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Autore: Koori_chan    09/11/2011    0 recensioni
//Gli era sempre sembrato eterno, incrollabile, un punto fermo in quella bufera che è il mondo.
Non aveva mai pensato, nemmeno per un momento, che un giorno avrebbe potuto andarsene, o ancora peggio, che avrebbero potuto portarglielo via. [...] Ci sono dei segni sul muro proprio sopra la testa di Ludwig. Delle barrette sottili e decise sovrastate da una scritta un po’ più tremolante.
“Tage Ohne Dich”//
Nell'anniversario della caduta del Muro di Berlino, una breve fanfiction su Ludwig e Gilbert.
Che non è necessariamente Germancest, ma un vago sentore ce l'ha.
A libera interpretazione...
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Germania/Ludwig, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mauerfall






Gli era sempre sembrato eterno, incrollabile, un punto fermo in quella bufera che è il mondo.
Non aveva mai pensato, nemmeno per un momento, che un giorno avrebbe potuto andarsene, o ancora peggio, che avrebbero potuto portarglielo via.
Era cresciuto sotto la sua ala protettiva, al sicuro da ogni pericolo, ben deciso a seguire il suo esempio e a diventare una grande nazione, perché era questo che Gilbert voleva da lui: che diventasse grande.
Allora si era impegnato, aveva lasciato da parte i giochi dell’infanzia e si era dedicato al sogno di suo fratello, anima e corpo.
Era diventato un bravo soldato, un bravo comandante.
Ma un bravo fratello? Quello lo era mai stato?
Non riesce a impedirsi di pensarlo, Ludwig, tutte le volte che con la coda dell’occhio vede la Brandenburger Tor sbarrata da quel dannatissimo blocco di cemento.
Non riesce a non chiederselo quando, dall’alto delle torrette di guardia, vede i soldati russi sputare sul bianco della neve e apostrofare qualcuno dall’altra parte.
Dall’altra parte.
Un’espressione surreale.
“Dall’altra parte” significa solo venti centimetri più in là di dove si trova, solo venti centimetri per raggiungere un altro mondo.
“Dall’altra parte” è un muro freddo e sterile alto tre metri e mezzo, giusto quel che basta per impedire la vista.
“Dall’altra parte” significa per Ludwig il sogno e l’incubo di quell’ultimo frammento di famiglia che gli è rimasto.
Perché lui non sa nulla di Gilbert, l’ultima volta che lo ha visto era un grigio mattino di Agosto. Avevano parlato del più e del meno, come si fa nelle giornate qualsiasi. Si era lamentato dell’umidità e l’aveva fatto ridere con qualche battuta idiota di quelle che tirava sempre in ballo quando lo vedeva un po’ troppo spento, poi erano tornati ai loro compiti, ignari –o forse no?- del fatto che quello sarebbe stato il loro ultimo momento insieme.
Era difficile pensare che Gilbert e Ludwig potessero essere fratelli, tanto poco si somigliavano, eppure fra di loro vi era un legame più duro del diamante, più solido della roccia.
Ludwig non sa più nulla di Gilbert.
Sono quasi trent’anni che non riceve sue notizie, trent’anni che tende l’orecchio speranzoso di udire, dall’altra parte, quella voce sempre strafottente e sicura di se, trent’anni che cammina avanti e indietro davanti al muro pregando che, dall’altra parte, gli occhi scarlatti di quello che è sempre stato il suo porto sicuro, si alzino al cielo e colgano, nei candidi cristalli che scendono dal cielo, il suo conforto.
Forse Gilbert è morto. Forse Ludwig sta aspettando da trent’anni di incontrare qualcuno che non è più dove si aspetta di trovarlo.
A volte questa atroce consapevolezza sfiora il suo cuore, all’improvviso, cogliendolo di sorpresa. Cerca di non pensarci, ma quel blocco di cemento proprio lì, di fronte a lui, sembra stringerglisi attorno premendo forte nel tentativo di schiacciarlo, di estirpare la resa dalle sue labbra.
Ma se c’è una cosa che gli ha insegnato suo fratello è non arrendersi.
Lottare fino alla fine, e anche oltre, se necessario.
Un Beilschmidt non getta la spugna nemmeno di fronte alla morte, e questo Ludwig lo sa bene, per questo continua a sperare.
Poco, sottovoce, per paura che qualcuno possa accorgersene e strappargli il suo sogno dalle mani, gettarlo a terra e calpestarlo, come un coccio di vetro alla stazione del treno.
Ogni giorno, da quando tutto è incominciato –o finito?-, si reca proprio là, davanti alla Brandenburger Tor, si siede per terra, spalle al muro, e aspetta.
A volte guarda il cielo e parla, racconta la propria giornata, i propri sogni e le proprie paure –quelle più di rado, se ne vergogna un po’-, proprio come se dall’altra parte Gilbert lo stesse ascoltando.
Ci sono dei segni sul muro proprio sopra la testa di Ludwig. Delle barrette sottili e decise sovrastate da una scritta un po’ più tremolante.
Tage Ohne Dich
Sono tante barrette, sembrano quasi infinite, ma un giorno spariranno, diventeranno briciole.
Briciole di cemento dimenticate e spazzate da una scopa impietosa, briciole di anima prussiana in un corpo tedesco, radicate e salde affinchè nessuno possa mai cancellarle.
Anche oggi è tornato al muro, anche oggi ha aggiunto una barretta ai Tage Ohne Dich e si è seduto a parlare con il fantasma di suo fratello, senza sapere che dall’altra parte anche Gilbert sta parlando con il fantasma di Ludwig, tracciando piccoli segni sul grigio del cemento.
Sono più irregolari, più pallidi, perché per Gilbert è più difficile raggiungere il muro, è più pericoloso segnare i Tage Ohne Dich.
A Gilbert quelle barrette non sembrano affatto briciole. Per lui sono le maglie di una catena. Fredda e pesante, si avvolge attorno al suo collo impedendogli di respirare, anche lui sta diventando trasparente, proprio come i segni sul muro.
Ma se loro resteranno sempre lì, ricordo indelebile dell’affetto che prova per il suo fratellino, lui sparirà, come una goccia di pioggia sull’asfalto ad Alexanderplatz.
La sua memoria verrà assorbita dai mattoni delle case, dilaniata dal filo spinato, crivellata dalle pallottole dei russi, fino a scomparire.
Se ne sta lì, seduto con la schiena contro il muro, le palpebre abbassate e la mano stretta attorno all’unica cosa che gli sia rimasta di suo fratello, l’unico ricordo rimasto a rammentargli che non è ancora morto.
L’Eiseners Kreuz è fredda e dura fra le sue dita, e nonostante il caldo soffocante di Agosto vince lei sui bollori dell’asfalto.
Perché il freddo che prova Gilbert non è fisico, ma è nell’anima.
Un Beilschmidt non getta mai la spugna, nemmeno di fronte alla morte, ma Gilbert sta iniziando ad arrendersi.
Ci ha provato, davvero, con tutte le sue forze.
Ha tentato di scappare, ma ogni volta che lo riportavano indietro era sempre peggio, finchè un giorno ha dovuto rinunciare.
Non ci era abituato ad alzare le mani e stringere i denti, non ci era abituato a sentire le guance bagnate e gli occhi bruciare.
Lui era nato per attaccare e non per difendersi,  mollare non era nel suo DNA, ma aveva dovuto capire in fretta che le cose, dall’altra parte, non andavano secondo la sua normalità.
E si vergogna, Gilbert, si vergogna di essere un mucchio di stracci contro un muro, quando sopra di lui il cielo è terso ed il tramonto è dolce.
Si vergogna perché il suo unico desiderio era quello di morire senza rimpianti, e adesso sono proprio loro ad ucciderlo.
Il rimpianto di  non aver detto addio a suo fratello, di non avergli spiegato a cosa sarebbero andati incontro.
Il rimpianto di non  poter essere accanto a lui, di non potergli dire quanto gli vuole bene, quanto ha riposto in lui ogni sua speranza, quanto per lui è disposto a morire.
Si alza in piedi lentamente, barcollando appena, le gambe intorpidita dallo stare per così tanto tempo nella stessa posizione.
Un’ultima occhiata alla Brandenburger Tor, un ultimo pensiero al suo fratellino dall’altra parte e poi si incammina verso quel tugurio che è stato obbligato a chiamare casa.
Un altro pezzo aggiunto a quella fredda e lunga catena dei Tage Ohne Dich.
Un altro giorno, e se al di là del muro la speranza si fortifica, da questa parte la notte sembra più nera che mai.


*

 

Oggi fa freddo.
Il vento solleva di tutto davanti alla Brandenburger Tor: foglie secche, spazzatura, fogli di giornale…
Il sole è appena calato su Berlino, sia Est che Ovest. Nessuno ha più voglia di restare fuori casa, ci si aspetta che ognuno se ne torni al suo nido, al calduccio, ma qualcosa stasera va al contrario.
Nel momento esatto in cui ogni rumore dovrebbe venire inghiottito dal buio, precipitando la città nel più profondo silenzio, qualcosa esplode.
Un boato. Un fragore che questa volta con la guerra non c’entra niente.
La gente piange, mentre si riversa per le strade. La gente ride, mentre si abbraccia cantando felice.
E’ un unico fiume di gente che esce dalle case, dai bar, dai negozi, e marcia trionfale verso un unico punto.
E Gilbert è lì davanti, il suo gessetto ancora in mano, la punta consumata ancora appoggiata contro il cemento a segnare l’ennesimo Tag Ohne Dich. Si volta verso la piazza, le sue labbra si socchiudono lasciando uscire una nuvoletta di vapore, il gessetto cade a terra, calpestato da migliaia di piedi.
Dall’altra parte Ludwig indietreggia, il carboncino ancora stretto in mano. Sente un gran boato e canti gioiosi, ma non capisce.
Non capisce finchè non vede una testa fare capolino dall’alto del muro, seguita da molte sue simili.
E’ questione di attimi, di secondi, di incalcolabili respiri.
Una crepa, due, tre.
Il muro si sgretola sotto ai suoi occhi, e da Berlino Est a Berlino Ovest i Tedeschi si mescolano come in un grande, attesissimo abbraccio.
Lui sta fermo. Non si muove fra la calca.
Come un angelo, Gilbert sta esattamente di fronte a lui, dall’altra parte.
Le labbra dell’albino si muovono in un sussurro.
La B, la R, la U.
Pausa.
La D, e quell’“ER” che come fa Gilbert non lo sa pronunciare nessuno; il carboncino gli cade di mano.
Vorrebbe dirgli di non piangere, perché ormai è tutto passato, è tutto finito, e loro sono di nuovo una cosa sola, e lui lo proteggerà e non lo lascerà andare mai più, ma non può. La gola è serrata e le lacrime calde e salate gli impediscono di parlare.
La prima volta che piange dopo quasi trent’anni.
Stanno lì, immobili, uno da una parte e uno dall’altra, a poco più di venti centimetri di distanza, mentre attorno a loro il mondo è in festa.
Le maglie della catena si sono spezzate, quelle infinite barrette sono diventate briciole.
Intorno a loro le luci dei lampioni, la musica, i canti e gli abbracci.
Gli occhi di uno piantati in quelli dell’altro, affamati di quelle pupille attese per così tanto tempo.
L’azzurro del cielo sopra Berlino, il rosso del sangue colato dai loro cuori.
Finalmente un sorriso su quei volti pallidi, mentre le suole delle scarpe fanno scricchiolare le briciole del muro, frammenti di scritte tremolanti e segni sbiaditi.
Ora possono abbracciarsi, ora possono concedersi la felicita che fa esplodere il cuore nel petto, perché adesso lo sanno.
Non esisteranno mai più quei dannati, crudeli e tanto odiati Tage Ohne Dich.
  
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