Videogiochi > Myst
Ricorda la storia  |      
Autore: crimsontriforce    09/11/2011    0 recensioni
L'anno di superficie 1808 vede due persone sole stabilirsi a Chroma'agana lasciandosi alle spalle due figli sbagliati, una casa pesante, una patria distrutta e l'altra sempre chiusa e perduta. Atrus cerca un nuovo inizio appoggiandosi agli strumenti che conosce e, come di consueto, fatica a tenere un progetto segreto a sua moglie: nei sogni di Catherine appaiono una grande luna, un fiore e una colonna.
Genere: Generale, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Atrus, Catherine
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '1. Gente che viaggia nei libri'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Questa storia è stata scritta per un concorso che chiedeva di presentare il proprio fandom a qualcuno che non lo conosce, ispirandosi in più a tre elementi casuali (che riporto in fondo - a me sono capitati una parola, una canzone e un'immagine). Ho provato quindi a mettere insieme una tramina che racchiudesse un po' tutto quello che 'fa Myst', con diari, Ere e cose da comprendere. E Atrus che fa Atrus e Catherine che fa Catherine, al meglio delle mie possibilità. E Chroma'agana che non è propriamente un caposaldo della serie ma insomma XD Spero di essere stata convincente! :)
Per chi passasse di qui dalla pagina del concorso o generalmente digiuno di Myst: le note introduttive alla serie sono in fondo in fondo. Il gioco invece è reperibile qui o su Steam (oh, io spammo, sai mai).







Come cerchi di pietra




Le grosse gocce che scivolavano dalle foglie battevano irregolari sulle lanterne ai lati del sentiero, suonando la loro melodia sulla percussione ininterrotta della pioggia filtrata dal bosco.
Per Atrus, cresciuto nel deserto, ogni goccia non aveva mai smesso di essere una benedizione, ma avrebbe fatto a meno della barba bagnata e del velo di umidità che gli appannava gli occhiali. Si strinse nella tela cerata, abbassando la testa fino a sfiorare la scatola di fiale che reggeva in braccio, e proseguì alla cieca verso casa.
Fu distratto da un brillio lontano colto con la coda dell'occhio: oltre le querce, nella radura alla sinistra del sentiero, le luci della pagoda erano accese.
“Catherine?”, si chiese appoggiando il primo piede nell'erba alta. Ignorò il freddo umido che dal cuoio delle scarpe aggrediva i calzini: una piccola deviazione non avrebbe annacquato né lui né l'esperimento che stava riportando al caldo e al sicuro nel suo studio.

“Catherine!”
Sua moglie alzò la testa da un quaderno e lo salutò con un sorriso distante, inclinato.
“Il temporale mi ha sorpresa qui”, disse. “Poteva accadere in posti peggiori.” Sdraiata sulla panca centrale del loro rifugio in mezzo al bosco, carta e penna in mano, sorretta da tutti i cuscini che era riuscita a raccogliere e sotto più coperte di quante Atrus ricordasse di aver mai portato lì, Catherine sembrava svanire sotto la luce ambrata dei faretti. Al di fuori, la pioggia slavava il mondo in verdi e blu.
Atrus appoggiò la cassa e si avvicinò per lasciarle un bacio fra i capelli. Inspirando il suo profumo, aprì un occhio per accertarsi di non aver sgocciolato in modo indecoroso e si trovò a leggere la prima riga della pagina aperta. Scostò lo sguardo per discrezione, ma una frase gli era rimasta incisa: Myst è troppo piena; Chroma'agana, troppo vuota.

La ripeté sul suo diario quella sera stessa: gli risuonava ancora e suonava vera.
L'abbiamo riempita di errori, aggiunse dopo la data 88 10 18, e del desiderio stesso di riempirla. Abbiamo deciso di uscire dal passato e questo comporta non ricadere nelle stesse trappole, ma è una questione di bilanciamento sottile quella che si pone, perché servirebbe riempire il vuoto senza riempire gli spazi. Ragionerò su questo distinguo ora che Catherine, anche inconsapevolmente, mi ha aiutato a mettere a fuoco l'incertezza di questi giorni. Confido in una... non una soluzione, forse, ma una direzione. Possiamo trovare una direzione.

Ma le riflessioni di Catherine, quel giorno, dallo stesso principio continuavano: Dovrei trovare un flusso, una corrente fra i due estremi e utilizzarla, ma vedo passato e futuro giacere inerti senza uno scopo. Non c'è un presente che li colleghi. Ho ritrovato Katran abbandonata nel villaggio dell'infanzia per vederla morire insieme al suo mondo: sono incompleta. Sono stanca. Sono ferma. Anche la voce acuta della nostalgia tace. Non appartengo – non a un luogo e nemmeno a me stessa.





88 10 20
Pochi progressi. Mi è stato noto fin da principio che il filo di questi pensieri appartiene al fuso di Catherine più che ai miei ragionamenti e vorrei potermi confrontare con lei, ma so anche di stare lavorando per la sua serenità e vorrei poterle già proporre una soluzione. O una direzione, nel minimo. Il primo obiettivo è una direzione.
Per quanto io possa struggermi nel sapere D'ni sempre lontana, è una perdita che mi accompagna da che ho memoria. L'Era di Riven brucia ancora. Sta a me muovermi.
Dal nulla in cui ci troviamo, la via non dovrebbe essere complessa. Cosa sto trascurando?





Catherine riemerse da un sonno profondo, ma stava ancora sognando. Si guardò i piedi nudi, l'orlo di una stoffa bianca che le sembrava di riconoscere da un'altra vita, buttò indietro la testa e sentì bussare su un vetro, poi eco di pioggia. Seguì quei rumori fino al risveglio; quando Atrus bussò alla porta della loro stanza, accompagnato dal profumo di pane fresco, fu in grado di articolare un “Arrivo”.

“Ti vedo altrove.”
“È una brutta cosa?”, chiese Catherine. Cercò di concentrarsi sul pranzo e trovò che la salsa di noci nell'insalata facilitava non poco il compito. Se ne servì altra.
“Dimmelo tu.”
“Questo posto è già uno e molti. Mi è capitato di viaggiare. Né bello né brutto, di per sé. Semplicemente accade.”
“Dove ti trovavi?”
“Ricordo la cima di un colle. Dormivo e penso che fosse un'attesa, ma sono certa di un cielo indaco da un orizzonte all'altro, un colore intenso, fisso, senza la transitorietà di un tramonto. Tingeva tutto della sua luce – una luna immensa sopra di me, una foresta ai piedi del colle... fiori, no, un fiore. C'era un fiore al mio fianco. E una colonna. Era un buon posto.”
Atrus aveva annuito al sentir menzionare la luna e a ogni elemento successivo della descrizione.
“Una colonna? Davvero?”, chiese spostandosi in punta di sedia.
“C'è qualcosa che dovrei sapere?” Catherine rise. Sentì che le faceva bene.
“Mmh.”
“Non sai mentire.”
“E a te non si può fare una sorpresa”, rispose placido Atrus barricandosi dietro un sorriso.
“Non due anni fa.” Catherine tornò a rabbuiarsi. “Se dovessi chiudere ancora gli occhi così...”
“Faremo in modo che non accada. Insieme.”
“Certo. In fondo, non accadrà più nulla.”





88 11 15
Non so cosa sto facendo. Catherine ha ragione: siamo arrivati a una fine. Approdiamo qui soli, con una patria distrutta e l'altra chiusa da porte che quattro mani non riusciranno mai ad aprire. Non era così diverso vent'anni fa, se ripenso al senso di vertigine dei primi giorni su Myst, come una brusca frenata dopo i rischi che avevamo corso, ma noi eravamo persone diverse. Anna era ancora con noi. Altri... erano solo nei nostri pensieri. Se c'è una via che Anna ha iniziato a percorrere e su cui mi ha instradato, sembra che si sia ristretta fino a terminare qui.
Ma in sincerità vedo che la spinta alla conoscenza non mi ha abbandonato. Non la vedo diversa da quei tempi, anche se a volte la penna esita a scrivere la prima gahrohev sulla pagina bianca, e mi impegno affinché non muti. La meraviglia dell'Albero deve continuare a sostenerci.

88 11 16
Possibili progressi. Il fertilizzante che ho sperimentato negli orti su Sinan ha causato un ingrandimento notevole dei frutti di nolte e la varietà artificiale che ho selezionato ne ha perfezionato la forma. Resta da stabilire se fornire le medesime condizioni del terreno fin da principio possa portare a uno sviluppo parallelo al mio esperimento in serra. Non potrò però accertarmene fino a che non avrò messo piede nell'Era, passo che rischia di richiedere tempo fino a che non avrò prove della stabilità della sua luna gassosa. Composizione curiosa, quella, che avrei dovuto forse tenere come esperimento separato, ma sarà un giorno spiacevole quello in cui avrò meno progetti che tempo per le mani.
So però per certo che Catherine l'ha vista in sogno e suppongo che valga come riprova dei miei successi. Le dimensioni del satellite, come anche il colore dell'atmosfera, sono compatibili con il Libro Descrittivo. La colonna resta incognita e non nego che sia causa di preoccupazione. Da un lato, riprendere i contatti con una civiltà andrebbe oltre i nostri sogni più arditi. D'altro canto, sarebbe spiacevole trovare il terreno del mio esperimento ricoperto di mattoni.





Catherine si era fermata al limite del bagnasciuga, lasciandosi sfiorare le dita dalle onde più lunghe. Una mano era appoggiata sulla lamiera metallica alla base del loro futuro osservatorio, calda ma non ancora rovente sotto il sole mattutino; l'altra giocherellava assente con uno straccio oleoso che aveva trovato appoggiato a un tubo.
“Eccoti”, salutò sentendo dei passi alle sue spalle.
“Ti disturbo?”
Catherine scosse la testa. “Cercavo superfici. Oggetti. Speravo che trovando un contatto questa nebbia se ne andasse.” Si indicò la fronte. “Funziona solo a fiotti.”
Atrus le prese di mano lo straccio. Si annerì le mani di grasso e olio e strinse la sua già sporca, tracciando linee sulle nocche e per tutta la lunghezza delle dita. Cercò la mano ancora pulita e passò a impiastricciare anche quella.
“Così?”
“Mi sento già più io”, rise.
“Bene.” Si fermarono a guardare il mare.

“Per quello che possiamo sentirci noi, invece – pensavo, se vuoi seguirmi...”
Catherine annuì. “Iniziavo a temere che ci avresti messo l'intera giornata.”
“Come, prego?”
“Quello che ho indosso”, disse indicandosi la gonna bianca da lontano, attenta a non macchiarsi, “è il vestito del sogno indaco. Me ne sono accorta uscendo. L'ho preso per un invito: hai terminato l'Era, non è vero? Posso vedere a cosa hai lavorato in gran segreto in quest'ultimo mese?”
“Ha! E nell'avere ancora una volta ragione...”
“Nei sogni?”
“Nell'avere ancora una volta ragione in tutto”, disse Atrus, “penso che tu abbia ogni diritto di sentirti pienamente te stessa.”
Le offrì il braccio.

La rilegatura del Libro era semplice e non portava ancora iscritto un nome; dell'immagine-porta Catherine distinse solo il color indaco intenso prima di allungare la mano e lasciarsi avvolgere dal buio del Legame.
Si trovarono sull'altura del suo sogno, una piccola vetta di pietra liscia e chiara, tinta di viola dall'atmosfera. Non c'erano odori nell'aria e alle orecchie giungeva solo il fischio secco del vento.
“Il fiore non c'è”, disse dopo aver avanzato qualche passo. Alzò lo sguardo al cielo, dominato dall'unica luna di quell'Era: il colossale satellite vegliava sull'orizzonte, all'apparenza immoto ma mostrando un volto sempre diverso all'osservatore attento, anche a occhio nudo.
“E quella? Come hai fatto a tenerla su? Sta su? Atrus, pensavo che avessimo finito di fare gli scavezzacollo con le lune.”
“È gassosa”, giunse la risposta alle sue spalle. Non le sfuggì una sfumatura compiaciuta.
“Ma è un satellite! La massa...”
“Rotazione”, disse con la soddisfazione di un ragazzino. Si voltò e gli andò incontro, pronta a fermarlo con un bacio prima che finisse di dire “forza centripeta”.
“La mia colonna!”, disse Catherine quando lo raggiunse: Atrus stava esaminando un fusto di pietra spezzato all'altezza delle sue ginocchia. Altri due frammenti giacevano vicini, incastonati nel suolo petroso. “Cosa pensi che significhi?”
“Non è una colonna.” Atrus indicò la valle, dove si stendeva una foresta grigia di radici e tronchi abbattuti. “Silexite. Opale xiloide. Legno silicizzato.”
“Era un albero.” Catherine si chinò a guardarne la sezione, accarezzando gli anelli preservati dal quarzo.
“C'è sempre stato solo un congresso d'alberi ad attenderci.”
“L'abbiamo fatto attendere troppo.”
“Sessanta milioni di anni, forse più. Quando anche questa collina era coperta dalle acque. Guarda lì: arenaria.”
“Non era questo che avevi in mente.”
“Non... no. Siamo arrivati tardi. Anche questo posto ha raggiunto la sua fine. La foresta che immaginavo è passata da molto, molto tempo... scusami, Catherine.”
“Ma manca il mio fiore.” Catherine guardò in basso. Provò a fare un passo in avanti tenendo stretta la mano di Atrus.
Suo marito la seguì. “Andiamo a cercarlo, allora.”

Discesero. Vennero inghiottiti dal labirinto della foresta pietrificata, dove la strada era dettata dai resti di alberi secolari. Si aiutarono a vicenda a scavalcare due tronchi che sembravano tagliare loro ogni via d'uscita. Sentirono i piedi atterrare sul soffice: oltre quella barriera si era accumulato del terriccio. Poco più in là, la prima felce.
Atrus accelerò il passo. Le chiese di fermarsi quando il sottobosco si fece macchiettato di cespugli dai frutti gialli grossi come noci e schiacciati come bottoni.
“Sono loro?”
“Dev'essere estate.”
A Catherine la forma dei frutti e delle foglie ricordò una specie nativa di Sinan che avevano coltivato in serra, troppo aspra per venir mangiata ma caratterizzata da un grazioso seme forato che aveva intrecciato in alcune ghirlande. Ma quella era arancio e poco più larga di una fragolina.
Atrus colse un frutto, ne liberò il nocciolo e prese a lucidarlo con un fazzoletto.
“Ho pensato a molte cose in quest'ultimo mese, amore mio”, le disse. “La conclusione era sempre la stessa: giriamo pagina. Ho cercato un simbolo.”
“Tu? Dev'essere stata un'impresa.”
Si sistemò gli occhiali. “No. Sì. Era ovvio, ma non volevo che fosse metallo. Volevo offrirti qualcosa di vivo.”
Mise in tasca il fazzoletto e aprì il palmo, offrendole il nocciolo asciutto e pulito: un piccolo anello impreziosito dalle venature del suo legno chiaro.
“Ancora una volta.”

“Non riscriviamo nulla. Non stiamo cancellando una virgola dai giorni che furono, Atrus, che sia chiaro.”
“Non giriamo pagina? Non spezziamo il Legame, intendi?”
“Sì.”
“Non giriamo pagina, allora. L'Arte sottosta a delle regole, non la nostra vita. Abbiamo la libertà di andare a capo e ricominciare.”
























Credevo che la definizione “congresso d'alberi” fosse mia, ma mi sa che deve parecchio ai magnifici testi di Sword&SworceryEP. Se avete un iQualcosa vi prego fatevi un favore e giocatelo *_* (...e se vi piacciono le avventure grafiche d'atmosfera ma... in caso contrario, che ci fate qui?)
Note:
@ Era: il suo aspetto viene da uno dei temi del concorso, quest'immagine qui. Gli altri erano “anello di fidanzamento” e una canzone che mi ricordava abbastanza Catherine nei suoi momenti no.
@ interpretazione di Myst come 'troppo piena': io non ci metterei bocca, ma l'ha detto Yeesha quindi suppongo conti canone: Father could not keep Myst simple - new structures and new Ages he brought. Mother could not keep Myst solitary - two new sons she brought - my brothers - Sirrus and Achenar. And they grew up strong, and hungry, and lustful, like their Grandfather Gehn - unable to control the power of Books - the power of writing Ages. And as a result all became prisoners. Prisoners in their refuge.
@ date: la fanfic inizia ad aprile 1808 e si estende per un mesetto. Si ringrazia sempre il Cavernian Calendar Converter per non farmi sparare stupidaggini anche nel conteggio degli anni.
@ fare gli scavezzacollo con le lune: c'è un episodio abbastanza imbarazzante nel Book of Atrus e poi quel diarietto extra di Gravitation. ...non il manga, l'Era.
@ colonna che è un albero pietrificato: si ringrazia il museo di storia naturale di Londra, che mi è venuto incontro durante la stesura della trama XD Ho fatto quasi più foto alla sala dei minerali che ai dinosauri...
@ titolo: per una volta Words non c'entra. Pensavo ai molti inizi di Atrus e Catherine, di cui Atrus stesso parla in Exile e Reve, e mi hanno ricordato i cerchi concentrici di un albero che cresce. Qui l'albero è di pietra... e la pietra da queste parti è always relevant. Mi sembrava un titolo carino.
@ note qua sotto: il tema principale del concorso era scrivere una storia che potesse fare da introduzione per il proprio fandom e corredarla di note. Mi sembra di aver coperto le basi con una storia su Atrus, Catherine, diari, sogni e la scrittura di un'Era... e qui sotto ci sono le note.
Introduzione al fandom:
“Asocialità: il videogioco”, al secolo Myst, è una serie di avventure grafiche basata su osservazione e logica stretta. I suoi luoghi immobili, discreti e solenni raccontano la storia di chi li ha abitati: quasi non si interagisce con questi protagonisti narrativi, che restano sullo sfondo dell'azione presente che si svolge a giochi fatti, a piccole tragedie compiute, ma li si osserva a fondo, tramite le tracce che la loro esistenza ha lasciato negli spazi e gli immancabili diari con cui si raccontano. È la storia di una famiglia che lungo quattro generazioni si trova allo snodo di una Storia millenaria; Atrus e Catherine, la terza di queste quattro generazioni, sono i protagonisti più influenti.

Catherine viene da un mondo morente. Si è sempre sentita esule in patria nella cultura isolana da cui proviene, senza trovare nessuno che comprendesse il suo spirito inquieto. Dal suo diario emerge una dignità profonda, una personalità visceralmente femminile, rigorosa, secca e fragile, con una mente che oscilla fra il cristallino e l'offuscato. Dover abbandonare la sua patria Riven nelle mani di un tiranno l'ha spezzata, anche se nel farlo ha trovato in Atrus la sua àncora e in Myst una vera casa. Per come la vedo, questo senso di appartenenza fratturata è uno dei punti cardine di un personaggio segnato dalle dicotomie già nel nome: Katran è il suo vero nome, ma è anche un'identità che si è lasciata alle spalle identificandosi nella buffa pronuncia errata del marito, che non ha mai smesso di chiamarla Catherine. L'anno prima degli avvenimenti di questa fanfiction, i loro due figli psicopatici hanno deciso di liberarsi dei genitori imprigionando la madre nel mondo d'origine, dove si è messa a capo della resistenza e ha fatto un sacco di cose interessanti, e obbligando il padre a nove mesi della prigionia più atroce mentre lavorava giorno e notte per evitare che Riven collassasse. I figli s'imprigionano da soli (complimenti!) e Catherine riesce a fuggire, ma il suo mondo è oltre ogni possibilità di salvezza.

Tutto questo perché, sì, Atrus sa creare e manipolare i mondi, o “Ere”, come vengono chiamati. È il discendente dell'ultimo sopravvissuto della civiltà D'ni (ok, non ci crede nessuno che era l'ultimo, neanche lui, ma per ora non sa se e dove sono gli altri), che aveva il potere di scrivere mondi. In una lingua speciale, con inchiostro speciale, su carta speciale, si può descrivere un mondo e il libro diventa un portale per quel mondo, trasportandovi chiunque metta la mano sull'immagine in prima pagina. Ora, nonostante i D'ni chiamassero questo processo l'Arte e il tutto sembri molto un portale per Narnia, la descrizione non dev'essere in bella prosa, ma scientifica e puntuale, e il libro non crea un mondo, ma crea un collegamento a un mondo già esistente da qualche parte nel multiverso (il Grande Albero delle Possibilità, come lo chiamavano i D'ni). Modifiche successive al testo si riflettono sull'Era: si può scrivere una grotta e sarà sempre stata lì, ad esempio, ma cambiamenti troppo radicali spezzeranno del tutto il legame, portando invece a una versione parallela.

Atrus, dunque, dopo essere cresciuto con la nonna umana in mezzo al deserto del New Mexico e dopo un certo numero di peripezie in gioventù, si trova con le mani in mano sull'isola di Myst. Lì sta con l'amata moglie (bene), cresce i figli (malissimo, a giudicare da come vengon su) e si riempie le giornate facendo quello che gli viene meglio: pastrugnare con tutto quel che ha a tiro. Atrus è un animo placido, retto, schivo, facile a stringere amicizia ma restio ai contatti duraturi, osservatore, incarna un po' la figura del genio rinascimentale che si cimenta nelle arti a seguito di un interesse profondo verso il mondo in tutti i suoi aspetti. È quindi scienziato, costruttore, astronomo, geologo, diarista assiduo (come un po' tutti in canone tbh, c'è una vena da scienziatino che corre anche al di fuori della famiglia e caratterizza la visione del mondo della serie), porta avanti esperimenti naturalistici e non di ogni sorta, ma il suo campo di studio prediletto è, ovviamente, la scrittura di Ere. Ne aveva scritte così tante su Myst, deliziandosi ogni volta di come la realtà corrispondesse a quello che aveva scritto e al contempo lo superasse oltre ogni possibile immaginazione, studiando le corrispondenze nel terreno, nell'aria, nelle forme di vita e, qualche rara volta, stringendo contatti con le civiltà che incontrava. Ma i figli hanno appiccato fuoco alla sua biblioteca e a Chroma'agana ha portato solo molti ricordi e qualche tomo annerito.
Riprendersi sarà dura senza avere nulla cui aspirare: la perdita dei figli pesa ovviamente su entrambi e all'orizzonte si prospetta solo una serie identica di giorni in solitudine condivisa, senza altri scopi. Riven è distrutta per sempre e D'ni per il momento è irraggiungibile...

La fanfiction si colloca un annetto dopo la fine del disastro dei figli (due anni dopo il suo inizio), quando i due hanno stabilito che Myst si è riempita di ricordi troppo tristi e si sono trasferiti da poco su Chroma'agana, un'altra Era scritta appositamente per fare da nuova casa. E giustamente, visto che stanno cercando di ricominciare dopo decenni di solitudine, si saranno trovati una ridente cittadina, un villaggetto pittoresco...? Nossignori, si piazzano su un'altra isola deserta come la prima – e quando dieci anni dopo Atrus riunirà i sopravvissuti del suo popolo, lui e Catherine andranno a vivere in mezzo al deserto. “Asocialità: il videogioco”, come dicevo... ad ogni modo, dati a Chroma'agana un nome e una descrizione molto sommaria il canone salta a dieci annidopo. L'episodio che narro è quindi completamente inventato, sia nei luoghi sia negli avvenimenti.



   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Myst / Vai alla pagina dell'autore: crimsontriforce