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Autore: _Pulse_    05/11/2011    0 recensioni
Spinto da quel brivido e dal suo particolare istinto, posò un bacio sulla fronte della sua protetta e poi seguì i suoi simili, accodandosi al gruppo. Presto, però, si rese conto di non essere l’ultimo arrivato: man mano che sorvolavano i quartieri, le periferie, le città, le grandi metropoli, altri angeli – custodi e non solo – si univano al grande gruppo.
Si ritrovò accanto ad una ragazza dai lunghi capelli biondi e gli occhi verdi, sul viso un’espressione leggermente preoccupata. Lei si accorse del suo sguardo insistente ed accennò un sorriso, chiedendogli come si chiamasse.
«Franky», rispose, con lo sguardo un po’ perso. «Dovrei fartela io questa domanda ora, ma la verità è che vorrei soltanto sapere dove stiamo andando tutti quanti e che cosa sta succedendo».
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Lose and Gain'
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Ciao a tutti :) Allora, decido di postare questa storia perché ieri mi è tornata in mente dopo tantissimo tempo e mi sembrava giusto rendervi partecipi di questa piccola one-shot i cui protagonisti vi/ci sono tanto cari. Chi sono? Beh, Franky e Zoe! *-*
Il titolo, Kibō, dovrebbe significare Speranza (dico dovrebbe perchè l'ho cercato col traduttore di Google ed è rinomata la sua scarsa affidabilità ^-^").
Spero che vi piaccia, anche perché dopotutto vi sono legata :) L'ho scritta per quell'iniziativa che era stata pubblicizzata anche qui su EFP, chiamata "Autori per il Giappone": un bellissimo modo per unire tutte le persone che rivolgevano un pensiero a quel Paese e quella civiltà allora distrutta dal grave terremoto e poi dal terribile tsunami. (Per chi volesse, il link di questa FF sul sito di "Autori per il Giappone" è questo: clicca qui).
Penso di aver detto tutto... Ah! Buona lettura ;)

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Capitò a lui, come a molti altri, di sentire quel brivido corrergli su per la schiena, proprio lì in mezzo all’attaccatura delle sue ali. Un brivido forte, potente, uno di quelli che raramente si percepivano.

Si era affacciato alla finestra e aveva visto moltissime scie luminose, intrecciandosi e sciogliendosi come i fili di una matassa, andare tutte verso la stessa direzione: angeli. Non ne aveva mai visti così tanti insieme, mai. Che cosa poteva essere successo di tanto grave?

Spinto da quel brivido e dal suo particolare istinto, posò un bacio sulla fronte della sua protetta e poi seguì i suoi simili, accodandosi al gruppo. Presto, però, si rese conto di non essere l’ultimo arrivato: man mano che sorvolavano i quartieri, le periferie, le città, le grandi metropoli, altri angeli – custodi e non solo – si univano al grande gruppo.

Si ritrovò accanto ad una ragazza dai lunghi capelli biondi e gli occhi verdi, sul viso un’espressione leggermente preoccupata. Lei si accorse del suo sguardo insistente ed accennò un sorriso, chiedendogli come si chiamasse.

«Franky», rispose, con lo sguardo un po’ perso. «Dovrei fartela io questa domanda ora, ma la verità è che vorrei soltanto sapere dove stiamo andando tutti quanti e che cosa sta succedendo».

La ragazza si lasciò scappare un sorriso amaro, mentre sul suo viso tornava l’espressione tormentata che tanto aveva attirato l’attenzione dell’angelo custode. D’altronde, era proprio un tormento quello che sentiva anche lui dentro di sé, senza saperne il motivo.
Era certo che una volta arrivati a destinazione avrebbe capito tutto, ma non era altrettanto sicuro di voler conoscere il perché si stessero muovendo tutti insieme, perché tutti quegli angeli servissero in un unico posto, perché tutti fossero così tristi, preoccupati, tormentati, addolorati. No, non ne era affatto sicuro.

Il viaggio non durò molto e già nelle vicinanze della loro destinazione, Franky percepì un odore intenso e un senso di inquietudine ancora maggiore.
L’odore era quello della salsedine e delle macerie, che non riusciva però a nascondere quello ancora più fine ma allo stesso tempo intenso che tutti loro riuscivano ad identificare come quello della morte, della paura e del dolore. E quantificandone la forza, sarebbero dovuti passare mesi, forse anni, prima che quell’odore sparisse del tutto.

Il cuore gli schizzò in gola, bloccandogli il respiro; lo stomaco gli si rivoltò e i suoi occhi non poterono far altro che accogliere dentro di sé tutta la distruzione e la sofferenza che stavano vedendo: un intero paese spazzato via dalla violenza del terremoto e poi dallo tsunami; case trascinate e spazzate via dall’acqua come se nulla fosse; famiglie, amori, vite distrutte; sogni, speranze… c’erano ancora? Potevano ancora esserci, nascoste da qualche parte sotto le macerie, sotto l’acqua sporca; oltre le grida e i pianti di disperazione, oltre il silenzio?

La biondina che aveva conosciuto poco prima lo prese delicatamente per un gomito e lo trascinò verso un gruppetto di angeli radunati intorno ad un essere probabilmente superiore a loro, visto che stava spiegando come agire per aiutare e sostenere quel popolo che doveva reagire e rialzarsi.

Franky ascoltò poco o niente, troppo impegnato a guardare sotto di sé quello sfacelo di case e costruzioni. Era impressionante.
Gli parve di vedere qualcosa sul tetto di una casa mezza affondata, aguzzò la vista e si accorse che si trattava di una mamma con il suo bambino in braccio. Se ne infischiò della spiegazione dell’angelo superiore e come al solito fece di testa sua, precipitandosi a terra per cercare qualcuno che potesse aiutare quelle due povere vite.
Alcuni angeli, tra cui la biondina, l’avevano imitato, pensando subito ad agire piuttosto che ad imparare la teoria, e insieme riuscirono a trovare i primi soccorsi. Con i loro poteri li diressero verso quella madre col bambino e quando li portarono sul posto videro anche gli altri angeli del loro gruppo che stavano tenendo la casa a galla, per dare ai soccorsi il tempo necessario per salvare i due feriti.

Franky era rimasto tutto il tempo accanto all’uomo che si era esposto di più al pericolo pur di salvare i due connazionali, gli aveva dato il coraggio e la forza per compiere quell’impresa, e aveva potuto vedere da vicino gli occhi pieni di spavento del bambino, che non ne aveva nemmeno voluto sapere di staccarsi dal collo della sua mamma. Ma in quegli occhi Franky era riuscito a vedere anche una piccola luce che brillava nel buio dell’orrore. Vedendola, l’angelo aveva sorriso commosso: forse, se quella luce era sopravvissuta nonostante tutto quello che i suoi occhi avevano visto, la speranza aveva ancora qualche possibilità di esistere nelle menti, nei cuori e negli occhi di tutto quel popolo.



Quando tornò dalla sua protetta, la mattina del giorno seguente, era stremato. Tutti quanti avevano lavorato tantissimo – ed era solo l’inizio, – ma ognuno dentro di sé aveva come la sensazione di non aver fatto abbastanza per risollevare quegli animi affranti, addolorati e con un futuro così arduo di fronte agli occhi.

Entrò dalla finestra della sua camera e la guardò svegliarsi e spegnere la sveglia con un gesto molle della mano, alzarsi ed andare in bagno per lavarsi e cambiarsi, proprio come tutte le mattine.

Lui barcollò fino al salotto, passando per il corridoio, dove incontrò la propria immagine riflessa in uno specchio appeso alla parete.
Sentì ancora i brividi della mattina precedente, vedendo l’espressione ferita degli occhi verdi di fronte a lui. Gli sembrò di rivedere in quegli occhi tutto ciò che aveva visto nelle ore precedenti, lo stesso dolore, la stessa profonda paura che potesse accadere di nuovo una cosa del genere, ma anche quella più semplice di quel bambino che non voleva lasciare il collo della sua mamma.
Quando realizzò che quegli occhi erano i suoi, li chiuse e si lasciò andare ad un respiro profondo, che gli fece percepire ancora meglio il pesante macigno che aveva sul cuore e sulle spalle: quelle immagini e quelle emozioni non l’avrebbero mai lasciato, mai.

La sua protetta lo superò proprio in corridoio e lui la seguì appoggiandosi al muro con la mano, per poi lasciarsi cadere su una sedia del tavolo della cucina, proprio accanto a lei.
La guardò mentre salutava sua madre e si preparava la colazione.
Con la sua tazza di latte e cereali davanti, seguiva distrattamente il telegiornale: parlavano del Giappone, del terremoto e dello tsunami che aveva distrutto tutto, della stima dei feriti e dei morti.

Franky chiuse di nuovo gli occhi per non vedere, ma fu quasi del tutto inutile: come aveva già appurato, tutto ciò che aveva vissuto nelle ore precedenti era stato marchiato a fuoco sulla sua anima, non avrebbe mai potuto non vedere.

«Che catastrofe», mugugnò la sua protetta, abbassando lo sguardo, pensando ciò che avrebbe pensato chiunque: Se fosse successo a noi, che cosa avremmo fatto? Bisogna aiutarli, hanno bisogno di tutto l’aiuto possibile…

L’angelo le accarezzò la guancia, sorridendo lievemente, mentre una lacrima gli rigava il viso. La ragazza però si alzò ed andò a mettere nel lavandino la sua tazza vuota, per poi correre in camera sua per prendere lo zaino: era in ritardo per andare a scuola.

Franky rimase lì fermo con la mano a mezz’aria, sconcertato.

«Ciao mamma, ci vediamo dopo!», gridò la ragazza e si sbattè la porta alle spalle.

La madre ricambiò il saluto, lavò la tazza della figlia, poi spense la televisione ed uscì dalla cucina, spegnendo la luce.

L’angelo, ancora lì, al buio, abbassò finalmente la mano e nascose il viso fra le braccia incrociate sul tavolo.

La vita, purtroppo o per fortuna, continuava.

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