1944,
Polonia. Campo di concentramento di Aushwitz.
Era
appena calato il buio quando arrivò il treno con il
nuovo carico di uomini. Pioveva a dirotto e la gente arrancava nel
fango.
Prima
di passare il grosso cancello, le guardie separavano
il carico in più gruppi.
Erik
aveva 11 anni ed era stato prelevato dalla sua casa
assieme alla madre. Ora camminava, stretto a lei, fissando le persone
che,
dietro il recinto, lavoravano. Quelle uniformi a righe facevano paura;
Erik si
stringeva alla madre, per non perderla nella folla.
Improvvisamente
le guardie li fermarono, separarono Erik
dalla madre e trascinarono quest’ultima oltre il cancello. Il
ragazzo tentò di
raggiungerla, ma le guardie lo bloccarono. Il pesante cancello fu
chiuso non
appena lei fu dentro il recinto.
Erik
urlò, tra le lacrime. Un forte stridore metallico
attirò l’attenzione di tutte le guardie presenti.
Il cancello si era
accartocciato sotto i loro occhi, come se fosse carta, e le pesanti
barre
continuavano a contorcersi, mentre il ragazzo piangeva.
Un
ufficiale afferrò un fucile e colpì Erik con il
manico.
Il ragazzino perse i sensi e potè essere portato via. Lo
strano fenomeno si
fermò all’istante.
Dagli
uffici del reparto scientifico qualcuno aveva
assistito alla scena. Erano uno scienziato e un ufficiale.
“Fate
portare qui il ragazzo.” ordinò lo scienziato.
“Come
desidera, Herr Doktor Bischoff.” Rispose l’altro,
poi
fece il saluto militare e uscì.