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Autore: briareos1982    07/11/2011    0 recensioni
Quali colpe decidiamo di portare crescendo e quali tappe ci aspettano prima di entrare nell'età adulta? Abbiamo il coraggio di chiederci cosa abbiamo perso e cosa abbiamo guadagnato? Una one shot che parla di tre ragazzi di periferia che si confrontano con un'arrivo inaspettato, una ragazza che porta nuova luce nelle loro vite.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Guarda, mettiamola così, voglio liberami di questa storia, così, la butta su carta e lascio che scivoli via. Perchè ci sono cose che sono vive, ti crescono dentro e mettono su radici, e poi ti spaccano per uscire, ti aprono un buco in mezzo al petto.

 

 

Bho, forse le storie sono virus, sono vive, di sicuro la mia storia è vera e parla di noi del nostro tempo, della nostra...esperienza? in questo zoo in cui veniamo gettati sin dalla nascita. Io ho trent'anni e posso raccontare qualcosa di questo posto, di queste giornate che scorrono lucide e fredde come sbarre di una gabbia. Sono nato in un paese di provincia, non ho mai visto Milano e non conoscerò mai New York. Sto bene così, voi dire che sono un recluso, che tengo i miei orizzonti stretti come lacci delle scarpe, che sono un ottuso, ma io so qualche cosa che voi non sapete: l'erba del vicino non è sempre più verde, tutto il mondo è paese e che ciò che non ammazza ingrassa. Sembra poco ma è tutto, i posti in cui sono nato io sono semplicemente la metafora dell'intero universo: c'è tutto. Tutto lo schifo e la merda che la vita vi lancerà dalle finestre, i sogni e le illusioni, le seghe e la pornografia da sue soldi con le attrici vecchie sfatte. La mia famiglia ha sempre risuonato come un diapason tra i muri di mattoni di queste strade, senza lasciare traccia, dissolvendosi lentamente, per logoramento. Per inedia, come una malattia incurabile e dolce. I miei genitori non hanno mai fatto rumore, i ragazzi che abitavano nella via S.Pertini hanno cercato di lottare prima che tutto diventasse nulla.

C'era Manu, diciassette anni e la fissa per il grunge, cioè per il grunge lui ascoltava solo Kurt Kobain e non sapeva l'inglese; gli piaceva l'album Nevermind e ascoltava solo quello. Una palla. Ma almeno era l'unico di noi a cui piaceva qualcosa, e che raccattava qualcosa. Io sono nato grasso e morirò grasso, il mio stomaco chiede più quanto abbia bisogno e così ingrasso. Da grassone lasciate che vi dica una cosa: è una balla quando un ciccione vi racconta che ha mangia poco od è a dieta, i ciccioni mangiano e mangiano di continuo. Il punto è che non possiamo farne a meno, e a differenza del cancro del fumo, il nostro problema si vede benissimo. E le ragazze ci scansano come fossimo mine irachene. Alla fine ci fai l'abitudine, fai pace con te stesso e ti sfondi di seghe, o paghi. La mia verginità l'ho persa con una donna sulla quarantina d'anni che si chiamava Marisa, me la ricordo ancora, quando me la feci c'era anche Nespola, ma lui mi aspettò fuori dalla stanza e basta. Marisa era ancora calda del sudore di qualcun altro, e l'aria era fangosa, la camera era a tenuta stagna, forse Marisa non voleva che i suoi peccati uscissero dalla finestra. Non era bella, nessuna donna lo è superati i trenta, ma io volevo scopare e lei mi tranquillizzò un poco. Mentre mi accarezzava non potei fare a meno di ricordarmi quel libro di fantascienza assurdo, 1984 mi sembra, dove il protagonista racconta l'orrore della prima volta, con una vecchia imbellettata in un materasso marcio che odorava di insetti morti. Marisa era un pò meglio, ma la sua pelle appiccicosa e la sua faccia unta mi hanno rivoltato lo stomaco per un bel pezzo. "Scaricai", come ho imparato a dire, tra le sue gambe, nulla di che, non meno piacevole di cagare in un prato. Ma da allora ero uomo, avevo sporcato una donna del mio sperma. Nespola volle subito che gli raccontassi tutto, ed io faticai un casino a inventarmi qualcosa di decente e divertente. Non che a Nespola andasse meglio, beninteso, e non che fosse un'imbecille, io sapevo, lui sapeva che era uno schifo, ma tra uomini ci si racconta bugie.

Sono questi i nostri regali, le frottole.

Nespola era il più sveglio tra noi, un tipo brillante che aveva ricevuto delle sinapsi intricate ed eccitabili come i diodi di un televisore a valvole. Non aveva certo ereditato il suo cervello da suo padre o da sua madre, probabilmente un suo lontano parente aveva abbastanza sale in zucca da fare due più due. E aveva fatto due conti: il posto, le amicizie, i lavori, le donne che avrebbe avuto, tutto si sarebbe svolto in questo fango. Ed era sclerato di brutto, solo oggi mi rendo conto quanto doveva essere doloroso vedere l'orrore del futuro quando ancora non gli era spuntata la barba. Così si schiantava di spinelli tutto il giorno, girando con vestiti sporchi che puzzavano di mutande lerce e facendo il cazzone. E questo era il trio, io Nespola e Manu. Si dice che due uomini siano già un branco, noi cercavamo di sopravvivere alla noia delle nostre giornate, il calcio ci faceva cagare e così non avevamo altre attività che la scuola e le passeggiate. Qualcuno scrisse guardando dei giovani giocare a bocce che si allenano a fare i vecchi, noi non avevamo nemmeno quello; di noi la vita non proietta nemmeno l'ombra. Poi qualcosa cambiò, un disco si ruppe, e sul nostro stesso asfalto poggiò i piedi un'apparizione.

Che è giusto fare una premessa, che la monotonia alimenta sè stessa, ma infonde sicurezza, così all'arrivo di Alice ci ritirammo tutti come formiche spaventate nelle nostre tane. Non abbiamo mai avuto una cazzo di idea di cosa ci facesse una tipa come Alice da noi, perché trasferirsi qui, in quel momento, nella nostra scuola. Noi eravamo abituati vivere con le Mucche, ragazze con gli occhi a pesce che vagavano per le strade, per i bar la sera, con i fianchi sformati e informi di chi non vede l'ora di sfornare altri disgraziati, e non avevano altra aspettativa nella vita. Uteri ambulanti, bombe di natalità in attesa di esplodere, e poi morire per via di un fibroma o chissà cos'altro. Che poi vista l'intelligenza media di questo posto è lecito aspettarsi che ci siano molti accoppiamenti tra consanguinei, certe cose non si dicono ma si vedono, ma in fondo il pool genetico è quello.

 

Alice.

Ci esplose davanti come un petardo. I capelli neri come il buio, senza riflessi, gli occhi grandi, il naso piccolo. Fu la prima volta che vidi Nespola senza parole, la primissima volta in vita mia che lo vidi vergognarsi dei suoi pantaloni lerci, della sua felpa strappata e dei suoi capelli tignosi. Alice ti faceva venire voglia di essere un individuo migliore, qualcuno che potesse permettersi quella luce. Manu pensò subito di farsela finché era ancora fresca ma Alice non era interessata. Ora dovete capire che Manu si sbatteva sedici ore di palestra alla settimana, si sparava settanta addominali al giorno ed era sempre in dieta, non toccava né alcol né zucchero; solo per avere un po' di figa. Le mucche gli orbitavano intorno come asteroidi, e lui se le smazzava come gli pareva, ma sono sicuro che non fosse poi così contento. Le mucche sono tutte uguali, le stesse facce, gli stessi odori, deduco che avessero tutte gli stessi sapori. Alla fine la qualità conta, ed avere uno come Nespola che ti gonfiava il cranio raccontando dei libri letti, dove c'erano ragazze brasiliane che vivevano, cantavano, danzavano e giravano a seni nudi non aiutava. Le mucche erano grigie e puzzano di salotto della nonna, di noia e tubi catodici. Per un uomo è dura sapere che la vita ti sfugge dalle dita anche se te ne fai tre diverse a settimana. Credo che sia un senso di claustrofobia che non ha nomi, comunque Alice divenne il suo obbiettivo. Per quanto durò il nostro periodo con Alice è stato il migliore mai vissuto, il sole era meno distante da noi, e il nostro angolo di mondo ci divenne quasi bello; credo che lei si aggregò grazie a Nespola, l'unico che sembrava abbastanza in sintonia con lei. Da parte mia io ho imparato a fare da sfondo, ad essere neutro, e non è così male quando ci fai l'abitudine. Alice era gentile con me non mi prendeva in giro e non mi sottovalutava come facevano tutti, lei in qualche modo sapeva che le persone grasse sono semplicemente esseri umani con della ciccia addosso e non degli idioti rantolanti come appariamo all'esterno. Era dolce ed intelligente, era unica. Buffo che non ho mai saputo né il suo cognome né da dove veniva, non ho mai avuto il coraggio di chiederglielo. Come me anche Nespola era in qualche modo abbagliato dalla sua diversità, e non volevamo, come dire, “contaminarla”. Provarci significava rischiare di farla diventare come noi, insulsa, incolore, noi volevamo la nostra religione in cui credere, e come si sa, gli innamorati rimangono tali finché l'amore è platonico. Manu non era della stessa idea, forse quando la guardava vedeva solo un bel paio di tette sode ed un sorriso onesto, qualcosa che gli avrebbe riempito il buco che aveva nell'anima. Qualcuno che lo avrebbe

accettato anche senza gli addominali scolpiti e i bicipiti tirati a lustro, una ragazza che lo avrebbe davvero guardato negli occhi prima di alzare la coda come una pecora, ma non sapeva come fare. Nespola lo teneva a bada, e anch'io cercavo a modo di farlo stare tranquillo.

Ma il cazzo tira.

E' una sensazione difficile da spiegare ad una donna, ti senti rabbioso, furioso con tutto il mondo, ti viene da urlare contro il cielo che è ingiusto che lei non ti apra le gambe, che hai dato sangue e sudore abbastanza per poterti permettere almeno quello; non è il desiderio di scopare che ti fa bruciare dentro, ma l'idea che il suo corpo può curarti. Che la sua pelle è la panacea di tutti i tuoi problemi. Nespola sembrava covasse qualcosa, ma non ne parlava con nessuno, con il tempo sembrò dimenticarsene. O anche lui ci fece l'abitudine, o ancora più probabilmente fu Alice a farglielo dimenticare. Credo che intrapresero una relazione, con discrezione, tra i giorni tutti vuoti di queste strade, tra le facce tutti uguali, sbocciando silenziosamente nei loro spazi segreti. Manu aveva preso a picchiare le sue scaldaletto, in giro vidi più di una ragazza che raccontava di essere caduta dalle scale, o di essere scivolata nel bagno. O altre cazzate simili. Cercavo di tenerlo buono, ma nessuno lo avrebbe fermato, ero solo un' argine di terracotta e lo sapevo. Nespola lo sapeva, Alice lo sapeva. Ok, lo confesso, ero cotto di Alice, almeno quanto lo era Nespola. Solo che le persone grasse hanno il loro modo di innamorarsi, coltivano le emozioni come fossero piante e vogliono che la loro amata sia felice. Sono parassiti della felicità altrui, angeli custodi patetici e sovrappeso, con le smagliature e tutto il resto che si nutrono dell'ombra degli altri, è una cosa così squallida che non vogliamo mai che si sappia, che si immagini. Ed io ero innamorato di quella creatura, così innamorato che non riuscivo nemmeno a farmici le seghe. Manu sentì puzzo di bruciato nell'aria quando capì che Alice spariva quando spariva Nespola; con tutta quella palestra era anche forte. Cazzo. aveva dei pugni nodosi come tronchi, quando mi colpì in faccia mi sembrò che mi avessero lanciato un frigorifero addosso. Se mi avesse colpito alla mascella me l'avrebbe spezzata e lui lo sapeva; ero ancora uno dei suoi soli amici e non voleva veramente farmi male. Io non potevo reagire, ero lento goffo, ma Dio era testimone, avrebbe potuto trasformare il mio corpo in un chiazza d'unto, ma non lo avrei lasciato rovinare l'unica cosa bella che era successa in questo luogo. Stavamo parlando di fighe e Manu aveva deviato il discorso su Alice, dicendo che gliel' avrebbe ficcato nel culo fino a fargli cagare le budella; che gli avrebbe pisciato nel suo bel faccino perché è l'unica cosa che una troietta come quella si meritava. Il casino è che parlava sul serio, così lo misi davanti ad un muro: amico scordatelo, potrai finirtelo di seghe ma lei non te la darà mai. Così mi saltò addosso, ma mi rialzai nonostante il mondo mi girasse per i fatti suoi. E mi piantai su due piedi, e Manu sapeva che avrebbe dovuto farsi largo su ogni mio grammo di peso prima di arrivare ad Alice, e credo che a farlo incazzare così fosse proprio il fatto che preferissi lei alla nostra amicizia. Perchè vedete fra uomini il dolore è passeggero, i lividi passano, ma l'abbandono lascia cicatrici immense che non si risaldano; a quel punto costringevo Manu a gettare via tutto ciò che avevamo condiviso, le serate, la noia, le barzellette, gli anni passati insieme, tutto era nel piatto della bilancia per una sola ragazza. E lui decise di dare ascolto ai suoi coglioni. Non a caso si dice coglione a chi ragiona con le palle, è chiaro che farà una stronzata. Manu decise così, senza parlare, solo guardandomi. Uscì e non lo rividi per un pezzo, io misi una borsa di ghiaccio sul muso e passai una settimana a combattere con la mia ipocondria cronica. Ero convinto di aver perso qualche diottria o di aver subito un trauma cranico. Nespola capì cos'era successo solo guardandomi, ma non disse nulla, Alice credette subito che ero caduto da qualche parte, non aveva neppure idea del casino che stava generando. I giorni gonfiarono uno dietro l'altro, in attesa di esplodere. Che qualcuno cagasse sul tappetino di casa, che Manu ce la facesse pagare; non potevo dimenticare il modo con cui mi aveva guardato, e gli adulti erano lontanissimi, inutili, delle ombre cinesi proiettate su un muro sporco. Mi aspettavo che fosse Nespola a muoversi, ma non successe, ancora non voglio pensare che fosse per paura, e io non mi mossi, forse perché non pensavo che toccasse a me fare qualcosa.

 

Alice mi chiamò una sera, e già sapevo che qualcosa era successo. Voleva solo parlarmi per telefono, sentire la mia voce, nel suo dolore aveva trovato ancora la forza di essere pudica; non voleva dirmi dov'era , ancora non tentava di dirmi qualcos'altro, cercava di inventare, di costruire una realtà migliore, non voleva coinvolgermi; mi aveva chiamato solo perché non aveva nessun' altro da chiamare. Semplicemente. Mi chiuse in faccia la telefonata e per uno schifosissimo attimo ho pensato di ignorare tutto. Lasciare che anche questo schifo scivolasse via come merda calda sulla mia pelle. Come tutte le cose che sono stato costretto a subire, tutte le umiliazioni passate. Ma mi alzai e andai a cercarla, se mi aveva chiamato vuol dire che aveva bisogno di me, anche solo per piangermi addosso, e al dopo avrei pensato dopo. La trovai al nostro solito posto, una baracca dell' Anas che usavamo per ripararci dalla pioggia, io stesso avevo spaccato la catena e sempre io ci avevo portato il materasso. Quando pioveva era bello stare lì ad ascoltare la pioggia, non faceva mai freddo, e nessuno ci aveva cagato o pisciato dentro. Era una stanza pulita, spaziosa, senza polvere. Era nostra. Manu non si era preso neppure la briga di andarsene, anzi mi aspettava, tranquillo e sereno, mentre Alice era seduta sul materasso. Vidi i jeans buttati in un' angolo, vidi il sangue che scivolava lungo le sue cosce, e il primo pensiero che ebbi fu che non osavo vederla nuda. Il secondo fu che dovevo ucciderlo. Cancellare con un gesto ciò che era stato fatto, coprire un crimine con un crimine, e non sarebbe bastato, niente si sarebbe aggiustato, ma sangue avrebbe lavato altro sangue. Un ragionamento da cavernicolo, ma era l'unica cosa che riuscii a pensare. Se non fosse che arrivò Nespola a salutarmi; mi passò accanto e il mio cervello deve essere impazzito. Ogni sinapsi strideva nell'atto di comprendere l'abisso, la mia mente non riusciva a inghiottire la realtà. Li vedevo al rallentatore mentre mi sorridevano e mi chiamavano, come quando giocavamo a carte insieme.

Erano vecchi amici che condividevano un bel gioco, e c'era spazio anche per me se lo volevo; Nespola aveva posto sui piatti della bilancia gli stessi pesi con cui avevo dovuto confrontarmi io, e aveva deciso che non ne valeva la pena.

 

Che nulla valeva la pena.

 

Che tutto era, e sarebbe stato solo merda. Che tanto prima o poi sarebbe divenuto come gli altri, che non sarebbe bastata quel bel faccino per accendere una speranza nella nostra vita; che una luce se brilla nel buio non fa altro che acuire l'oscurità che hai intorno.

E forse è vero, lasciarsi andare vuol dire avere le spalle più leggere, anche se più curve. Il dolore è meno languido se smetti di combatterlo, tutto fluisce, a tutto ci si abitua.

Alice era in mezzo a loro due, sfondo su sfondo, anche lei aveva deciso che andava bene così, non avrebbe combattuto, si sarebbe trasformata e dissolta nel flusso.

 

Diedi la schiena a tutto questo, se Alice aveva chiamato forse era perché sperava che convincessi uno dei due, che chiamassi i suoi genitori o che magari mi comportassi da eroe e li prendessi a pugni; ma proprio al primo passo compresi che non ne valeva la pena. Se non fosse stato Nespola o Manu sarebbe stato qualcun' altro, ma non sarebbe comunque fuggita da qui. Non c'era mai stata speranza, solo la mia ingenuità, la mia innocenza nel credere che qualcosa sia incorruttibile. E' tipico dei grassoni quello di schiantarsi contro la realtà fino a spaccarsi il naso, e mentre mi allontanavo mi resi conto che in fondo tutto questo schifo...

ce lo meritavamo.

   
 
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