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Autore: Squilibrata mentale    10/11/2011    1 recensioni
Siamo verso l'ultimo dell'anno, un vecchio riccone viene ucciso e Sherlock Holmes è chiamato a risolvere il caso con il suo fedele compagno Watson. Ma quale dei figli o delle loro mogli sarà il colpevole?
Genere: Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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In una valle, ai piedi dei monti Pennini, sorgeva un piccolo villaggio, e tutti gli abitanti erano affaccendati a fare compere per l’ultimo dell’anno che cadeva proprio in quel giorno. Tra le vie del paesino si potevano notare tre carrozze, che erano sormontate da molteplici bagagli, dirette al castello del conte. L’enorme palazzo era circondato da alte mura di cinta dalle quali si vedevano spuntare le fronde spoglie degli alberi secolari. Il cielo era rosso fuoco, trapassato da nuvole rosastre che annunciavano uno splendido tramonto. Le tre carrozze sostarono davanti ad un imponente cancello nero, che venne aperto con un cigolio dei cardini da un domestico che salutò inchinandosi più volte, poi i cavalli dopo uno schiocco di frusta ripartirono attraversando un grande viale: ai lati c’erano dei grandi alberi secolari e al centro un fontana, spenta per il grande freddo; sotto le ruote si sentiva la ghiaia scricchiolare, sovrastata dal galoppo dei cavalli. Ad un certo punto le carrozze si fermarono davanti ad una scalinata in marmo bianco che conduceva ad un portone di legno massiccio con intagliato l’emblema della famiglia. Fu aperto con un grande tonfo da Jeffry: il maggiordomo, un uomo anziano, alto, magro, con i capelli brizzolati e con occhi marroni. Dalla prima carrozza scese Richard, alto, robusto, gli occhi azzurri e i capelli biondi, indossava abiti di velluto verde e si poteva notare una camicia bianca con un colletto vaporoso di pizzo che spuntava dalla giacca. Salì le scale marmoree dove il maggiordomo gli stava tenendo la porta aperta e, con un inchino, lo salutò. Richard portandosi, il fazzoletto, al naso lo salutò con indifferenza; anche se all’apparenza poteva sembrare uno di quei ricchi snob era, in realtà, indebitato fino al collo perché passava le sue nottate nelle sale da gioco a perdere denaro e a bere. Poi scese Jonathan, un uomo più giovane del fratello, con la stessa struttura fisica e vestito in modo più sobrio. Aveva un grande sogno da realizzare: un enorme giardino botanico, dove la piante più rare e i fiori più belli provenienti da ogni parte del mondo avrebbero potuto essere ammirati da tutti, anche dalle perone che non potevano viaggiare, solo che gli mancavano i fondi per realizzare il suo progetto. Salite le scale salutò Jeffry con simpatia. Fu la volta del cugino Paul, un uomo alto e paffuto, con gli occhi azzurri e i capelli biondo scuro, indossava un elegante abito marrone ed era il dirigente di un industria tessile. Poi apparve fuori dallo sportello della carrozza una mano fragile e delicata con unghie lunghe e affilate, colorate di rosso che indossava un enorme rubino: era la mano di Elisabet, una donna affascinante con capelli rossi che le ricadevano sulle spalle e le incorniciavano il viso pallido e sottile, dal quale spiccavano dei grandi occhi azzurri, freddi come il ghiaccio. Insieme a Paul, Elisabet salì le scale e Paul salutò Jeffry con cordialità, mentre lei fece un sorriso tirato. I quattro furono fatti accomodare in salotto: una stanza intonacata di celeste; alle pareti c’erano dei grandi quadri che rappresentavano vecchi antenati, ed era arredata da vetrine contenenti argenteria e molte bottiglie di liquori, fra le quali wisky e gin; al centro del salotto c’era un enorme tappeto persiano con sopra un tavolino di cristallo e, disposti intorno, una poltrona in pelle e due divani in seta. Dalla porta marrone, con decorazioni d’oro, entrò lo zio Edward accompagnato da Jeffry. Il vecchio era seduto su una sedia a rotelle, aveva i capelli bianchi e gli occhi azzurri che davano luce al volto consumato dal tempo. Edward li salutò uno per uno senza troppo entusiasmo e li invitò a bere del tè con i biscotti. Nel frattempo parlarono del lungo periodo in cui non si erano visti, ma lo zio, annoiato da soliti discorsi, li invitò ad andare a prepararsi per la cena, così si salutarono e se ne andarono nelle rispettive stanze. Paul ed Elisabet quando furono nella loro camera cominciarono a discutere ed Elisabet, buttandosi sul letto matrimoniale, disse lentamente “Uffa! Dobbiamo proprio ogni anno venire in questo orrendo pese a trovare tuo zio Edward?”. Il marito le rispose “Smettila di fare la melodrammatica, sono solo due giorni…” . Lo interruppe “Solo! Solo due giorni! Lo sai che potremmo fare una vacanza con i nostri amici all’estero e… e poi lo sai che dovrò starmene zitta quando i miei amici parleranno dei loro viaggi, e perché? Perché tu non mi porti mai da nessuna parte, tolto che per questi due giorni!”. Il marito proseguì dicendo “Su, non fare la capricciosa, dopotutto ti ho già comprato l’anello con quell’enorme rubino per Natale”. Elisabet stava per ribattere alla provocazione, ma si udì bussare alla porta dalla quale sbucò Jeffry che annunciò la cena, allora Paul chiese alla consorte “Vieni con me tesoro?”. Elisabet gli rispose “ Tu va, io ti raggiungo più tardi, quando mi sarò cambiata”. Così i due si lasciarono e Paul andò con i cugini. Jeffry li condusse nella sala da pranzo dove al centro c’era un tavolo apparecchiato con una tovaglia bianca con grandi ricami, i piatti di finissima porcellana, posate d’argento e bicchieri di cristallo che scintillavano sotto gli enormi candelabri d’oro che facevano luce sulla stanza color pesca. Edward ovviamente li stava aspettando e domandò a Paul “Dov’è Elisabet?”. E Paul rispose “Si sta preparando”. “Bene nel frattempo ci prenderemo un aperitivo, dimmi Paul come va la tua industria?”. “Oh, benone; gli affari con l’estero sono migliorati” rispose Paul e la porta si aprì ed entrò Elisabet che indossava un Taiellur azzurro con le sfumature blu, la folta chioma rossa era raccolta in uno schinion e una ciocca riccia le ricadeva sinuosa sulla spalla. Si accomodarono e cominciarono a magiare gli antipasti che venivano serviti parlando del più e del meno. Poi fu portato per gli ospiti del riso con il tartufo e al conte invece fu portato del minestrone per i suoi problemi di salute anche se guardava con invidia il risotto dei nipoti, ma dopo la prima cucchiaiata di minestrone, il conte diventò tutto rosso, si contorse dal dolore, poi si mise le mani tremanti sul collo per attirare l’attenzione dei nipoti e alla fine si accasciò esanime sulla sedia. Tutti rimasero immobili e le loro facce sorprese e incredule erano diventate bianche dallo spavento e solo Richard ebbe la forza di chiedere al maggiordomo di telefonare al medico di fiducia e alla polizia perché lo zio era morto. Dopo poco tempo si udì suonare il campanello e Jeffry aprì la porta: erano due agenti di polizia piuttosto giovani, dietro di loro tre uomini alti e magri mentre l’altro era basso e grassotto con enormi baffi. Quando entrarono nella sala da pranzo il dottor Seeward, seguito dai due giovani agenti, si precipitò subito sul cadavere e cercò di fare una diagnosi. Intanto gli altri due si presentarono dicendo “Io sono Sherlock Holmes e questo è il dottor Watson”. L’omino grasso fece un inchino mentre Holmes fece il bacia mano ad Elisabet e prendendole la mano inanellata, la sfiorò con un bacio e notò che l’unghia del pollice era rotta. Il dottor Seeward alla fine della visita annunciò la causa del decesso: avvelenamento. Allora Sherlock disse “Jordan chiami la centrale e chieda rinforzi per circondare la proprietà cosicché nessuno possa scappare. George, tu invece andrai con il dottor Seeward a perquisire la cucina mentre io interrogherò la cuoca; Jeffry me la vada a chiamare”. Dopo qualche istante entrò una signora bassa e grassa che continuava a piangere e a soffiarsi il naso, Holmes la condusse in biblioteca e iniziò a interrogarla e con voce tremante, disse che lei era innocente perché non aveva nessun motivo per uccidere il conte visto che lui l’aveva aiutata più volte a risolvere i suoi problemi. Holmes le stava per fare un’altra domanda ma non ne ebbe il tempo perché entrarono Seeward e George che confermarono che in cucina non c’era nulla di sospetto. A questo punto Holmes propose di perquisire la camera della cuoca che ricominciò a piangere. La camera era piccola, arredata modestamente: c’erano soltanto un letto, uno specchio, un cassettone, un comodino e un armadio, così cominciarono a perquisire la stanza buttando all’aria i cassetti e dopo qualche minuto Jordan esclamò “Ho trovato qualcosa” e portò una fialetta con un tappo di sughero a Holmes che dopo un piccolo sforzo riuscì ad aprirla e ne annusò il contenuto, poi la passò al dottor Seeward che, dopo un momento di riflessione disse “Questa erba apparentemente innocua è la cicuta acquatica o virosa, è una pianta che ha l’odore del sedano e se viene ingerita è letale”. A questo punto Holmes fece arrestare la cuoca. Poi si recò nella sala da pranzo dove erano rimasti i cugini in attesa di notizie e gli disse “Domani vorrei interrogarvi uno per uno alle dieci”. Uscendo dalla sala udì un borbottio, ma non ci fece caso. Il giorno dopo tutti stavano ansiosamente aspettando l’interrogatorio e Paul disse “Lo zio Edward è morto e l’assassino lo avrà sicuramente fatto per i soldi anche se non capisco cosa pensava di ereditare la cuoca” E Richard “Devi ammetterlo. Si tratta di un bel gruzzoletto e quanti problemi potremmo risolvere, per di più, ci potremmo sistemare per la vita.” E Jonathan disse “Su, nostro zio è appena morto e tu pensi ai soldi?” “Non fare il m moralista, anche a te farebbero comodo quei soldi perché vuoi realizzare il tuo giardino botanico che non è cosa da due penny”. Paul ribatté “Questi commenti sono fuori luogo e poi non sappiamo neppure di che cosa è morto lo zio” . E intanto cercava di consolare la moglie che si disperava. Puntualmente Holmes arrivò seguito da Watson e, con grande sorpresa, anche dalla cuoca. Tutti lo guardarono stupiti e chiesero spiegazioni e lui rispose che la cuoca non aveva alcun motivo per compiere l’omicidio. Allora tutti preoccupati si guardarono negli occhi e Holmes disse “Comincio da voi Richard, seguitemi in biblioteca”. Dopo un’ora Richard uscì furibondo dicendo “Quell’Holmes. Ma chi si crede di essere! Ce l’ha con me perché pensa che io sia l’assassino solo perché ho qualche debito”. Poi entrò Jonathan che uscì anche lui arrabbiato come il fratello, in seguito entrarono Paul ed Elisabet che uscirono preoccupati. Nel pomeriggio Watson e Holmes prendevano il tè davanti al camino acceso; Holmes passeggiava per la stanza pensieroso mentre fumava la sua pipa, invece Watson era sprofondato nella poltrona sorseggiando il tè e insieme riflettevano sul caso. A un certo punto si fermò e si mise ad osservare la fiala che si trovava sulla scrivania. Era una comune fiala con un tappo di sughero e all’interno si vedevano delle foglie, la prese in mano e la guardò e la sua attenzione fu attirata da un segno profondo sul tappo. A questo punto aspirò profondamente dalla sua pipa e chiese “Secondo lei Watson chi è l’assassino?”. Watson preso alla sprovvista cercò di ingoiare rapidamente l’enorme pezzo di torta che stava mangiando, si ripulì la bocca e rispose “È difficile dire chi è stato perché, riflettiamo: Richard è pieno di debiti di gioco e gli servono soldi per pagarli, Jonathan, sanno tutti che ha un sogno da realizzare e gli serve una grande somma che lui però non ha, è anche vero che però è un botanico, quindi un esperto di piante e chi meglio di lui poteva sapere della cicuta e dei suoi effetti? Poi ci rimangono Paul ed Elisabet che, francamente, mi sembrano perone a posto anche perché non hanno alcun movente”. A quel punto Holmes disse “Elementare, Watson, il suo discorso non fa una piega, ma siamo al punto di partenza”. E mentre osservava la fiala che teneva in mano , esclamò “Watson, ci sono, ho risolto il caso, fai riunire i nipoti per le otto di questa sera”. E Watson con la bocca piena di torta, cercò di farfugliare qualcosa. Alle otto i nipoti erano riuniti in salotto e aspettavano Holmes. L’aria era carica di tensione: Elisabet giocava con il ciondolo della collana, Paul dondolava il piede, Jonathan guardava un continuazione l’orologio e Richard sbuffava. Finalmente entrò Holmes seguito come sempre da Watson che andò a sedersi sulla poltrona e Holmes iniziò a parlare “Vi ho riuniti qui perché so chi è l’assassino, ma prima ricapitoliamo: potrebbe essere stato Richard perché gli servivano soldi per estinguere i debiti, però potrebbe essere stato Jonathan, lui è l’esperto di piante e anche a lui servono i soldi per realizzare il suo progetto. Ma io vi dico che non sono stai loro” Poi fece una pausa, prese una boccata dalla sua pipa e proseguì lentamente “La sera dell’omicidio quando ho salutato Miss Elisabet ho visto che aveva l’unghia del pollice destro rotta, ma al momento , non c’ho fatto caso, poi notando il taglio sul tappo della fiala ho capito che doveva essersela rotta facendo pressione sul tappo. Tutti la guardarono con stupore e lei rossa per la rabbia, si alzò gridando “Sì, sono stata io a far fuori quella vecchia mummia e non me ne pento, lui aveva un sacco di denaro, viveva come un eremita mentre io non potevo fare una vacanza decente, per comprarmi qualche vestito elegante dovevo sempre elemosinare qualcosa da mio marito, mai che dessimo una festa perché dovevamo risparmiare, ero stanca di questa noiosissima vita, coi soldi dell’eredità avremmo potuto finalmente vivere da signori” E mentre veniva portata via dai poliziotti Holmes disse “Watson anche questo caso è risolto”.
  
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