lucidi e l’espressione di pianto trattenuto. - E’ solo che penso… che… magari… se la Coleridge arrivasse fin qua… cosa succederebbe a lui? -

- Liz… - Will era al metà fra il confuso e l’amareggiato. Poteva immaginare che cosa affliggesse a tal punto Elizabeth, ma in un certo senso avrebbe preferito non saperlo, soltanto per non doversi fare un’idea troppo pessimistica. Posò le mani sulle spalle di Elizabeth e la strinse addosso a sé, mentre lei lottava sempre di più per respingere le lacrime. - Sveglierai il bambino, - sorrise Will per tirarla su di morale. Il maggiordomo pensò bene di togliere il disturbo.

I singhiozzi di Elizabeth si fecero sempre più convulsi, fin quando non si trasformarono in una risata che la donna non si sforzò di reprimere. Non sapeva esattamente perché le fosse venuto da ridere a quel modo. Ma le era tornata un po’ di speranza.

Sollevando da terra la gonna vaporosa perché non la intralciasse, corse istintivamente verso la stanza dove suo figlio ancora dormiva, in un gesto impulsivo di controllare che andasse tutto bene, che lui fosse ancora lì, che non c’era alcun motivo di preoccuparsi. Il bambino dormiva, infatti, tranquillamente nella sua culla, sommerso dai pizzi dei suoi vestiti infantili. Le guance erano rosee e l’espressione serena. Teneva teneramente il pollice fra i denti, essendosi addormentato in quella posizione.

Will si fece alle spalle di Elizabeth, cingendole la vita con le braccia.

- Oh, Will… - sospirò Elizabeth, guardando intensamente il suo bambino, - Come vorrei che fosse un po’ più grande… soltanto un po’ più grande… -

- Non gli succederà niente, Elizabeth, - la rassicurò Will, - Non glielo permetteremo. -

Elizabeth trasse conforto da quelle parole, ma soltanto fino a un certo punto. Sapeva che né lei né Will avrebbero mai permesso che la Balia portasse via anche a loro quel dono così importante, ma era equivalente la consapevolezza che, contro i pirati della Coleridge, ogni resistenza fino a quel momento dimostrata si era sempre rivelata vana.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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