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Autore: 11cerbero    09/11/2011    1 recensioni
Leonard è un viaggiatore di dimensioni inesperto, ha appena cominciato la sua avventura. Incontrerà Reginald, un sopravvissuto. Ma di cosa? Cosa sta succedendo in questa stanza sporca e scura?
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Leonard mette piede per la prima volta sull’universo 7xx45553, nella dimensione 5546x, le coordinate sono state prodotte casualmente. Esattamente la punta del suo piede destro tocca un pavimento lurido, sporco di materia viscida. Leo emette un verso di disgusto. — Ho appena cominciato il mio viaggio e già mi ritrovo a contatto con della materia fecale. Vediamo, c’è qualcuno qui? — 
Il ragazzo, piuttosto giovane per essere un Viaggiatore, ha appena compiuto sedici anni. È alto sedici kernit, l’equivalente di un metro e sessanta del nostro mondo, ha gli occhi azzurri, i capelli così biondi che sembrano platinati e un volto infantile che non prenderesti mai sul serio. Sulla fronte sono poggiati degli occhiali da aviatore, in contrasto con la tuta verde acido aderente: è un ricordo del suo primo viaggio.
Il suo orologio emette strani versi. — Avanti, non fare il timido. Nexus mi ha appena avvertito della tua presenza e so di per certo che non sei aggressivo. Su, esci dall’ombra. —
Leo si trova in quella che sembra una cantina illuminata malamente. Sporca, come ho già detto, di materia fecale, sangue e vomito. Una fragranza paradisiaca lo circonda, e sono ironico. 
Un uomo sulla trentina, dai capelli mossi color blu cobalto e con la barba ispida emerge dall’ombra. Bene, pensa Leo, una razza umanoide come la mia. Non sarà così male.
— Non sei uno normale o fai parte degli.. altri? —
— Ah, interessante. Ci sono due specie in questo mondo? No, posso assicurarti di non essere nulla  di cui hai mai sentito parlare. Sono un viaggiatore delle dimensioni e sono qui per ascoltare e registrare la vostra storia. Siamo al sicuro qui? 
— Credo proprio di sì.. — Dice l’uomo ridendo nervosamente. — Io sono Reginald, e sono, anzi ero, un avvocato. Scusami se mi presento in questo modo e sono poco sorpreso della tua presenza. Tra l’altro, sono letteralmente sfinito. —
Il ragazzino spruzza per terra con lo spray anti-virus-malattie-e-qualsiasi-cosa-nociva-si-possa-mai-trovare della SNPGLAC-CORP prodotto apposta per i viaggiatori. Non perché non si fida ma, sapete, non si sa mai. Infatti il Nexus non ha avvertito di nessuna malattia realmente mortale. Anche se bippa in modo strano. Dopodiché il ragazzo si siede per terra. 
Preme un pulsante sul Nexus, il suo orologio multifunzionale, e un block notes olografico appare tra le sue mani.
— Prego, mi racconti la sua storia. Ah, non aspetti che io prenda appunti, è solo una formalità. Nexus registrerà qualsiasi cosa lei dica, è solo che mi piace segnare ciò che mi colpisce. —
Leo ha già segnato “capelli blu” e “vomito ovunque” sul block notes.
— Bene, vuole che racconti la mia storia? Lo farò solo perché ho bisogno di parlare, voglio che la mia avventura venga tramandata in qualche modo. Credo sia importante. E probabilmente sono tra gli ultimi umani in questa terra. 
— Già, Nexus mi aveva informato che sarei arrivato in un momento.. critico della vostra esistenza. Anche se non so perché mi dà informazioni poco chiare. Ma non voglio farle perdere tempo. Prego, cominci da dove vuole.
L’uomo si siede per terra, di fronte a lui, e si accende una sigaretta. La camicia blu è stropicciata e macchiata di sangue.
— Allora comincerò dall’inizio. Vede, come ho già detto ero un avvocato. Me la cavavo bene, anche se ero scapolo e vivevo in un monolocale. Mi occupavo di malasanità. Ero venuto a sapere di un caso disperato in cui un barbone, chiaramente pazzo e malato, al posto di ricevere cure è stato ucciso sul posto dai militari. La cosa mi puzzava anche se non era il mio campo. —
Reginald sbuffa una nuvola di fumo.
— Così, facendo qualche ricerca ho scoperto che il barbone aveva aggredito diverse persone. Le prendeva a morsi, ma non eroticamente. Ha staccato un orecchio e diversi lembi di pelle, o una cosa del genere e così, a quanto pare per autodifesa, i militari hanno dovuto sparargli. Che male può fare un barbone a mani nude a sette uomini addestrati imbottiti di kevlar, poi, non lo so. Ma non avevo molto tempo per pensarci a dire il vero. —
Reginald si perde in un silenzio distratto, guarda una macchia indistinta sul muro e poi riprende.
— In quel momento era scoppiato uno scandalo. Lo stato del Kanseq aveva nascosto per mesi un’epidemia virale che aveva decimato la loro popolazione. Davvero, una cosa mai vista. Ma d’altronde sappiamo com’è il Kanseq, sempre fissato a essere il primo, il migliore, con la reputazione pulita. Al che il panico aveva contaminato il mondo: ogni aeroporto, stazione ferroviaria e porto era chiuso, bloccato. Un’infezione virale mai vista prima, all’inizio si sospettava di questo, non c’erano cure e bisognava rifilare tutti quelli che mostravano i sintomi. —
Comincia a elencarli, alzando un dito come se li stesse contando. — “È facile, combatti il malore. Prima febbre, sangue dal naso e raffreddore. Poi vomito, incoscienza e problemi al cuore. Entra al centro PESI e difendi i tuoi familiari con il tuo amore.” Così era lo slogan delle pubblicità che trasmettevano ogni cinque minuti in televisione, nelle radio, su internet. Con “difendi i familiari” intendevano dire che era una malattia tremendamente contagiosa, quindi bisognava portare al più presto i contagiati ai centri PESI, Pestilenze E Servizi Igienici, prima che infettasse i membri della famiglia. So che ha poco senso, lo so. Però gli ammalati che entravano non uscivano più. “State tranquilli, ci prendiamo cura di loro” dicevano. Ma sai cosa succedeva in realtà? —
Reginald spegne la sigaretta e la guarda a malincuore. 
— Li uccidevano tutti. L’ho scoperto molto dopo, sono stati bravi a nascondere la cosa. Un giorno, non si sa come, un intero centro PESI è stato infettato. I militari hanno dovuto incendiare tutto e pian piano la popolazione diminuiva. Dello stato del Kanseq non si seppe più nulla, tutti i contatti erano interrotti, anzi peggio, semplicemente scomparsi! Come se non ci fosse nessuno in quello stato con cui comunicare. E in effetti la situazione era tragica.
Quando finalmente vidi uno degli infettati capii che c’era qualcosa che non andava. —
— Morti viventi, vero? — Chiede Leonard alzando lo sguardo. Ha già scritto due pagine di appunti e sembra essere intenzionato a continuare.
— Esattamente. Sembravano semplicemente morti, dalla pelle bluastra, che avanzavano spinti semplicemente dall’istinto. Lì capii che era l’inizio dell’apocalisse. Partì una vera e propria  guerra contro i non morti. Mi rinchiusi in casa per qualche mese, uscendo sporadicamente la mattina per rubare cibo al supermercato. Erano pericolosi solo in gruppo; nelle metropoli c’erano vere e proprie orde di zombie affamati. Ma non era così per me, io vivevo in un paesino e di nemici ce n’erano pochi. Anche se ogni giorno se ne trovavano almeno dieci fuori al cortile. Ormai diventò quasi un gioco: passeggiare per la strada con un’ascia in mano e mozzare la testa ai nemici. Cominciai anche a segnarmi i punteggi: quelli che si trascinano a terra valgono solo un punto, quelli che camminano cinque punti. I non morti che corrono ne valgono dieci e quelli grassi, enormi, pieni di gas venti. — 
— Ti sento tranquillo a raccontare questa storia. Solitamente dopo esperienze del genere si sviluppa una sorta di trauma nervoso. Invece tu mi sembri proprio a tuo agio. Come mai? —
— Certo, sono calmo perché non è arrivata la parte peggiore. D’altronde ho vissuto con la cultura degli Zombie fin da piccolo, ero più che preparato. Come ho detto, era un gioco. —
— Qual è il problema allora? —
— Il vero pericolo è quando non conosci il nemico. Con i non morti è facile, la maggior parte di loro sono lenti, cercano di morderti e se gli fracassi la testa sei a posto. Oltretutto, per il posto dove mi trovavo, non rappresentavano un vero problema. Ma il virus non si limitava a infettare solo umani ammalati. Prima di tutto anche gli animali subivano l’influenza del virus, quindi ogni tanto capitava di vedere cani zombie che correvano a tutta velocità, mordendo qualsiasi cosa gli capitassero a tiro. Fannie, il cagnolino della mia vicina, era uno yorkshire ormai cieco per la sua età ed era addirittura buffo vederlo rincorrerti zoppicando e andando a sbattere contro i pali. I nemici peggiori erano i tori zombie, davvero tremendi. Distruggevano tutto con rabbia. Ho solo visto qualche filmato su internet, prima che la telefonia smettesse di funzionare, e facevano davvero paura. Ma anche gli squali non morti non scherzavano: uscivano dall’acqua e strisciavano finché non raggiungevano qualcuno a cui staccare la testa. Finché tieni le distanze va bene, non ti fa niente. Ma quando sei impegnato nel scappare da non morti che cercano di divorarti ci fai poco caso e può venirti la brutta idea di ripararti dietro di lui. Notai che c’era qualcosa di strano allora, nel parco pubblico della mia città. E sia chiaro, per dire che c’è qualcosa di strano in un mondo zombie dev’essere davvero strano. —
— Continua, sono interessato. — Dice Leo grattandosi il naso con la penna olografica. Il Nexux lampeggia e avverte che la batteria si sta scaricando. — Pensavo che le batterie nucleari fossero praticamente infinite. Che delusione, forse ho una versione difettosa. Quando tornerò alla base dovrò sostituirlo. Continui, comunque, mi sembra una storia più che interessante. —
— È dannatamente interessante, credimi! Stammi bene a sentire. Nel parco nazionale, tra i salici piangenti, c’era un unicorno zombie che mangiava foglie morte. Quando mi vide cercò di attaccarmi con il suo lungo corno sporco di sangue. E dico, capisco i cavalli non morti ma gli unicorni! Gli unicorni non esistono. O almeno era quello che credevo. Più passava il tempo più strani esseri mitologici apparivano. Le Arpie attaccavano dall’alto e si appollaiavano sui comignoli delle case, le valchirie, invece, apparivano tra le nuvole e ti infilzavano con le loro lance.  Enormi golem sbucavano dalla sabbia ma siccome non sono carnivori si limitano a divorare rocce e pietre. I basilischi sono i peggiori, prima ti pietrificano e poi ti ingoiano intero. Enormi cavalieri dotati di mazze chiodate o ciclopi sbavanti spuntavano dai tetti, vigilanti e attenti. Tutti sotto la forma di zombie, ovviamente. Ma più passava il tempo meno zombie si vedevano, finché non scomparvero. E quindi il parco era popolato sia da mostri perfettamente normali che da quelli in versione zombie. Ah! È strano dire la parola normale, ormai. Fa addirittura ridere. —
Leonard alza un sopracciglio. Il block notes scompare tra le sue mani, il nexus non è più capace di supportare l’applicazione appunti. — Non capisco, cos’è successo esattamente? —
Reginald sorride e asciuga un pezzo di vomito sulla guancia. — Non capisci,  viaggiatore? Il virus non attacca gli esseri viventi. Infetta la fantasia! Prende la nostra immaginazione, la infetta e diventa realtà, si concretizza. Il mondo adesso è popolato dalle peggio cose. Certo, le ninfe nude e le dee dell’amore sono carine quando non sono zombie, ma non hai idea degli orrori che partorisce l’immaginazione dell’uomo. Non so se ci hai fatto caso, ma non ci troviamo in una cantina normale, ma nelle interiora di un mostro. Dall’esterno sembra quasi un leviatano: un’enorme balena piena di occhi e artigli. E l’interno? Tutto dipende dalla persona che ci entra, credo. Questa cantina era quella dove mi portava mio padre e mi picchiava quando era ubriaco. Forse è per questo che è ridotta così, piena di sangue, vomito e.. altro. Dipende dal subconscio dell’ospite che viene inghiottito dal leviatano. —
Leonard ascolta e rimane in silenzio.
— Cosa c’è, viaggiatore dello spazio? Ti stanno venendo i dubbi? So a cosa stai pensando. —
Leo scuote la testa, cercando di mantenere più calma possibile.
— Non è possibile che io sia un parto di quel virus. Ho un passato e una missione, ho uno scopo, mi hanno mandato dalla sede centrale dei viaggiatori per ricavare più informazioni possibili dagli altri mondi. —
— Sai, ho incontrato uno studioso in questo tragico anno. Anche lui è nato dalla nostra fantasia, oltre a studiare si occupava di necromanzia, stregoneria, alchimia e quant’altro. Si faceva chiamare Nostradamus, è stato lui a spiegarmi cos’era successo. E sai come lui chiama questo virus? Bing Bang. È il virus che distruggerà questo mondo partorendone un’altra infinità. Quindi questa terra è un’accozzaglia di fantasia ma da qualche parte ci saranno mondi specifici, popolati interamente dai pochi esemplari che popolano il nostro. Per esempio, qui vivono poche arpie e draghi ma ci sarà sicuramente un mondo popolato solo da quelle creature, un mondo fantasy di cavalieri e maghi. In ogni caso sì, è così, fino a un anno fa tu non esistevi. —
— Ma.. Non capisco, perché è tutto cominciato da un’invasione zombie?
— Perché la mia umanità è fissata con l’apocalisse, nell’immaginario collettivo la fine del mondo è subito collegata alla resurrezione dei morti. Per questo sono i primi esseri fantastici a esser stati partoriti, ma il tempo ha dato l’occasione di far nascere anche gli altri.  —
— Quindi casualmente.. — Leonard ha gli occhi sgranati, il Nexus ormai è spento da tempo. — Mi trovo nel mondo originario, quello che ha permesso al parassita Bing Bang di creare un infinità di vite e universi.. —
— Già, si può dire che sei nella culla di Dio. —
Reginald sospira, malinconico.
— Che ne dici, Leonard. Mi porti con te? Portami lontano, dove non morirò di fame e non rischio di venir mangiato da qualunque cosa. —
Il viaggiatore del tempo e dello spazio piange, e non lo ascolta. Ha trovato il santo graal dei viaggiatori. Ma per evitare che il virus del Bing Bang, lo starnuto di Dio, si propaghi su altre galassie e dimensioni per ripetere il procedimento di morte e vita, la sede centrale gli ha bloccato ogni via di uscita. Non può tornare a casa, non può scappare da quel mondo e, per una pura fatalità, è emerso nello stomaco di un leviatano gigante.
Non poteva andare peggio di così. 
 
   
 
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