Shimmy*
Ogni
storia d’amore ha una data d’inizio, e, spesso, una
data di fine.
La
mia ha solo una data d’inizio, e non credo che mai
avrà una fine.
Questa
storia inizia il 9 ottobre 2009, circa alle 10 della sera, nel
ristorante
Umayyad Palace di Damasco, Siria.
In
tutta la mia vita l’oriente aveva scatenato in me un fascino
particolare,
probabilmente anche a causa e per merito dei miei genitori, che hanno
sempre
amato viaggiare e portare me con loro; ho visitato l’Egitto,
tra gli altri
posti, quando avevo appena nove anni, quasi dieci, nel lontano 1997,
quando
ancora il mio mondo era limitato ai semplici giochi e divertimenti
della scuola
elementare, e sbucciarmi le ginocchia cadendo dalla bicicletta nel
tranquillo
paese di campagna in cui passavo l’estate non era un dolore,
ma l’occasione di
sfoggiare una nuova cicatrice che significava potere, senza
preoccuparsi dell’estetica.
Quel
paese del nord Africa mi è rimasto nel cuore più
di quanto avrei potuto
immaginare; penso che sia per quello che ho deciso di intraprendere lo
studio
di archeologia all’università. E, fino a quel
giorno, a Damasco, credevo che
fosse l’unica cosa che mi era rimasta impressa.
Una
cosa che ho sempre amato del mio corso di laurea, che ha sempre fatto
da
contrappasso a tutte quelle negative, era la possibilità che
fornisce ogni anno
agli studenti di visitare paesi in cui, altrimenti, difficilmente
penseremmo di
andare a fare un viaggio. Nel 2009 la scelta cadde sulla Siria, e il
mio
spirito curioso non ebbe alcuna remora a iscriversi, nonostante le
terribili
prospettive di morte con cui la gente amava spaventarmi.
Credo
che la bellezza di quel paese sia difficilmente spiegabile; i minareti
con il
muezzin che, a intervalli più o meno regolari, recita la sua
preghiera; il
cibo, che, se non siete palati troppo difficili e amate sperimentare,
vi
risulterà delizioso; il deserto sconfinato, con i suoi
colori di una struggente
bellezza, sia di giorno che soprattutto con il tramonto, e la sabbia
che si
solleva al primo alito di vento e, alle volte, ti entra negli occhi; il
denso e
dolciastro profumo del narghilè; l’odore pungente
delle spezie nei suk, che ti solletica
il naso; il suk stesso, pieno di profumi e colori, in cui potete
trovare
qualunque mercanzia, dai gustosi dolci al pistacchio fino alle stoffe
più
stravaganti ed esotiche, passando per gli enormi narghilè,
le luccicanti pietre
dure e i saponi di olio d’oliva di Aleppo, che hanno un
prezzo diverso a
seconda delle stelline, che vengono accuratamente incise su ogni
saponetta; i
dromedari che tagliano la strada al pullman, e i beduini che li
cavalcano, che
alle volte sono veramente belli, e la tentazione di farsi rapire e
fuggire con
loro è grande; tutti i siti archeologici, e potrei andare
avanti per ore con
questo elenco.
Ciò
che incontrai quel 9 ottobre mi stupì e mi lasciò
a bocca aperta più di tutto
ciò che ho appena descritto. Quella sera ci portarono in un
ristorante tipico, poiché
era il nostro ultimo giorno in Siria. Oltre al cibo, cui ci eravamo
ormai
abituati, ad allietarci la serata vi era un gruppo di folkloristici
musicisti. Una
delle nostre guide del posto mi vide muovermi a ritmo di darbouka (una
specie
di tamburo tipico del Medio Oriente), e tentò di convincermi
ad andare a
ballare. Per la mia naturale timidezza mi rifiutai, anche
perché i musicisti
avevano smesso di suonare, ma promisi di farlo non appena avessero
ricominciato, e solo se altri fossero stati con me.
Così,
quando la musica ricominciò e vidi altre persone andare a
ballare, anche io mi
alzai; ma la nostra guida non aveva dimenticato quello che gli avevo
detto, e
così escogitò qualcosa che non mi sarei mai
aspettata.
Lo
vidi parlare all’orecchio di uno dei musicisti, e subito dopo
questo ragazzo
arabo mi prese per una mano e mi trascinò con sé
sul muretto della piccola
fontana del ristorante, dove, davanti a tutti gli avventori di quella
sera,
feci una cosa che non mi capitava spesso di fare, lasciarmi andare,
fregarmene
di tutti quelli che mi guardavano.
Quando
scesi dalla fontana in molti mi fecero i complimenti, chiedendomi se
praticassi
danza del ventre. Io risposi a tutti che non era così. Ma in
quel momento in me
si era insinuato un tarlo; forse ero portata per quel tipo di danza
insolita e
spesso giudicata sconveniente.
Così,
appena tornata a Milano, mia città natale, decisi di provare
una lezione di
quella danza, in una scuola non lontana da casa mia, vincendo le
rimostranze di
mia madre, che non era molto contenta della mia scelta.
Così, il 14 ottobre,
affrontai la mia prima lezione, dove conobbi le mie compagne di corso e
la mia
splendida insegnante dai penetranti occhi azzurri; e immediatamente mi
resi
conto di essermi perdutamente innamorata. Avevo ventidue anni, e,
nonostante
nella mia vita avessi tentato ogni tipo di sport e attività,
le avevo sempre
abbandonate piuttosto presto, perché nessuna mi aveva
veramente appassionata.
Quella
sera capii che finalmente avevo trovato ciò che cercavo.
Mi
capita spesso, confesso, di appassionarmi ad una cosa e stufarmene
piuttosto in
fretta, ma qualcosa dentro di me mi diceva che non era così
per la danza orientale,
detta più spesso e scorrettamente danza del ventre;
così mi iscrissi,
corrompendo la mia povera nonna per avere i soldi del primo trimestre
in cambio
di lavoretti.
Il
5 dicembre ci fu il mio primo spettacolo, in cui mi esibii portando
solo una coreografia.
In platea vi erano tutti i miei amici e, naturalmente, i miei genitori.
Quel giorno
capii anche fin dove poteva arrivare l’amore di mio padre,
visto che decise di
venire nonostante ci fosse Inter-Juventus (lui, come me, è
uno sfegatato interista).
Mia
madre, che aveva inizialmente cercato di dissuadermi
dall’idea di fare danza
orientale, quella sera rimase entusiasta dello spettacolo, e,
nonostante fossi
esausta dalla pesante giornata, mi chiese, una volta tornata a casa, di
farle
rivedere la mia coreografia più di una volta.
E
da allora aspetto ogni mercoledì, giorno in cui ho lezione,
con l’impazienza
con cui un bambino aspetta l’arrivo di Babbo Natale. Ho
partecipato ad altri
due spettacoli, e ogni volta è stata un’esperienza
fantastica; ho imparato ad
usare diversi tipi di attrezzi: il velo, il bastone e ora la spada, e
ne ho
visti usare tanti altri: le ali, i cimbali, i fanveils. Ho incontrato
tanti
stili di danza, oltre al tradizionale Raqs Sharqi: il Bollywood, il
tribal e il
gothic, il saidi, il celtico, l’andaluso,
l’oriental burlesque.
Sarò
sincera, l’ignoranza della gente è tanta; io sono
sempre stata fiera di
praticare danza orientale, e non ho mai avuto problemi a dirlo, ma
scopro
sempre che forse dovrei essere meno entusiasta, perché la
gente tende a giudicarmi
in un certo modo.
Sono
una persona molto insicura, e mi è stato sempre detto di
circondarmi delle cose
che amo fare e che mi danno sicurezza, e la danza orientale
è una di queste; ma
nel momento in cui annuncio fiera ciò che faccio la gente
solitamente inizia a
fare battute e a ridere sotto i baffi, e questo non può fare
altro che rendermi
insicura.
Paradossale,
non trovate?
Forse,
un giorno, la gente cambierà; sono assolutamente certa che
nessuno di coloro che
mi criticano e mi giudicano abbia mai veramente visto uno spettacolo di
danza
orientale. Perché se così fosse, non mi
guarderebbero come se fossi una
prostituta.
Se
andate in un locale e vedete una ballerina di danza orientale state
molto
attenti, perché nella maggior parte sono ragazze immagine
che non hanno mai
frequentato una lezione e si limitano a sculettare.
Aziza
Abdul Ridha, una delle più grandi danzatrici italiane, ha
dichiarato che ci
vogliono dieci anni per diventare una brava danzatrice orientale. E ha
altresì
dichiarato di sentirsi offesa, perché tante stupide
ragazzine vanificano il
lavoro, lo sforzo e l’amore di tante donne che si dedicano
con passione a una
disciplina così bella.
E
io mi ci dedico con passione, e tanto, tantissimo amore, che sono
sicura non
svanirà mai.
*
Lo shimmy è il tipico
movimento
della danza orientale, in cui con le braccia aperte si muovono le
spalle avanti
e indietro, alternandole (quando la spalla destra avanza la sinistra
retrocede);
in velocità il produce un movimento di seno. Il resto del
corpo resta fermo. Questo
è definito shimmy di seno.
Lo shimmy di pancia si esegue
piegando
alternativamente le ginocchia, leggermente; in velocità si
nota un tremolio di pancia,
fianchi e fondoschiena. Le ballerine più esperte riescono a
effettuare
movimento statici, come gli 8 orizzontali o i giri di seno, mantenendo
lo
shimmy.