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Autore: elizzie    10/11/2011    0 recensioni
Vita vera, reale, vissuta. Un piccolo ma importante pezzo della mia vita raccontato senza paura.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Shimmy*

 

Ogni storia d’amore ha una data d’inizio, e, spesso, una data di fine.

La mia ha solo una data d’inizio, e non credo che mai avrà una fine.

Questa storia inizia il 9 ottobre 2009, circa alle 10 della sera, nel ristorante Umayyad Palace di Damasco, Siria.

In tutta la mia vita l’oriente aveva scatenato in me un fascino particolare, probabilmente anche a causa e per merito dei miei genitori, che hanno sempre amato viaggiare e portare me con loro; ho visitato l’Egitto, tra gli altri posti, quando avevo appena nove anni, quasi dieci, nel lontano 1997, quando ancora il mio mondo era limitato ai semplici giochi e divertimenti della scuola elementare, e sbucciarmi le ginocchia cadendo dalla bicicletta nel tranquillo paese di campagna in cui passavo l’estate non era un dolore, ma l’occasione di sfoggiare una nuova cicatrice che significava potere, senza preoccuparsi dell’estetica.

Quel paese del nord Africa mi è rimasto nel cuore più di quanto avrei potuto immaginare; penso che sia per quello che ho deciso di intraprendere lo studio di archeologia all’università. E, fino a quel giorno, a Damasco, credevo che fosse l’unica cosa che mi era rimasta impressa.

Una cosa che ho sempre amato del mio corso di laurea, che ha sempre fatto da contrappasso a tutte quelle negative, era la possibilità che fornisce ogni anno agli studenti di visitare paesi in cui, altrimenti, difficilmente penseremmo di andare a fare un viaggio. Nel 2009 la scelta cadde sulla Siria, e il mio spirito curioso non ebbe alcuna remora a iscriversi, nonostante le terribili prospettive di morte con cui la gente amava spaventarmi.

Credo che la bellezza di quel paese sia difficilmente spiegabile; i minareti con il muezzin che, a intervalli più o meno regolari, recita la sua preghiera; il cibo, che, se non siete palati troppo difficili e amate sperimentare, vi risulterà delizioso; il deserto sconfinato, con i suoi colori di una struggente bellezza, sia di giorno che soprattutto con il tramonto, e la sabbia che si solleva al primo alito di vento e, alle volte, ti entra negli occhi; il denso e dolciastro profumo del narghilè; l’odore pungente delle spezie nei suk, che ti solletica il naso; il suk stesso, pieno di profumi e colori, in cui potete trovare qualunque mercanzia, dai gustosi dolci al pistacchio fino alle stoffe più stravaganti ed esotiche, passando per gli enormi narghilè, le luccicanti pietre dure e i saponi di olio d’oliva di Aleppo, che hanno un prezzo diverso a seconda delle stelline, che vengono accuratamente incise su ogni saponetta; i dromedari che tagliano la strada al pullman, e i beduini che li cavalcano, che alle volte sono veramente belli, e la tentazione di farsi rapire e fuggire con loro è grande; tutti i siti archeologici, e potrei andare avanti per ore con questo elenco.

Ciò che incontrai quel 9 ottobre mi stupì e mi lasciò a bocca aperta più di tutto ciò che ho appena descritto. Quella sera ci portarono in un ristorante tipico, poiché era il nostro ultimo giorno in Siria. Oltre al cibo, cui ci eravamo ormai abituati, ad allietarci la serata vi era un gruppo di folkloristici musicisti. Una delle nostre guide del posto mi vide muovermi a ritmo di darbouka (una specie di tamburo tipico del Medio Oriente), e tentò di convincermi ad andare a ballare. Per la mia naturale timidezza mi rifiutai, anche perché i musicisti avevano smesso di suonare, ma promisi di farlo non appena avessero ricominciato, e solo se altri fossero stati con me.

Così, quando la musica ricominciò e vidi altre persone andare a ballare, anche io mi alzai; ma la nostra guida non aveva dimenticato quello che gli avevo detto, e così escogitò qualcosa che non mi sarei mai aspettata.

Lo vidi parlare all’orecchio di uno dei musicisti, e subito dopo questo ragazzo arabo mi prese per una mano e mi trascinò con sé sul muretto della piccola fontana del ristorante, dove, davanti a tutti gli avventori di quella sera, feci una cosa che non mi capitava spesso di fare, lasciarmi andare, fregarmene di tutti quelli che mi guardavano.

Quando scesi dalla fontana in molti mi fecero i complimenti, chiedendomi se praticassi danza del ventre. Io risposi a tutti che non era così. Ma in quel momento in me si era insinuato un tarlo; forse ero portata per quel tipo di danza insolita e spesso giudicata sconveniente.

Così, appena tornata a Milano, mia città natale, decisi di provare una lezione di quella danza, in una scuola non lontana da casa mia, vincendo le rimostranze di mia madre, che non era molto contenta della mia scelta. Così, il 14 ottobre, affrontai la mia prima lezione, dove conobbi le mie compagne di corso e la mia splendida insegnante dai penetranti occhi azzurri; e immediatamente mi resi conto di essermi perdutamente innamorata. Avevo ventidue anni, e, nonostante nella mia vita avessi tentato ogni tipo di sport e attività, le avevo sempre abbandonate piuttosto presto, perché nessuna mi aveva veramente appassionata.

Quella sera capii che finalmente avevo trovato ciò che cercavo.

Mi capita spesso, confesso, di appassionarmi ad una cosa e stufarmene piuttosto in fretta, ma qualcosa dentro di me mi diceva che non era così per la danza orientale, detta più spesso e scorrettamente danza del ventre; così mi iscrissi, corrompendo la mia povera nonna per avere i soldi del primo trimestre in cambio di lavoretti.

Il 5 dicembre ci fu il mio primo spettacolo, in cui mi esibii portando solo una coreografia. In platea vi erano tutti i miei amici e, naturalmente, i miei genitori. Quel giorno capii anche fin dove poteva arrivare l’amore di mio padre, visto che decise di venire nonostante ci fosse Inter-Juventus (lui, come me, è uno sfegatato interista).

Mia madre, che aveva inizialmente cercato di dissuadermi dall’idea di fare danza orientale, quella sera rimase entusiasta dello spettacolo, e, nonostante fossi esausta dalla pesante giornata, mi chiese, una volta tornata a casa, di farle rivedere la mia coreografia più di una volta.

E da allora aspetto ogni mercoledì, giorno in cui ho lezione, con l’impazienza con cui un bambino aspetta l’arrivo di Babbo Natale. Ho partecipato ad altri due spettacoli, e ogni volta è stata un’esperienza fantastica; ho imparato ad usare diversi tipi di attrezzi: il velo, il bastone e ora la spada, e ne ho visti usare tanti altri: le ali, i cimbali, i fanveils. Ho incontrato tanti stili di danza, oltre al tradizionale Raqs Sharqi: il Bollywood, il tribal e il gothic, il saidi, il celtico, l’andaluso, l’oriental burlesque.

Sarò sincera, l’ignoranza della gente è tanta; io sono sempre stata fiera di praticare danza orientale, e non ho mai avuto problemi a dirlo, ma scopro sempre che forse dovrei essere meno entusiasta, perché la gente tende a giudicarmi in un certo modo.

Sono una persona molto insicura, e mi è stato sempre detto di circondarmi delle cose che amo fare e che mi danno sicurezza, e la danza orientale è una di queste; ma nel momento in cui annuncio fiera ciò che faccio la gente solitamente inizia a fare battute e a ridere sotto i baffi, e questo non può fare altro che rendermi insicura.

Paradossale, non trovate?

Forse, un giorno, la gente cambierà; sono assolutamente certa che nessuno di coloro che mi criticano e mi giudicano abbia mai veramente visto uno spettacolo di danza orientale. Perché se così fosse, non mi guarderebbero come se fossi una prostituta.

Se andate in un locale e vedete una ballerina di danza orientale state molto attenti, perché nella maggior parte sono ragazze immagine che non hanno mai frequentato una lezione e si limitano a sculettare.

Aziza Abdul Ridha, una delle più grandi danzatrici italiane, ha dichiarato che ci vogliono dieci anni per diventare una brava danzatrice orientale. E ha altresì dichiarato di sentirsi offesa, perché tante stupide ragazzine vanificano il lavoro, lo sforzo e l’amore di tante donne che si dedicano con passione a una disciplina così bella.

E io mi ci dedico con passione, e tanto, tantissimo amore, che sono sicura non svanirà mai.

 

* Lo shimmy è il tipico movimento della danza orientale, in cui con le braccia aperte si muovono le spalle avanti e indietro, alternandole (quando la spalla destra avanza la sinistra retrocede); in velocità il produce un movimento di seno. Il resto del corpo resta fermo. Questo è definito shimmy di seno. Lo shimmy di pancia si esegue piegando alternativamente le ginocchia, leggermente; in velocità si nota un tremolio di pancia, fianchi e fondoschiena. Le ballerine più esperte riescono a effettuare movimento statici, come gli 8 orizzontali o i giri di seno, mantenendo lo shimmy.

 

 

   
 
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