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Autore: _V_    10/11/2011    2 recensioni
Un viaggio nei ricordi felici dell’infanzia, il passaggio dalla forma di amore più vera e totalizzante all’oblio più profondo e disperato.
È un sogno comune a molti quello di avere un amico speciale con cui condividere tutto, compreso il passato. Giorgia sembrava essere riuscita a realizzarlo, trovando in Lorenzo proprio quello che cercava; ma ben presto si renderà conto che è impossibile mantenere stabile un rapporto quando di mezzo ci sono il tempo e i cambiamenti.
Dopo dieci anni di silenzio e astio, tra i due forse qualcosa sta per smuoversi e questo sarà solo l’inizio di una lunga e lenta agonia, che porterà alla gioia infinita, ma anche alla disperazione più nera ed angosciante.
Dal secondo capitolo:
«Sai, tendo sempre a fare l’opposto di quello che mi dicono di fare…». Alitò all’altezza del mio collo, provocandomi un brivido lungo tutta la spina dorsale, che poi si estese ad ogni altro centimetro di pelle.
«Belli, io non…». Mi bloccai cercando di recuperare la giusta lucidità per terminare il mio monito, ma ci impiegai troppo tempo, perciò alla fine quanto dissi si rivelò solo fiato sprecato. «…io non sarò mai una di quelle barbie senza cervello che ti ostini a portare a letto per divertimento».
«E chi ti dice che io voglia concederti l’onore di finire nel mio letto?».
Genere: Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2



CAPITOLO 2: Mezze parole




Negli attimi di panico totale in cui avevo temuto la mia fine, qualcuno si era premurato di sciogliermi la sciarpa dal collo e l'aveva stretta con forza sulla mia bocca per impedirmi di parlare. Quando finalmente l'ossigeno aveva cominciato a raggiungermi il cervello era troppo tardi: le sue mani erano ben salde sulle mie, legate dietro la schiena in una morsa tanto naturale quanto forte.
Provai a chiedergli cosa avessero intenzione di fare, ma mi uscirono solo dei suoni lamentosi che causarono la loro ilarità.
Venni trascinata senza troppa grazia per tutto il corridoio, fino a giungere ad una porta che tutti gli studenti del Bocconi conoscevano fin troppo bene, quella che si apriva nel cosiddetto "Trash".
Il trash era il luogo in cui coloro che venivano sorpresi a danneggiare l'impeccabile pulizia della scuola con mozziconi di sigarette, cicche, pezzi di carta e quant'altro, erano costretti a subire una sorta di redenzione che consisteva nel pulire quella che un tempo era stata un'aula, ma che per chissà quale ragione, col tempo, era diventata un enorme spazio pieno di rifiuti accumulati durante anni di disuso; poteva essere tranquillamente definita la discarica della scuola e tutti evitavano di andarci proprio per l'odore nauseabondo che si era costretti a respirare lì dentro.
«Hai davvero intenzione di chiuderla qui?». Chiese Curcio, uno dei migliori amici di Lorenzo, facendo una smorfia schifata in direzione del trash.
«Assolutamente». Replicò lui con un sorrisetto sadico rivolto alla sottoscritta, mentre abbassava deciso la maniglia della porta blu, trovandola chiusa. Imprecò malamente e tirò un pugno alla porta mezza rotta.
«Gabri, vai a prendere le chiavi nel cassetto della bidelleria». Disse poi, rivolto all'altro suo compagno; che si precipitò ad eseguire l'ordine del "capo".
Non era troppo anche per lui pensare di chiudermi lì dentro?
No, decisamente no.
«E che cosa farai se per caso si dovesse sentire male?».
Dovevo ricordarmi di fare una statua a Curcio. Dopo averlo ucciso, ovviamente.
Lorenzo sbuffò lanciandogli un'occhiata di fuoco.
«No, soffre di vertigini, ma non di claustrofobia». Disse fermo, senza lasciar trasparire la minima emozione. «E comunque si tratta solo di un'oretta e mezza, Bea ha casa libera per poco».
Rimasi a bocca aperta per un po', ancora concentrata e ferma su quella prima frase pronunciata con troppa decisione per essere solo una semplice supposizione. Il resto del suo discorso mi era scivolato addosso, come se non avesse fatto illusione al fatto che mi lasciava a marcire lì dentro solo per scopare con una delle oche che si portava a letto di solito.
Forse non si era dimenticato tutto di me. Forse.
«…no, non è solo apparenza, è davvero una porca da paura».
A quelle parole mi riscossi dai miei pensieri e non riuscii a trattenere un singulto di disgusto, se solo avessi avuto la facoltà di parlare o di muovermi gliene avrei dette quattro e non solo.
Dal canto suo, Lorenzo si dovette accorgere di qualcosa perché tornò a rivolgersi a me.
«Mori, non essere gelosa, se proprio vuoi, puoi metterti in coda anche tu...».
E in quel momento non ci vidi più; approfittai della libertà delle mie gambe per tentare di tirargli un calcio in mezzo alle gambe, magari il suo ego si sarebbe smontato insieme al suo caro organo genitale, ma non avevo fatto i conti con i suoi riflessi, decisamente troppo pronti e ben allenati a causa, o grazie - in base ai punti di vista - alla sua intensa attività fisica. E non mi riferivo a quella sotto le coperte...non solo, perlomeno.
Così mi ritrovai con un gamba bloccata a mezz'aria da una sua mano e i polsi ancora stretti saldamente dall'altra. Lo fissai in cagnesco per un po', decisa a non lasciarmi sopraffare dalla delusione del mio vano tentativo di difesa, ma sapevo bene che neanche il peggior sguardo d'odio gli avrebbe potuto mettere paura. La mia era una partita persa in partenza, e lo sapevamo entrambi.
Dopo qualche attimo passato a cercare di trattenere le lacrime, sia per il dolore della stretta ferrea che per la situazione in generale, Lorenzo fece cenno a Curcio di aiutarlo; ero sicura che tenere ferma una ragazzina di un metro e sessanta scarsi, esile e contraria allo sport, non gli costasse il minimo sforzo perciò cominciai a temere le sue intenzioni.
Avvertii dei passi alle mie spalle e proprio in quel momento affidò le mie braccia all'amico per poi afferrare anche l'altra gamba, sollevandola - e sollevandomi - da terra come un sacco di patate, come quando qualcuno ha intenzione di buttarti a peso morto su una superficie morbida, eppure ero sicura che quello che sarebbe toccato a me non era niente di soffice, e né tantomeno confortante.
«Gabri, era ora». Esclamò puntando lo sguardo oltre me e Curcio, verso Gabriele Lonta e sentii distintamente una gocciolina di sudore freddo scendermi per il viso. «Muoviti ad aprire questa cazzo di porta che ho già perso troppo tempo con 'sta schizzata».
D'istinto chiusi gli occhi e quando sentii lo scatto della porta, immediatamente seguito dal suo cigolio, pregai nel buonsenso di quegli idioti, non potevano davvero farmi del male, non mi avrebbero mai buttata a terra rischiando di farmi rompere l'osso del collo o la spina dorsale.
Non cercai nemmeno di opporre resistenza, loro erano in tre, forti e assolutamente immuni a qualunque mio tentativo di difesa, perciò mi limitai a percepire gli spostamenti d'aria, cercando di urlare, quando i miei unici appigli rimasti mi lasciarono andare ed io caddi nel vuoto.
In meno di un secondo mi ritrovai sdraiata con la pancia rivolta al pavimento e la faccia schiacciata contro il marmo freddo e umidiccio che lo caratterizzava. Con un movimento incerto provai a voltarmi, ma una mano giunse svelta a bloccarmi in quella posizione ed ero pronta a giurare che fosse la sua.
«Sta' giù, altrimenti ti lasciamo la bocca e i polsi legati». La sua voce era poco più che un sussurro, tutt'altro che perfido o minaccioso. Piuttosto lo avrei definito...gentile, ma ero certa che la botta mi avesse dato alla testa e ai sensi perciò cancellai immediatamente quel pensiero dal cervello.
Sentii altre mani tenermi ferma e poi qualcuno slegarmi la sciarpa e i polsi. Avrei potuto ribellarmi a quel punto, direte voi, ma sarebbe stato inutile e non avrei fatto altro che peggiorare la situazione.
«Immagino che ormai, anche se vi dicessi che non tornerò a casa, non cambierebbe nulla». Dissi con un sospiro rassegnato, muovendo i polsi di cui avevo perso la sensibilità e felice di poter risentire la mia voce.
«Avresti dovuto pensarci prima». Rispose Lonta con un ringhio. «Ci avresti anche risparmiato un sacco di fatica».
Grazie al cazzo. Pensai, ma non osai dire neanche mezza parola; purtroppo pendevo dalle loro labbra e mi ero anche stancata.
Ormai completamente libera di muovermi, chiesi a Lorenzo il permesso di potermi sedere - il colmo, non eravamo mica in un paese libero e blablabla? - e lui annuì brevemente, facendo segno agli altri di spostarsi.
Restai in silenzio per un po', sebbene avessi in mente di dirgli moltissime cose - la maggior parte insulti - finché Lorenzo non guardò l'orologio con un'espressione nervosa e si alzò immediatamente seguito dagli altri.
Mi si avvicinò con impazienza e tese una mano verso di me; credetti volesse aiutarmi ad alzare e sollevai la mano per afferrare la sua, ma lui scostò lo sguardo affrettandosi a parlare.
«Il cellulare». Fu un ordine breve e autoritario, sebbene i suoi occhi stessero guardando da tutt'altra parte.
Sentii un'ondata d'acqua gelida colpirmi in pieno petto e riconobbi delusione in quella sensazione, che tuttavia cercai di nascondere con la solita maschera di acidità che mi ero costruita.
Presi il cellulare dalla tasca dei jeans e glielo porsi con uno scatto d'ira che stupì anche me stessa, Lorenzo rimase fermo per un po', intento a guardarmi con una di quelle espressioni che non riuscivo mai a decifrare, dopodiché allungò la mano per prenderlo, ma glielo impedii lasciando cadere il cellulare a terra e stringendola con la mia.
Il suo tocco caldo mi sorprese per un attimo, mentre quello mio - freddo come la temperatura di Milano di quella mattina - dovette fargli lo stesso effetto, perché sussultò un attimo prima di scuotere la testa e abbassarsi per recuperare il mio telefonino.
«Mi stai davvero lasciando qui solo per farti una puttana?». Gli chiesi in un tono di voce talmente basso che probabilmente neanche lui riuscì a sentire, approfittando del momento in cui il suo orecchio si trovò vicino alla mia bocca.
Lo sentii stringere più forte la mia mano prima di rialzarsi così velocemente che sembrava stesse scappando da un mostro, che in questo caso aveva assunto le mie sembianze.
«Devo andare». Disse fermandosi ad un passo dalla porta, ed ero certa stesse parlando con me. «Un'ora, non di più».
Concluse abbassando la maniglia e scomparvero dalla stanza lasciandomi sì sola, ma con una piccola speranza che avrebbe rivoluzionato completamente le cose.
Probabilmente ero solo una stupida sentimentale, che al minimo spiraglio di possibilità si era illusa che quegli anni trascorsi fossero stati solo un errore, una terribile incomprensione, e che in realtà Lorenzo non aveva mai smesso di volermi bene, esattamente come avevo fatto io. Eppure, avevo visto qualcosa nei suoi gesti, nelle sue esitazioni, nel suo modo di guardarmi o di evitare il mio sguardo, che mi aveva portato a credere che non tutto fosse perduto e che forse Mori e Belli potevano tornare ad essere semplicemente Giorgia e Lorenzo. Ero certa che anche il solo pensare a questa possibilità mi avrebbe portata ad affogare in un mare di tristezza e delusione, che il mio affetto per lui si sarebbe frantumato per sempre, ma non potevo far finta di non aver sentito niente quando la sua mano si era stretta alla mia, non potevo fingere di non aver visto nulla nei suoi occhi quando si erano legati brevemente ai miei.


Persa nei miei pensieri, non mi accorsi di essere rimasta seduta nella stessa posizione scomoda per almeno una mezz’ora e non realizzai neanche di essere immersa nel terribile fetore del trash, fin quando uno struscio preoccupante non catturò la mia attenzione. Balzai in piedi come se il punto in cui ero seduta stesse andando a fuoco e mi guardai intorno furtiva, in attesa che qualcuno o qualcosa uscisse allo scoperto.
Afferrai un vecchio palo arrugginito che si trovava su un grande tavolo alla mia destra e con le mani tremanti lo puntai verso una figura piccola e bianca che fece capolino da sotto una scatola di cartone, facendomi urlare dal terrore.
«Fermo!». Gli intimai, come se un topo fosse in grado di capirmi. «Non ti avvicinare!».
Avevo il terrore dei topi, erano il mio incubo peggiore – dopo Belli, ovviamente – ed avevo talmente paura che le gambe rischiavano di cedermi da un momento all'altro.
L'essere squittente mi guardò immobile per qualche secondo, dopodiché cominciò ad avvicinarsi, spingendomi a salire su un tavolo traballante per sfuggirgli.
I topi non sanno arrampicarsi, vero? Pensai in un momento di panico acuto, vedendo il topo rosicchiare le gambe del ripiano su cui avevo avuto la pessima idea di rifugiarmi.
Sentii le lacrime cominciare a scorrere sulle guance e chiusi gli occhi per non vedere la scena pietosa di un topo intento a mordermi e graffiarmi.
«No, ti prego...». Lo supplicai piagnucolando. «Non sono buona da mangiare».
Resistetti altri pochi minuti in quella situazione, dopodiché cominciai a sbattere i piedi sul tavolo per farlo cadere e lanciai degli urletti isterici senza alcun senso.
«Vaffanculo Lore!». Sbottai poi, balzando giù dal tavolo in un impeto di coraggio e ritrovandomi spiaccicata a terra con una gamba impigliata chissà dove.
Mi ero praticamente arresa al mio destino quando sentii qualcuno armeggiare con delle chiavi fuori dalla porta, lanciai un'occhiata di sfuggita all'orologio che avevo al polso e mi resi conto che era troppo presto per essere Lorenzo e che sarei finita in un mare di guai se uno dei professori mi avesse trovata lì dentro intenta a scappare da un topo.
Feci appena in tempo a vedere il topo scappare spaventato che mi buttai in avanti per supplicare il nuovo arrivato di non prendere provvedimenti drastici.
«Professore, non è come sembra!». Cominciai concitata, con lo sguardo basso rivolto alle scarpe della persona davanti a me. «Non sono così stupida da chiudermi qui dentro di proposito, mi hanno teso una trappola!». Spiegai alzando di un'ottava la voce e finalmente sollevai il capo per vedere quale dei professori il destino mi avesse mandato. Magari era uno di quelli che chiudevano sempre un occhio...
«Mori, come temevo sei proprio una spia del cazzo». Sentenziò la causa di tutto quel trambusto, che era beatamente poggiato alla porta con le braccia incrociate e un sorriso divertito dipinto sulle labbra.
«Tu!». Sbraitai non appena mi fui accertata che quello davanti a me fosse proprio lui e non il frutto della mia immaginazione. Mi alzai malamente, dimentica della mia gamba imprigionata, e rischiai di finire con la faccia a terra se Lorenzo non mi avesse afferrata per un braccio appena in tempo.
Lo vidi mordersi un labbro per evitare di scoppiare a ridermi in faccia e se non fossi stata sul punto di ricadere da un momento all'altro gli avrei di certo mollato un ceffone per il terribile incubo che mi aveva fatto vivere con quello stupido topo, il suo prendermi in giro in quel momento era solo una motivazione valida in più per farlo.
«Smettila di ridere e liberami». Grugnii in sua direzione, ci misi talmente enfasi in quella specie di minaccia che probabilmente avrei fatto invidia persino ad un cane selvaggio.
Lui sembrò capire che in quel momento mettersi contro di me non sarebbe stata una mossa saggia, perciò mi sollevò e mi mise a sedere - senza troppa delicatezza - sul banco che avevo usato come rifugio dal topo.
Quando si abbassò per poter liberare la stoffa dei miei jeans dalla gamba del tavolo, non potei fare a meno di pensare che quello fosse un gesto insolito da parte sua; il Lorenzo Belli che conoscevano tutti non lo avrebbe mai fatto...ma Lorenzo il mio amico sì.
Giunta a quella conclusione mi sentii il cuore fare un balzo da una parte all'altra del petto, quel sospetto avuto prima che lui andasse via stava diventando qualcosa di più e io ne ero terribilmente consapevole e felice, troppo.
«Quest'anno hai tirato fuori un bel caratterino, eh».
La sua voce mi distolse dai miei pensieri, per fortuna, perché altrimenti avrei finito per confessargli che quella sua ostilità mi faceva ancora troppo male e le possibilità che mi potesse ridere in faccia erano troppo elevate per rischiare.
«L'ho sempre avuto». Cominciai, osservando attentamente i lineamenti del suo viso concentrato in quello che stava facendo, avevo la sensazione che non avrebbe colto nemmeno un quarto di quanto gli stessi dicendo, perciò mi sentii spronata a dire più di quanto non avessi mai fatto. «Ma non sempre riesco a tirarlo fuori, specialmente quando mi rendo conto che è inutile».
Lo sentii fermarsi un attimo, dopodiché riprese ad armeggiare con il bordo dei miei pantaloni, mentre con una mano si tirava indietro i capelli disordinati.
«È un modo velato per ricordarmi cosa ti ho fatto in questi ultimi anni?». Se ne uscì all'improvviso, scoprendosi forse più di quanto avessi fatto io e rimasi così scioccata dal suo coraggio di tirar fuori l'argomento che non riuscii a dire niente per un bel po' di tempo.
«Io...». Dissi titubante, cercando di non pensare che avevamo intrapreso il discorso proibito, quello che credevo non avremmo mai tirato fuori. «Sei tu che lo stai dicendo, anche se mentirei se ti dicessi che non è vero».
Confessai distogliendo lo sguardo, anche se ero consapevole che da quella posizione non mi avrebbe mai potuto vedere. Lui ridacchiò leggermente e sollevò il viso per guardarmi; a quel punto mi fu impossibile non cercare l'azzurro dei suoi occhi, che per una volta stavano fissando solo e soltanto me.
«È che tu...sei così strana». Disse in un sussurro impercettibile, diventando d'un tratto tutto serio. «Non riesco a lasciarti in pace».
«Ed è un motivo valido per rendermi la vita un inferno?». Gli chiesi stizzita, alzando leggermente la voce. Forse sarebbe stato meglio rimanere nell'ignoranza, quella ragione faceva persino più male del suo silenzio.
Lui scosse la testa e la riabbassò interrompendo il contatto visivo che dopo tanto tempo eravamo riusciti a recuperare, il che era un chiaro segno che il discorso poteva considerarsi chiuso. Ma a quel punto ero io che non volevo lasciare perdere. Sarei andata fino in fondo.
«Lore, non ti sei dimenticato che un tempo noi eravamo amici, vero?».
La mia voce risultò spezzata persino alle mie stesse orecchie, ma non potevo mettermi a frignare, no? Avevo già passato la fase della disperazione per la perdita del mio migliore amico, avevo deciso di mantenere i ricordi in un cassetto chiuso e di riviverli poco a poco con il sorriso sulle labbra, mi ero promessa di provare a convivere con il mio affetto per lui senza ottenere nulla in cambio, magari sostituendolo con l’odio. E allora perché stavo per cedere?
«Giorgia, sono passati tanti anni. Le persone cambiano, i tempi cambiano, persino le amicizie cambiano. Non puoi rimanere attaccata alle stesse persone per sempre».
Quelle parole furono una coltellata al cuore, o forse anche di più, perché le sentii echeggiare nella mia mente con insistenza ed ogni volta era lo stesso dolore all'altezza della gola. Le lacrime erano vicine, ma non potevo piangere davanti a lui; lui era forte, perché invece io dovevo essere sempre la debole della situazione? Non lo meritava, no.
Avrei voluto ribattere in mille modi possibili a quella risposta, perché non ero per niente d'accordo e perché era ingiusta, ma rimasi in silenzio cercando di ricacciare indietro le lacrime, perché se avessi anche solo aperto bocca sarebbe stato impossibile trattenerle ulteriormente.


L'aria era tesa, noi eravamo tesi, e nessuno dei due osava parlare. Di tanto in tanto riprendevo a guardarlo, ma i miei occhi cambiavano traiettoria autonomamente non appena coprivano un tratto del suo viso, mentre io non osavo muovermi di un solo millimetro dalla posizione scomoda in cui mi trovavo, né tantomeno cercavo di sfiorarlo per sbaglio; era come se avessi paura di scottarmi, e io mi ero bruciata già troppe volte a causa sua.
«Si può sapere come cazzo hai fatto a rimanere incastrata qui? Non riesco a scioglierlo, temo che dovrai toglierli».
Fu lui a rompere il silenzio e non avrebbe potuto farlo in modo peggiore, mi ci volle un po' per realizzare quanto avesse detto - perché ero ancora troppo scossa -, ma quando compresi il significato delle sue parole e ciò che avrebbero comportato, cercai di saltare in piedi. Cercai, perché alla fine riuscii a malapena a fare un saltello imbarazzante sul posto, rischiando persino di ricadere a terra se la mano di Lorenzo non si fosse mossa rapida per bloccarmi.
Lo fissai ad occhi spalancati per qualche secondo, prima di prendere ad urlare come una pazza evasa dal manicomio.
«Che cosa?! E come ci torno a casa in mutande?».
Lui si alzò in piedi, in preda alle risate e troppo tranquillo per i miei gusti. Non appena fossi riuscita a liberarmi gliel'avrei fatta pagare cara.
«Nonostante tutto, non credo sarebbe una brutta visione». Sentenziò squadrandomi da capo a piedi e dal calore sulle guance percepii di essere diventata bordeaux.
«Maniaco!». Sbottai coprendomi pudicamente, neanche fossi nuda davanti al ragazzo più bello della scuola. Il ragazzo c'era, dovevo solo togliere i vestiti...ma io non ci pensavo neanche.
«Sei proprio uno spasso, Mori». Disse Lorenzo tra le risate, riuscendo a malapena a parlare mentre si copriva la pancia con le mani.
Si divertiva davvero molto, lo stronzo.
«Sono contenta che ti stia divertendo!». Tuonai per attirare la sua attenzione, dato che era troppo impegnato a ridere per cercare di aiutarmi a trovare una soluzione che non comprendesse il togliermi indumenti.
«Ok, scusa, vuoi che ti aiuti a toglierli?». Chiese facendo cenno con il capo ai miei jeans ed ero sicura che traesse un indicibile piacere nel mettermi in imbarazzo.
«NO!». Urlai, tendendo le mani in avanti per evitare ogni minimo avvicinamento da parte sua. «Non ti avvicinare».
Scandii ogni parola con estrema attenzione, per fargli capire che non stavo scherzando e che se mi avesse anche solo sfiorata lo avrei come minimo preso a morsi.
Lui sollevò le mani in segno di resa, dopodiché fece un passo indietro con un sorriso strafottente.
«Va bene, allora me ne vado, ci vediamo domani...forse».
Si voltò e cominciò a raggiungere la porta fischiettando, tenendo le mani in tasca come al solito.
«Aspetta! Li tolgo...». Lo fermai, cominciando a sbottonare quello stupido pezzo di stoffa per fargli capire che dicevo sul serio.
Un modo per coprirmi l'avrei trovato, di stare lì da sola tutta la notte - in compagnia dei topi, per giunta - non se ne parlava proprio. Inoltre dubitavo che avesse intenzione di approfittare della situazione, con tutte le strafighe che aveva io sarei stata l'equivalente di una tazza di camomilla per i suoi ormoni.
Rossa di vergogna e decisa a cambiare città, regione e persino paese se fossi riuscita ad uscire di lì, feci forza sulle braccia per togliermi i jeans; ma l'impresa si dimostrò più difficile del previsto e fui costretta a chiedere aiuto a Lorenzo.
«Belli?». Lo chiamai con voce bassissima, sperando che non mi sentisse.
«Sì?». Chiese voltandosi verso di me, le sue labbra erano piegate in un sorriso vittorioso.
«Mi aiuteresti a...». Cominciai a chiedergli, ma pronunciare quell'ultima parola era troppo imbarazzante, perciò non riuscii a terminare la richiesta.
«A...?». Mi incalzò lui, sebbene fossi certa che sapesse perfettamente cosa volevo chiedergli.
Assottigliai lo sguardo per cercare di mettergli paura, ma lui rimase immobile dov'era, incrociando le braccia al petto in segno d'attesa.
«Dai, lo sai...». Balbettai cercando di evitare il suo sguardo, dimostrandogli involontariamente quanto quel tipo di situazioni fossero nuove per me.
«Mori, sei più pudica di quanto pensassi». Sentenziò Lorenzo con uno sbuffo, cominciando ad avvicinarsi, ma proprio in quel momento sentii un rumore familiare che mi fece irrigidire sul posto.
«F-Fra...». Lo chiamai quando fu ad un passo da me, indicandogli con lo sguardo un punto alla nostra destra: non erano state le mie orecchie a giocarmi un brutto scherzo; quel roditore bianco era tornato davvero.
«Che succede ancora?». Disse seguendo la direzione del mio sguardo con cipiglio incuriosito e credendo probabilmente che stessi dando di matto come al solito.
«È un topo, Dio santissimo». Esclamò con ovvietà, una volta che ebbe inquadrato la causa della mia improvvisa agitazione. Chiaramente lui non si lasciava impressionare da un roditore grande neanche quanto un suo piede, per questo mi guardò come se fossi matta, prima di ricominciare ad avvicinarsi a me…incurante del pericolo alle sue spalle.
«Sta venendo verso di me!». Piagnucolai non perdendo di vista quella palla di pelo bianca neanche per un secondo, mentre Lorenzo assumeva un’espressione decisamente spazientita. Era solito farlo anche quando eravamo piccoli: non appena vedevo un insetto o un qualunque essere strisciante cominciavo ad urlare come un’isterica, e se non prestavo ascolto alle sue assicurazioni si alterava parecchio.
«Cosa vuoi che ti faccia, scusa? Non è mica carnivoro e scommetto che non ha a minima intenzione di avvicinarsi a te». Disse infatti, una volta che mi ebbe raggiunta; ma proprio in quel momento vidi il topo avvicinarsi alla gamba del tavolo – ancora – e la mia reazione fu inevitabile. Balzai in piedi senza badare al fatto che la mia gamba fosse ancora attaccata proprio all’oggetto di rosicchiamento del topo e ci misi un po’ a realizzare di non aver fatto la minima fatica nel compiere quel gesto.
Abbassai lo sguardo verso il mio jeans e vidi che non era minimamente strappato o scucito e dopo aver superato l’attimo di confusione, cominciai a spostarlo ripetutamente dal mio indumento a Lorenzo, che aveva cominciato ad indietreggiare nascondendo un sorriso colpevole.
«BELLI, TU SEI MORTO!». Urlai preda di un’ira funesta che neanche durante la peggiore delle angherie subite avevo provato. Balzai giù dal tavolino scassato con un salto degno di Tarzan e lo raggiunsi in due falcate; dal canto suo, lui rimase immobile dov’era…ad un passo dalla porta chiusa e senza la minima preoccupazione in volto.
«Che cazzo ti è saltato in mente di fare, si può sapere?». Continuai il mio rimprovero, accertandomi di tanto in tanto che il topo fosse ancora impegnato a mangiare la gamba del tavolo.
Non ricevendo alcuna risposta, se non un sorriso sempre più largo sul suo viso, cominciai a tirarlo per la maglia, per fargli capire che non poteva ignorarmi così dopo che mi aveva quasi costretta a rimanere in mutande. Proseguii con una serie di insulti e domande a cui non reagì minimamente per una buona mezz’ora, durante la quale mi stancai terribilmente, sebbene non volessi darlo a vedere, finché non mi bloccò i pugni con un’abile mossa di difesa, che probabilmente aveva imparato durante una delle sue lezioni di karate.
«Calmati». Disse poi con tranquillità, spingendo i miei polsi verso il basso, lungo i fianchi; la sua presa era talmente stretta che se non fosse stata altrettanto piacevole avrei certamente urlato dal dolore.  
Improvvisamente persi ogni proposito di vendicarmi, avevo Lorenzo talmente vicino che riuscivo a sentire distintamente il suo odore. Certo, era cambiato da quando era un bambino, ma aveva la stessa identica capacità di attrarmi ed io ne ero totalmente dipendente.
«Era solo uno scherzo, va bene? Non c’è alcun bisogno che tu reagisca in questo modo per una sciocchezza del genere».
Ti ho fatto cose ben peggiori. Non lo disse, ma ero certa che lo stesse pensando.
Fu solo allora che compresi di aver fatto un terribile errore: anziché allontanarmi da lui come avrei dovuto fare, avevo appena compiuto un passo verso l’esatto centro delle fiamme da cui avevo sempre provato a tenermi alla larga; eppure in quel momento non avevo la minima intenzione di farlo, mi sarei bruciata mille e altre mille volte se questo fosse servito a recuperare anche solo un briciolo del nostro vecchio rapporto, se questo avesse potuto mettere da parte il rancore e l’indifferenza che con il tempo mi avevano fatto perdere ogni speranza. Sapevo che anche il solo cercare di comprendere quello che gli passasse per la testa era un punto a mio sfavore, un gesto inconsapevole che avrebbe portato solo ad altre insormontabili difficoltà che non sarei mai riuscita a superare, ma non riuscivo ad esimermi dal farlo.
«Lasciami». Dissi, sforzandomi di rimanere fredda, ma provando il segreto desiderio di abbracciarlo e risentirne il calore dopo tanto tempo. Che effetto mi avrebbe fatto? Mi sarei sentita ancora protetta come 10 anni prima?
La sua presa si sciolse lentamente, così come lentamente tornai ad acquistare un respiro regolare. Feci qualche passo indietro e cercai di risultare il più naturale possibile, nonostante i pensieri che avevo in testa in quel momento mi stessero mandando al manicomio.
«Sei un idiota». Commentai, risultando ridicola alle mie stesse orecchie per come avevo parlato. Piuttosto che un insulto, sembrava un complimento.
«Non sei la prima che me lo dice». Disse lui con un’alzata di spalle, non accennando a spostarsi di un millimetro, nonostante ormai fosse molto tardi e non avessi neanche avvisato i miei genitori.
I miei genitori!
«Oh cazzo!». Imprecai fissandolo come se fosse un mostro, mentre la mia mente cominciava a farsi i peggiori filmini mentali su quello che stavano pensando i miei sulla mia scomparsa…probabilmente avevano già chiamato la polizia e mi stavano facendo cercare.
«Cosa c’è? Hai visto un fantasma? O ho un topo spiaccicato in faccia?». Si prese gioco di me, facendo finta di togliersi qualcosa dal viso. Al solo pensiero che uno di quegli esseri potesse essere davvero lì, rabbrividii, ma non avevo tempo di pensare a quelle futilità, dovevo sbrigarmi a tornare a casa.
«Peggio, i miei mi uccideranno!». Esclamai, correndo a recuperare la mia sciarpa da terra - al diavolo quel topo guastafeste! - e riallacciandomi il cappotto, mentre tornavo a passo spedito verso la porta.
«Non dirmi che non li hai avvisati! Sono quasi le 5». Commentò Lorenzo, mentre si apprestava a recuperare le chiavi.
«E come facevo, scusa?! Ti ricordo che mi hai sequestrato il cellulare prima di andare da quella zoccola». Urlai isterica, dando ancora una volta prova di essere una tremenda lunatica sotto il segno dei gemelli.  
«Hai ragione, scusa, sono stato un idiota». Disse passandosi una mano tra i capelli con fare apprensivo, mentre con l’altra cercava di chiudere la porta del Trash a chiave.
«Molto idiota!». Lo rimbeccai cominciando a correre per il corridoio e poi giù per le scale, immediatamente seguita da lui che mi stava dietro semplicemente camminando.
«Se ti può essere di consolazione, almeno hai reso felice il sottoscritto».
«No, non mi è per niente d’aiuto in questo momento!». Parlai già completamente priva di ossigeno nei polmoni, non badando neanche a quello che mi aveva detto; non ero abituata a correre in quel modo per un tempo così lungo e sarei potuta collassare da un momento all’altro.
Per fortuna giungemmo nell’atrio qualche secondo dopo, dove fummo costretti a rallentare – almeno io – a causa della stretta sorveglianza di bidelle e addetti alla segreteria. Pregai mentalmente che nessuno facesse domande o mi trattenesse un secondo di più là dentro, dopodiché raggiunsi velocemente l’entrata e uscii respirando l’aria gelida.
Il passaggio dal tepore confortante della scuola al freddo lancinante dell’esterno fu traumatico; non appena una folata di vento mi arrivò diritta in faccia fui costretta a fermarmi per abituarmi alla nuova temperatura. Mentre Lorenzo, come al solito, non sembrava minimamente provato dalla folle corsa appena fatta o dal gelo in cui ci eravamo ritrovati immersi all’improvviso, sebbene lui indossasse un semplice cappottino ed io un piumino d’oca.
Afferrai il cellulare dalle mani di Lorenzo, fregandomene del fatto che fosse il suo, e composi il numero di casa, pregando che qualche anima pia si decidesse a rispondermi. Tuttavia, il telefono squillò a lungo, ma nessuno si decise ad alzare la cornetta.
«Vaffanculo». Mi lagnai cominciando a sbattere i piedi per terra come una bambina capricciosa. «Sono nei guai fino al collo».
«Senti, ti ho già detto che mi dispiace, di certo non sono capace di indietro nel tempo; perciò ora fammi il favore di darti una calmata e di tornare a casa, possibilmente senza farti più di 10 chilometri di corsa».
Lo fissai indecisa se tirargli uno schiaffo, oppure prenderlo direttamente a sassate. Non era lui quello che avrebbe passato le ire di Dio una volta tornato a casa, non era lui quello che aveva fatto preoccupare i suoi genitori.
«Sai cosa ti dico? Tu fai quello che ti pare, io me ne vado a casa come cavolo dico io».
Gli voltai le spalle e scesi gli scalini a due a due, non voltandomi nemmeno per controllare se mi avesse seguita o meno.
Percorsi il tragitto fino alla fermata dell’autobus, sarebbe stato masochista farsi tutta quella strada a piedi – magari di corsa – con quel freddo, ma proprio mentre svoltavo l’angolo, mi sentii bloccare per un braccio. Sì, la situazione era identica a quella che molte volte avevo visto nei telefilm, peccato che quella fosse la vita reale e che io non avevo la minima intenzione di sprecare altro tempo con lui…almeno non in quel momento.
«Che vuoi?». Grugnii cominciando a strattonare il braccio per liberarmi dalla sua presa, ma ancora una volta l’impresa si dimostrò impossibile.
«Il tuo cellulare, ce l’ho io, cretina».
Roteai leggermente la testa e incontrai ancora i suoi occhi. L’avevo già detto che avevano un effetto ipnotico su di me? Avrebbero dovuto dichiararli illegali per la quiete pubblica.
«Ti ringrazio per la precisazione, ora puoi andare». Dissi spazientita – ormai quell’aggeggio elettronico era inutile come lo 0 nelle addizioni e nelle sottrazioni – , sempre dandogli le spalle e cercando di sfuggire al suo sguardo senza dare troppo nell’occhio.
«Mori, abitiamo nello stesso palazzo e siamo per giunta vicini di casa…come credi che abbia intenzione di tornare a casa?».
«Non me ne importa, basta che sparisci dalla mia vista». Balbettai non più tanto sicura di voler essere arrabbiata con lui, in fondo la sua unica colpa era quella di essere un ragazzo ancora in piena crisi ormonale e che per sfortuna aveva una vasta gamma di ragazze con cui intrattenersi. Approfittai di una sua esitazione per liberarmi e mi sedetti sulla panca per aspettare l’autobus, sperando che mi lasciasse in pace.
«Io non ti capisco, davvero Mori». Sentenziò poco dopo, sedendosi accanto a me come se quanto gli avessi detto non avesse alcuna importanza.
«Io ho smesso di cercare di capirti da un bel po’, invece». Sputai acida, fregandomene del fatto che stavo ritoccando l’argomento tabù.
«Figurati, non mi capisco neanche io…non pretendo che lo facciano gli altri».
A quelle parole lo guardai di sottecchi, trovandolo con la solita espressione divertita e strafottente. Una cosa era certa: Lorenzo non lasciava trasparire facilmente le sue emozioni.
«Lo stesso vale per me, quindi sei pregato di lasciarmi in pace».
Per tutta risposta lui cominciò a ridacchiare, lo vidi schiudere le labbra pronto a dirmi qualcosa; ma l’arrivo dell’autobus gli impedì di continuare.
No, cazzo, no! Perché era passato proprio in quel momento?
E va bene, dovevo ammetterlo, anche se non ne avevo mai fatto mistero, ero ben lungi dall’essere indifferente a quello che aveva da dirmi e avrei persino rinunciato alla mia collezione di cd d’altri tempi pur di sentire quel pensiero che probabilmente sarebbe rimasto celato nella sua mente per sempre.
«Ehi, ti muovi a salire?».
Ero rimasta imbambolata a fissare un punto indefinito della strada, ancora una volta avevo avuto la prova che stavo irrimediabilmente capitolando per quella stupida amicizia che invece avrei dovuto dimenticare e mi sentii in collera con me stessa per quella mia debolezza. Non si diceva mica che con il tempo si tende a dimenticare le emozioni passate? E allora perché dopo dieci anni non mi ero ancora lasciata quell’assurda storia alle spalle?
Lorenzo era sì stato il mio migliore amico, ma non avevo mai provato un sentimento del genere, nemmeno quando mia mamma aveva lasciato mio padre e si era risposata: l’avevo odiata davvero in quegli anni, esattamente come avevo fatto con Lorenzo, ma mentre con lei l’odio era l’unica cosa che riuscivo a sentire…con Lore era completamente diverso: lo amavo e l’odiavo allo stesso identico modo. A quel punto l’unica domanda da farmi era: ma io lo odiavo davvero?


Note:
Salve a tutti!
Inizierei questo mio piccolo spazio col dire che mi farebbe davvero molto piacere leggere qualunque opinione voi abbiate riguardo a questa storia! Anche se avete deciso di non continuare a leggere, mi sarebbe molto utile capire cosa c'è di sbagliato per poter migliorare...anche una riga sarebbe più che sufficiente.
Detto questo, so di essere una frana nel suddividere i capitoli e che magari possano risultare tagliati di netto, ma essendo che questa parte ce l'ho già bella che scritta mi viene molto difficile stabilire in che punto il capitolo debba finire. Perciò vi chiedo di perdonarmi, dal prossimo non ci dovrebbe più essere questo problema.
Per il resto, il capitolo parla da sé, non credo di dover aggiungere altro rispetto al suo contenuto.
Grazie a chi ha letto quello precedente...conto sul vostro parere d'ora in poi, altrimenti mi sembra abbastanza inutile continuare a pubblicare qui, dato che sarebbe come lasciarne il contenuto nel mio pc. XD
Non mi resta che augurarvi buona lettura! A presto.
   
 
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