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Autore: Dark Creator    06/07/2006    5 recensioni
-Dark Creator ovvero Pfe e Rya, hanno l'onore di presentarvi la loro prima ff! A voi le parole.. -

Le puntai la lama della spada contro il collo pallido, dando pressione così che potesse perforarle la carne. Una linea di sangue le percorse la pelle mentre finalmente l’avevo in pugno. Ora la potevo uccidere dopo tutto l’agognato tempo passato a cercarla.
-Muori pu****a!!- le ringhio sul punto di tagliarle la testa. Lei mi guarda con i suoi iridescenti occhi rossi
-Vuoi veramente uccidermi??- mi chiede mentre una strana luce violacea l’avvolge.
Sgrano gli occhi e lascio la presa. Come un burattino manovrato da mani divine mi allontano da lei. La spada mi scivola dalle mani, mentre casco sulle ginocchia.
Stavo per uccidere la donna che amavo.
Genere: Dark, Comico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Keiichiro Akasaka/Kyle, Ryo Shirogane/Ryan
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
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Born To Kill



Mi lasciai scappare un lieve gemito.
Avevo fatto male ad abbandonare camera mia, il mio letto e i miei soldatini in plastica per assistere ad una situazione così strana e complicata. Non mi erano famigliari quelle urla e nemmeno quelle espressioni difficili da decifrare.
Con la mente, più che altro con la fantasia, cercai di rendermi piccolo, quasi invisibile. Non riuscivo a parlare, le braccia tese il più possibile e i pugni serrati iniziavano a farmi male, così inizia anche a tremare.
Dannazione, perché stavano gridando tutti e due? Non potevano sedersi e parlare?
-MA NON CAPISCI CHE HAI UNA FAMIGLIA? HAI UN FIGLIO ACCIDENTI! HAI UN FIGLIO DI SOLI DODICI ANNI!-
Parlavano di me, avevo fatto qualcosa di sbagliato? Eppure mi avevano sempre detto che ero un bravo ragazzo.. forse mia madre si era ricreduta..
Mi venne un tuffo al cuore, ricordai di un mio amico che una volta mi raccontò che i suoi genitori, dopo tante urla e insulti, si erano separati e l’avevano costretto a vivere assieme a suo padre.
La scena che mi immaginavo era simile a quella che vedevo scorrermi davanti agli occhi, senza che io potessi agire.
-DONNA, POSSIBILE CHE ANCHE TU NON CAPISCA L’IMPORTANZA DEL COMPITO CHE MI È STATO FIDUCIOSAMENTE ASSEGNATO? MI VUOI DISONORARE? VUOI DISONORARE I SHIROGANE?-
Mia mamma si zittì improvvisamente e si immedesimò in una cosa che fanno solo i neonati venuti al mondo da poco, iniziò a piangere.
Guardava suo marito con gli occhi pieni di compassione e del desiderio di poter fermare tutto.
Non mi sarei mai scordato quello sguardo.
-È pericoloso.. resta qui.. con noi.. ti supplico amore mio.. -
Mio padre respirò rumorosamente, poi si infilò il suo solito impermeabile nero e si indirizzò deciso verso la porta.
Mia madre crollò a terra coprendosi il viso con due mani.
-Dove vai?-
Sussurrai io abbastanza forte perché mi potesse sentire. Colto alla sprovvista lui si girò verso di me, mi venne incontro, mi posò una mano sopra la testa, e mi scompigliò appena la lunga frangia bionda che portavo.
-Ryo, prenditi cura della tua mamma, avrà bisogno di te.-
-Ma dove vai?-
Ridomandai sperando invano che mi rispondesse.
-Stai vicino alla mamma, okay? Mi fido di te.. -
Ma io non volevo che si separassero! Non mi piaceva la piega che stavano prendendo le cose, non mi piacevano i singhiozzi affannati di mia madre, non mi piaceva il modo in cui si stava comportando mio padre!
Prima che potessi ribattere lui stava di nuovo andando via. Istintivamente un forte dolore mi colse come un fulmine a ciel sereno e una voce rotta e straziata, che non sembrava nemmeno la mia, rimbombò nella sala:
-CHE COSA TI HO FATTO, PAPÀ ?-
Ma quest’ultimo non proferì parola. Uscì sbattendo la porta, che io dopo poco con uno scatto riaprii. Pioveva, e l’unica cosa che rimaneva di mio padre era solo una sagoma che sfocava sotto l’acquazzone.
-PAPÀÀÀÀÀÀ!!!-
Urlai con tutte le mie forze e la gola cominciò a bruciare. Lo guardai sparire, dopodichè rincasai.
Lei era ancora lì.
-Bastardo.. -
Mormorò battendo i pugni sulle piastrelle.
-BASTARDO!-
Mi avvicinai lentamente con un cuore che stava per esplodermi nel petto.
Le sfiorai appena la spalla con due dita, ma continuò a singhiozzare.
-Ci ha abbandonati.. MA CHE SE NE VADA! QUEL BASTARDO!-
I miei occhi erano stanchi di vedere, come le mie orecchie di sentire, perché quello che stava accadendo non poteva essere vero.
Corsi in camera mia e mi buttai sul letto, affondai la faccia nel cuscino sperando che potesse soffocare tutto il presente facendolo diventare un lontano passato.
Ma l’unica cosa che stavo soffocando era me stesso.
Mi pervase una strana sensazione di vuoto e nausea, la stessa che mi accompagnò fino ai sedici anni, con una madre che non si riprese più e che con gli occhi vuoti tentava l’indifferenza ogni mattina.
Papà non tornò mai a casa.
E anche se fosse tornato, non penso sarebbe stato il benvenuto.
Sicuramente non potevo comparare la sua partenza improvvisa alla scomparsa dei sorrisi sul volto candido e delicato di mia mamma.
Ma da quella sera, la sera in cui rimasi veramente solo, l’unica cosa che rimpiansi di più fu non aver trovato il coraggio di reagire, facendomi scorrere tutto davanti come un film interminabile.
Ricordo che stavo leggendo un libro, un romanzo esattamente.
La donna che abitava con me era intenta a raccogliere dell’insalata nell’orto dietro casa, quando avvertì qualcosa, uno strano male alla testa che mi distraesse dal testo adagiato sul tavolo della cucina.
Non ci feci troppo caso, finché un urlo orrendo mi fece istintivamente alzare in piedi e correre fuori, dove si trovava lei.
Nel momento in cui vidi, non pensai più a nulla.
Si azzerò tutto.
Era buio.
Una sostanza nera copriva la terra coltivata.
Trattenei il fiato.
Un qualcosa di orribile teneva per i capelli mia madre.
La testa, di mia madre.
Ciocche bionde e lunghe le coprivano l’espressione.
La sagoma mi guardò con gli occhi assetati di sangue poi, sadicamente, sorrise.
Credo fosse stato il sorriso più sincero e rilassato che avessi mai visto.
I capelli rossi e crespi cadevano sulle spalle di un corpo magro, coperto da un vestito lungo e nero.
-Non ti farò del male. -
Affermò con tono grave. Poi guardò la testa che ancora teneva tra le mani.
-Ora sei solo, come lo sono io. -
Disse scaraventando la faccia vicino a me.
Io deglutii a fatica.
Senza aggiungere altro, quel fantasma venuto dal nulla scomparve.
Rimasi immobile ad ascoltare il silenzio.
-Mamma.. -
Quella parola che dissi senza voce, si perse.
Chiusi gli occhi cercando di pensare all’ultimo bel ricordo che possedevo appartenente alla donna che era stata abbandonata anche dalla vita.
Riaprii gli occhi, perché non c’era nulla di suo nella mia testa.
No! Dovevo ricordare!
Disperato li richiusi, e mi concentrai.
La luce la vestiva di calore, sorrideva.
Raccontava di favole mai scritte, fantasie, cullandosi sulla sedia a dondolo del nonno, tenendomi sulle sue ginocchia.
Mi accarezzava il viso con una mano, e quando smise mi diede un bacio sulla fronte.
Sorrise di nuovo.
Volevo vivere ancora un po’ lì con lei, nel passato, non mi andava di riprendere il presente. Non ne sarei stato capace.


Mi svegliò un batticuore devastante, seguito da un forte ansimare, che presto finì quando iniziai a guardarmi intorno, realizzando che tutto quello di cui mi ero ricordato non mi apparteneva più da anni.
Percepii il lieve formicolio sul collo e sulla fronte prodotto dal sudore.
Mi alzai in piedi indossando il mio solito giubbotto nero contenente le mie care compagne sigarette, che prontamente inizia a consumare tirando un calcio ad un fagotto accanto al mio.
-Ahi! Mi hai fatto male! -
Sentenziò il sacco a pelo, facendo uscire un giovane con i capelli lunghi e castani.
-Sveglia, dobbiamo incamminarci. La città non è lontana da qui. -
Con disapprovazione pulì il suo “letto” dalle foglie secche del bosco, poi mi rivolse uno sguardo contrariato, ma subito capì il motivo di tanto fastidio, anche perché mi stava guardando in un punto preciso.
-Prima di tutto, penso che come minimo, di prima mattina, non bisognerebbe mettere in bocca quegli oggetti del suicidio! -
Disse indicando la sigaretta che andava consumandosi man mano.
Sbuffai divertito.
-Secondo: la gente NORMALE sveglia la gente NORMALE con un po’ di delicatezza! Tu di quest’ultima hai quella di un elefante! -
Risi appena, notando come aveva inciso nella frase la parola “normale”.
-Kei, quando mai io e te siamo state persone normali? -
-Parla per te! -
Rispose offeso.
-Adesso però andiamo, eh? -
Conclusi mettendo la spada nella propria fodera.

To be continued..
  
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