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Autore: Feel Good Inc    09/11/2011    0 recensioni
[ Vol. XI, The lost Princess of Oz ]
« Un tempo » esordì, con voce acuta e tremula, « la creatura che vedi, e che da povero, stupido pupazzo quale sei definisci ‘bella’, era un essere umano di straordinaria potenza. È stato un destino avverso a condurmi qui, in questa forma, e ora non mi resta che piangerne. »
Lo Spaventapasseri si era offeso non poco per via della faccenda dello
stupido pupazzo. Poi però ci pensò su. L’uccello non poteva certo sapere chi lui fosse, o si sarebbe ben guardato dal definirlo così... Oppure, forse la tristezza portava a dire cose nelle quali non si credeva. Di questo non sapeva nulla, purtroppo. Lui non si era più sentito triste da quando Dorothy era tornata a Oz.
[ Ugu & Spaventapasseri; Spaventapasseri/Dorothy accennato ]
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio , Spaventapasseri
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Guscio e gheriglio

~ l’importanza di un colore sbagliato

 

 

 

 

 

 

 

 

I’m walking away from everything I had; I need a room with new colors.

 

 

 

I passi del Boscaiolo di Latta si erano ormai spenti in lontananza, lasciandolo solo con i trilli degli uccelli tra i rami. Lo Spaventapasseri si rallegrò ancora una volta di aver avuto l’idea di separarsi dal compagno: quel bosco era così vasto e fitto che in questo modo avrebbero potuto attraversarlo molto più in fretta, dividendosi i possibili nascondigli e guadagnando un po’ di tempo per salvare la povera Ozma. Non che il suo fenomenale cervello credesse fino in fondo che Ozma fosse nascosta qui – ma, come aveva detto Dorothy, il Paese di Oz era grande, e non bisognava tralasciarne neppure un angolino buio.

I cespugli di rovi non erano un problema per le gambe imbottite dello Spaventapasseri; tuttavia, le radici continuavano a farlo inciampare. Dopo un po’ la cosa cominciava ad essere fastidiosa. Forse fu per la seccatura che ci mise così tanto tempo ad alzarsi, l’ultima volta, e si accorse di conseguenza dell’albero di noci dritto di fronte a sé.

Lo Spaventapasseri rivolse alla pianta il suo sorriso dipinto. Le noci erano tra i frutti preferiti di Dorothy – lo ricordava bene: ne aveva riempito molte volte il suo cestino, durante quel primo, lontanissimo viaggio alla volta della Perfida Strega dell’Ovest, e lei ne era sempre stata contenta. Gli sarebbe piaciuto che Dorothy fosse qui.

Appena sfilò lo stivale dall’ennesima radice che lo aveva ostacolato, un riflesso dorato catturò la sua attenzione. Si voltò ancora e abbassò lo sguardo. Ai piedi del noce c’era un oggetto strano, che pareva proprio un bacile, uno di quelli in cui di solito la buona Jellia portava i pasti delle Principesse; solo che era ancora più sfarzoso, lucente e incastonato di pietre che – se ricordava bene com’erano fatti quelli degli Gnomi – sembravano diamanti.

Lo Spaventapasseri si avvicinò, incuriosito, e si chinò appena verso il bacile.

« Che strano! Cosa ci fa qui un oggetto simile? Non è il posto più adatto per fermarsi a mangiare. »

Si guardò intorno, aspettandosi quasi di veder sbucare dagli alberi il legittimo proprietario di quel curioso strumento, ma in questa parte del bosco sembrava non esserci nessuno oltre a lui e a un uccello che cantava chissà dove, sopra la sua testa. Tornò a guardare il bacile, riflettendo.

« Be’, non sta bene lasciarlo qui. Non è utile a nessuno. Ah » si corresse poi, sollevando di nuovo il volto sorridente verso i rami del noce, « invece sì! »

Senza indugi, raccolto il catino per uno dei due manici, cominciò ad arrampicarsi sull’albero. Era un’operazione nella quale si era scoperto bravissimo, poiché ogni volta che intraprendeva un viaggio con uno dei suoi amici di carne e sangue doveva preoccuparsi che fossero ben nutriti: non avrebbe mai potuto lasciare che la piccola Dorothy s’intrufolasse tra i rovi per cogliere le more, giusto?... Così non ebbe difficoltà ad arrivare presto in cima.

Ma qui, quando sedette a cavalcioni su uno dei rami più robusti, lo Spaventapasseri si ritrovò faccia a becco con l’uccello più strano che avesse mai visto.

Era grosso più o meno quanto un corvo, anche se dei corvi non aveva proprio nient’altro. Il suo piumaggio era di un grigio fumoso e le sue forme, tutto sommato, molto più aggraziate dei corpi tozzi di quei brutti mangiapannocchie. In più – se ne rese conto non appena lo vide – era lui a cantare quel verso triste che aveva sentito dabbasso: ma la tristezza se ne stava soprattutto nei suoi occhi, piccoli e lucidi di lacrime.

« Salute » disse lo Spaventapasseri, con la consueta buona educazione appresa dal contadino. « Perché una creatura così bella sembra così afflitta? »

L’uccello lo fissò per un istante senza reagire. Poi i suoi occhi scivolarono sul bacile prezioso che lo Spaventapasseri teneva ancora saldamente in mano, e allora il suo petto esile si gonfiò in un sospiro carico di dolore.

« Un tempo » esordì, con voce acuta e tremula, « la creatura che vedi, e che da povero, stupido pupazzo quale sei definisci ‘bella’, era un essere umano di straordinaria potenza. È stato un destino avverso a condurmi qui, in questa forma, e ora non mi resta che piangerne. »

Lo Spaventapasseri si era offeso non poco per via della faccenda dello stupido pupazzo. Poi però ci pensò su. L’uccello non poteva certo sapere chi lui fosse, o si sarebbe ben guardato dal definirlo così... Oppure, forse la tristezza portava a dire cose nelle quali non si credeva. Di questo non sapeva nulla, purtroppo. Lui non si era più sentito triste da quando Dorothy era tornata a Oz.

« Non capisco perché tu debba disperartene » disse allora, sistemandosi meglio sul ramo. « Non hai perso questa gran cosa. Gli esseri umani sono una specie complicata ed esigente, mentre gli animali si accontentano di poco... Non sei felice di questo cambiamento? »

L’uccello lo guardò con severità. « Ma io ero un grande Stregone. Adesso sono soltanto un cigno del colore sbagliato. »

Lo Spaventapasseri scrollò le spalle, come aveva imparato a fare dal giovane Ojo, e rivolse finalmente la propria attenzione al motivo per cui era salito lassù. Tese le braccia verso i rami e raccolse con cura tutte le noci più vicine, badando ad assicurarle nel bacile.

« Gli uccelli » disse, « sono le creature più fortunate di tutte. Possono volare dove vogliono e trovare sempre una nuova casa; mangiano i semi e i chicchi che trovano nei campi e bevono gocce d’acqua dai ruscelli. Se io non fossi uno Spaventapasseri, mi piacerebbe essere un uccello.* Anche se l’unica scelta fosse un cigno del colore sbagliato. »

Il cigno grigio rimase in silenzio per molto, molto tempo. Lo Spaventapasseri era concentratissimo nel raccogliere le noci, così non poté soffermarsi a chiedersi se quel silenzio fosse contrariato o combattuto; però fu una gradita sorpresa quando timidamente quel becco aguzzo scese ad aiutarlo a riempire il bacile. Si rese conto allora che il grande Stregone trasformato in cigno era una compagnia davvero molto più piacevole dei corvi – che nessun incantesimo avrebbe mai potuto aiutare a migliorare, poveri loro.

Continuarono ad occuparsi delle noci finché i rami non furono quasi vuoti; soltanto allora lo Spaventapasseri guardò di nuovo il pennuto, che ancora lo studiava da vicino.

« Sei stato molto gentile, amico mio. »

E il cigno gli sfiorò un braccio con la testolina, imbarazzato, e poi aprì le ali e volò via dall’albero, lasciandosi dietro un canto che suonava meno triste.

Tenendo sempre ben stretto il bacile d’oro e di diamanti, lo Spaventapasseri saltò a terra. Si assestò il petto impagliato e si preparò a riprendere le ricerche di Ozma, rincamminandosi per raggiungere il Boscaiolo. Gli sarebbe piaciuto seguire con lo sguardo il viaggio del cigno grigio; peccato che il bosco fosse così fitto. Gli uccelli erano davvero le creature più fortunate di tutte.

Chissà se a Dorothy quelle noci sarebbero piaciute.

 

 

 

Now I’m dreaming of the simple things: old ways erased.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio dell’autrice

 

Prima di tutto ci tengo a dire che non vi farò spoiler per sempre, perché due donne meravigliose hanno deciso di tradurre finalmente in italiano l’intera saga di Baum, così forse, ehm, capirete qualcosa in più dei miei numerosissimi trip mentali. Ed ora, sotto con la contestualizzazione!

Nell’undicesimo volume, The lost Princess of Oz, la Reale Ozma viene rapita, assieme a tutta la magia del regno. Dopo una lunga serie di vicissitudini e l’introduzione di nuovi personaggi si viene finalmente a scoprire che il colpevole è Ugu il Calzolaio, uno Stregone in erba: il gruppetto di ricercatori guidato da Dorothy e dal Mago va ad affrontarlo e, grazie alla Cintura Magica, Ugu viene trasformato in un colombo grigio [sì, io ho usato un cigno, è vero. Un mio errore di traduzione risalente alla prima lettura ^////^], ma riesce a scappare grazie al bacile magico in grado di ingrandirsi e trasportare chiunque da un capo all’altro del mondo. Successivamente ritroviamo lo Spaventapasseri e il Boscaiolo di Latta, che ancora cercano Ozma a sud; sotto un albero i due s’imbattono in uno strano bacile d’oro, giusto durante una discussione su quanto siano privilegiati gli animali – e in particolare gli uccelli – rispetto agli uomini. Questo per specificare che il discorso dello Spaventapasseri contrassegnato dall’asterisco è preso direttamente dal testo; bellissimo, vero?

Insomma, nel libro Ugu si ravvede sulla propria condizione e va a chiedere perdono a Dorothy dopo aver semplicemente ascoltato lo Spaventapasseri, senza mostrarglisi. Io ho voluto invece immaginare un vero e proprio colloquio, per quanto breve. È che sono rimasta molto colpita da questo messaggio di ‘semplicità = felicità’, e mi piaceva l’idea di ripresentarlo, anche solo per condividerlo con voi.

Le lyric sono tratte da New age di Marlon Roudette.

Hope you liked it,

Aya ~

   
 
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