Questa
pioggia che ormai da due giorni cade su New York, mi mette tristezza.
Va a
periodi, amo la pioggerellina che pian piano scende in certe giornate speciali
di agosto. Dopo un’afa tremenda, quelle gocce che mi scivolano addosso, che mi
bagnano i capelli, i vestiti, mi infondono tranquillità. È il clima ideale per
andare a correre, per sfogarsi. Amo urlare mentre corro. Peccato che New York
non sia la città ideale per urlare. Conosco un posto, tranquillo, nei sobborghi
del Queens. C’è un parco, piccolo di per sé, ma con un viale lunghissimo dove
le persone passeggiano tranquille, a volte mano per mano con l’amato, o con i
bambini che scorrazzano di qua e di la, rincorrendosi l’un con l’altro. La
maggior parte delle persone che vedo però sono da sole. Forse i miei occhi sono
cosi abituati alla solitudine che si focalizzano soltanto in quel genere di
persone. Sta di fatto che ho imparato che quando si fa sera, non ci va mai
nessuno. È li che vado, quando ho voglia di urlare.
Ma oggi non
è agosto. Siamo al sei di novembre. L’inverno ha già spazzato via l’autunno. Le
temperature sono calate mostruosamente negli ultimi giorni. Ho acceso il
camino, uno dei migliori acquisti che per adesso, io abbia mai fatto. E’ bello
quando passeggio fuori per strada, vedere il fumo grigio scuro che vedo uscire
dai tetti delle strade, mi mette talvolta di fronte alla mia solitudine. Penso
che quei camini hanno una storia dentro di loro: probabilmente, c’è un uomo che
si sveglia presto alla mattina e accende quella stufa per far trovare
l’ambiente caldo alla propria donna, o anche ai loro figli. E confrontare
quell’idea che mi sono fatta con la mia realtà, è davvero un’ulteriore
sofferenza.
Prima ho
fatto il cambio d’armadio. Ho messo via le magliette a maniche corte e
pantaloncini e ho tirato fuori i maglioni, i pantaloni pesanti. Un’euforia
immane mi pervade quando faccio questo cambio. È come un rito che compio ogni
anno e che mi fa capire che qualcosa sta cambiando. Ho tirato fuori da un anta
dell’armadio i vestiti che avevo sistemato con cura verso aprile quando ho
iniziato a tirare fuori gli indumenti leggeri. E’ bello provare quei vestiti e
meravigliarsi di come siano cambiati i miei gusti in pochi mesi. Forse non solo
loro sono cambiati.
Mi affaccio
alla finestra e appoggio la guancia destra al vetro, poco importa se si sporca.
Chiudo gli occhi e respiro. Il mio alito è caldo e fa appannare il vetro. Se
fossi una bambina avrei già scritto o disegnato qualcosa con il dito indice
della mano. Sono adulta e non posso farlo. La tentazione è tanta. Saprei
esattamente cosa scrivere. Mi guardo intorno. È casa mia, non c’è nessuno che
mi può giudicare, perché mi sto imponendo di non ritornare bambina?
Sorrido e
scrivo.
Mi sento
realizzata e per un attimo mi sento felice. Ho fatto quello di cui avevo voglia
e sono felice. Perché non lo faccio più spesso?
Mi siedo sul
divano e sospiro. Penso a come cambierebbe la mia vita se facessi quello di cui
avrei voglia.
Sento il
rumore della pioggia che cade, ascolto in silenzio. Anche i miei pensieri mi
hanno dato una tregua in questo momento.
La pioggia è
un fenomeno naturale, che serve soprattutto alle terre e ai campi. No, la
pioggia è qualcosa di necessario a tutti gli esseri, umani compresi. Non so se
l’ho letto da qualche parte, quando ero bambina o se è tutto frutto della mia
immaginazione, ma ho sempre visto la pioggia e i tuoni, come un segnale di
Zeus. Quando lui è arrabbiato, allora scaraventa su di noi terrestri, la sua
ira.
Zeus?
Davvero, Kate?
Probabilmente
avrò letto una leggenda quando ero piccola, non me lo ricordo.
Mi riporta
alla realtà il tic-toc dell’orologio. Le lancette fanno davvero tanto chiasso
quando intorno a me tutto tace. È irritante. Mi alzo, mi avvicino a
quell’oggetto, frutto del mio nervosismo e gli stacco le batterie.
Ahh.. pace.
È stato un
istinto. Ancora una volta ho fatto quello che al momento mi andava di fare. Sto
meglio.
Mi sto
rilassando.
Chiudo
ancora una volta gli occhi.
Sospiro.
Sento il mio
cuore rallentare la sua marcia.
Sto bene.
Mi sento un
dio. Potrebbe succedere di tutto, che io mi sentirei onnipotente.
Sorrido.
Com’è
possibile che un insieme di gocce, possano avere quest’effetto su di me.
Perché
pensavo mi mettessero tristezza?
Decido di
farmi una tisana e di andare a letto.
Mi sveglio,
faccio colazione, mi preparo per andare al distretto.
Non c’è
bisogno che guardi fuori dalla finestra. Sento la pioggia che ancora s’abbatte
sulla mia città.
Arrivo in
distretto e trovo la mia squadra al completo, intenta a compilare delle
scartoffie.
Vedo Castle
che alza lo sguardo, appena le porte dell’ascensore si aprono, sorride e mi
saluta.
Saluto Kevin
e Javier. Sistemo il mio cappotto e l’ombrello vicino alla mia scrivania.
Non mi siedo
neanche nella sedia. Mi dirigo verso la sala relax per prepararmi un caffè.
Sento lo sguardo inquisitorio di Castle su di me. Mi volto e lo colgo con una
faccia buffa che mi guarda incuriosito dal mio comportamento. Ricordo come mi
ero sentita la sera prima dopo aver fatto quello che desideravo fare.
Non gli dico
niente. Muovo leggermente la testa per fargli capire che mi deve seguire.
Entra nella
saletta, non mi dice nulla, alza soltanto il sopracciglio destro e corruccia la
fronte.
Lo scruto
attentamente e capisco che posso trovare anche io un camino già acceso quando
mi sveglio. E lo voglio.
Sento il
suono della pioggia.
Sorrido e so
che lui ha capito.
Commento: La
pioggia mi ha ispirato c’è poco da fare! Piccola differenza tra me e Beckett..
io la odio un sacco. Mi piaceva mostrare il cambiamento che le fa fare la
pioggia. Ovviamente i miei finali sono sempre aperti, anche se vi indirizzano
sempre da una parte.. direi la solita parte! :)
Spero ci
rivedremo presto con un FF a più capitoli che procede a rilento!
Bacioni,
Madeitpossible!