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Autore: Lady Snape    07/11/2011    2 recensioni
Spin-off della fanfiction "Loser". Non è necessario leggerla, ma si capirebbe qualcosa in più.
Near, guardando una fotografia, riporterà alla mente ricordi e sensazioni. Che rapporto c'è tra lui e il suo rivale? La competitività appartiene anche al vero erede di L, oppure si tratta di un odio unilaterale di Mello? E quelle strane parole lasciate dietro quella fotografia? "Dear Mello"... perché?
Dal testo: "Near sospirò leggermente e si rigirò ancora nel letto. Si mise pancia in giù e posò la foto sul materasso, dove doveva esserci il cuscino, ma questo stava meglio sul pavimento, come lui."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Near
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Mello's Revenge'
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«Un’altra cosa che lo fece riflettere per qualche minuto erano le parole scritte sul retro della foto: Dear Mello. Quando e perché Near aveva scritto parole del genere, rivolte a lui poi? Forse non lo odiava, forse era solo lui ad averlo preso in estrema antipatia? Scacciò anche questo pensiero, non era affar suo sapere cosa era passato nella mente dell’alto e, soprattutto, non aveva alcuna importanza.»

(Loser – 4. Returned)

 

 

 

 

DEAR MELLO

 

            Near si rigirò in quello che era il suo letto. Suo era una parola grossa, dato che non lo usava troppo spesso. Non dormiva quasi mai in un letto, ma spesso si appisolava momentaneamente sul pavimento, luogo che accoglieva ogni ora della sua giornata, che lavorasse a qualche caso o che si dilettasse con i suoi personali rompicapo e giocattoli. Dormiva molto poco, era abituato a ritmi estenuanti. Aveva fin da subito lavorato al caso Kira e ad altri, in incognito, per affinare l’intuito. A volte bastavano un paio d’ore appisolato, giusto per rilassare la mente e gli occhi ed era pronto a ripartire.

Si rigirò ancora una volta, sollevando un po’ la coperta. Si sentiva costretto in quel rettangolo come in una morsa. Non amava molto quel materasso molliccio e nemmeno quel cuscino che, ne era certo al 99%, presto avrebbe lasciato cadere sul pavimento. Non era utile a niente. Anzi, forse, una qualche utilità l’aveva. Infilò una mano nella fodera e tirò fuori un piccolo cartoncino rettangolare. Era una fotografia. Near accese il lume sul suo comodino, scarno di ogni oggetto, fatta eccezione per un orologio e lasciò cadere il cuscino. Ecco, 100%. Fissò il piccolo oggetto che aveva tra le mani.

            Su uno sfondo naturalistico di un paesaggio autunnale, si stagliava il volto di un ragazzino di tredici anni, forse. I limpidi occhi azzurri e il sorriso beffardo erano le prime cose che si notavano di quel viso delicato, perché i capelli dorati si confondevano con le foglie degli alberi, pronte a lasciarsi andare nel vuoto. Lo sguardo sicuro riusciva ad essere una vera calamita e Near ne era consapevole.

            Mello era una calamita.

            Near aveva una memoria di ferro. Ricordava tutto alla perfezione e il suo passato era nitido nella sua mente fin da tenera età. Aveva chiari ricordi di sé stesso seduto in un seggiolone, anche se non riusciva a ricordare le parole che gravitavano attorno a lui, la sua memoria fotografica gli permetteva di ricordare il colore dei vestiti di sua madre, il suo sguardo, il suo viso. Tutto, anche il momento dell’abbandono non esattamente volontario.

Dopo un periodo di vagabondaggio da una famiglia all’altra, a quattro anni aveva deciso che era stufo di cambiare casa continuamente ed era stufo di mangiare una minestra scialba come quella della sua ultima tutrice. Per cui, alzatosi in piedi dal pavimento sempre prediletto, si era messo a dare istruzioni su come preparare un brodo decente, indicando temperatura ideale e ordine degli ingredienti, con una serie di vocaboli impensabili per un bimbetto di quella età. Si permise di indicare due varianti della ricetta, ma, non aveva nemmeno finito di parlare, che la signora a cui era affidato aveva chiamato i servizi sociali.

Fu in quel momento che tutti si accorsero di avere tra le mani un piccolo genio. Perché non prima? Perché a Near non andava di stare al centro dell’attenzione e gli era bastato vedere quanto uno stupido premio di spelling fosse stato sufficiente a mettere una delle sue “sorelle” su una specie di palcoscenico. A lui non andava, quindi fingeva di essere normale e prese questa decisione che aveva più o meno un anno e mezzo.

            Ci volle un po’ di tempo prima che Quillish Wammy venisse a conoscenza della sua esistenza, ma nel giro di un anno fece il suo ingresso alla Wammy’s House.

Era autunno, se lo ricordava bene. Un’auto nera, una Rolls Royce lucente, si fermò davanti all’istituto nel quale era stato ospitato per un po’ (la sua tutrice non lo voleva il figlio del Diavolo). La vide dalla finestra della sua stanza. Ne vide uscire un uomo anziano con i baffetti bianchi come la neve e una bombetta nera in testa. Pochi minuti dopo era seduto di fronte a lui. Non usò il tipico linguaggio semplificato che si usa con i bambini, ma parlò con lui da adulto.

«Vorrei portarti nel mio istituto.» disse Quillish Wammy, che andava di persona a prendere ogni possibile erede di L «E’ un posto molto diverso da questo, dove vivono altri bambini come te, molto intelligenti. Se vuoi, puoi venire con me, andiamo via subito.» era come se quello strano signore mai visto prima sapesse come si sentisse. Fuori luogo.

            Near non ci pensò molto, anzi, la sua risposta fu immediata e la sua valigia pronta in cinque minuti. Cosa mai poteva possedere un ragazzino senza famiglia?

            Near sospirò leggermente e si rigirò ancora nel letto. Si mise pancia in giù e posò la foto sul materasso, dove doveva esserci il cuscino, ma questo stava meglio sul pavimento, come lui.

            Mello.

            Ecco, l’incontro con Mello si svolse in due fasi.

Appena arrivò a Winchester, la prima cosa che il signor Wammy fece con lui fu privarlo del suo nome. Scattò una foto e compilò un lungo fascicolo, che sarebbe poi stato conservato in un luogo particolare grazie a un sistema sofisticato, con i suoi dati, la sua provenienza, la data di nascita, ma non il suo nome. Nate River non esisteva più, gli disse infatti, da allora in avanti lui sarebbe stato Near. Gli venne imposta una strana regola, ovvero quella di non rivelare mai a nessuno il suo nome vero e gli venne spiegato perché era stato condotto lì. Quella notte venne a conoscenza di L e di quello strano istituto, dove sarebbe stato allevato il suo erede. Sarebbe stato messo in lizza per la successione, come se si trattasse di una strana famiglia reale e lui, Near, fosse un potenziale erede al trono.

Il ragionamento di Quillish Wammy per questo tipo di scelta era semplice: erano tutti ragazzini intelligenti, ma privi di famiglia. Cosa avevano da perdere? Niente, ma così potevano avere una vita migliore e un futuro, nonostante dovessero abbandonare per sempre il loro passato. Quillish Wammy taceva volontariamente anche a sé stesso gli errori di percorso che il progetto della successione di L comportava, come A e B, uno suicidatosi e l’altro ormai disperso, figuriamoci raccontare certe vicende particolari a un bimbo di quasi cinque anni, intelligentissimo, ma pur sempre un bambino.

            Per quella sera poteva bastare. Near fu condotto in una delle stanze dell’orfanotrofio, una stanza che avrebbe occupato per anni.

            Near sospirò ancora nel buio di quella notte. Si concedeva raramente e solo in solitudine qualunque tipo di espressione di sentimenti. Uno di questi era la nostalgia, la nostalgia di quei tempi andati, diversi, dell’infanzia che si poteva dire felice.

            Il suo primo risveglio in quella che fu la sua nuova casa, lo portò a conoscenza di un mondo dove lui poteva considerarsi normale. Di ragazzini intelligenti ce ne erano tanti, alcuni, come lui, arrivati da poco, altri più o meno veterani. Quelli della prima generazione erano in pochi, avrebbe scoperto dopo, quando finalmente sarebbero iniziate le selezioni, le prove periodiche che venivano organizzate per stilare la classifica degli eredi di L. Erano prove adeguate al QI, che veniva stabilito con un test preliminare.

Sceso in mensa, riuscì a trovare posto per la colazione e fu lì che per la prima volta incontrò Mello.

            Se Near era felice di non dover più rischiare di essere al centro dell’attenzione, Mello pareva facesse di tutto per esserlo. La sua risata era sempre la più fragorosa, i suoi modi i più eccessivi, i suoi scherzi i più divertenti. Uno stuolo di ragazzini lo circondava e lui si beava della sua popolarità. Tutti lo ammiravano e lui era al settimo cielo. Anche i suoi capelli sembravano studiati per farsi notare: una cascata dorata gli incorniciava il volto candido e gli occhi di un azzurro pungente saettavano attenti ovunque. Si posarono sul nuovo arrivato, ma solo per un attimo. A quei tempi Mello vedeva solo sé stesso e puntava verso L.

            Il primo incontro fu semplicemente innocuo. Near era felice di essere ordinario e Mello non avvertiva alcuna minaccia da parte di nessuno, perché, Near lo ricordava bene, era suo il nome in cima alla classifica appesa in bacheca.

1.     Mello

Tutto fu tranquillo alla Wammy’s House. Near ricordò le prime lezioni, le prime persone che lo trattarono di nuovo come una persona normale, dopo essere stato appellato nei modi più bizzarri. Osservava Mello di nascosto e lo ammirava: lo ammirava quando prendeva a pallonate i suoi compagni, lo ammirava quando spavaldo si alzava dal suo banco per raggiungere la lavagna e risolvere il problema della giornata, lo ammirava quando parlava di L come se fosse la persona più importante del mondo e tutti ascoltavano a bocca aperta, nemmeno se si trattasse di favole (e nessun bambino lì credeva alle favole, alle fate o a Babbo Natale).

Ciò che ammirava in lui era la capacità di ostentare la sua genialità senza averne paura, senza temere le conseguenze. Near si sentiva sempre un po’ troppo fifone, ma non riusciva a modificare la sua indole, si sentiva ridicolo a comportarsi diversamente da come era abituato, per cui si accontentava di guardare una persona che riusciva lì dove lui falliva miseramente. Eppure amava questo suo fallimento. In tutto questo Mello sapeva a malapena il nome del nuovo venuto, ma non si interessò di lui nemmeno una volta.

I nodi vennero al pettine e Near dovette fare i conti con la parte peggiore di Mello: la competitività.

Dopo poche settimane, infatti, venne indetta una delle prove periodiche per la successione ad L ed avvenne la tragedia.

Appesa in bacheca si trovava la nuova lista, il nuovo elenco, la classifica. Near non era interessato alla faccenda. Aveva capito quale fosse il lavoro di L, il detective migliore del mondo, ma non aveva ancora deciso cosa avrebbe voluto fare, se avrebbe mai voluto concorrere per quella successione che alcuni compagni cercavano in modo spasmodico, di conseguenza non voleva sapere come si fosse classificato. Peccato che lo venne a sapere comunque.

Intento com’era a completare uno dei suoi puzzle, non si accorse che qualcuno era arrivato alle sue spalle.

«Tu, piccolo nanerottolo schifoso!» era la prima volta che Mello gli rivolgeva la parola e questo fu il suo modo di chiamarlo.

            Anche in quel letto, nella notte che lo separava da un possibile incontro con Mello, scampato all’esplosione del suo covo di mafiosi, non sapeva se ridere, arrabbiarsi oppure provare nostalgia per quel modo di rapportarsi a lui. Beh, era consapevole che si trattava di un’offesa, ma finalmente si era accorto della sua esistenza e fu appagante.

            Da quel momento iniziarono una serie di avvenimenti più o meno spiacevoli, perché Mello era l’unico che ci tenesse davvero ad assurgere a quella carica, mentre per lui era quasi indifferente. Certo, gli riusciva bene risolvere casi e acciuffare criminali, ma non era la sua ragione di vita, come pareva essere per Mello.

Questo era quello che Near pensava all’inizio, poi fu lentamente pervaso dal senso di giustizia che L era riuscito a risvegliare in lui durante un incontro telematico. Era riuscito a motivarlo e da allora decise di prendere tutta quanta la faccenda sul serio. Questo però avvenne dopo.

            Più di una volta Near aveva provato ad immaginare la scena della scoperta terribile di Mello,  del suo spodestamento dalla cima della graduatoria. Ogni tanto lo immaginava arrossire di vergogna, altre con la bocca spalancata dallo stupore. Aveva sentito vari racconti sull’episodio, ma tutti sapevano troppo di leggenda, furono sedati abbastanza presto dalla furia di Achille di Mello e divennero presto storie sussurrate nei corridoi (anche se a volte i malcapitati venivano scoperti comunque; come facesse Mello a beccarli, resta un mistero).

            Near scoprì una pesante verità sulla natura umana in quel periodo. Scoprì l’alternanza delle opinioni e la labilità dei rapporti umani.

Mello aveva iniziato presto a detestarlo e questa era una certezza, l’unica, confrontata con quanto invece avveniva per la maggior parte dei compagni dell’istituto. Quando venivano consegnate loro le prove corrette, tutti accerchiavano il piccolo Near per tesserne le lodi e confrontare il suo compito con il proprio. In quei momenti tutti pensavano al numero uno della classifica e il focoso numero due, ferito nell’orgoglio, finiva in un angolo, da solo, a leccarsi le ferite. Appena però l’euforia del momento scompariva, Mello riusciva a riconquistare l’attenzione di tutti e il taciturno Near veniva lasciato sul pavimento a completare i suoi rompicapo. In questa giungla di rapporti umani sottili come bave di ragno, Near non riuscì mai a legare con nessuno e l’unica persona con cui poteva dire di avere un rapporto sociale era Mello, lui che lo considerava un nemico e un ostacolo. Poco male, almeno era certo della sua sincerità e questo era apprezzabile più di qualunque complimento fatto da altri, quegli altri che andavano di qui e di là come le bandiere quando cambia il vento.

            Near si sedette sul letto. Avrebbe dovuto dormire quella sera. Era stato quasi pregato di farsi un sonno ristoratore, ma la sua mente viaggiava da sola sulla strada del passato. Perché? Se l’era chiesto ed era arrivato a una conclusione ridicola ed estranea ad ogni sua abitudine. In fin dei conti si era preoccupato per la sorte di Mello. Far saltare in aria l’edificio nel quale si trovava era dannatamente stupido; lui non sarebbe mai arrivato a tanto, ne era certo, non aveva quel fegato o quella follia congenita. Per fortuna sapeva che ne era uscito vivo; J, la sorella di L, era riuscita a recuperarlo e gli aveva chiesto aiuto per curarlo. Aveva subito messo a disposizione le cure mediche migliori per Mello. Non l’aveva visto, ma gli era stato riferito di una ferita al volto, un’ustione che ne avrebbe deturpato quel viso beffardo che osservava in quella fotografia. Quell’espressione ormai la poteva solo osservare su quel cartoncino e sapeva che non sarebbe stato per molto. Lui sarebbe venuto a riprenderselo e per lui c’erano solo sguardi carichi d’odio.

            Near ricordò l’estremo salvataggio di quella fotografia. Era riuscita a salvarla dalla distruzione a cui erano destinate tutte le fotografie dell’archivio. I piccoli geni persero anche ogni immagine, anche quell’unica immagine che restava del loro passato e avvenne nell’istante in cui erano giunte a Roger le informazioni che parlavano di come L aveva compreso che a Kira era necessario il volto delle sue vittime per ucciderle. Mello aveva già preso una decisione che gli avrebbe cambiato la vita.

Near volle per sé quella foto dell’unica persona che era stata sempre sincera con lui, quell’unica persona che, alla fine, aveva avuto un chiaro rapporto. Non gli importava che lo odiasse, lui era il suo legame, l’unico che avesse, l’unica sicurezza della sua vita: l’odio di Mello.

Eppure, nel profondo del suo cuore non voleva questo. Forse voleva trovare spazio in un sentimento positivo, voleva la stessa ammirazione che provava per quel ragazzo irruento, vivace, focoso, destabilizzante, ribelle eppure geniale, sincero, generoso, fiero e orgoglioso. Lui avrebbe volentieri condiviso la carica di L, non gli importava di averla tutta per sé, lo muoveva solo la giustizia, non il prestigio, ma Mello era testardo e aveva rifiutato, anzi, era andato via, qualche tempo dopo la notizia della morte del detective.

Solo, di nuovo solo.

Near subì l’ennesimo abbandono.

            Near scese lentamente dal letto. Voleva lasciare un messaggio a quella testa calda che aveva provato a rincorrere e ogni tanto ne aveva trovato le tracce qui e là. Sapeva della sua aggregazione alla malavita. Ogni tanto lo aveva scorto di sfuggita, era certo che certi indizi portavano a Mello e che solo lui poteva coglierli. Ora Near voleva dargli un rompicapo su cui riflettere, voleva mettergli il seme del dubbio nell’animo, voleva provare a scalfire quella voglia matta di batterlo, di superarlo, voleva dargli altro a cui pensare, voleva spiazzarlo.

Si avvicinò alla scrivania della stanza e prese una penna. Rigirò la foto e con la sua grafia semplice scrisse: Dear Mello. Non serviva altro, qualcosa in quella mente furiosa sarebbe scattato, lo sapeva. Anche solo per un attimo sarebbe entrato nei suoi pensieri in modo differente.

            Near sorrise in quella notte insonne e sperò di vedere presto quell’unico strano amico che aveva.

 

 

 

Nota dell’Autore

Sono quasi le due di notte. Mi è venuta così, tutta insieme, di colpo. L’avevo in mente da un po’, da quando ho scritto il quarto capitolo di “Loser” e ammetto che quel “Dear Mello” mi ha sempre dato da pensare.

Near è un personaggio che ho imparato ad amare con il tempo, perché è saccente al punto di irritare anche il lettore (seguire i suoi ragionamenti era assurdo … a volte mi chiedevo se fosse un manga o un trattato quello che stessi leggendo). Poi l’ho capito, l’ho apprezzato e mi ha intenerita tanto.

Lui per me è asessuato: è come gli angioletti, anche se conosce le parolacce. È il tipo di personaggio che vorresti abbracciare, vorresti inondare di calore umano e fargli scoprire le gioie della vita, anche prendere un po’ di sole … non si vive nei bunker tutta la vita!

Ho appena finito di leggere il romanzo di Death Note, “Another Note: il serial killer di Los Angeles” … chissà che non mi ispiri …

Spero vi sia piaciuto questo piccolo racconto.

Alla prossima!

 

Lady Snape

   
 
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